I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING
di Marcello Pamio – 27 novembre 2012 – tratto da Effervescienza nr. 46 l’inserto di Biolcalenda mese ottobre 2012 – www.labiolca.it/effervescienza
“La pubblicità può essere descritta come la scienza di fermare l’intelligenza umana abbastanza a lungo da ricavarne denaro”, Stephen Leacock
Nel 1957 il giornalista Vance Packard scrisse “I persuasori occulti”, un libro che svelava i trucchi psicologici e le tattiche usate dal marketing, per manipolare le nostre menti e convincerci a comprare. Libro inquietante per l’epoca. Oggi però, i pubblicitari sono diventati più bravi, furbi e spietati. Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare. Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato. Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare. Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”. Il Kids marketing Gran parte del budget del marketing è impiegata per impiantare i brand (marchi) nel cervello dei piccoli consumatori, perché le nostre preferenze per i prodotti attecchiscono dentro di noi ancora prima di nascere. Il linguaggio materno è udibile dall’utero, ma quello che non si sapeva è che la musica lascia nel feto un’impressione duratura in grado di plasmare i gusti che avranno da adulti. Le ultime scoperte confermano che ascoltare reclame e jingle pubblicitari nell’utero ci predispone favorevolmente nei confronti dei brand associati. Il marketing lo sa e ha iniziato ad escogitare modi per capitalizzare tale spregiudicato fenomeno… Con il kids marketing si coinvolgono i bambini nei giochi, monitorando il loro comportamento e preferenze, il tutto per aggiornare gli assortimenti dei supermercati: ridisegnare forma e colore degli scaffali, arricchire i totem posizionati di fianco alle casse, ecc. Non a caso giocattoli e merendine sono disposti a circa un metro da terra, alla portata dei più piccoli. I bambini sotto i tre anni (guardano 40.000 spot pubblicitari all’anno e conoscono più nomi di personaggi pubblicitari che animali), solo negli USA, rappresentano un mercato da 20 miliardi di dollari! A 6 mesi i bambini sono in grado di formarsi un’immagine mentale di loghi, e infatti i biberon e passeggini vengono decorati con personaggi ad hoc. I loghi riconosciuti a 18 mesi saranno preferiti anche da adulti. Per finire, condizionando i bambini agli acquisti si condizionano anche i genitori: il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto a un bambino e una madre su due compra un alimento che è stato chiesto dal figlio. Marketing della paura e nostalgia La paura è un’emozione che stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del combatti o fuggi. Tale riflesso produce a sua volta un altro ormone, l’epinefrina che determina un piacere estremo. Il sangue affluisce ad arti e muscoli, per cui il cervello ne sarà privato, e questo ci rende incapaci di pensare con lucidità: la paura è persuasore molto efficace (psicofarmaci, vaccini, ecc.). Le case farmaceutiche spendono decine di miliardi di dollari per inventare nuove malattie e alimentare le nostre paure. Risultato? Le vendite di farmaci da ricetta in America raggiungono i 235 miliardi di dollari all’anno. Spesso l’approccio consiste nell’evocare emozioni negative, indi presentare l’acquisto del prodotto come l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione. Pubblicità più sofisticate adoperano invece l’umorismo come rinforzo positivo: far ridere è un ottimo mezzo per far simpatizzare con il prodotto. Viceversa, struggersi nei ricordi migliora l’umore, l’autostima e rafforza le relazioni. La nostra predilezione per la nostalgia dipende dal fatto che il cervello è programmato per ricordare le esperienze passate come più piacevoli di quanto le avessimo ritenute nel momento. Tendiamo a valutare gli eventi passati in una luce più rosea. Anche la nostra età percepita è un fattore cruciale nelle decisioni di acquisto: più invecchiamo e più rimpiangiamo il passato. Il “marketing della nostalgia” è una strategia di grande efficacia, con cui i pubblicitari riportano in vita immagini, suoni e spot del passato per venderci un brand. Le dipendenze I cibi ricchi di grassi e zuccheri (cioccolate, patatine, merendine…) sono tra i prodotti che generano più dipendenza. Le aziende arricchiscono appositamente i loro prodotti con sostanze che creano assuefazione (glutammato monosodico, caffeina, sciroppo di mais, aspartame, zucchero). Uno studio pubblicato su “Nature Neuroscience”, dimostra che questi alimenti agiscono sul cervello in modo quasi identico alla cocaina e all’eroina! Lo zucchero stimola la secrezione della dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, mentre la caffeina ne inibisce il suo riassorbimento, facendoci sentire briosi e vivaci, e dall’altra stimola l’adrenalina