Oggi si torna a scuola, a sorpresa tra i banchi anche i ministri.

Oggi si torna a scuola, a sorpresa tra i banchi anche i ministri. Renzi contestato a Palermo

Primo giorno di scuola per gran parte degli studenti italiani: l’anno 2014/2015 inizia oggi in una quindicina di regioni. Un rientro in classe che coincide con l’avvio della consultazione (sul sito www.labuonascuola.gov.it) sulle Linee guida per la scuola varate dal Governo la scorsa settimana.
In classe anche i ministri – I titolari dei dicasteri del governo Renzi hanno risposto all’appello del Premier e sono andati  ciascuno in un istituto, per lo più quello dove hanno studiato, per confermare, con la loro presenza, che l’Esecutivo in carica ritiene davvero la scuola una priorità. Renzi è a Palermo nell’istituto scolastico intitolato a don Peppino Puglisi, mentre il ministro Giannini ha visitato una scuola della periferia romana, un istituto tecnico agrario.
Fischi per Renzi a Palermo, precari e disoccupati: “Buffone” – . L’arrivo di Renzi è stato accolto con un applauso dai bambini dell’istituto. All’esterno, invece, un gruppo di manifestanti ha urlato “buffone buffone” ”lavoro.. lavoro” e lanciato anche dei petardi. Il premier non si è fermato a parlare con i giornalisti. Al suo arrivo alla scuola, il presidente del Consiglio è stato accolto dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dal prefetto Francesca Cannizzo e dal presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta.
Premier: Brancaccio è la capitale delle scuole d’Italia”  – L’arrivo di Renzi è stato accolto con un applauso dai bambini dell’istituto. “Branaccio è la capitale delle scuole d’Italia”, ha detto il premier Matteo Renzi, rivolgendosi agli alunni e ai docenti, intervenendo all’inaugurazione della scuola ”Don Pino Puglisi” a Palermo, nel quartiere Brancaccio. Oggi è anche l’anniversario dell’omicidio del beato Pino Puglisi, parroco di Brancaccio ucciso il 15 settembre 1993.
“E’ obbligo assumere 149 mila persone” – “Nella scuola ci sono 149 mila persone che hanno l’obbligo di essere assunte”. Parlando con i cronisti a Palermo dei precari della scuola il premier ha sottolineato che la questione “è difficile, perché’ anni e anni di stratificazione e promesse non mantenute hanno prodotto una situazione unica in Europa rispetto al corpo docente e un senso di frustrazione dei nostri insegnanti”. “Noi abbiamo scelto di mettere la parola fine – ha aggiunto – Tutti coloro i quali hanno assunto un diritto, verso i quali lo Stato ha assunto un’obbligazione, vale a dire quelli che fanno parte delle graduatorie ad esaurimento saranno assunti a settembre del 2015, con il nuovo anno scolastico”. “Però noi chiediamo di cambiare le regole del gioco. E ai docenti e gli insegnati diciamo siamo disponibili a portarvi dentro la scuola in modo definitivo, a mettere fine alla supplentite – ha concluso – ma voi aiutateci a valorizzare il merito. Ci sono insegnanti particolarmente bravi e quelli meno bravi, che vanno aiutati con la formazione continua e permanente. E questo e’ interesse degli insegnanti e delle famiglie”.
Giannini: “Governo accompagna studenti zaino in spalla”  – “Decidere dove risparmiare e dove spendere è una scelta politica e non un fatto tecnico. Quindi un governo che è partito con la cartella e lo zaino in spalla e che oggi accompagna tutti gli studenti” nel loro primo giorno di scuola “è un governo che ha una determinazione politica fortissima”. Lo ha affermato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, a Uno Mattina.Giannini ha ringraziato “tutti i colleghi e il presidente del Consiglio in primis, che ha scelto di essere il porta bandiera della buona scuola”, e ha ribadito che “le risorse saranno destinate alle priorità e mi pare – ha concluso – che la scuola lo sia veramente”.
Boschi a bimbi: “Siate rompiscatole, fate domande”  – “Cari bambini siate un po’ rompiscatole con gli insegnanti facendo tante domande, siate vogliosi di imparare sempre cose nuove, ciò che impariamo alle elementari è fondamentale e vi servirà per quando sarete grandi”. Così il ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi s’è rivolta ai bimbi della scuola elementare Mameli di Laterina nel suo discorso per l’inaugurazione dell’anno scolastico. “Sapete che lavoro faccio io? – ha proseguito Boschi – Il ministro, ho tante responsabilità, tanti impegni, faccio un po’ come il preside, decidiamo cosa fare il lunedì, il martedì, facciamo il calendario della settimana, è un po’ come il sindaco che si preoccupa delle strade, delle scuole, è così anche il governo dove ci sono ministri che si preoccupano delle scuole, delle strade, degli ospedali, insomma di far funzionare l’Italia”.
Orlando a ragazzi: “Voi siete benzina motore”  – “I ragazzi sono la benzina sulla quale deve girare il motore del nostro Paese, e credo che chi ha la la responsabilità di governo debba manifestare un incoraggiamento in questo loro ‘lavoro’ di apprendimento, il primo che un individuo viene chiamato a svolgere nell’interesse del paese. La formazione di un bambino corrisponde alla ricchezza di un paese”. Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, durante la visita alla scuola elementare ‘Mori’ del complesso ‘2 Giugno’ della Spezia. Il ministro, che ha fatto il giro delle classi dando il benvenuto assieme alle maestre agli esordienti e intrattenendosi per una decina di minuti con i bambini, non ha voluto parlare di riforme. “Oggi parliamo della scuola, ai giovani dobbiamo assicurare serenità e vicinanza. Le riforme? Importante farle per il paese”.
Pinotti a alunni, vostra vita prende strada nuova – “Oggi un pezzo della vostra vita prende una strada nuova, l’avete scelta voi, qui c’è un pezzo del vostro futuro”. Così il ministro della difesa, Roberta Pinotti, si è rivolta agli alunni delle prime classi del liceo scientifico Enrico Fermi di Genova dove ha studiato e insegnato.

