Perquisizioni nel Pio Albergo Trivulzio

Perquisizioni nel Pio Albergo Trivulzio e in altre Rsa lombarde

I pm indagano sulla morte per Covid-19 di oltre 100 ospiti. Il dg della “Baggina” Giuseppe Calicchio è indagato per epidemia ed omicidio colposo

ASSOCIATED PRESS

La Guardia di Finanza sta effettuando delle perquisizioni all’interno del Pio Albergo Trivulzio di Milano, nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura: le ipotesi di reato nei confronti del dg Giuseppe Calicchio sono di epidemia colposa e omicidio colposo. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. I finanzieri starebbero confiscando le cartelle cliniche delle persone decedute a causa del covid-19, insieme ad altri documenti. Secondo le agenzie di stampa, la Gdf avrebbe acquisito “una ingente mole di documenti”, tra cartelle cliniche, documenti cartacei ed informatici.

Gli inquirenti stanno valutando se ci siano state mancanze nei protocolli interni, in particolare per quanto riguarda i dispositivi di sicurezza: vari operatori sanitari della struttura hanno denunciato la mancanza di protezioni individuali nei giorni scorsi. Inoltre, sarebbero stati invitati dalla direzione della Rsa a non indossare le mascherine per non creare il panico tra i pazienti. Secondo una lettera sottoscritta da circa 90 medici, le mascherine sarebbero state a disposizione “a partire già dal 23 febbraio”.

Uno dei punti che le indagini della Procura di Milano sul Pat puntano a chiarire riguarda gli effetti della delibera regionale XI/2906 dell′8 marzo. Questa dava la possibilità alla strutture, su base volontaria, di ospitare pazienti Covid dimessi dagli ospedali, dedicandogli strutture apposite. Il motivo era la necessità di “liberare rapidamente i posti letto degli ospedali per acuti (terapie intensive, sub intensive, malattie infettive, pneumologia, degenze ordinare)”. Il Trivulzio, da quel momento, ha agito come centro di “smistamento” degli infetti nelle altre strutture, ma non avrebbe implementato i percorsi separati, mettendo a rischio gli anziani.

Le perquisizioni non riguardano solo il Trivulzio: sono in corso acquisizioni di documenti in altre Rsa. Sarebbero circa una dozzina le strutture al centro delle indagini. La squadra di polizia giudiziaria, agli ordini di Maurizio Ghezzi, ha effettuato controlli anche negli uffici della Sacra Famiglia, struttura di Cesano Boscone, e in un’altra residenza a Settimo Milanese. “Ci risulta che la Procura si sia mossa anche nelle case di riposo della Bergamasca. Già da qualche tempo, alcune strutture hanno ricevuto la visita dei carabinieri del Nas dopo alcune segnalazioni”, ha spiegato Roberto Rossi, responsabile bergamasco della FP-Cgil. Secondo le loro stime, sono 1500 i decessi avvenuti nelle 65 Rsa della provincia, “pari al 25% degli ospiti”. Secondo Rossi, ”“Solo venerdì scorso hanno cominciato ad effettuare i tamponi ai primi operatori al rientro nelle Rsa dopo la malattia”.

“Quattro modifiche al DL Imprese o i soldi finiranno in mano a corrotti e mafiosi”

Le proposte di Di Matteo e Zaccaro (Csm) per rivedere il decreto. Il togato di Area all’Huffpost: “La storia dice che la criminalità si approfitta delle crisi, agire ora per evitare dopo il moltiplicarsi di indagini e processi”


Nino Di Matteo – Giovanni Zaccaro

C’è il rischio che la criminalità possa approfittare del decreto Imprese. E intascare le somme destinate, attraverso prestiti, alle aziende in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus. Un rischio che va scongiurato, cambiando o integrando il provvedimento, per evitare che mafiosi, corrotti o evasori fiscali traggano vantaggio dalla crisi portata dal Covid-19. Anche a discapito degli imprenditori onesti. L’allarme arriva dal Csm, a pochi giorni dai rilievi fatti dai procuratori di Milano e Napoli con una lettera a Repubblica. A sollevare la questione, nelle stesse ore in cui è arrivato il via libera della Commissione europea al provvedimento del governo, i togati Giovanni Zaccaro e Nino Di Matteo, sostenuti dal gruppo di Area, l’associazione dei magistrati progressisti, e da Sebastiano Ardita, di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Pier Camillo Davigo.

“La storia giudiziaria del Paese ci insegna che ogni volta che ci sono emergenze e, di conseguenza, vengono erogati fondi c’è il rischio che la criminalità se ne appropri. Sarebbe opportuno che questa volta non accadesse, anche per evitare che poi tra qualche mese la magistratura sia costretta a intervenire, bloccando e sequestrando fondi e beni. E che si moltiplichino indagini e processi. Prevenire, insomma, è più utile ed evita un dispendio di risorse successivo”, spiega Giovanni Zaccaro ad HuffPost.