che ci fa sentire carichi. Anche i giochi danno una dipendenza fisiologica fortissima, il cervello infatti reagisce rilasciando più dopamina. Per questo le aziende cercano di aumentare le vendite di Playstation e Wii, anche perché hanno scoperto che quando i giochi sono progettati a dovere, non fanno sviluppare soltanto una dipendenza dal gioco stesso, ma possono riprogrammare il cervello rendendo dipendenti dall’atto di comprare, dallo shopping. Usano i videogiochi per trasformarci in drogati dello shopping: brandwashing. Vanity sizing È un bieco trucco con cui alcuni negozi vendono abiti più larghi per farci credere di indossare una taglia più piccola. Le taglie riportate nelle etichette di abbigliamento spesso non corrispondono a quelle reali: sono di una taglia più bassa. Il neuromarketing sa benissimo che ambo i sessi comprano più volentieri un prodotto che li fa sembrare più magri, anche se ciò non è vero. Celebrity marketing Sfruttano la fama delle celebrità (attori, sportivi, ecc.) per lavarci il cervello, perché un prodotto associato a una persona famosa esercita un ascendente subliminale potentissimo. Il “celebrity marketing” fa leva sul fatto che sogniamo di diventare famosi, belli e popolari, vogliamo essere loro o almeno essere come loro. Non a caso il numero delle persone famose si è moltiplicato negli ultimi anni, grazie a programmi creati ad arte: reality show, intrattenimento, ecc. Aumentano i testimonial per poterli usare per la pubblicità. Data mining Si tratta di un business enorme che consiste nel tracciare e analizzare il comportamento dei consumatori, per poi categorizzare ed elaborare i dati e usarli per persuaderci a comprare e, a volte, a manipolarci. Le aziende possono conoscere le nostre abitudini, l’etnia, il sesso, l’indirizzo, il telefono, il numero dei componenti della famiglia e molto altro ancora. Il nome tecnico è “Ricerca motivazionale”, e in pratica vanno alla ricerca delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti di acquisto dei consumatori. Analizzando i dati delle carte fedeltà e incrociandoli con quelli delle carte di credito, è possibile scoprire delle cose inquietanti su tutti noi. I “programmi fedeltà” infatti esistono solo per persuaderci a comprare di più. Ogni volta che usiamo tali carte, viene aggiunta al nostro archivio digitale l’indicazione di quello che abbiamo comprato, le quantità, l’ora, il giorno e il prezzo. Quando usiamo le carte di credito, l’azienda archivia la cifra e la tipologia merceologica: ad ogni transazione è assegnato un codice di quattro cifre che indica la tipologia di acquisto. Dove questi dati vadano a finire è facile da immaginare. Percorsi e orientamento Sapevate che si spende di più se ci muoviamo nel negozio in senso antiorario? Il braccio destro ha più margine di movimento per afferrare i prodotti; la guida delle auto, tranne alcuni Pesi, è a destra e leggiamo da sinistra a destra, per cui i nostri occhi tendono a seguire questo movimento anche quando si è davanti a uno scaffale. I supermercati sono pensati per favorire la circolazione dei clienti da destra a sinistra, col risultato che le cose più acquistate sono sempre sugli scaffali a destra. Le grosse industrie, sapendo questo, posizionano i loro prodotti civetta sempre a destra. La porta d’ingresso è sempre a destra, e questo è un modo subdolo nel determinare il flusso d’acquisto antiorario. Infine i percorsi contorti all’interno servono per farci camminare lentamente, e più lentamente ci muoviamo, più prodotti vedremo… e saremo tentati di comprare. I beni di prima necessità come sale, zucchero, ecc., sono posizionati lontanissimo dall’ingresso e difficili da scovare, obbligandoci a ripercorrere più volte le corsie facendoci girare l’intero supermercato. Addirittura in molti supermercati cambiano di posto i prodotti una volta al mese, per impedirci di trovare facilmente quello che cerchiamo. L’istituto ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato, ha messo a punto un dispositivo per registrare ciò che il cliente guarda da quando entra a quando esce, scoprendo che l’area più osservata negli scaffali è a circa 20 centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo. Un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima probabilità d’essere notato e quindi di essere acquistato. La musica è servita Quale musica è meglio: rock, metallica, samba o sinfonica? A questo ci pensano aziende come Muzak, gli “architetti audio”, che hanno progettato 74 programmi musicali in 10 categorie diverse, che spaziano dal rock, alla classica, e tutte sortiscono un effetto psicologico ben preciso e diverso. Anche la velocità e il ritmo sono importanti. Nei supermercati la musica è lenta perché dobbiamo muoverci più lentamente per comprare di più, mentre nei fast-food e ristoranti