Venezia 71, Leone d’oro a “Un piccione su un ramo”.

Venezia 71, Leone d’oro a “Un piccione su un ramo”. Coppa Volpi a Rohrwacher e Driver

La serata finale di Venezia71, il più importante Festival del cinema italiano, ha fatto calare il sipario su un’edizione particolarmente interessante e ricca di titoli e nomi internazionali. Madrina della serata è stata l’attrice Luisa Ranieri che, con la sua grazia e professionalità, ha accompagnato giurati e ospiti in concorso nella cerimonia di premiazione. La Giuria, presieduta da Alexandre Desplat e composta da Joan Chen, Philip Groening, Jessica Hausner, Jhumpa Lahiri, Sandy Powell, Tim Roth, Elia Suleiman e Carlo Verdone, dopo aver visionato tutti i 20 film in concorso, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
Un piccione su un ramo che riflette sull’esistenza (A pigeon sat on a branch reflecting on existence) del regista svedese Roy Andersson è il vincitore del Leone d’oro a Venezia71.
Il Leone d’argento per la miglior regia è andato invece a Belye nochi pochtalona alekseya tryapitsyna (The Postman’s White Nights) di Andrej Končalovskij
Nel concorso l’Italia vince due volte con le due Coppe Volpi agli attori di Hungry Hearts di Saverio CostanzoAlba Rohrwacher e Adam Driver.
Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco ha vinto il premio speciale della giuria Orizzonti.
Il film The look of silence di Joshua Oppenheimer ha vinto il Gran premio della giuria.
Le notti bianche del Postino (The Postman’s White Nights) del regista russo Andrej Konchalovskij ha vinto il Leone d’argento.
Gran premio della Giuria a The look of silence di Joshua Oppenheimer.
Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente a: Romain Paul in Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte.
Premio speciale della Giuria a: Sivas di Kaan Müjdeci.
La Giuria Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis) della 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Alice Rohrwacher e composta da Lisandro Alonso, Ron Mann, Vivian Qu e Razvan Radulescu, assegna il premio a: Court di Chaitanya Tamhane nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore.
Gli altri Premi Orizzonti La Giuria Orizzonti della 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Ann Hui e composta Moran Atias, Pernilla August, David Chase, Mahamat Saleh Haroun, Roberto Minervini e Alin Tasciyan, dopo aver visionato i film in concorso, assegna:
– Premio Orizzonti per il miglior film a Court di Chaitanya Tamhane
– Premio Orizzonti per la miglior regia a: Theeb di Naji Abu Nowar
– Premio speciale della Giuria Orizzonti a: Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco
– Premio speciale Orizzonti per la miglior interpretazione a: Emir Hadžihafizbegović in TAKVA SU PRAVILA di Ognjen Sviličić
– Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio a: Maryam di Sidi Saleh European Short Film Award 2014

Onder, Baudo e altre assurdità in Rai

Onder, Baudo e altre assurdità in Rai

di Mariano Sabatini

Il caso Luciano Onder, che riempie i giornali (avevo la notizia in anteprima ma non ho voluto darle credito, perché non pensavo sarebbero arrivati a tanto), ci dà l’idea tangibile di come funzionano le cose in Rai. Da tempo auspicavo che il giornalista specializzato in adenoidi, carcinomi e altri malanni di varia gravità si facesse da parte, per godersi la pensione che percepisce fin dal 2008, nel rispetto di una delibera del cda che prevede la rescissione dei contratti di consulenza agli ex dipendenti. Provvedimento che, in pura teoria, avrebbe potuto e dovuto agevolare la crescita di talenti interni. Niente di più sbagliato.
Ora pare che Onder se ne vada davvero; ma leggiamo che al suo posto sarebbe stato assoldato un collaboratore alla modica cifra di 400mila euro annui. Mentre i solerti impiegati di viale Mazzini sono impegnati a raschiare il fondo del barile, sottraendo pochi euro ai lavoratori autonomi che portano in dono la propria professionalità al servizio pubblico, gli sprechi che hanno portato la Rai alla situazione attuale proseguono indisturbati.
Tanto è vero che per sostituire Giovanni Floris, passato a La7, hanno chiamato un giornalista di carta stampata, un esterno, con un fior di contratto di collaborazione: Massimo Giannini, già vicedirettore di “Repubblica”. Capisco, allora, la malinconia di Riccardo Iacona, valente inchiestista di Presadiretta su Rai3, che denuncia i tagli ai già esigui compensi dei suoi giornalisti assoldati a partita Iva, costretti tra l’altro ad anticiparsi le spese delle trasferte.
Sembra che la tv pubblica, per mano di una dirigenza poco adatta a valutare e trattare le esigenze del mezzo televisivo, abbia un particolare talento per mortificare l’entusiasmo e la professionalità dei collaboratori contrattualmente più deboli – la massa che rappresenta, però, il motore dell’azienda – per esaltare quella dei più forti.
Ho letto una lunga intervista a Pippo Baudo, per anni colonna imprescindibile dell’intrattenimento in Rai, in cui con il candore del quasi ottuagenario che non ha più nulla da perdere né dimostrare sostiene che forse anche lui avrebbe diritto di tornare in onda su una delle tre reti. Come dargli torto, con l’attuale programmazione?
Il rinnovamento dovrebbe passare attraverso un innalzamento dell’offerta, non fondarsi sull’umiliante professionalizzazione dell’incompetenza a cui assistiamo. Così come il risanamento dei bilanci dovrebbe prevedere strategie più sottili dei ciechi tagli lineari. Vaglielo a far capire.

