Wimbledon 2017, Federer trionfa ed entra nella leggenda

Wimbledon 2017, Federer trionfa ed entra nella leggenda

Lo svizzero è alla sua ottava vittoria sui campi verdi londinesi, è record. Ieri la finale femminile: Venus Williams sconfitta dalla giovane Garbine Muguruza

Pubblicato il 16 luglio 2017
Ultimo aggiornamento: 16 luglio 2017 ore 19:38
Wimbledon, Federer vince l’ottava volta il torneo

Londra, 16 luglio 2017 – Roger Federer vince per l’ottava volta il torneo di Wimbledon 2017 ed entra nella storia, mai nessuno come lui. Lo svizzero, alla 70esima partecipazione a un torneo dello Slam, la 19esima nell’All England club, ha staccato definitivamente William Renshaw e Pete Sampras, fermi a sette successi sui campi verdi londinesi.

L’avversario, il croato Marin Cilic, partito bene, costringendo Federer nel primo set a salvare un break, ma subendone uno subito dopo, è incappato in un infortunio al piede sinistro che ne ha condizionato il resto dell’incontro. ‘King’ Roger ha continuato a macinare gioco e per il 28enne di Medjugorie non c’è stato scampo. Il punteggio è chiaro: 6-3 6-1 6-4, in solo un’ora e 40 minuti di gioco

Con i suoi 36 anni lo svizzero diventa il più vecchio vincitore del torneo nell’era Open. Una longevità straordinaria, che lo ha portato dopo tanti successi in cariera alla partita numero 102 sui prati di Church road, eguagliando il record dello statunitense Jimmy Connors.

Alla premiazione lo svizzero ha subito un pensiero per lo sfortunato avversario: “Mi dispiace per Cilic. Mi congratulo con lui per il meraviglioso torneo che ha disputato. Deve essere orgoglioso di quello che ha fatto, anche se non sentirsi bene in finale è molto crudele”. La classe di Federer si vede anche in questo, la sua modestia, il suo humor:  “La pausa al Roland Garros mi ha fatto bene? Allora farò un altro stop. Non sono così sicuro però che il ritorno sia sempre così positivo. Mi ha fatto bene la pausa: abbiamo lavorato tanto e bene. Aver vinto di nuovo questo trofeo è magico: è troppo”.

Infine una battuta sul primato: “Il mio record qui a Londra? Quasi non ci credo. Dopo le finali perse contro Djokovic in molti pensavano che era finita per me ma io ho continuato a crederci. Qui tutto è super. Ci sono state su questi prati tante leggende. Dal primo giorno alla finale il centrale è sempre esaurito. E’ tutto perfetto: spero di poter tornare a difendere il titolo il prossimo anno”.

Questo l’albo d’oro del singolare maschile di Wimbledon (dal 1946):  1946 Petra; 1947 Kramer; 1948 Falkenburg; 1949 Schroeder; 1950 Patty; 1951 Savitt; 1952 Sedgman; 1953 Seixas; 1954 Drobny; 1955 Trabert; 1956 Hoad; 1957 Hoad; 1958 Cooper; 1959 Olmedo; 1960 Fraser; 1961 Laver; 1962 Laver; 1963 McKinley; 1964 Emerson; 1965 Emerson; 1966 Santana; 1967 Newcombe; 1968 Laver; 1969 Laver; 1970 Newcombe; 1971 Newcombe; 1972 Smith; 1973 Kodes; 1974 Connors; 1975 Ashe; 1976 Borg; 1977 Borg; 1978 Borg; 1979 Borg; 1980 Borg; 1981 McEnroe; 1982 Connors; 1983 McEnroe; 1984 McEnroe; 1985 Becker; 1986 Becker; 1987 Cash; 1988 Edberg; 1989 Becker; 1990 Edberg; 1991 Stich; 1992 Agassi; 1993 Sampras; 1994 Sampras; 1995 Sampras; 1996 Krajicek; 1997 Sampras; 1998 Sampras; 1999 Sampras; 2000 Sampras; 2001 Ivanisevic; 2002 Hewitt; 2003 Federer; 2004 Federer; 2005 Federer; 2006 Federer; 2007 Federer; 2008 Nadal; 2009 Federer; 2010 Nadal; 2011 Djokovic; 2012 Federer; 2013 Murray; 2014 Djokovic; 2015 Djokovic; 2016 Murray; 2017 Federer.

Caso Yara, Bossetti condannato: in appello confermato l’ergastolo

Caso Yara, Bossetti condannato: in appello confermato l’ergastolo

In lacrime la moglie, Marita Comi, e la mamma, Ester Arzuffi. I legali: “Scontato ilricorso in Cassazione, oggi sconfitta della giustizia”

Pubblicato il 18 luglio 2017
Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2017 

Brescia, 17 luglio 2017 – Confermata la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. La Corte d’Assise e d’Appello di Brescia ha ricalcato in pieno la sentenza di primo grado, con la quale il carpentiere di Mapello era stato condannato all’ergastolo, l’1 luglio 2016.  I giudici hanno dato ragione quindi al procuratore generale, Mario Martani, che aveva chiesto la conferma della sentenza emessa un anno fa dal Tribunale di Bergamo.

Bossetti è rimasto impassibile al momento della lettura del verdetto da parte del presidente, Enrico Fischetti. Poi, come ha riferito uno dei suoi avvocati, Claudio Salvagni, ha “pianto” nella sua gabbia. Il legale ha aggiunto, insieme a Paolo Camporini: “Aspettiamo le motivazioni ma il ricorso in Cassazione è scontato. Questa sera abbiamo assistito alla sconfitta della giustizia”. Il muratore prima di lasciare l’aula, scortato dalla polizia penitenziaria, ha avuto solo il tempo di salutare la mamma Ester Arzuffi, che piangeva. In alcrime anche la moglie dell’imputato, Marita Comi. La donna era in aula con gli avvocati. Prima che Bossetti fosse riportato in carcere ha salutato la suocera, Ester Arzuffi, e la sorella Laura.  “Giustizia è stata fatta”: questo invece
il commento dell’ avvocato di parte civile, Enrico Pelillo.