è più veloce allo scopo di accelerare il ritmo della masticazione, in questo modo ci spingono ad andarcene prima per servire più clienti. I carrelli della spesa Nel 60% dei carrelli si trovano batteri coliformi, gli stessi dei bagni pubblici. Uno studio ha trovato più batteri di tutte le altre superfici analizzate, inclusi water e poggiatesta dei treni. Il carrello è stato inventato nel 1938, con l’unico intento di stimolare gli acquisti, e nel corso degli anni le dimensioni sono aumentate permettendo di contenere più prodotti. Oggi si trovano carrelli di dimensione ridotta dedicati ai bambini, e in questa maniera da una parte vengono abituati e indottrinati fin da piccoli a usarlo, dall’altra possono riempirlo con i prodotti posizionati alla loro altezza. Esposizioni Le industrie pagano per posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente dalle persone: un metro e mezzo da terra, a destra e a fine corsia. Posizionano a fine corsia, dove c’è anche più spazio, prodotti ad alto profitto, come le cioccolate e che ispirano acquisti compulsivi. Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelle esposizioni di fine corsia, rispetto quelli a metà corridoio, perché si pensa che “il vero affare è alla fine”. Attenzione agli amici Paradossalmente il persuasore occulto più potente sono proprio gli amici. Il marketing e le aziende non possono nulla in confronto all’influenza esercitata da un consumatore sull’altro. Nulla è più persuasivo quanto osservare una persona che conosciamo e rispettiamo intenta a usare un prodotto. Quando un brand ci è raccomandato da un’altra persona, nel nostro cervello le aree razionali e procedurali si disattivano. Tali meccanismi spiegano come mai la pubblicità basata sul passaparola ci resta in testa per settimane, mentre non ricordiamo gli spot televisivi visti alla mattina. Conclusione Aveva ragione Edward L. Bernay, padre della Propaganda, quando scrisse nel 1928 che “gli uomini raramente sono consapevoli delle vere ragioni che stanno alla base delle loro azioni”. Questo articolo è incompleto perché il materiale su tali argomenti è faraonico, ma dopo questa lettura forse saremo un po’ più consapevoli del piano diabolico del neuromarketing. La consapevolezza, assieme a un percorso di crescita evolutivo-spirituale, rimangono gli strumenti più potenti per difendersi dalla persuasione… e non solo. Partendo da hic et nunc, qui e ora, è molto importante essere presenti il più possibile nella nostra vita. La tv, in quanto strumento principe della manipolazione, meno la guardiamo e meglio è per tutti, soprattutto per i bambini. Infine, evitare di fare la spesa durante gli orari di pranzo e cena, perché lo stimolo della fame incentiva acquisti compulsivi, non usare il carrello e portarsi sempre la lista della spesa. Questi consigli sono banalità o possono far tremare i polsi alle multinazionali? Lo sapremo solo se li metteremo in pratica… |
Archivio mensile:novembre 2012
Parlerà tedesco il nuovo canone Rai
Istat: ad ottobre 2,9 mln di disoccupati, è massimo storico.
Istat: ad ottobre 2,9 mln di disoccupati, è massimo storico. A novembre frena l’inflazione
Quasi 2,9 milioni i disoccupati, è il massimo storico – Il numero dei disoccupati a ottobre e’ di 2 milioni e 870 mila. E’ il livello più alto sia dall’inizio delle serie storiche mensili, gennaio 2004, sia dall’inizio delle serie trimestrali del 1992.
Disoccupazione giovanile al 36,5% – Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a ottobre è al 36,5%, è il livello più alto sia dall’inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia dall’inizio delle serie trimestrali, IV trimestre 1992. L’Istat ha aggiunto che tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 639 mila . Il tasso di disoccupazione under 25 risulta così in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,8 punti nel confronto tendenziale. Analizzando i dati relativi al terzo trimestre 2012, invece, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 26,5% del terzo trimestre 2011 al 32,1%, con un picco del 43,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Nel complesso nel terzo trimestre il numero dei disoccupati manifesta un ulteriore forte aumento su base tendenziale (+30,6%, pari a 581.000 unità). La crescita, diffusa su tutto il territorio nazionale, interessa entrambe le componenti di genere e in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita, spiega l’Istituto di statistica, è dovuta in un caso su due a quanti hanno perso la precedente occupazione. Il tasso di disoccupazione medio trimestrale (dati grezzi), fa sapere sempre l’Istat, è pari al 9,8%, in crescita di 2,1 punti percentuali rispetto a un anno prima. Nel dettaglio, l’indicatore passa dal 6,7% del terzo trimestre 2011 all’8,8% per gli uomini e dal 9% all’11% per le donne.