Il decreto voluto dal governo per aiutare, con dei prestiti, le imprese in difficoltà, è considerato “opportuno” dall’organo di autogoverno delle toghe. Ma non prevede strumenti che possano evitare che quei soldi finiscano in mano a condannati per mafia, per reati fiscali o contro la p.a. Per Zaccaro e Di Matteo una verifica andrebbe fatta anche nei confronti degli indagati: “La previsione normativa non contiene alcun meccanismo per escludere dai benefici le imprese riferibili a persone coinvolte in processi di criminalità organizzata o che abbiano riportato condanne o siano indagati per reati contro la pubblica amministrazione o reati tributari”, si legge nel documento in cui i magistrati annunciano che chiederanno al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica perché il Csm svolga le sue funzioni consultive sul decreto in questione.

Come fare per evitare che i fondi finiscano nelle tasche sbagliate, senza però danneggiare, con delle lungaggini burocratiche, gli imprenditori onesti che chiedono di accedere al credito? “Basterebbe un’autocertificazione – spiega ancora Zaccaro – uno strumento agile, che non rallenterebbe l’erogazione dei fondi, ma sarebbe utile a capire se chi li chiede ha precedenti, per reati associativi, tributari o contro la pubblica amministrazione, o indagini a suo carico per presunti illeciti di questo genere”.

Il problema si pone anche in una fase successiva, quella dell’utilizzo dei fondi: “Sarebbe necessaria una tracciabilità delle risorse erogate, ad esempio attraverso conti correnti dedicati”, spiega ancora il togato di Area.

Quattro le proposte messe a punto da Zaccaro e Di Matteo. La prima riguarda l’introduzione di misure che  “impongano di vagliare – anche tramite la forma della autocertificazione – i precedenti penali di chi occupa ruoli rilevanti nelle imprese che si candidano a percepire i finanziamenti, così da escludere chi sia stato condannato per reati di criminalità organizzata, reati contro la pubblica amministrazione e reati tributari nonché proposto per la irrogazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale. La seconda riguarda misure di prevenzione dell’evasione che “rapportino l’entità del beneficio percepito al fatturato dichiarato nell’anno precedente, in modo da non premiare forme di evasione fiscale”. C’è poi il riferimento all’uso di conti corrente dedicati, o strumenti simili, che “consentano di tracciare i benefici percepiti affinché si possa avere conteza del loro uso compatibile con l’intento del legislatore”. Infine, secondo i togati del Csm, servirebbero provvedimenti che “potenzino le amministrazioni periferiche dello Stato e le Agenzie di controllo affinché possano monitorare la destinazione dei finanziamenti. Misure siffatte potrebbero servire a prevenire fenomeni di malversazione dei fondi pubblici o di illecita concorrenza delle imprese illegali, rispetto ai quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è per forza di cose successivo e meno efficace”. Agire ora, insomma, per scongiurare che i fondi necessari agli imprenditori danneggiati dalla crisi finiscano nelle mani sbagliate.

Perché non sarà l’Italia a scoprire il vaccino per il Covid-19

Burocrazia, regole, risorse: tre muri altissimi per la ricerca italiana

RADOSLAV ZILINSKY VIA GETTY IMAGES
Corona virus close up

(A cura del prof. Guido Forni, immunologo, socio linceo)

Inoculando in un bambino di otto anni il liquido delle pustole del vaiolo delle mucche, il 14 Maggio del 1796 il Dr. Edward Jenner ha inventato la vaccinazione contro il vaiolo. Ma come ha fatto Jenner a verificare che il vaccino proteggesse davvero? Beh, gli immunologi sono sempre un po’ imbarazzati nel raccontarlo perché sei settimane dopo averlo vaccinato, Jenner ha inoculato nel bambino il vaiolo umano. Il bambino non si è ammalato. Per essere più sicuro, Jenner gli ha ri-inoculato il vaiolo per altre venti volte, e sempre il bambino non si è ammalato. In questo modo un po’ inquietante è stata inventata la vaccinazione, una biotecnologia medica che ha portato all’eradicazione del vaiolo dalla faccia della Terra e alla quasi totale scomparsa di molte altre malattie infettive.

E oggi, come si fa a creare un vaccino contro la COVID-19? Alla sua messa a punto stanno lavorando numerosi laboratori universitari, piccole ditte di biotecnologie e grandi case farmaceutiche. Un ente internazionale, il Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) con sede a Oslo, ha promosso e parzialmente finanziato poco meno di una cinquantina di progetti per arrivare a un vaccino anti COVID-19. Indipendentemente dalla CEPI, numerosi altri progetti sono stati avviati. Questi progetti partono da concetti e da tecnologie molto differenti tra loro. Alcune di queste, quelle basate sull’RNA e DNA, permettono una rapida produzione del vaccino, ma non si conosce ancora bene quale sia la capacità di questi vaccini di indurre un’efficace e persistente risposta immunitaria negli esseri umani. Altre tecnologie, più complesse, richiedono tempi più lunghi. Queste tecnologie, però, hanno già portato alla preparazione di vaccini efficaci contro altre malattie virali.