La decisione è arrivata dopo oltre 15 ore di camera di consiglio. Ore di attesa, preoccupazione e nervosismo che la moglie, Marita Comi, la mamma Ester Arzuffi e la sorella Laura Letizia hanno passato in Tribunale, con i loro legali e i consulenti della difesa. Ad aspettare, insieme a loro, c’era anche una piccola folla di curiosi, quasi tutti innocentisti, che non si sono persi nemmeno un’udienza sia davanti al Tribunale di Bergamo che davanti ai giudici bresciani. E più la giornata andava avanti, più le speranze per Bossetti crescevano. Del resto, i riflettori sulla storia di Yara, che ha commosso e straziato l’Italia, non si sono mai spenti. La 13enne è scomparsa il 26 novembre 2010 da Brembate di Sopra, nel bergamasco, mentre tornava a casa dalla palestra. L’ultimo segnale del suo telefonino è delle 18.45, poi solo silenzio. Il suo corpo è stato trovato te mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola, a una decina di chilometri da casa, straziato da tagli e contusioni.

Questa mattina, Bossetti aveva provato a giocarsi l’ultima carta, quella della sua incrollabile convinzione che i “veri colpevoli” della morte della ragazzina vengano individuati. Dopo aver gridato la sua innocenza davanti agli inquirenti, nel processo di primo grado e perfino in un lungo memoriale, oggi aveva voluto ancora una volta ribadire che con la morte di quella “ragazzina che aveva il diritto di vivere” lui non c’entra nulla. Bossetti aveva iniziato le sue dichiarazioni spontanee alle 8.35, proseguendo fino alle 9.15. “Io non confesserò mai un delitto che non ho fatto”, aveva ribadito in aula prendendo le distanze da quel delitto, che non può che essere “opera di persone disturbate, schifose, sadiche, perché Yara poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi. Neppure un animale avrebbe usato così tanta crudeltà”.

Massimo Bossetti (Ansa)

Addio a Fantozzi, ateo non convinto.

Addio a Fantozzi, ateo non convinto. E’ morto a 84 anni Paolo Villaggio, artista della comicità fuori dalla regole. Beveva anche 12 cocktail Martini

03 Luglio 2017.

Una mattina di una ventina di anni fa, Paolo Villaggio se ne stava all’hotel Posta di Cortina, in pieno inverno, seduto a piedi nudi appoggiati sul tavolino a discettare amabilmente con chiunque gli si avvicinasse. Sorseggiava uno di quei cocktail Martini mirabilmente preparati dal barman Franco. Era al dodicesimo. Non era pero’ ubriaco, solo molto disinibito. Come quando anni dopo girava per il Fleming con dei tuniconi, senza nulla sotto, perché ingrassato, mal sopportavo di essere costretto in giacca e pantaloni. Era come sullo schermo, sempre border line. Per lui le regole esistevano per essere sfidate. Oggi nella clinica Paideia e’ arrivato all’eta’ di 84 anni quel momento da tutti tanto temuto, momento sul quale aveva spesso ironizzato, lui ateo non convinto. Funerali religiosi? Solo se mi li fanno a San Pietro. Forse diceva anche la verita’, sta di fatto che invece gli faranno una cerimonia civile. Ad annunciare la triste notizia e’ stata la figlia, Elisabetta su Facebook, su una foto del padre giovanissimo, scrive: “Ciao papa’ ora sei libero di volare”. La figlia forse vuole ricordare quella tristezza al limite della depressione che ha accompagnatogli gli ultimi anni dell’attore. Che si sentiva ormai trascurato da quel mondo al quale tanto aveva dato. E’ morto per complicazione di quel diabete che, parole della figlia, “aveva curato poco e male”. Con Villaggio se ne va un artista della comicità, uno dei pochi che sapeva improvvisare, sapeva uscire dai copioni ed inventarsi  situazioni e battute. Un po’ come il grande Toto’. Sono, sebben molto diversi, accomunati proprio per la loro duttilita’ artistica e per il rifiuto della banalità. Dal ’74 al 2000 Villaggio ha girato ben dieci Fantozzi, ma non bisogna dimenticare Fracchia, altro personaggio, che ha divertito con la sua comica tragicità. Poi i suoi film sono come parte di quelli di Toto’, li si può vedere e rivedere, senza mai stancarsi e scoprendo ogni volta una nuova piccola sfumatura. Quest potere di non annoiare mai appartiene solo ai geni della comicità. In paradiso c’era andato, così come Toto’, nei suoi film, ora chissà se si troveranno su quella nuvoletta per ridere insieme di quello che dice di loro questo strambo mondo.

Gentiloni “spiaggia” lo Ius soli

Gentiloni “spiaggia” lo Ius soli, “specchietto per le allodole” per i migranti

16 Luglio 2017. Politica

Frenata sullo Ius soli, rinviato a dopo l’estate. E’ stato lo stesso premier Paolo Gentilloni a mettere fine ai giochi. “Tenendo conto delle scadenze non rinviabili in calendario al Senato e delle difficoltà emerse in alcuni settori della maggioranza non ritengo che ci siano le condizioni per approvare lo Ius soli prima della pausa estiva”.  Poi: “Si tratta comunque di una legge giusta. L’impegno mio personale e del governo per approvarla in autunno rimane”. Il problema di fondo e’ che il Pd, pur favorevole alla legge sa bene che la maggioranza degli italiani e’ contraria. Mentre lo Ius soli viene utilizzato dai trafficanti di esseri umani come uno specchietti per le allodole dandolo per già operativo in Italia, gli sbarchi continui stanno alzando la tensione. Sindaci in rivolta, navi inglesi e tedesche che continuano giornalmente a sbarcare migliaia d profughi sulle nostre coste, rendono difficile gestire il massiccio esodo. Intanto piccola consaloziano, perché non risolverà un bel niente o quai, arriva il si’ di Bruxelles al decalogo proposto dall’Itaianper le Ong. La soluzione rimane una sola, fermare gli sbarchi alla partenza o riportarli subito dal luogo di provenienza per le opportune verifiche e per stabilire chi come profugo ha diritto all’accoglienza e chi come semplice, si fa per dire, migrante economico, no.