Topolino, clamoroso autogol
Topolino, clamoroso autogol
La polemica monta, però, quando ad usare certi termini non è un attore parziale. Quando poi a compiere lo scivolone è il giornalino Topolino, un velo di stupore mista a indignazione non può che investire i lettori calcisticamente più sfegatati. All’interno del numero del celebre fumetto in edicola questa settimana, Paperino e Paperoga assistono al derby della Mole in versione disneyana – quello “in carne ed ossa” è previsto per sabato sera – e alle loro spalle compare uno striscione recante la scritta “Rubentus”. Nella storia, infatti, così viene ribattezzata la Vecchia Signora (il Torino si trasforma in “Corino”).
I tifosi juventini suonano la carica, ritenendo inaccettabile uno sgarbo sportivo di questo livello. Sul web l’insurrezione si è ormai gonfiata a dismisura tra chi invita ad un boicottaggio del giornalino e chi propone querele ai danni dell’autore. Tale Zoro commenta: “Non è questione di chi si tifi o meno, ma un giornale per bambini non può scrivere queste cose. Dovrebbe insegnare i valori dello sport non creare tensioni”. Gli fa eco il complottismo di annapina: “Topolino vuole indirizzare il sentimento popolare dei baby lettori”. Infuriato PirrO: “Querelare Topolino di m…”. Daniele Genesio esprime il suo dissenso tramite facebook: “Siete tutti delle m…, potevano mettere la Rubinter o la Rubilan. Fiero di essere gobbo! E di certo ai miei figli non comprerò mai questo giornalino di m…”.
Per la cronaca: nella storia Paperino è juventino, Paperoga torinista. Da buoni cugini
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L’Onu battezza la Palestina “Stato osservatore”
L’Onu battezza la Palestina “Stato osservatore”, ma Israele amplia gli insediamenti dei coloni
Bersani: “Le regole non si cambiano in corso d’opera”. Renzi: “Mi attaccano ma sarà un boomerang”
Bersani: “Le regole non si cambiano in corso d’opera”. Renzi: “Mi attaccano ma sarà un boomerang”
DALLA GREEN ALLA BLUE ECONOMY
DALLA GREEN ALLA BLUE ECONOMY
di Pietro Mezzi
Legambiente, importante associazione ambientalista nazionale, lo dice chiaramente: “Gli investimenti idrici sono il secondo pilastro della green economy, al fianco di quelli energetici”. Insomma, per l’associazione del cigno verde non basta aver vinto i referendum del giugno 2011. “Ora – afferma Damiano Di Simine, presidente dell’associazione ecologista lombarda – dobbiamo affrontare i problemi, seri e urgenti, della gestione idrica del nostro Paese. L’inquinamento di falde e acque superficiali, insieme ai ricorrenti fenomeni di carenza, rappresentano un’assoluta emergenza. Le direttive comunitarie ci costringono giustamente a bruciare le tappe nel realizzare le necessarie opere di collettamento e depurazione. E il deficit infrastrutturale si misura su cifre del valore di diversi miliardi di euro: 60. Stiamo parlando della più grande opera infrastrutturale italiana, da realizzare in tempi rapidi e con centinaia, migliaia di cantieri da aprire, per costruire depuratori e collettori, mettere mano a reti fognarie da cui colano liquami, separare le acque nere dalle acque bianche, gestire le piene. Opere pubbliche ma anche azioni private da incentivare: per attrezzare le case, le fabbriche, le città affinché gli usi dell’acqua siano più efficienti, riducendo sprechi e impropri conferimenti in fogna, gestendo le acque di pioggia, rimuovendo inutili superfici impermeabili, riciclando le acque grigie”.