Nella creazione di un vaccino, la prima fase è basata sull’ideazione e la costruzione del vaccino. Una seconda fase consiste nella verifica, su modelli animali, inizialmente in genere i topini, che il vaccino induca una buona risposta immunitaria. A questo punto è richiesto un complesso e assai costoso studio tossicologico svolto da un ente indipendente, specializzato e autorizzato dallo Stato, che deve valutare se quel vaccino crea evidenti effetti collaterali agli animali a cui il vaccino è stato somministrato. Se i risultati vengono giudicati accettabili dalle autorità regolatorie dello Stato, queste possono permettere la sperimentazione del vaccino su un piccolo numero di volontari umani. Con la sperimentazione sui volontari si verifica se il vaccino induce una buona risposta immunitaria anche negli esseri umani, quali ne sono le caratteristiche e se alla somministrazione del vaccino sono associati evidenti problemi. A questo punto, le autorità regolatorie possono permettere la messa in atto di uno studio randomizzato controllato che permetterà di confrontare l’incidenza della malattia in un gruppo di persone vaccinate e in un altro gruppo di persone non vaccinate. Se il vaccino funziona davvero, la malattia sarà molto più frequente nel gruppo di persone non vaccinate. La fase successiva consisterà nella valutazione dell’effetto della vaccinazione nel mondo reale, confrontando l’incidenza di malattia nella popolazione prima e dopo l’introduzione del vaccino.

In quale fase siamo nella messa a punto di un vaccino anti COVID-19? A quattro mesi dall’identificazione del virus, due progetti hanno già raggiunto la fase della vaccinazione dei volontari. Uno è il progetto della ditta di biotecnologia Moderna di Cambridge, Massachussetts, e l’altro è quello della CanSino Biologics Inc., Tianjin in Cina. Alcuni particolari di come la ditta Moderna sia giunta, negli Stati Uniti a provare il suo vaccino a RNA sui volontari sono disponibili.

Di fronte alla tragica diffusione della COVID-19, le istituzioni regolatorie statunitensi attivando le Emergency Authorization Procedure dimostrano una flessibilità per noi incredibile: hanno concesso alla ditta Moderna di vaccinare i volontari umani prima che il lungo e costoso studio tossicologico sia completato. I volontari vengono vaccinati solo sulla base dei dati ottenuti sui modelli animali. Flessibilità e rapidità quasi incredibili per un cittadino europeo e, in modo particolare per un cittadino italiano.

I dati ottenuti sui volontari indicheranno solo se il vaccino induce – o non induce – una buona risposta immunitaria. Non dimostreranno se questa risposta sia più o meno efficace nel proteggere verso la COVID-19. Per avere questo dato, che è poi quello essenziale, si deve vaccinare un gruppo di persone e verificare se le persone vaccinate si sono ammalate o meno in confronto a un analogo gruppo di persone non vaccinate. Tempo necessario per questa osservazione? Mesi, se non anni.

Ma la flessibilità americana ci potrebbe spiazzare di nuovo: un filosofo etico della prestigiosa università di Harvard propone di tornare a Jenner. Perché, scegliendo volontari che abbiano comunque elevate probabilità di guarire dalla COVID-19, non vaccinarli e poi infettarli deliberatamente con il virus della COVID-19 e vedere se sono davvero protetti dell’infezione? Il rischio, accettato da questi volontari – rischio magari anche ben remunerato – potrebbe contribuire a sveltire la messa a punto del vaccino, salvare molte o moltissime vite umane e permettere una più rapida uscita dai terribili blocchi imposti dal contenimento della COVID-19. Studi successivi su un numero di persone sempre più ampio permetteranno poi la preparazione dei dossier sull’efficacia del vaccino sugli eventi avversi associati alla vaccinazione, se ce ne saranno. Sulla base dei dati di questi dossier, le autorità dei vari Paesi del mondo decideranno se accettare o a respingere quel vaccino. Flessibilità e rapidità, magari inquietanti, ma di eccezionale efficacia.

E in Italia? Ci sono ditte o laboratori italiani che stanno mettendo a punto vaccini anti COVID-19? Di certo, vari laboratori stanno lavorando su piattaforme tecnologiche molto innovative e competitive con quelle delle altre parti del mondo. Ma hanno molte difficoltà e poche speranze, se non andando a collaborare all’estero. E immaginiamo perché.