Italia, meta più votata del mondo dai lettori di Traveller

Italia, meta più votata del mondo dai lettori di Traveller

4 settembre 2014

L’Italia guida la classifica delle mete mondiali più votate dai lettori di Traveller

Traveller, la celebre rivista di viaggi edita da Conde Nast, come ogni anno chiede ai propri lettori di votare le destinazioni più appealing del mondo. E, per la seconda volta consecutiva, l’Italia guida la classifica. Il merito della vittoria va ricercato soprattutto nel fascino dell’abbinata cultura e cibo. Al secondo posto si piazzano gli Usa (considerati il miglior luogo dove soggiornare), seguiti da Francia, Spagna e Grecia. Insomma, a livello mondiale la Vecchia Europa guadagna ben 4 posizioni nella top five. Con l’Italia in testa.

La Uefa apre un’inchiesta su Tavecchio per i suoi “presunti commenti razzisti”

La Uefa apre un’inchiesta su Tavecchio per i suoi “presunti commenti razzisti”

Commenti

Il nuovo presidente della Figc nel mirino per il discusso discorso di presentazione della sua candidatura alla federazione. Tavecchio è tranquillo: “Si tratta di un atto dovuto, sono certo che potrò spiegare anche in sede UEFA sia il mio errore che le mie vere intenzioni”

Parigi, 20 agosto 2014  – L’Uefa ha aperto una inchiesta per “presunti commenti razzisti” nel confronti del nuovo presidente della Figc Carlo Tavecchio. Nel mirino dell’organismi calcistico europeo le dichiarazioni pronunciante da Tavecchio durante il discorso di presentazione della sua candidatura alla federazione.

Il neo presidente aveva detto:  “In serie A gioca chi mangiava le banane

La Uefa ha annunciato di aver “personalmente informato il presidente della Figc, Carlo Tavecchio, della decisione di aprire un’inchiesta disciplinare sui presunti commenti razzisti fatti durante la sua campagna elettorale per la presidenza della Federcalcio”. Le frasi in questione sono quelle su “Opti Poba”. A occuparsi della vicenda il comitato etico e disciplinare della Uefa.
TAVECCHIO: SERENO, SPIEGHERO’ MIE INTENZIONI  – “Sono sereno e rispettoso della decisione della UEFA. Del resto si tratta di un atto dovuto, quindi da noi stessi previsto e sono certo che potrò spiegare anche in sede UEFA sia il mio errore che le mie vere intenzioni”. Lo dice Carlo Tavecchio dopo l’apertura dell’inchiesta Uefa.

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come Paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’Unità, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande Paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla  – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.

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Nella loro diversa pesantezza e dimensione, tutti e tre gli eventi hanno un loro aspetto non chiaro (e anzi, misterioso) e stupisce che così tanta parte dei media italiani si prestino a celebrare due degli eventi e a ignorare il terzo.

Nonostante la memoria corta di un mondo su cui piovono Twitter e hashtag come la cenere dopo Hiroshima, credo che si ricorderà la fine del Senato. Perché non se ne conosce la ragione; perché c’erano cose ben più urgenti da fare; perché ha sradicato in modo rozzo e violento i molti legami, ascendenze e conseguenze nellaCostituzione; perché, come ha detto bene, chiaro e al momento giusto, il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani, questa legge porta due firme: quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi. Lo testimonia un’immagine destinata a restare come quelle dei Marines di Iwo Jima: Maria Rosaria Rossi, di casa Berlusconi, abbraccia Maria Elena Boschi, di casa Renzi, con il furore femminile di poche grandi occasioni della vita. La commenta bene, in un desolato e bellissimo testo, su Il Corriere della Sera (7 agosto) Corrado Stajano: “Perché, ci si chiede, discutere della legge fondamentale della Repubblica in modo così affannoso e dilettantesco, con il ritmo di una tappa a cronometro su pista, tra minacce e blandizie?”. Nell’entusiasmo del momento si erano persino dimenticati che Giorgio Napolitano, a un certo momento, avrebbe dovuto diventare senatore a vita. E la Finocchiaro è dovuta correre indietro a inserire un’eccezione per ex presidenti della Repubblica, che restano d’ora in poi i soli senatori a vita. Ma dove? Nel festoso suk di portatori di interessi nominati dalle Regioni.