Mediterraneo invaso dalle meduse: alcune sono mortali.

Mediterraneo invaso dalle meduse: alcune sono mortali. In sei anni avvistamenti decuplicati

Tra le cause anche la pesca dei loro competitori. I dati del progetto “Occhio alla medusa”

Mediterraneo invaso dalle meduse: alcune sono mortali. In sei anni avvistamenti decuplicati

Redazione Tiscali

Con l’inizio dell’estate arriva puntuale l’allarme per il sempre più intenso fenomeno che vede il nostro mare invaso dalle meduse, alcune delle quali non sono soltanto urticanti ma perfino mortali. Sebbene siano delle creature affascinanti, e in alcuni casi bellissime, il crescente numero di questi esseri marini desta molta preoccupazione. In appena sei anni, dal 2009 al 2015, gli avvistamenti lungo le coste italiane sono aumentati di 10 volte, con il picco più alto nel 2013. A causare il proliferare delle meduse molteplici fattori, tra i quali il famigerato effetto serra, che porta le specie tropicali nel Mare Nostrum, la pesca eccessiva (che riduce di fatto le specie che competono per l’alimentazione), e l’aumento della disponibilità di substrati adatti all’insediamento della fase iniziale del loro ciclo biologico.

Nel Mediterraneo è in atto una invasione

Stando ai dati raccolti grazie al progetto “Occhio alla medusa”, che ha coinvolto in primis i cittadini italiani, si è passati da 300 a circa 3000 avvistamenti. La distribuzione sulle coste italiane dipende dalle specie che trovano habitat più favorevoli in zone diverse. “Tutti i nostri mari – spiega Ferdinando Boero, professore di Zoologia all’Università del Salento, associato a Cnr-Ismar – sono interessati dalla presenza di meduse (anche se la parola giusta sarebbe: macrozooplancton gelatinoso). Alcuni di questi animali non pungono e non sono meduse, ma sono grossi e sono gelatinosi. La gente li chiama, comunque, meduse. Pelagia, molto urticante, sta bene dove ci sono acque profonde, soprattutto nel Tirreno. Anche Velella, la barchetta di San Pietro, sta bene in acque profonde, soprattutto nel Mar Ligure. Altre si trovano prevalentemente nel Nord Adriatico come Aurelia”.

Ci sono anche quelle aliene

“Una, la Pelagia benovici, l’abbiamo descritta noi – spiega il ricercatore che ha curato il progetto ‘Occhio alla medusa’ -. Probabilmente arrivata con le acque di zavorra delle navi. E’ apparsa abbondantissima in inverno in alto e medio Adriatico, poi è scomparsa. Probabilmente le popolazioni originali sono in un posto dove nessuno ha mai studiato le meduse”.

Affascinanti ma decisamente pericolose

“Alcune possono iniettarci veleni mortali, ma in Mediterraneo c’è stato solo un caso fatale, dovuto alla Caravella Portoghese, che non è una medusa ma un sifonoforo. Comunque, come le meduse, anche i sifonofori hanno cellule urticanti e ogni specie ha un veleno che ha effetti differenti nella nostra specie. Alcune ci fanno il solletico, altre ci fulminano. Ma quelle sono in Australia…”.

Alcune specie sono commestibili

Ce ne sono di bellissime e anche di buone da mangiare oltre che fonte di proteine. Non solo: sono animali “perfetti” dal momento che non sono dovute cambiare di molto dalle loro antenate di 600 milioni di anni fa. “Le meduse abitano gli oceani da sempre, da prima dell’evoluzione di tutti gli altri abitanti attuali. I più pericolosi siamo noi. Il flagello degli ecosistemi siamo noi, non le meduse. Le meduse sono un pungente avvertimento che non stiamo agendo bene nei confronti degli ecosistemi che, con il loro funzionamento, permettono la nostra sopravvivenza. Ma come si fa a rispettare ciò che si conosce solo grossolanamente?”, conclude con una provocazione il ricercatore.

Il centrodestra vince in 16 capoluoghi. Cadono le “roccaforti rosse”

Il centrodestra vince in 16 capoluoghi. Cadono le “roccaforti rosse”


Trionfa il centrodestra, che nei ballottaggi delle amministrative si impone in 15 comuni capoluogo(Alessandria, Asti, Rieti, Como, Gorizia, La Spezia, Lodi, Genova, Monza, Oristano, Piacenza, Pistoia, Verona, Catanzaro, l’Aquila), contro i 4 (Padova, Lecce, Lucca, Taranto) del centrosinistra. Se a questi si aggiungono Frosinone (dove ha vinto al primo turno il candidato del centrodestra) e Palermo Cuneo (dove l’ha spuntata al primo turno il centrosinistra), il risultato finale è 16 a 6 a favore del centrodestra.

I RISULTATI DEI BALLOTTAGGI
CentrodestraCentrosinistraLista CivicaCentro

Il Pd e il centrosinistra perdono 9 capoluoghi rispetto ai 16amministrati in precedenza. Mentre il centrodestra avanza da 7 a 16.Nel dettaglio il centrodestra strappa al centrosinistra 11 capoluoghi (Genova, l’Aquila, Monza, Piacenza, La Spezia, Alessandria, Asti, Pistoia, Como, Rieti, Lodi e Oristano). Mentre Padova e Lecce sono i due capoluoghi di provincia che è stato il centrosinistra a strappare al centrodestra.

COME CAMBIA LO SCENARIO
Amministrazione precedente ed eletta nei 25 comuni capoluoghi

Mentre a Parma si conferma l’ex M5s Federico Pizzarotti (con il 57,9%). A Belluno si impone una lista civica di ispirazione di centrosinistra. E a Trapani (dove era in lizza un solo candidato e non si è raggiunto il quorum del 50% dei votanti) arriva il commissario.