Immaginiamo, per esempio, che due professori universitari particolarmente in gamba siano riusciti a convincere la loro università a creare uno spin-off, una micro-ditta collegata all’università. Immaginiamo che abbiano coinvolto tre studenti, molto bravi, due ragazze ed un maschio a collaborare. Immaginiamo che i due professori siano ben consci che la rapidità sia fondamentale e che abbiano, apposta, chiamato la loro ditta Anemos, pensando a un vento turbinoso di velocità e innovazione. Immaginiamo che il vaccino anti-COVID-19 su cui stanno lavorando sia un vaccino a DNA, più evoluto, più innovativo e probabilmente più efficace di quello degli altri laboratori in competizione. Immaginiamo che il loro vaccino sia così innovativo che la CEPI lo abbia incluso tra quelli coordinati a livello internazionale e che abbia concesso un piccolo, ma significativo finanziamento all’università. Immaginiamo che siano riusciti a preparare il vaccino e che siano pronti a vedere se induce una buona risposta immunitaria nei topini. Immaginiamo che pensino di utilizzare tre dosi di vaccino da somministrate a tre gruppi di 5 topini e tenere un gruppo di 5 topini per controllo. Venti topini. Immaginiamo che, con una certa lentezza, il Comitato Etico della loro università abbia approvato il progetto e che i due professori possano adesso avanzare la richiesta dell’autorizzazione a eseguire l’esperimento sui topini sul sistema informatico del Ministero della Salute che poi trasmetterà le pratiche anche all’Istituto Superiore di Sanità per un ulteriore parere. Immaginiamo che i due professori si rendano conto che il Decreto Legislativo (26/2014) del nostro Paese ha modificato molti aspetti della ricerca italiana sugli animali rendendo le autorizzazioni più complesse rispetto alla Direttiva Europea (2010/63) che assicurava condizioni di ricerca analoghe in tutti i Paesi della Comunità. Immaginiamo che, avanzata la richiesta, i due professori ed i tre studenti sentano con una certa ansia il passare del tempo, che desidererebbero poter interagire per spiegare e per chiedere alle commissioni che valutano la richiesta di valutare con una certa rapidità. Immaginiamo invece che i due professori, parlando coi colleghi, incomincino a temere che l’intendimento della lentezza e delle richieste successive di integrazione e di modifica che frenano ancora di più l’iter della pratica non siano casuali ma ispirate da un partito politico che ha come intento esplicito l’abolizione di ogni esperimento sugli animali in Italia, rendendo, in modo strisciante, le autorizzazioni sempre più difficili. Immaginiamo anche che i nostri due professori si convincano ancora di più di questo intendimento quando scoprono che adesso, se mai otterranno il permesso, dovranno anche pagare una tassa, salata per una piccola spin-off universitaria come la loro: lo Stato che finanzia la loro attività allo stesso tempo la tassa per cercare di disincentivarla.

Immaginiamo che i nostri due professori si sentano un po’ traditi, quasi offesi, ma che siano così convinti del loro progetto da decidere comunque di andare avanti, come se fossero sicuri che tra qualche mese riusciranno davvero a ottenere l’autorizzazione e che il loro vaccino anti COVID-19, fulgido d’innovazione e tecnologia, indurrà nei topini un’ottima risposta immunitaria. Immaginiamo che, avendo preso contatto con una ditta specializzata, si rendano conto che per avere la successiva l’autorizzazione a sperimentare il vaccino sull’uomo hanno bisogno di un lungo e minuzioso studio tossicologico, che costa una cifra per loro enorme. Immaginiamo che comunque, persuasi del loro progetto, inizino ad esplorare la possibilità di ottenere fondi per avere una prospettiva per andare avanti, se tutto andasse bene. Immaginiamo che iniziano a fare riunioni, per loro un po’ strane, con investitori di vario genere che potrebbero essere interessati a partecipare in vario modo al progetto del loro vaccino anti COVID-19.

Immaginiamo ancora che da queste riunioni i due professori e i tre studenti escano più gasati che mai – il loro progetto è così innovativo che entusiasma e suscita grandi complimenti – e più depressi che mai: troppe lentezze sia attuali che in futuro rendono, per giudizio unanime dei vari e diversi investitori, il progetto non competitivo, niente da fare, troppo lento. Immaginiamo che la studentessa più anziana, grazie ai contatti con gli investitori svizzeri, abbia trovato un ottimo posto di lavoro all’estero e, un po’ emozionata, se ne vada. Immaginiamo che l’altra studentessa, un po’ depressa, abbia deciso di sposarsi e per adesso di lasciar perdere la ricerca. Immaginiamo che lo studente maschio non sappia proprio che cavolo fare adesso che sta prendendo il Dottorato e che l’Anemos sta vedendo spegnersi il suo turbinio di ricerca e innovazione. Immaginiamo. Certamente quello che abbiamo immaginato è generico, esagerato, pessimista ma… magari qualcosa in Italia è proprio così.

Addio Luis Sepúlveda, guerriero coraggioso

Addio Luis Sepúlveda, guerriero coraggioso

“Non sono incline a perdermi nei vecchi dubbi che tormentarono e fecero riflettere gli antichi filosofi, né ad avvertirne altri se non quelli necessari ad avanzare sull’unica strada che sento possibile, la strada della scrittura, la barricata a cui sono arrivato quando tutte erano state ormai spazzate via, quando già pensavo che non ci fosse più posto per la resistenza. Da Guimarães Rosa ho imparato che ‘raccontare è resistere’ e su questa barricata della scrittura resisto alla mediocrità planetaria, la mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità alla svolta del millennio”.

Resterà, sempre e per sempre, indelebile, la voce sicura, la scrittura forte, il coraggio salgariano di un combattente della vita e delle lettere: Luis Sepúlveda, strappato alla vita, a 70 anni, dal Coronavirus in un ospedale di Oviedo. Non lo avevano distrutto le violenze e le torture di Pinochet: lui, Lucio, come lo chiamavano gli amici, fedele agli ideali e alle utopie di Salvador Allende. Non lo aveva disorientato l’esilio, il passare di terra in terra, con al fianco la moglie Carmen, poetessa.

Nessuno poteva fermare la sua penna: capace di denunciare ogni male, qualsiasi torto, sempre al fianco dei più deboli, degli emarginati, degli invisibili, dei dimenticati. Con il cuore e la testa, per lunghi anni, sempre rivolta al Cile, al Cile ferito, ma non umiliato, come scrisse in “Storie ribelli” (a cura di Ranieri Polese, traduzione di Ilide Carmignani, Guanda editore): “L’infame storia dell’infamia ha conficcato i suoi artigli nel Cile, ma – di questo saranno grati i miei figli e i figli dei miei figli – la gente migliore del Cile conserva il coraggio che ha reso possibile giorni migliori e la sacra ira dei giusti. E come loro, anch’io ripeto: NON SI DIMENTICA NÉ SI PERDONA”.