Intanto Renzi ha chiuso l’Unità. Ma quando mai?, ti direbbero al Nazareno, se ti accogliessero e non temessero che qualcuno gli guardi le carte sul tavolo. L’Unità, ti direbbero, ha finito la corsa, punto e basta. Svelto com’è, Renzi non ha neanche perduto tempo a verificare se e come l’organo del Partito Democratico svolge il suo ruolo. Sì, qualche volta avrà notato con la coda dell’occhio, che non era tutto scritto da lui, che non c’entrava, neppure dopo anni di Ds e poi di Pd remissivo e sempre pronto a qualche pacificazione, con la nuova vita insieme, lui e Berlusconi, Berlusconi e lui.>

Non tutti cambiano radicalmente in una o due assemblee, come i membri di direzione del suo partito. Dopo tutto quel giornale ha mai aperto con grande foto del sorriso fisso sulla non realtà della Boschi o della incompetente e dannosa gentilezza della Madia? Diciamo la verità: il giornale stava nei ranghi ma non lo aveva ancora portato in trionfo. E poi, a certe scadenze, veniva fuori con certi ricordi e immagini e voci di cui non senti il bisogno, mentre condividi questa nuova Italia rinnovata e pacificata con Berlusconi. Intanto se i competenti del mondo fanno notare le tue disattenzioni economiche e il rischio grave dell’Italia, sei già circondato di “grandi giornali” italiani detti indipendenti che si occupano di non dirlo. Infine deve avere notato che nessuno, anche tra i più miti redattori dell’Unità, era mai stato boy scout. Renzi ha imparato solo la prima parte del celebre motto: “Tutti per uno”. È svelto, e passa subito alla conclusione: chiudere, e farla finita, come gli dice Verdini da un pezzo, con la paccottiglia comunista.

La Fiat, che era l’immagine dell’Italia industriale nel mondo e il punto di riferimento per l’industria italiana (se lo fa la Fiat, come fa la Fiat…) si è sfilata con agilità dalle tasse (paga a Londra), dai legami con l’Italia (ha sede amministrativa e legale in Olanda) e dalla produzione (che ha luogo alla periferia di Detroit). Di fronte a un evento di tale enormità i politici non c’erano, non al Parlamento di una o due Camere, non al governo. Renzi lavorava a cambiare verso, a cambiare l’Italia, a forgiare le riforme che tracciano qualche solco ma non si sa per dove.

Anche perché gli hanno portato a Palazzo Chigi tre immensi gipponi, che sarebbero destinati alla produzione italiana (famosa nel mondo per la Cinquecento, ricordate?). Ma la produzione italiana non esiste. Piani, progetti e investimenti sono stati tenuti fermi. E gli operai della Fiat, noti nel mondo per il loro lavoro, ora sopravvivono in buon numero con la cassa integrazione di questa Repubblica, mentre la Casa Tudor-Marchionne paga al governo inglese. Renzi? Per lui va bene. Il Paese gli sembra più fresco, più giovane. Senza Fiat, senza Unità, senza Senato, lui ci ha riportati come bambini al mattino di una giornata che ci promette bellissima. Se righiamo dritto, senza ostruzionismi e senza menarla sulla Costituzione.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste. Renzi lavora a intervento più ampio

Un emendamento del governo al dl P.A. rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio ed elimina il tetto di 68 anni per professori e medici. Ok di Renzi, verso una nuova misura

Roma, 4 agosto 2014 – Governo, via la ‘quota 96’ e pensionamenti d’ufficio rivisti. La commissione Affari Costituzionali del Senato ha dato l’ok al testo del decreto legge sulla Pubblica amministrazione, inserendo 4 modifiche rispetto al provvedimento uscito dalla Camera. Si tratta degli emendamenti del governo, tra cui la cancellazione della quota 96, la norma che liberava 4 mila pensionamenti nella scuola.

Il ministro della P.A. Marianna Madia aveva annunciato questa mattina uno degli emendamenti proposti, che riguarda la revisione dei limiti di età per il pensionamento d’ufficio, e la conseguente eliminazione del tetto dei 68 anni previsto per professori universitari e medici. A chi le aveva domandato se la fiducia sul decreto P.A. fosse ormai scontata, il ministro aveva risposto: “Dobbiamo correre e, a questo punto, visto che è stata messa alla Camera, mi sembra ragionevole“. Il ministro ha specificato che una delle modifiche riguarda la cosiddetta ‘quota 96’, che sblocca 4 mila pensionamenti nella scuola, un’altra i benefici previsti per le vittime del terrorismo. Una terza rivede i limiti di età per il pensionamento d’ufficio ed elimina quindi il tetto dei 68 anni per i professori universitari e i primari. Non mutano infine le soglie per tutti gli altri dipendenti pubblici: 62 anni e 65 per i medici.

Non ha tardato ad arrivare l’attacco al governo da parte di Sel per gli emendamenti annunciati al dl P.A.: “Non si gioca sulla pelle delle persone. I quota 96 – afferma il capogruppo alla Camera Arturo Scotto – hanno già vissuto un’ingiustizia dalla riforma Fornero che li ha penalizzati e lasciati senza pensione pur avendo i requisiti, e ora il governo Renzi prima li illude alla Camera e poi li disillude al Senato”. Il capogruppo poi rincara la dose: “Una scelta inaccettabile, l’ennesimo sopruso e un’ulteriore beffa, che rinvia di nuovo una decisione attesa da migliaia di lavoratori della scuola e che impedisce il ricambio generazionale in due settori professionali importanti. Ma Renzi non doveva cambiare verso?”.

Giusto togliere dal dl P.A. la ‘quota 96′, che sbloccava 4mila pensionamenti nella scuola, non c’entrava nulla con la ratio e l’idea della norma. E’ il parere del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, riguardo la decisione dell’esecutivo annunciata dal ministro Madia. Il premier oggi ha visto il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Sulla scuola il presidente del Consiglio e il ministro stanno preparando, si apprende, un intervento a fine agosto, assai più ampio come platea del perimetro dei 4mila pensionamenti. Il Capo dell’esecutivo oggi ha incontrato anche gli altri ministri Franceschini e Boschi.