Centrodestra si impone nelle roccaforti rosse
Per il Pd e tutto il centrosinistra, lo schiaffo è forte: cadono roccaforti “rosse” come Genova e Pistoia, dove il centrodestra non aveva mai vinto e crollano sei Comuni su sei – Piacenza inclusa – in Emilia-Romagna. Da oggi a Matteo Renzi, toccherà riannodare i fili di una sconfitta che rischia di scalfire anche la sua leadership. «Il Pd isolato politicamente perde. Cambiare linea e ricostruire il centrosinistra subito, è l’affondo lanciato dal leader della minoranza Andrea Orlando. Mentre Renzi dà la sua lettura: «Sono risultati a macchia di leopardo. Poteva andare meglio, ma le politiche sono un’altra cosa».

I RISULTATI DEI COMUNI CAPOLUOGO

In una tornata elettorale che registra un’alta disaffezione dell’elettorato (affluenza al 46%, tredici punti in meno rispetto al primo turno) colpisce la netta vittoria del centrodestra che, con l’asse unitario Fi-Lega-Fdi, espugna Genova con Marco Bucci (55,2%), La Spezia con Pierluigi Peracchini (60%) e Pistoia con Alessandro Tomasi (54,3%). Ma lo schema unitario è vincente anche a Monza (dove Dario Allevi si impone con il 51,3%), Lodi (dove Sara Canova passa con il 56,9%), nell’ “ex Stalingrado” d’Italia Sesto San Giovanni (vince Roberto Di Stefano con il 58,6%), Asti (dove il candidato di centrodestra Maurizio Rasero sconfigge al ballottaggio con il 54,9% quello del M5s) e Verona, dove Federico Sboarina trionfa con il 58,1% su Patrizia Bisinella, compagna dell’ex sindaco Flavio Tosi e sostenuta anche dal Pd. Clamorosa è la vittoria a L’Aquila, dove Pierluigi Biondi (Fratelli d’Italia) ribalta il risultato del primo turno e ha la meglio su Americo Di Benedetto con il 53,5%. Annunciato, il trionfo a Catanzaro di Sergio Abramo con il 64,4% e al fotofinish quello a Rieti, dove il candidato del centrodestra Antonio Cicchetti vince con il 40,2%

Magro bottino per il centrosinistra
Il centrosinistra si consola vincendo a Lecce con Carlo Maria Salvemini (54,8%), a Padova con Sergio Giordani (che con il 51,8% si impone si misura sull’ex sindaco leghista Bitonci), a Luccacon Alessandro Tambellini (che vince per un soffio con il 50,5%) e a Taranto con Rinaldo Melucci (anche per lui vittoria di misura con il 50,9%).

Leggi i risultati elezioni comunali 2017 a CatanzaroGenova,L’AquilaParmaTarantoVerona.

M5s espugna Carrara e Guidonia
E il M5S? Dopo il magro bottino del primo turno, si “consola” strappando al centrosinistra Carrara, dove trionfa il candidato M5s Francesco De Pasquale (65,6%) dopo 70 anni di governo “rosso”. Il M5s avanza anche nel Lazio, dove vince a Ardea Guidonia (la terza città più popolosa del Lazio, dopo Roma e Latina). «Siamo in crescita inesorabile» sottolinea Luigi Di Maio. Brucia la sconfitta al ballottaggio ad Asti, peraltro unico comune capoluogo di provincia dove il M5s (che governa in città come Roma e Torino) era riuscito ad andare (per un pugno di voti) al secondo turno. I pentastellati vincono al ballottaggio in 8 comuni su 10. Tra questi c’è anche Fabriano (Ancona) e poi comuni ancora più piccoli, come Mottola(Taranto) o Canosa di Puglia Acqui Terme (Alessandria)dove i 5 Stelle la spuntano per soli 5 voti, e Sant’Eramo in Colle (Bari). Oltre che ad Asti, il M5s perde il ballottaggio anche a Scordia, piccolo centro del catanese. Salgono a 45 i comuni totali governati dal Movimento. «Il Pd esce da questi ballottaggi con le ossa rotte e Renzi prende una clamorosa sberla dagli italiani, la seconda dopo quella del 4 dicembre scorso. Lui parla di risultato a macchia di leopardo, ma la realtà dei numeri dimostra che per il suo Pd è una vera e propria Caporetto. Renzi lo aveva capito e per questo in campagna elettorale nelle ultime due settimane si è dileguato e ora vuole far credere che non sia successo nulla e che tutto possa andare avanti come prima» è il commento delle amministrative del Movimento 5 Stelle in una nota.

Rapporti sessuali a rischio diventano “sicuri”, ecco la pillola blu che protegge dal virus Hiv

Rapporti sessuali a rischio diventano “sicuri”, ecco la pillola blu che protegge dal virus Hiv

In alcune città americane, dove il medicinale viene venduto come farmaco da banco, ha già salvato decine di migliaia di persone. Infezioni crollate del 30 per cento

Rapporti sessuali a rischio diventano 'sicuri', ecco la pillola blu che protegge dal virus Hiv

Redazione Tiscali

L’umanità potrebbe aver finalmente trovato un’arma efficace contro il virus della Hiv. Negli Stati Uniti è già sul mercato e, sebbene non abbia un prezzo sufficientemente basso da consentirne ancora una diffusione capillare, tanti Stati del mondo lo stanno già distribuendo addebitandone i costi ai propri Sistemi Sanitari. Il medicinale, una pillola blu dall’aspetto simile al Viagra e i cui principi attivi sono il tenofovir e la emtricitabina, si chiama PrEP (Pre-Exposure Prophylaxis) e viene prodotto dalla Gilead. A doverla assumere sono gli uomini, prima di un rapporto sessuale. Stando a quanto ormai confermato dai molteplici test condotti in tutto il mondo, il farmaco garantisce una profilassi pre-esposizione, riduce al minimo il rischio di contrarre l’infezione: i chimici della casa farmaceutica sono riusciti ad ottenere una efficacia che sfiora il 90 per cento, ma il fruitore deve farne un uso quotidiano e, per quanto riguarda le dosi, meticoloso.