Luis ci lascia in eredità le sue storie, i suoi personaggi, le sue meraviglie, il suo sdegno e la sua tenerezza. Leggere i suoi romanzi era, ogni volta, spalancare una finestra sull’universo e sulle persone: “Il mondo alla fine del mondo”, “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, “Le rose di Acatama”, “Patagonia Express” e tanti altri. Tornano ricordi e malinconie e nostalgie.

Una lettura collettiva, al teatro Agnelli di Torino, organizzata da Assemblea Teatro, de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, le sue parole per Víctor Jara (il poeta e cantautore ucciso dagli sgherri di Pinochet), che porto sempre con me: “Víctor Jara era il compagno artista, dirigente, intellettuale di alto livello, ma soprattutto, era l’aria pura di campagna, la voce di mille compagni che non avevano voce. Generoso, coerente, allegro, serio, fraterno, Víctor simboleggiava la parte migliore della mia generazione e oggi è l’esempio migliore del valore di quella generazione.

A volte, Víctor, quando la tua voce riempie la sala di casa mia o quando pulisco i vecchi dischi, uno dei miei figli domanda chi canta, e la risposta è sempre la stessa: quest’uomo che canta è mio fratello è in ognuna delle mie carezze ci sono anche le sue mani” (dalla prefazione, tradotta da Gina Maneri, a “Joan Jara racconta Víctor Jara una canzone infinita”, traduzione di Gabriella Ernesti, Sperling & Kupfer Editori). E quella volta con Maradona, come dimenticarla? Sono ad Asti, in occasione di un festival letterario, per intervistare Sepúlveda. Sto per entrare al ristorante, dove lo scrittore mi aspetta con la moglie Carmen, quando suona il telefonino.

È Salvatore Bagni da Cesenatico. L’ex centrocampista del Napoli mi dice: “Ciao Darwin, sono qui con Maradona. Ti vuole salutare”. Dico a Diego che sto per parlare con Sepúlveda e lui, subito: “Passamelo, sono un suo estimatore!”. Vedo Luis per la prima volta: “Ehm, mi scusi, non è uno scherzo, mi creda…Tenga il mio telefonino, Maradona vuole complimentarsi con lei”. Lucio mi guarda come si può guardare un matto. Sembra perplesso, sorpreso e smarrito. Ma prende il mio cellulare. E i due parlano a lungo, con Sepúlveda che, alla fine, sorridendo, dice a Carmen: “Era Maradona per davvero!”. Addio, guerriero. Mai capace di mentire perché “la verità è sempre sovversiva”. E ripeterò all’infinito queste tue parole: “Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori, e se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo”.

“Ha portato per il mondo le ferite della dittatura”

“Ha portato per il mondo le ferite della dittatura”

Ad HuffPost il ricordo di Erri De Luca dello scrittore Luis Sepulveda, morto di coronavirus: “Compagno di idee condivise e fraternità”

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Erri De Luca e Luis Sepulveda

In ogni sua intervista o nei tanti incontri che faceva per il mondo, Luis Sepúlveda amava definirsi spesso “un cittadino prima che uno scrittore”. Quella stessa definizione ben si addice al suo collega Erri De Luca, al quale in molti e più volte lo hanno accostato per via delle battaglie intraprese e delle prese di posizione assunte in più campi. Nel giorno della sua scomparsa – avvenuta oggi a 70 anni, per via del Coronavirus – lo scrittore napoletano ha voluto ricordarlo così all’HuffPost. Poche righe mandateci via mail, ma intense, piene di verità, di dolore e di affetto.

“La dittatura cilena sparse ai quattro venti i suoi cittadini che avevano costruito il governo democratico del socialista Allende. Luis Sepúlveda e la sua compagna hanno portato nella loro vita in giro per il mondo le ferite di quel tempo di tirannia, omicidi, torture, fughe. Non diventarono cicatrici, rimasero ferite senza punti di sutura”.

“Oltre che scrittore da leggere al volo – aggiunge – Luis Sepúlveda è stato compagno di idee condivise e di fraternità. Mi sostenne durante il processo che affrontai a Torino per il sostegno dato alla lotta della Val di Susa. Ci siamo incontrati in varie occasioni letterarie, l’ultima al Salone di Torino un anno fa.

Ancora sento tra le mie braccia il suo lungo abbraccio”.

Luis Sepúlveda è morto

Luis Sepúlveda è morto per coronavirus

Lo scrittore aveva 70 anni. Era ricoverato da fine febbraio in ospedale a Oviedo, in Spagna

PACIFIC PRESS VIA GETTY IMAGES

Luis Sepúlveda è morto per coronavirus. Lo scrittore era ricoverato da fine febbraio in ospedale a Oviedo dopo aver contratto l’infezione. Avrebbe compiuto 71 anni il 4 ottobre prossimo. A riferire la notizia del decesso è l’agenzia di stampa spagnola Efe, che cita fonti vicine all’autore.