IL COMMENTO DELLA CGIL SUL DL P.A.:”Sarebbe molto grave se non si provvedesse a risolvere il problema dei ‘quota 96’ e gli altri temi su cui era intervenuta la Camera”. Lo ha detto la segretaria confederale della Cgil, Gianna Fracassi, a margine di una conferenza stampa in corso d’Italia. “La Cgil – ricorda la sindacalista – è in campo con una vertenza unitaria per chiedere di cambiare la riforma Fornero”. Rispetto agli emendamenti annunciati dal governo, Fracassi osserva che “si torna indietro rispetto a quanto definito alla Camera e questo è sbagliato. Sono sbagliati tutti gli emendamenti che determinano un peggioramento delle condizioni dei lavoratori”. Nello specifico, su ‘quota 96’ “bisogna correggere un errore tecnico. Siamo preoccupati – conclude Fracassi – se in una settimana il governo torna indietro. Auspichiamo una soluzione in tempi brevi”.

I QUOTA 96 – Sono circa 4 mila gli insegnanti che non sono potuti andare in pensione nonostante i requisiti (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni di età e 36 di contributi) a causa della riforma Fornero. Nell’applicazione di questa normativa non è stata infatti considerata una delle peculiarità del settore scuola, ovvero che la data di pensionamento è necessariamente legata alla conclusione dell’anno scolastico. La cosiddetta ‘quota 96’ era stata duramente attaccata da Carlo Cottarelli, commissario alla spendig review, che aveva criticato la decisione dei tagli alle tasse a fronte delle richieste della politica di dirottare le risorse altrove. I rilievi della Ragioneria di Stato, tuttavia, hanno evidenziato la norma tra quelle in difetto di copertura.

PENSIONAMENTO D’UFFICIO – Inoltre un emendamento del governo rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio, eliminando il tetto dei 68 anni inserito per professori universitari e medici.

L’ultima prima pagina de l’Unita’

Il precariato intellettuale raccontato da un film davvero divertente

Il precariato intellettuale raccontato da un film davvero divertente

di Marco Lodoli

 

Ogni tanto gli italiani, facendo appello alla lunga tradizione della commedia, sanno tirare fuori un film dai costi contenuti ma pieno di idee, un’operetta agrodolce che riesce a farci ridere dei nostri guai contemporanei. E’ il caso di “Smetto quando voglio” di Sidney Sibilia, candidato a svariati premi Donatello e soprattutto ancora vivo in sala, benché sia uscito addirittura a febbraio. I film italiani faticano a reggere per più due settimane, di solito vengono smontati rapidamente da esercenti che guadagnano molto di più proiettando kolossal americani: ma stavolta il nostro Davide ha retto il confronto con i vari Golia a stelle e strisce, grazie soprattutto al famoso tam tam. Chi l’ha visto, l’ha consigliato agli altri, e non c’è migliore pubblicità di un amico che ti dice: vai tranquillo, e poi ne parliamo. Tutta la vicenda è incentrata su un gruppetto di ricercatori ed ex ricercatori universitari che navigano tra i trenta e i quarant’anni, molti di loro sono stati rigettati da commissioni pilotate e baroni lestofanti, e ora campicchiano da semiproletari, sono benzinai, lavapiatti, giocatori di poker, esseri ormai quasi perduti nel nulla. L’unico che potrebbe avere delle speranze è Pietro, geniaccio della microbiologia, quasi sul punto si scoprire un logaritmo decisivo per lo sviluppo della ricerca molecolare. Ma anche lui viene brutalmente segato dai suoi professori, e così di colpo si ritrova senza un soldo in tasca, con un compagna piuttosto esigente, quasi aggressiva, che lavora con i tossicodipendenti e sogna una tranquilla vita di coppia. Spalle al muro, Pietro capisce che l’unica via d’uscita è la creazione e lo spaccio di una smart drug che può realizzare insieme ai suoi vecchi amici, una droga sintetica basata su una sostanza che ancora non appare nell’elenco dei prodotti proibiti stilato dal Ministero. Tutta la comicità del film sta nel contrasto tra la serietà accademica dei nostri eroi e il nuovo mondo nel quale si avventurano, tra la loro goffaggine e la spietatezza di un mercato criminale. L’idea funziona alla grande, è un racconto graffiante sulla condizione dei nuovi precari, persone spesso di altissimo livello intellettuale, costrette a ravanare nel fondo del barile. Si ride parecchio e allo stesso tempo si sente scendere nell’anima una malinconia senza fine. Non vi racconto tutti i passaggi narrativi del film per non rovinarvelo, caso mai ancora non l’abbiate visto: ma voglio anch’io battere sulla pelle del tamburo, alimentare il tam tam, provare a spingere nuovi spettatori al cinema. Troppi film raccontano il nostro tempo in modo quasi patologico, aggiungendo dolore a dolore, malattia estetica a malattia sociale. Sidney Sibilia ha scelto la strada dell’opera buffa, un teatrino di marionette disarticolate che arrancano sul palcoscenico dissestato del presente e che ci fanno sorridere dei nostri guai, senza dimenticarli neppure per un attimo. Il film ha sicuramente tanti piccoli difetti, però ha la forza che muove da un’intuizione semplice e diretta: l’unica economia che funziona è quella criminale, il resto è un catalogo di buone intenzioni prese a bastonate dal cinismo dominante.