In alcune città Usa infezioni calate del 30 per cento

Negli Stati Uniti d’America il PreP viene commercializzato con il nome Truvada. In appena 12 mesi i casi di Hiv registrati a New York sono numericamente crollati. A San Francisco le infezioni si sono ridotte addirittura del 30 per cento. La maggior parte delle farmacie, che lo vendono come prodotto da banco che non necessita di ricetta medica, lo espongono in evidenza con accanto la scritta: “Stay Hiv negative”. La PreP interagisce in maniera importante con la replicazione degli acidi nucleici. In pratica funziona come un vaccino quotidiano, ma in compressa, assicurando una immunità temporanea che dura circa 48 ore, quanto l’emivita della molecola.

Uso prolungato potrebbe avere effetti tossici

La nuova terapia, ci tengono a sottolineare i ricercatori che hanno sviluppato il farmaco, è destinato a chi è “sieronegativo”: non è pertanto una cura, ma un sistema di difesa. La nuova pillola blu dovrebbe essere assunta da tutti i soggetti che hanno comportamenti sessuali ad alto rischio, come anche da tutti coloro che appartengono a categorie particolari che hanno frequenti contatti con il virus. Un uso prolungato nel tempo risulta tuttavia presentare alti rischi di tossicità. Ecco perché la formula della sostanza è stata concepita anche per un uso occasionale. E’ possibile prendere la PreP poco prima di un appuntamento al buio. Anche una sola compressa risulta esser sufficientemente efficace.

Il rischio è che passi un messaggio errato

Il medicinale, spiegano dalla Gilead, non vuole comunque essere un sostituto del preservativo, che deve restare il principale sistema di difesa anti Hiv. In tanti, a seguito della grande pubblicità ottenuta dai media, hanno maturato l’errata convinzione che la pasticca di una totale immunità dal virus. Così non è, e la paura di tanti è che si possa assistere ad un prossimo boom di casi di malattie veneree come la clamidia, la gonorrea e la sifilide. Stando a quanto riferito fin qui da medici e ricercatori il PreP appare a dir poco straordinario. Ma esiste un retro della medaglia che rende il medicinale, almeno per il momento, un qualcosa di elitario. Un mese di trattamento di Truvada, infatti, costa poco meno di 1000 euro: ben 35 euro a pasticca.

Nell’Ue c’è chi lo distribuisce gratuitamente, l’Italia riflette

I Paesi europei, che come altri mirano ad alleggerire le ricadute economiche sui propri sistemi sanitari, stanno comunque valutando la possibilità di rimborsare il 100 per cento dei costi. In Francia il medicinale la nuova pillola è coperta dal Sistema Sanitario Nazionale. La stessa decisione è stata presa anche in Gran Bretagna, Olanda, Scozia, Australia, Kenya e Sudafrica. Dei timidi passi sono stati fatti anche in Italia dove il medicinale è stato testato in uno studio congiunto tra l’Università di Milano e lo Spallanzani di Roma, atto a consentire alle coppie in cui l’uomo è sieropositivo di avere figli con un ottimo margine di sicurezza.

Quarant’anni di Vasco in una notte

Quarant’anni di Vasco in una notte: il racconto di Cinzia Marongiu

di Cinzia Marongiu   –   Facebook: Cinzia su Fb

“Cosa importa se è finita… che cosa importa se ho la gola bruciata. O no? Ciò che conta è che sia stata una fantastica giornata…”. Vasco ha le parole per tutto, perfino per accompagnare il ritorno a casa dei 220 mila del suo immenso, unico, commovente Modena Park. Ancora storditi da gioia e delirio, dalla liturgia del concerto dei record, quello con il più alto numero di paganti della storia, quello che ha festeggiato i suoi primi 40 anni di musica con 40 canzoni (anche se con i vari medley è arrivato a 50), quello trasmesso in live streaming in 150 cinema e in svariati palazzetti d’Italia, quello raccontato su Rai1 dal suo amico Paolo Bonolis. Fortissimamente voluto da Vasco e abbattuto a suon di tweet e post che lo hanno invitato, più o meno gentilmente, a farsi da parte, a non interrompere il concerto con i suoi interventi, con gli spezzoni di un’intervista esclusiva con il rocker, con gli ospiti, da Milena Gabbanelli a Marco Materazzi, da Maddalena Corvaglia a Gaetano Curreri, convocati in uno studio trasparente a poca distanza dal palco gigantesco. Uno dei più divertenti ed efficaci lo legge lui stesso in diretta quando la marea della rivolta social contro di lui sembra aver preso il largo: “L’effetto Bonolis è un po’ straniante: come se in un porno ogni due minuti apparisse Piero Angela a spiegare la riproduzione”. E ancora, parafrasando uno dei più grandi successo del Blasco: “Voglio trovare un senso a questa conduzione, perché questa conduzione un senso non ce l’ha”. E via, di insulto in insulto (ci passa pure la camicia pop del conduttore Mediaset), fino a che uno degli autori di Bonolis e alcuni giornalisti, come Sandro Piccinini, non ammettono sempre via social che “forse la Rai doveva ricordare che gli intermezzi sono da contratto … sennò Bonolis lo ammazzano”.

La rivolta social contro l’incolpevole Bonolis

Già, la diretta su Rai1 non era prevista. Vasco non ha venduto i diritti alla Rai. Chi voleva godersi il concerto per intero doveva andare al cinema. O, al limite, aspettare il dvd che sarà in vendita a breve e che racconterà la notte del Blasco. Ma è il solito, esausto, rito del lamentarsi di tutto, del non sapersi godere l’attimo, della disinformazione fatta a rivolta, nel quale casca pure Jerry Calà. Per tutti gli altri italiani raccolti davanti alla tv a cantare le canzoni di una vita, “va bene, va bene così”. E c’è perfino chi si proclama entusiasta per una sera di pagare il canone. Magie del rocker montanaro di Zocca che per una volta riesce a mettere tutti d’accordo, giovani, adulti e ultra sessantenni come lui, che però con quel suo eterno sorriso beffardo sembra un ragazzino che si diverte ora a stuzzicarti, ora a commuoverti, ora a divertirti, ora a colpirti al cuore con la malinconia del disincanto. Ieri sera tutta l’Italia è stata un gigantesco Modena Park.