Sepúlveda, che viveva da diversi anni nella città di Gijon, aveva partecipato a fine febbraio a un festival letterario in Portogallo, dove stato accompagnato dalla moglie. Dopo l’evento, entrambi avevano soggiornato a casa di alcuni amici e poi erano tornati in Spagna, iniziando ad avvertire sintomi. Anche la moglie era stata tenuta sotto controllo, mentre lo scrittore era stato posto in isolamento presso l’Ospedale universitario centrale di Oviedo.

Luis Sepúlveda era nato a Ovalle, in Cile, il 4 ottobre del 1949. Autore di oltre 20 romanzi, libri di viaggio, saggi e sceneggiature, Sepulveda vinse il Premio Tigre Juan del 1989 con il suo romanzo ‘Il vecchio che leggeva romanzi d’amore’ ed il Premio Primavera de Novela nel 2009 con ‘L’ombra di quel che eravamo’.

Perché indossare sempre la mascherina in pubblico

Perché indossare sempre la mascherina in pubblico (di M. Brunori e W.A. Eaton)

Uno studio recente mostra che le goccioline emesse nel parlare sono un vettore significativo del Covid-19. E l’abitudine a coprire naso e bocca ha consentito, a parità di popolazione, a Taiwan di avere 6 morti contro i 10 mila dello Stato di New York

D3SIGN VIA GETTY IMAGES

(A cura di Maurizio Brunori, Prof. emerito di Chimica e Biochimica, Sapienza Università di Roma, presidente emerito della Classe di Scienze FMN dell’Accademia dei Lincei; e di William A. Eaton, MD & PhD Bethesda, Usa, socio straniero dell’Accademia dei Lincei)

 

Science ha pubblicato il 27 marzo scorso un’intervista di Jon Cohen al Dott. George Fu Gao, direttore generale del Cdc (Centre for Disease Control and Prevention) della Repubblica di Cina. Gao è scienziato di calibro internazionale, leader del gruppo di ricerca che in gennaio ha per primo isolato il virus responsabile della devastante pandemia in atto e ha decifrato la sequenza del genoma virale. Il gruppo ha dato contributi importanti riguardanti l’epidemiologia e la clinica della malattia, dati pubblicati nel 2020 su New England Journal of Medicine e The Lancet, giornali scientifici di altissimo livello.

Dopo la laurea in Agricoltura conseguita nell’Università di Pechino, Gao si trasferì prima all’Università di Oxford, dove ottenne il dottorato di ricerca in Biochimica; e successivamente negli Usa, dove conseguì la specializzazione in Immunologia e Virologia alla Harvard Medical School. In qualità di scienziato altamente competente e direttore generale del Cdc della Repubblica di Cina, Gao è stato fin dall’inizio coinvolto nell’epidemia da Covid-19 come consulente delle Autorità sanitarie e membro di una commissione ad hoc della Oms.

Nel corso dell’intervista, Cohen ha chiesto a Gao un parere su diversi importanti aspetti riguardanti la biologia del virus, l’affidabilità e l’utilizzazione dei test diagnostici, l’importanza di imporre una quarantena e la chiusura di Wuhan, iniziata il 23 gennaio scorso. Fra le altre domande, Cohen ha chiesto un’opinione su un aspetto particolarmente importante riguardante l’uso delle mascherine:

Cohen: Quali sono –a suo parere- gli errori commessi da altri paesi nella gestione della pandemia?

Gao: A mio parere, il grande errore negli Usa e in Europa è che le persone non indossano le mascherine. Questo virus si trasmette sia tramite goccioline –di fluido orale- che per contatto ravvicinato. Queste goccioline giocano un ruolo molto importante; si deve sempre indossare una mascherina perché parlando si producono sempre goccioline che escono dalla bocca. Molte persone hanno un’infezione asintomatica o pre-sintomatica. Indossando una mascherina, si potrebbe impedire alle goccioline –di saliva- che trasportano il virus di trasmettere l’infezione ad altre persone.

Considerata l’indiscussa competenza di Gao, è sorprendente che la sua esplicita dichiarazione sul possibile ruolo nella trasmissione del virus di goccioline emesse nel parlare – anche da parte di asintomatici – non abbia avuto uno spazio nella discussione sull’opportunità o meno di indossare sempre una mascherina, quando in pubblico.

La devastante capacità di Covid-19 di infettare rapidamente intere comunità e grandi città e il parere di Gao hanno stimolato Adriaan Bax, Phil Anfinrud e collaboratori (scienziati del National Institutes of Health di Bethesda, Maryland, Usa) a concepire un esperimento (1) per rivelare e misurare direttamente la formazione di goccioline di fluido orale, principalmente saliva, prodotte durante una normale conversazione e (2) per dimostrare l’effetto di una copertura della bocca.

Per visualizzare le goccioline, Bax e coll. (1) hanno messo a punto un apparato costituito da una camera oscura e da un potente laser verde che consente di misurare la luminosità prodotta da goccioline che attraversano il raggio di luce. Pronunciando nella camera oscura una breve frase (stay healthy), la grande sensibilità dell’apparato ha consentito di rivelare chiaramente centinaia di puntini luminosi di differenti dimensioni, invisibili ad occhio nudo. L’esperimento è visibile in video clip nel sito.