Roma, via Appia: regina di storia e abusi.

Roma, via Appia: regina di storia e abusi. Proposta di Autostrade: “Privatizzarla”

Operazione Grand Tour vorrebbe imporre “un nuovo modello di gestione” mirato a sostituire i progetti pubblici con altri ben più commerciali, privi di una visione culturale. L’operazione sembra avere l’appoggio del ministro per i Beni culturali Franceschini

Roma, via Appia: regina di storia e abusi. Proposta di Autostrade: “Privatizzarla”

Sulla Via Appia Antica. E da nessun’altra parte: solo camminando su questa lunga, struggente ferita – che ancora potrebbe unire, scorrendo in un verde ininterrotto, il Colosseo ai Castelli Romani – si può davvero capire cos’è il patrimonio culturale italiano. Qui tutti i frammenti della magnificenza antica – quelli che nei musei archeologici annoiano inconfessabilmente anche gli addetti ai lavori – prendono senso e vita: si animano in un contesto, in un tessuto che si fonde col verde e col cielo. E non è un caso: nel 1824 fu il grande architetto Giuseppe Valadier a voler ricomporre ai lati della strada tutto ciò che giaceva a terra. Invece che “confonderli tra i moltissimi esistenti nei musei e nei loro magazzini”. Valadier, e poi Luigi Canina, avevano negli occhi le incisioni visionarie con cui Piranesi aveva reinventato l’Appia, e collegando il sogno alla realtà riuscirono a lasciarci un corpo vivo. Un corpo che dobbiamo ad ogni costo tramandare a chi verrà dopo di noi. Non è un’impresa impossibile, basterebbe volerlo: proprio sull’Appia vedi perché lo Stato riesce a mettere a segno alcuni strepitosi successi, e anche perché quello stesso Stato sembra far di tutto per vanificarli. Sull’Appia incontri l’Italia: al suo peggio e al suo meglio.

 

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A braccetto con Orazio e Virgilio sulle orme della ministra Severino – La regina viarum – la più importante e famosa strada dell’antichità – fu aperta nel 312 a. C. dal console Appio Claudio: allora collegava Roma a Capua, arrivando fino a Brindisi (porta verso la Grecia) nel 191 a. C. Una strada modernissima: a due corsie, pavimentata in modo da consentire ai carri la massima velocità. Una strada presto straordinariamente bella: a causa dell’enorme quantità di tombe monumentali, sculture, epigrafi cresciute ai suoi lati. Una strada in cui puoi letteralmente mettere i piedi sulle orme della storia: qua nel 37 a. C. viaggiarono insieme Orazio, Virgilio e Mecenate, da qua Carlo V volle entrare trionfalmente a Roma nel 1536, e come lui il generale Clark, liberatore americano di Roma nel 1944.

Oggi, sulle stesse pietre, incontri radi ciclisti stranieri, gli occhi spiritati e felici di chi guarda all’Appia come ad un’incredibile incrocio tra Pompei, Spoon River e il Cammino di Santiago. Varcata la turrita Porta San Sebastiano, li vedi che fissano con curiosità una camionetta dell’esercito, ferma davanti al cosiddetto Arco di Druso. Sulle fiancate grigioverdi c’è scritto “Strade sicure”: ma non vegliano sulla sicurezza dell’Appia, non fermano i Suv che sfrecciano a clacson spiegato. No, fanno la guardia alla villa di qualcuno: forse a quella, vicinissima, dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino. Una villa famosa per esser stata dimenticata nella dichiarazione dei redditi, e per essere stata blindata a spese pubbliche durante il mandato ministeriale. Ma, soprattutto, una villa che conserva uno degli importantissimi colombari (cioè antichi loculi cimiteriali) di Vigna Codini: un monumento di proprietà dello Stato a cui di fatto non riescono ad accedere non dico i cittadini (come pure vorrebbe la legge), ma nemmeno i funzionari della soprintendenza archeologica: per “ragioni di sicurezza”. Certo non la sicurezza del patrimonio, quella prescritta dall’articolo 9 della Costituzione.

Il “canale di scolo” delle dimore dei “gangsters” – Le ville private: ecco il flagello dell’Appia Antica. Poco più avanti una parte delle Mura Aureliane è a terra: un mucchio di detriti transennati ricorda quanto sia letale il peso dei terrapieni su cui poggiano lussureggianti giardini privati e improbabili piscine hollywoodiane. È proprio contro gli abusivisti, “i gangsters dell’Appia”, che ha lottato per tutta la vita Antonio Cederna: “L’Appia antica – scriveva nel 1954 – è diventata il luogo geometrico di tutta la cattiva architettura romana, la palestra per gli speculatori principianti, il banco di prova di tutte le più ordinarie e impunite illegalità. I ruderi sono scaduti a miserabili comparse, hanno perduto la loro grandezza, la loro meravigliosa cornice di deserto e di silenzio, immeschiniti, corrosi, spellati. Le stupende rovine della via Appia antica vengono chiusi tra sipari male intonacati, tra muriccioli e filo spinato, come animali esotici e pidocchiosi: statue e rilievi spezzati e trafugati, le iscrizioni usate come materiali da costruzione: la via Appia antica è diventatail canale di scolo dei nuovi quartieri, tagliata, sminuzzata, sventrata”. Immagini attualissime: ancora oggi la meraviglia dell’Appia è avvelenata da feste matrimoniali con gli ombrelloni piantati in cima a mausolei monumentali, da pacchianissime location per eventi difese dal filo spinato, da monumenti ridotti a spartitraffico per residenti che vogliono un accesso a doppia corsia. E non sono solo le ville: i frati di San Sebastiano aprono un punto di ristoro nel complesso monumentale (con sedie di plastica da stazione di periferia) senza nemmeno avvertire la Soprintendenza, e di fronte al Punto Informativo del Parco dell’Appia (un’istituzione regionale nata male, e dall’efficacia purtroppo quasi nulla) una schiera di cassonetti e un’autorimessa abusiva permettono di misurare il tasso di degrado e inconsapevolezza.