“Benvenuti nella leggenda”

Arriva sul palco alle nove in punto e attacca subito con “Colpa d’Alfredo”, quella delle disavventure notturne di un ragazzo in discoteca che si vede soffiare la sua “lei” dal furbo di turno, quella scorretta del “negro che si porta via la troia”, quella crudele ed esplicita in cui tutti, prima o poi, ci siamo riconosciuti, quella che cita nei suoi versi il “Modena Park”. Ed è subito delirio. Ancora un pezzo, “Alibi”, e finalmente Vasco dà il suo saluto a quell’oceano di teste, braccia e cuori disteso ai suoi piedi. “Benvenuti nella leggenda, benvenuti nella storia, benvenuti in una festa epocale”. E attacca con un altro suo cavallo di battaglia, quel “Bollicine” dove si fa beffe della pubblicità e della società del dio denaro. Poi cambia registro e fa il capo-coro di “Ogni volta”, uno di quei suoi pezzi dolenti e meravigliosi capaci di descrivere la vita che ci attraversa “ogni volta che non sono coerente, ogni volta che non è importante, ogni volta che qualcuno si preoccupa per me”. Poco dopo sale sul palco Gaetano Curreri, l’amico di una vita, il compagno di mille avventure in musica, quello che lo convinse, quando ancora si rifugiava dietro la consolle da disc jockey, ad affrontare il palco. Insieme intonano “Un’anima fragile”. Bonolis intanto spiega la magia della sua scrittura, quella che va a sottrarre e non ad aggiungere, quella che evoca e non descrive, quella che va all’essenziale e non al barocco. Vasco sembra sentirlo e ne offre subito una dimostrazione sontuosa con “Vivere una favola” e per l’occasione si fa accompagnare dal chitarrista storico, Maurizio Solieri. Ovazione. C’è anche spazio per il Vasco libertino e gaudente, quello ironico e giocoso di “Una splendida giornata” e soprattutto di “Rewind” che si trasforma in un rito collettivo edonistico con quell’ossessivo “fammi godere” stampato per l’occasione su migliaia di reggiseni che volano sul palco con tanto di seni al vento in eurovisione. Le canzoni si susseguono, “Siamo soli”, “Non mi va”, “Vivere” fino alla recente e perfetta “Come nelle favole”, segno che la vena creativa del Komandante è viva e vegeta. C’è anche un momento acustico, in cui batteria e chitarre elettriche tacciono, e Vasco si mette a sussurrarci all’orecchio “Una canzone per te… tu non ci credi, eh? E invece eccola qua, come mi è venuta chi lo sa, le mie canzoni vengono da sole, nascono già con le parole”. E alzi la mano, chi, per una volta, non si è sentita la destinatrice di quei versi. Sfilano “Va bene, va bene”, “Senza parole”, “Stupendo”.

Il gran finale con “Albachiara”

Poi il registro cambia di nuovo, le chitarre si impennano e ne “Gli spari sopra” converge tutta la sua rabbia e il senso di impotenza, la stessa che proviamo tutti davanti ai potenti della terra. Poco dopo Vasco prende di nuovo la parola. Il suo “non dobbiamo avere paura, non ci chiuderanno in casa” è il messaggio più forte che arriva dal Modena Park. Il gran finale è affidato a canzoni perfette, di quei miracoli che “nascono già con le parole”. Ecco “Sally”, “Un senso”, l’inno trans-generazionale “Siamo solo noi” e “Vita spericolata”. Tre ore e quaranta di musica ed emozioni non possono che finire con ciò che tutto fa ricominciare, l’alba di “Albachiara”, il pezzo che Vasco è condannato a eseguire sempre e comunque perché “sennò la gente non va a casa”. I saluti non ci sono perché niente riesce a rattristarlo di più, lui la rockstar più amata e venerata d’Italia, che anni fa ha cercato di dimettersi senza successo perché il suo sterminato popolo non glielo ha permesso. Così Vasco si limita a fare un occhiolino e a dire “Alla prossima”. Ben sapendo che tutti siamo già in fila, ordinati e trepidanti, per la Modena Park che verrà.

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi.

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi. Il mondo che Villaggio voleva demolire non esiste più

L’Italia precaria ha ucciso Fantozzi. Il mondo che Villaggio voleva demolire non esiste più

di Luca Telese

È morto Paolo Villaggio, l’attore, ma prima era morto il suo personaggio feticcio, il suo alter ego, la sua maschera. È morto Villaggio, dopo che l’Italia della precarietà aveva ucciso Ugo Fantozzi, facendolo sembrare non la satira di un’Italia feroce, ma l’immagine di un Eden perduto del posto fisso. Certo Villaggio era questo e molto altro: era attore, comico, scrittore, sceneggiatore e doppiatore. Era l’inventore di una nuova lingua: “venghi”, “vadi”, “dichi”, di uno slang, di modi di dire (“come-è-umano-lei”), di immagini eterne come lo “Spigato siberiano” o “il direttore megagalattico”, “la belva umana”, che oggi puoi trovare in bocca a bambini che non hanno mai visto un suo film.

Ma il carattere che lo aveva reso immortale era quel ragioniere piccolo-piccolo partorito dalla sua penna in forma di romanzo e dal suo talento parodistico in forma di carattere. Fantozzi era l’Italia del para-stato, del lavoro e del dopolavoro, degli straordinari, dei dirigenti, dei colleghi e delle chiacchiere in corridoio, del megadirigente con la poltrona in pelle umana, dei dibattiti sulla Corazzata Potemkin. Il mondo che Villaggio voleva demolire ed irridere oggi sembra bello è felice, i suoi film di satira hanno il colore agrodolce dell’amarcord. Ma Paolo Villaggio fu anche altre rasoiate nella tela dell’Italia anni sessanta-settanta in bianco e nero. Era stato il professor Kranz, ovvero il primo simbolo del cattivismo televisivo, il personaggio strampalato che insuktava le vecchie nella Rai delle paillettes. E poi era l’amico è il paroliere di Fabrizio De Andrè, con cui aveva scritto – tra le altre – “Il fannullone” e “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers”. se André datava il loro incontro – addirittura al 1948 – e lo descriveva come la collisione tra due contrari, lui giovane contestatore, e Villaggio giovane morigerato: “Si investì della parte del fratello maggiore – ricordava Faber – e mi diceva: ‘Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo'”.