L’analisi quantitativa delle immagini ha consentito di contare il numero di goccioline di saliva: in una singola immagine di 17 millisecondi sono state contate fino a 360 unità luminose, per un numero totale di 1000 goccioline per secondo. Coprendo la bocca con un panno tipo mascherina artigianale, il numero di goccioline cadeva essenzialmente a zero. I risultati dell’esperimento di Bax e coll. sono stati pubblicati il 15 aprile sul New England Journal of Medicine (Anfinrud P, Bax CE, Stadnytskyi V, Bax A. Visualizing speech-generated oral fluid droplets with laser light scattering. New Engl J Med, 2020 April 15doi: 10.1056/NEJMc2007800).

E’ interessante notare che studi pubblicati negli ultimi mesi (2-4) hanno rilevanza per valutare il possibile ruolo delle goccioline emesse parlando, nella trasmissione del virus. Come noto, nei malati, ma anche nei soggetti asintomatici, il tampone con prelievo nel naso o nella gola rivela la presenza del virus Sars-CoV-2. Non è sorprendente che anche la saliva contenga alte quantità del virus, il cui titolo è molto simile nei soggetti sintomatici e in quelli asintomatici. Appare pertanto possibile che le goccioline emesse nel parlare possano essere un vettore significativo nella diffusione del virus. Se così fosse, si potrebbe concludere che l’uso generalizzato di una mascherina anche semplice che intercetti gran parte di queste goccioline di saliva potrebbe essere un ausilio non trascurabile per abbattere il contagio; una utile aggiunta alle tre raccomandazioni già in vigore, il lavaggio delle mani, la distanza di sicurezza e il rimanere confinati in casa.

Il fatto che a Taiwan la maggioranza dei cittadini abbia usato fin dall’inizio del contagio una mascherina -fornita dal Governo- ha probabilmente contribuito, assieme a una strategia di contenimento intelligente, immediata ed efficace, a contenere il numero di morti che ad oggi sono sei. Uno straordinario risultato se si considera che a fronte di una popolazione leggermente inferiore a quella di Taiwan, nello stato di New York sono stati purtroppo registrati oltre 10.000 decessi. Una drammatica differenza che potrebbe essere a sostegno di una decisione del Governo di chiedere a tutti i cittadini di indossare sempre una mascherina, quando in pubblico.

Malati nelle Rsa lombarde, Fontana scarica sui tecnici

Malati nelle Rsa lombarde, Fontana scarica sui tecnici

Il presidente della Regione Lombardia: “Riapertura il 4 maggio legata all’ok degli scienziati”

PIER MARCO TACCA VIA GETTY IMAGES

“Io aspetto con estrema serenità l’esito”: così ha risposto il governatore lombardo Attilio Fontana alla domanda se pensa che dalle indagini della magistratura sui contagi e i decessi per Coronavirus nella case di riposo possano emergere ‘errori gravi’ da parte della giunta lombarda. “Credo proprio che non abbiamo assolutamente sbagliato niente”.

“Abbiamo fatto una scelta – ha detto Fontana -, l’Ats doveva controllare le condizioni delle delibera, ossia l’isolamento in singoli reparti e dipendenti dedicati esclusivamente a quei pazienti, e, sulla base delle risultanze tecniche, abbiamo portato avanti il provvedimento”. Lo rifareste? “Certamente, in quel periodo drammatico che stavamo vivendo. Abbiamo liberato posti in ospedale”.

Quanto alle responsabilità dei controlli, Fontana ha spiegato che ”è dell’Ats, che si è recata sul posto e ha verificato se ci fossero le condizioni o meno.
Infatti sono pochissime le case di riposo, su 705 in Lombardia solo 15 avevano le condizioni e hanno accettato”. Come ‘intensità dei focolai’ queste strutture sono “leggermente sotto la media”, ha spiegato il governatore.

Sulla possibile ripartenza delle attività il prossimo 4 maggio, Fontana, intervenendo a Mattino Cinque, ha detto: “Nell’ipotesi in cui l’evoluzione
del virus dovesse andare in senso positivo e ci fossero le condizioni, noi il 4 maggio dovremo essere pronti per la riapertura, purché non prescinda mai dalla sicurezza dei nostri cittadini e lavoratori. La condizione ineludibile per parlare di riapertura è che ci sia il via libera della scienza. Se la scienza ci dirà bisogna stare chiusi staremo chiusi, però allo stesso tempo non possiamo farci trovare impreparati”, ha aggiunto il governatore lombardo.

Troppo rischioso tornare a scuola.

Coronavirus, Azzolina: “Troppo rischioso tornare a scuola. Pagelle vere, anche con i 5. Maturità? Auspicabile l’esame a scuola”

Coronavirus, Azzolina: “Troppo rischioso tornare a scuola. Pagelle vere, anche con i 5. Maturità? Auspicabile l’esame a scuola”

In un’intervista al Corriere della Sera la ministra dell’Istruzione spiega gli scenari possibili per il fine anno e per la ripartenza a settembre. Se non si tornerà a scuola a maggio per le famiglie ci sarà un aiuto con “un’estensione del congedo parentale e del bonus baby-sitter”

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A scuola, per ora, non si torna: la decisione ufficiale, spiega la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina in un’intervista sul Corriere della Sera , verrà presa “a giorni” dal governo ma “con l’attuale situazione sanitaria ogni giorno che passa allontana la possibilità di riaprire a maggio“. Troppo rischioso nello scenario attuale, dunque, perché “significherebbe far muovere ogni giorno oltre 8 milioni di studenti”. E in post su Facebook rilancia: “A mio avviso riaprire ora le scuole, per poche settimane, mentre il Paese conta oltre 500 morti al giorno per il coronavirus, rischierebbe solo di vanificare gli sforzi fatti“.