Un’inconsapevolezza che arriva fino al Campidoglio. Cadono le braccia quando si arriva alla Villa di Massenzio – di proprietà comunale – con le rovine del palazzo imperiale, del circo e del mausoleo del figlio Romolo che coronano una serie di dolcissime collinette verdi: un posto da sogno, ma sfigurato dalla mancanza di manutenzione, di cura, di amore. Un complesso che chiude anche d’estate alle quattro del pomeriggio, lasciando fuori tutti i romani che avrebbero il diritto di terminare in quella potenziale meraviglia le loro giornate di lavoro. Come stupirsi, se lo stesso Comune sposta l’itinerario dell’autobus 660, togliendo ai lavoratori e ai turisti l’unico mezzo pubblico per arrivare sull’Appia? Ma poco dopo, quando ti avvicini al terzo miglio, ecco qualche timido segno di civiltà: la strada comincia a essere discretamente scandita da bidoni dell’immondizia di ghisa, tinti di verde per mimetizzarsi nella vegetazione. Su tutti, lo stemma della Repubblica e una targhetta: “Soprintendenza archeologica speciale di Roma”. Eccolo lo Stato, finalmente: nella concreta umiltà della pulizia.

Cecilia Metella, Erode Attico e le grandi conquiste dell’archeologa – E  lo Stato, sull’Appia, ha il volto di Rita Paris. Se la battaglia per l’Appia è stata, nonostante tutto, vinta; se gli italiani della mia generazione possono ancora sapere cos’è la regina viarum, lo dobbiamo al destino per cui – nel 1996, proprio l’anno in cui Cederna si spense – la direzione dell’Appia toccò a questa archeologa, straordinariamente lucida e forte. Un’archeologa che – per uno stipendio che non raggiunge i 1800 euro al mese – porta ogni giorno sulle spalle il peso dell’Appia, oltre alla direzione del Museo Nazionale Romano. È lei che ci accompagna dentro una tomba degna di un imperatore: il piccolo pantheon di Cecilia Metella, cinto di marmi e ornato di un fregio con tanti teschi di bue (da cui il nome con cui generazioni di romani hanno chiamato quel posto: Capo di Bove). In pieno Medioevo questa tomba risorse a nuova vita: le spuntarono i merli, e diventò il torrione del castello di Bonifacio VIII Caetani, il papa che Dante scaraventa all’inferno. Bonifacio vi volle anche una chiesa, e la fece costruire come quelle che aveva visto a Parigi: un incunabolo di gotico francese alle porte di Roma. Poi, un bel giorno del 1588 un altro cardinal Caetani, svenatosi per comprare la carica di Camerlengo, autorizzò due figuri a vendere a pezzi questo monumento straordinario. Se ce l’abbiamo ancora, è perché un pugno di magistrati capitolini, parlando a nome del popolo romano, ebbe il coraggio di ricordare al cardinale che “ancora eravamo obligati a farla manutenere et conservare”, e che quella tomba si sarebbe potuta distruggere solo con un ordine espresso del papa: che non arrivò.

Oggi a resistere “nomine populi Romani” è proprio Rita Paris, che veglia su Capo di Bove contrastando con successo i nuovi Caetani. Nel 2002 ha fatto acquistare allo Stato una villa privata, e l’ha trasformata in un paradiso della conoscenza. Gli scavi condotti nel giardino hanno dimostrato che la villa sorge nel cuore della celebre tenuta del filosofo Erode Attico, precettore di Marco Aurelio: una scoperta eccezionale, con rinvenimenti di statue e iscrizioni che hanno destato interesse in tutto il mondo. Alla faccia di un noto archeologo accademico dei Lincei, che aveva sostenuto il contrario in un parere che si opponeva al vincolo chiesto dalla Paris: un parere commissionato e pagato dai proprietari di una villa vicina, assai proclivi all’abusivismo. Con un simbolo potentissimo, la villa è oggi la sede dell’archivio di Antonio Cederna, donato dalla famiglia e consultabile anche online, e ospita una mostra permanente sulla storia della tutela dell’Appia, allestita con eleganza da museo svedese. Indimenticabile la grande mappa (realizzata dallo studio di Vezio De Lucia) che censisce e situa l’enorme quantità di edifici abusivi sorti sull’Appia: un milione e trecentomila metri cubi solo dopo il 1965, quando il piano regolatore di Roma decise, inutilmente, la “tutela integrale” della strada.