ADVERTISEMENT

Per il celebre verso sul monarca deluso perché costretto al sesso a pagamento – “È mai possibile, o porco di un cane/, che le avventure in codesto reame/ debban risolversi tutte con grandi puttane!” – Villaggio e De André furono denunciati per oscenità dal pretore di Catania.

Ma è il primo passo fuori dall’anonimato: per metà della vita fa il dipendente, è per l’altra metà l’aspirante cabarettista, Maurizio Costanzo gli consiglia di andare a Roma, e la leggenda narra che una sera faccia cadere Ennio Flaiano dalla sedia per il troppo ridere. Fantozzi-Krantz e Fracchia gli aveva regalato il successo a lungo inseguito. Lo avevano reso l’attore più pagato del cinema italiano – ne era orgoglioso – ma anche l’interprete serio di film d’autore, tra cui “La voce della Luna” di Federico Fellini, al fianco di Roberto Benigni. Ma lui, ogni volta che lo intervistavo, ci teneva a ricordare anche “Camerieri”, il film d’esordio di un giovane regista (Leone Pompucci) che gli aveva permesso di vestire di nuovo i panni prediletti del grottesco. Fantozzi non era Villaggio, ma esisteva davvero, Paolo raccontava di averlo conosciuto in un sottoscala. Un anonimo ragionier Bianchi che lo aveva fatto rider con la sua goffaggine. Lui gli aveva teso la mano, quello pensava di essere stato invitato a ballo. Adesso Villaggio si è ricongiunto anche a lui, con l’Italia che pensando di irridere ha reso immortale, perché le vie della comicità sono imperscrutabili.

Il nuovo Gandhi della Turchia e la marcia non violenta

Il nuovo Gandhi della Turchia e la marcia non violenta che può sconfiggere Erdogan

La grande Marcia per i diritti e la giustizia è partita il 15 giungo da Ankara e arriverà il 9 luglio a Istanbul. Promossa dal leader di opposizione Kilicdaroglu, lungo il percorso sta raccogliendo migliaia di adesioni. Il racconto dell’evento nelle parole del giornalista italiano Mariano Giustino

E’ iniziata il 15 giugno, quasi in sordina: appena un migliaio di partecipanti alla partenza da Ankara. E’ cresciuta tappa dopo tappa, raccogliendo sempre maggiori consensi lungo il percorso: fra applausi, strette di mano, petali di rosa lanciati dalle finestre, musiche e danze popolari. Ora, a metà circa del percorso, è arrivata a contare dai trenta ai cinquantamila partecipanti. E all’arrivo, ad Istanbul, potrebbero essere quasi un milione.

La Marcia per i Diritti e la giustizia che sta attraversando la Turchia lungo un percorso di 450 chilometri è un evento straordinario, pacifico e non violento che, sotto la guida del mite Kemal Kilicdaroglu leader del Partito Repubblicano del Popolo (Chp), il più antico partito all’opposizione in Turchia, sta sfidando senza armi e senza carri armati il regime autoritario di Erdogan e il suo sistema di repressione. L’idea della marcia è nata dopo la condanna a 25 anni di carcere del numero due del Chp, il parlamentare Enis Berberoglu, rinchiuso nel carcere di Maltepe a Istanbul dopo essere stato accusato, quando ancora era direttore del quotidiano Hurriyet, di aver passato ai giornalisti Can Dundar ed Erdem Gul le immagini “esplosive” dei camion di armi e munizioni fatti transitare dai servizi turchi alla volta di islamisti siriani, dal confine con la Siria nel 2014.

Tappa dopo tappa la Marcia sta assumendo le sembianze di una rivoluzione pacifica e non violenta, che si sta rivelando inarrestabile. La forza di questo movimento, che sin dall’inizio ha rifiutato di assumere una connotazione “di bandiera” è quella di aver rifiutato ogni etichetta di partito per abbracciare la sofferenza di un popolo intero. Una grande mobilitazione democratica, di carattere civile prima ancora che politico, che chiede a gran voce il ritorno allo Stato di diritto e ai diritti per tutti sotto il motto “Adalet”, giustizia. A seguirla, passo dopo passo fino alla tappa finale di Maltepe, c’è il giornalista italiano di Radio Radicale, Mariano Giustino. Lo abbiamo raggiunto al telefono durante una sosta del viaggio, per farci spiegare cosa sta succedendo in questo momento in Turchia.

Giustino, la marcia quando è iniziata e con quale scopo?
“E’ iniziata il 15 giugno scorso a seguito della condanna a 25 anni di carcere del vicepresidente del partito repubblicano del popolo Enis Berberoglu. In quel momento il capo del partito, Kılıçdaroğlu ha indetto la grande marcia per la giustizia e per i diritti di tutti, decidendo che non dovesse essere solo per Berberolu, ma a tutte le vittime dello stato di emergenza in Turchia: circa un milione se consideriamo anche le famiglie delle persone che sono state licenziate dalla pubblica amministrazione, dall’esercito, dalla magistratura, dalle università e dai vari ministeri. Un’epurazione di massa avvenuta all’indomani del colpo di stato del 15 luglio che Kılıçdaroğlu definisce un “controllato” , mentre il colpo di stato vero e proprio sarebbe arrivato il 25, con l’instaurazione dello stato di emergenza e delle restrizioni alla libertà civili e alla libera informazione. A seguito dell’introduzione dello stato di emergenza, prolungato di 3 mesi in 3 mesi fino ad ora si è prodotta in Turchia un’ingiustizia spaventosa”.