La data spartiacque era stata fissata per il 18 maggio: in base a la situazione di quel momento, sarebbe cambiato lo scenario per i maturandi. L’ipotesi più concreta, quindi, è che sia un esame solo orale: un esame in classe, in “presenza” per adesso è “auspicabile” ma non è ancora una certezza “Escludo l’ipotesi mista – aggiunge – studenti a scuola e professori a casa”. Per gli studenti di tutte le altre classi la promozione è assicurata, ma “con pagelle vere: se lo studente merita 8 avrà 8, se merita 5 avrà 5“. Niente 6 politico quindi, e a settembre si lavorerà per recuperare le insufficienze.

“La didattica a distanza ci ha permesso di mettere in sicurezza l’anno che altrimenti sarebbe andato perso. Alla fine tutti avranno un voto. Chi risulta insufficiente recupererà il prossimo anno con attività individualizzate”, dice ancora al Corriere. Se, come sembra ormai certo, non si tornerà a scuola a maggio per le famiglie ci sarà un aiuto con “un’estensione del congedo parentale e del bonus baby-sitter”. Impossibile invece prolungare le lezioni ai mesi estivi: “La scuola ha chiuso ma non si è mai fermata. Significherebbe non riconoscere il lavoro di queste settimane. E l’Italia ha già uno dei calendari più lunghi d’Europa”.

Si lavora quindi per settembre: un’ipotesi per evitare l’affollamento delle ‘classi-pollaio’ era di fare doppi turni, ma la ministra la esclude: “Sono contraria all’idea di raddoppiare l’orario del personale scolastico. Smettiamo di pensare che un docente lavori solo 18, 24 o 25 ore alla settimana”. Possibile invece una combinazione di lezioni fisiche e online. “Se sarà necessaria la didattica a distanza – precisa – ci faremo trovare pronti. Oltre ai fondi già stanziati arriveranno presto altri 80 milioni”. E aggiunge: “Non mi piace l’idea di studenti con la mascherina a scuola”.

La ripartenza sarà gestita da una commissione guidata da Patrizio Bianchi. Lavoriamo per la riapertura ma anche per la scuola che dovrà nascere da questa emergenza. Serve un grande progetto di innovazione”. A settembre “dedicheremo le prime settimane al lavoro per chi è rimasto indietro o ha avuto insufficienze. Ma non abbiamo stabilito le date, lo faremo insieme alle Regioni”. Per i professori necessari in cattedra a settembre: “I concorsi si faranno. È l’unico modo per poter assumere a settembre. Quello straordinario per 24mila precari si svolgerà appena le condizioni lo permetteranno. I docenti casomai saranno assunti dal primo settembre”.

Sottosegretario: quest’estate andremo al mare

Coronavirus, governo studia anticipo fase 2. Sottosegretario: quest’estate andremo al mare

Già dalla prossima settimana potrebbero riaprire i cancelli le filiere della moda, automotive e metallurgia. Bonaccorsi: “Lavoriamo a una serie di norme che prevedono l’ipotesi di un distanziamento in spiaggia”

Lettini e ombrelloni in spiaggia a Rimini (Dire)
Lettini e ombrelloni in spiaggia a Rimini (Dire)

Roma, 13 aprile 2020 – Il governo studia l’anticipo della Fase 2. Si sta infatti lavorando all’ipotesi di far ripartire alcune attività prima della fine del lockdown, già dalla prossima settimana, partendo da alcune filiere nelle quali il lavoro si può con più rapidità riorganizzare in sicurezza. Tra le ‘candidate’ a riaprire i cancelli ci sarebbero le filiere della moda, l’automotive e della metallurgia. Al momento si tratterebbe solo di ipotesi, da valutare anche con le parti sociali.

Cosa si può fare e cosa riapre dal 14 aprile

“Quest’estate al mare”

C’è un’altra domanda che si fanno i cittadini italiani alle prese con l’emergenza Coronavirus. Si potrà andare al mare quest’estate? Secondo il sottosegretario del Mibact, Lorenza Bonaccorsi, la risposta è sì. “Ci stiamo lavorando – ha spiegato – dal punto di vista degli atti amministrativi necessari per gli stabilimenti, immaginando una serie di normative prese con il comitato tecnico scientifico, che contemplano l’ipotesi di un distanziamento”.

Bonaccorsi ha quindi spiegato che sono allo studio misure per consentire lo sviluppo di un “turismo di prossimità” che favorisca i borghi rispetto alle aree più affollate. Il sottosegretario ha parlato anche di una “fase tre”, sulla quale “cominciamo però da subito a lavorare”, per il “riposizionamento strategico dal punto di vista del marketing e della comunicazione del nostro paese, che è sempre ai primi posti per il binomio gastronomia e cultura”.