Ma il capolavoro di Rita Paris e del suo eroico staff è l’apertura al pubblico, nel 2000, della maestosa, enorme Villa dei Quintili: un complesso poi continuamente migliorato, ora dotato di un piccolo, preziosissimo museo. Un luogo che è tornato a essere un’oasi di verde, storia, pace e piacere, come ai tempi dell’impero romano: ma oggi a disposizione dei nuovi sovrani, i cittadini. Sempre nel 2000, usando i fondi del Giubileo, ecco un altro successo incredibile: la Soprintendenza ottiene di far interrare il tratto del Grande Raccordo Anulare che tagliava in due l’Appia, la quale così riconquista il suo tracciato. E non basta: nel 2006 lo Stato ha acquistato anche la tenuta di Santa Maria Nova, da pochi giorni inaugurata con una grande festa popolare: un luogo indimenticabile, dove sono emerse le terme in cui venivano a ricrearsi i pretoriani di Commodo, ornate di mosaici gremiti da gladiatori in combattimento. Insomma, Rita Paris ha immaginato e attuato una specie di dura e tenace bonifica, che lentamente restituisce al bene comune terra e storia strappate alla speculazione privata e all’illegalità.

All’incrocio con Via di Fioranello, un bel cartello ricorda a chi la imbocca da qua, che “la Via Appia Antica rappresenta in tutta la sua estensione un monumento storico, patrimonio di tutti. Hai l’obbligo di rispettarla e conservarla integra per le generazioni future”. Di là dalla strada, finisce il tratto recuperato dalla Soprintendenza e inizia quello che corre verso Marino, che ancora aspetta di vedere riesumato il selciato e restaurati i monumenti. Per ora mancano i soldi, e così rimane un malinconico teatro di droga e prostituzione anche a mezzogiorno, in mezzo ai rifiuti abbandonati a terra. Bisognerebbe trovarli, quei soldi: ci vorrebbe un ministro per i Beni culturali degno di questo nome. O un mecenate illuminato: come il giapponese Yuzo Yagi, che proprio Rita Paris ha convinto a donare due milioni per il restauro della Piramide di Cestio.

Ma se i ministri e i mecenati veri sono rari, non manca chi vorrebbe mettere un cappello sullabonifica ventennale attuata dalla Soprintendenza: una storia di successo che comincia a far gola. Autostrade per l’Italia ha appena presentato un progetto (dall’originale titolo “Operazione Grand Tour”) che, in cambio di un’erogazione liberale non ancora precisata, vorrebbe imporre all’Appia “un nuovo modello di gestione” diverso da quello pubblico, istituendo una “cabina di regia” che esautorerebbe lo staff che ha fatto del recupero dell’Appia una best practice internazionale. Un’operazione che, invece di finanziare i progetti pubblici che funzionano, mira ad azzerarli e a sostituirli con altri ben più commerciali, privi di una qualunque visione culturale. Insomma, si scrive “mecenatismo”, si legge “privatizzazione”.

La proposta “Autostrade”: i mecenati della privatizzazione – Il ministro Dario Franceschiniha immediatamente sposato l’Operazione Grand Tour: forse per dimostrare di essere sufficientemente renziano, forse perché non è mai andato sull’Appia, forse perché nessuno gli ha raccontato che i suoi funzionari stanno facendo molto, ma molto meglio. E al mio amico Gian Antonio Stella, che sul Corriere ha difeso il progetto dalle critiche dei comitati e delle associazioni, vorrei dire che quando Cederna fu eletto deputato della Repubblica, la Società Autostrade gli fece recapitare una bicicletta, una delle prime mountain bike. Cederna la regalò immediatamente a Don Guanella, rispedendone la ricevuta di consegna ad Autostrade perché non voleva avere niente a che fare con quella società, che aveva combattuto molto spesso, difendendo il paesaggio italiano. Ecco, penso che il Mibact dovrebbe comportarsi come Cederna: già, perché qualche volta pecunia olet.

Banca d’Italia scrive che “le autostrade costituiscono un monopolio naturale, e non subiscono una reale concorrenza da parte delle altre modalità di trasporto. Il settore non è stato adeguatamente liberalizzato, prima della privatizzazione, creando così un gestore privato dominante”. Il che significa non solo che consentiamo ai concessionari di non investire nella manutenzione e nell’ammodernamento delle autostrade esistenti, ma anche che abbiamo affidato agli stessi concessionari le scelte infrastrutturali strategiche del Paese: una vera cessione di sovranità. Siamo proprio sicuri che sia opportuno permettere ad Autostrade di sommare a questo monopolio anche il governo dell’Appia? Ed è giusto che chi mangia (per esempio) il prezioso territorio del Parco Agricolo di Milano Sud con la costruzione della Tangenziale Esterna, voluta da Maurizio Lupi e legata all’Expo, possa poi presentarsi ai cittadini come il generoso paladino del verde dell’Appia?

Il motto fatto scrivere da Rita Paris sulle pareti della villa diventata simbolo del riscatto dice che l’Appia è un “Laboratorio di mondi possibili, tra ferite ancora aperte”. Il progetto delle Autostrade allargherebbe quelle ferite, le renderebbe più profonde. Quasi distrutta dalla prepotenza privata, l’Appia ha invece bisogno di scelte trasparenti ispirate esclusivamente al pubblico interesse. E proprio sull’Appia, negli ultimi vent’anni lo Stato ha dimostrato con i fatti di saper tutelare il bene comune. Il fondatore della strada, Appio Claudio Cieco, è famoso per aver detto “fabrum esse suae quemque fortunae”, che ciascuno è responsabile del proprio destino. Lo Stato siamo noi: l’Appia dimostra che, nonostante tutto, possiamo farcela. Che un altro mondo è possibile.

Da Il Fatto Quotidiano del 27 luglio 2014