“Le parole d’ordine della marcia sono Diritto, Legge, Giustizia (Hak, Hukuk, Adalet), quindi: per lo stato di diritto, per i diritti di tutti, senza eccezione alcuna. L’obbiettivo dichiarato è il ritorno alla democrazia e alla centralità delle funzioni del Parlamento, usurpate da un uomo solo al comando”.

E’ un’ obbiettivo perseguibile anche alla luce della recente riforma costituzionale che ha segnato una svolta autoritaria di fatto?

“L’opposizione turca,  schierata per il no ha respinto la riforma costituzionale in senso presidenziale e non ha mai riconosciuto il risultato uscito dalle urne il 16 aprile scorso perché è frutto di brogli. Anche lo svolgimento della campagna referendaria è stato anomalo, con l’opposizione costantemente intimorita e minacciata quindi ostacolata nel far conoscere le proprie posizioni. Ma lo stesso giorno del referendum è successo qualcosa che è stato denunciato anche dagli osservatori dell’Osce: ovvero il cambiamento delle regole del gioco a gioco iniziato. Il Consiglio supremo elettorale aveva cambiato durante lo scrutinio la propria stessa legge convalidando 2 milioni  e 500 mila schede che non erano state vidimate precedentemente e questo ha scatenato le proteste dell’opposizione che non ha riconosciuto il voto ha tentato anche di sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale turca.

Davanti a tutto questo Kılıçdaroğlu ha deciso di dire basta, e dopo numerosi tentativi “istituzionali” di opporsi allo stato di emergenza, ha deciso d portare avanti un’ azione di disobbedienza civile, pacifica e non violenta, che ricorda molto da vicino la marcia del sale di Gandhi in India. La forza e la grande intuizione di Kılıçdaroğlu è nella volontà di unire il paese, salvagualdarne l’integrità e riconoscerne tutte le diversità, attraverso il riconoscimento delle sofferenze di tutto il popolo turco. Per questo parla di diritti di tutti e per tutti. E parla del prossimo arrivo a Maltepe il 9 luglio come un punto di inizio, non di approdo: perché la lotta pacifica non violenta continuerà in altre forme. Sit in, disobbedienza civile, iniziative civili per contrastare l’ingiustizia. L’obbiettivo finale è adalet: cercare la giustizia”.

“Un primo risultato è stato già ottenuto- continua Giustino- “Quello di aver portato sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale il dramma della Turchia con 160 mila persone licenziate, 50 mila arrestate, 10000 accademici espulsi degli Atenei, 13 parlamentari in galera, migliaia di sindaci destituiti dal loro incarico”.

Quante persone stanno partecipando alla marcia e che riscontro sta avendo tappa dopo tappa?

“Al momento si sta delineando un vero e proprio trionfo. La marcia sta crescendo come una palla di neve. E’ partita con un migliaio di persone da Ankara e si è accresciuta arricchendosi di tantissimi colori, con la partecipazione di persone provenienti da diversi strati sociali, diversi ruoli, diverse età. Si trova dall’operaio al libero professionista, dagli avvocati agli imprenditori, ai politici, alle tante  organizzazioni della società civile: quelle umanitarie, quelle per i diritti delle donne, quelle ambientaliste. Ora sono oltre 30 mila le persone che stanno marciando e gli organizzatori dicono che saranno oltre un milione all’arrivo ad Istanbul. Lungo il percorso Kılıçdaroğlu sta riscuotendo grande successo, le persone accorrono dai villaggi a salutarlo a gridare l’unico slogan della marcia, in cui tutti si riconoscono al di là delle appartenenze religiose o di partito. Queste sono le uniche parole catartiche che ascoltiamo lungo tutto il percorso”.

Riuscirà questa grande anima laica a smuovere anche l’anima religiosa non oltranzista, moderata del paese?

“Non porrei la questione sotto l’aspetto laico-religioso perché non è nello spirito della marcia. Non è una marcia di laici contro religiosi tant’è che partecipano anche donne velate, credenti mussulmani,  ma anche curdi, aleviti eccetera. E’ semplicemente lo scontro tra la democrazia, lo stato di diritto e l’autoritarismo del governo dell’AKP incarnato dal presidente Erdogan che pretende di liberarsi di tutti gli oppositori perpetrando delle palesi ingiustizie. La Turchia si sta svegliando“.

Ci sono dei rischi per i partecipanti alla manifestazione?

“I rischi ci sono. Quello maggiore è che arrivati ad Istambul la marcia possa essere attaccata dai sostenitori del governo, perché il linguaggio usato, le espressioni di condanna usate da Erdogan sono effettivamente molto dure: ha paragonato questa marcia al tentativo di colpo di stato fatto il 15 luglio scorso con F16 e carri armati. Accusa i marciatori di parlare di giustizia ma di non rispettare l’indipendenza della magistratura, accusa Kılıçdaroğlu di essere al servizio di circoli stranieri internazionali che hanno l’obbiettivo di rovesciare Erdogan e di portarlo davanti a una corte internazionale. E’una tattica già vista: accusare gli oppositori di essere vicini ai terroristi, ma stavolta difficilmente funzionerà”.

“Questa marcia ha un consenso molto vasto anche stando a recenti sondaggi. Ci sarebbero addirittura correnti dell’AKP, il partito di governo, che non sarebbero ostili alla marcia. I giornali filogovernativi continuano a diffondere appelli minacciosi chiedendo di fermare la marcia prima che entri a Istambul. Ma è difficile perché è affollata di bambini, giovani, anziani, dunque c’è da augurarsi che non si arriverà a una provocazione di questo generre e del resto il movimento è completamente pacifico ed è stato educato a non rispondere alle provocazioni. Ai manifestanti sono stati distribuiti volantini con un codice di comportamento in 12 punti: non rispondere alle violenze, sorridere sempre, applaudire, fare solo riferimento all’unico slogan della manifestazione, “Adalet”, Giustizia.