Fin qui gli ambientalisti. A sostenere le loro tesi ci sono le posizioni ufficiali di Federutility. La federazione che raggruppa 451 imprese italiane di servizi pubblici locali dei settori acqua ed energia, nel riconoscere che negli ultimi anni il servizio idrico nazionale è migliorato, sostiene che esiste ancora un problema legato alle perdite delle reti idriche. “Per superare tale deficit – afferma Adolfo Spaziani, direttore generale della Federazione – occorrono forti investimenti e regole certe per il settore. In Italia servirebbero 4 miliardi di investimenti l’anno. Ma tale azione è rallentata per mancanza di norme chiare e stabili”. Federutility stima in 4,5 i miliardi di progetti già cantierabili, che potrebbero generare 60.000 nuovi posti di lavoro. Ma le risorse economiche necessarie non si possono attivare a causa della scarsa affidabilità del settore. “Il settore idrico in questi anni – prosegue Spaziani – è stato considerato affidabile dagli investitori solo grazie al rating delle aziende più grandi quotate in Borsa, ma ora non è più così. Siccità e fragilità idrogeologica del nostro territorio richiedono risposte urgenti. Le istituzioni sono chiamate a comporre finalmente un quadro regolatorio che garantisca i meccanismi di credito e finanziamento indispensabili al comparto”.
“A tutt’oggi – sostiene Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – gli investimenti programmati per i prossimi 30 anni ammontano a circa 64 miliardi di euro, 2,1 miliardi l’anno. La maggior parte di questi investimenti riguarda i servizi di depurazione, di fognatura (il 65% del totale) e il settore acquedottistico, soprattutto al Sud. Ma per fare questo occorre un profondo rinnovamento capace di coinvolgere le pubbliche amministrazioni, le società idriche, il settore delle costruzioni e i singoli cittadini”.
Un rinnovamento che l’Istituto di ricerche Ambiente Italia stima in 27 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, che potrebbero creare 45.000 nuovi posti di lavoro.
Onu, riconoscimento Palestina: l’Italia dirà sì. L’ira dell’ambasciatore israeliano: “Siamo delusi”
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MEDIA, L’ARGENTINA SI SBARAZZA DEI MONOPOLI
MEDIA, L’ARGENTINA SI SBARAZZA DEI MONOPOLI
di Checchino Antonini
In Argentina, almeno fino al prossimo 7 dicembre, le regole sulla concentrazione del media sono le stesse fissate nel 1980 dai generali fascisti che avevano compiuto il golpe quattro anni prima. Ma fra otto giorni entrerà in vigore in quel Paese una legge che limita la concentrazione dei mezzi di comunicazione di massa e apre uno spazio ampio e inedito alle organizzazioni non governative.
Secondo il governo argentino, la legge sui Servizi di Comunicazione Audiovisiva, nota come Ley de Medios, permetterà a tutti i settori della società l’accesso ai mezzi di comunicazione. Per gran parte dell’opposizione e dei gruppi editoriali, che ne usciranno indeboliti, si tratta invece di un grave attentato alla libertà di espressione e di una manovra per imporre il controllo statale sui mezzi di comunicazione.
La Ley de Medios implica, secondo l’agenzia IPS, una riforma quasi senza precedenti in America Latina dove alta è la concentrazione di mezzi di comunicazione e debole la presenza di media comunitari. Il processo di deregulation e di privatizzazione promosso negli anni ’80 negli Stati Uniti è stato adottato in pieno in America Latina e ha contribuito in molti Paesi della regione a rafforzare la già grande concentrazione dei mezzi di comunicazione.
Frank La Rue, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà d’opinione e d’espressione, ha seguito da vicino il processo che ha portato alla Ley de Medios argentina, e ha osservato come «in questo momento c’è un dibattito aperto analogo in Ecuador e in altri Stati. Nel mio Paese, il Guatemala, si sta sfidando la vecchia legge delle telecomunicazioni che si limitava a creare un sistema di appalto pubblico, per stabilire un meccanismo più giusto ed equo per la concessione delle frequenze».
L’antefatto di questo processo in Argentina è, appunto, la legge nazionale sulla radiodiffusione, in gran parte ancora vigente, imposta nel settembre del 1980 dalla dittatura militare che governò il Paese tra il 1976 e il 1983. Una volta ripristinato il sistema democratico, i successivi governi proposero delle riforme alla legislazione del 1980 a cui però non si arrivò mai.
Nell’agosto del 2009, la presidente Cristina Fernández de Kirchner presentò al Parlamento il progetto di legge per la Ley de Medios, della cui attuazione, a partire dal 7 dicembre, sarà incaricata l’Autorità Federale dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva (AFSCA), presieduta dal deputato Martín Sabatella.
I gruppi in possesso di un numero di licenze superiore a quelle consentite dalla Ley de Medios dovranno liberarsi delle concessioni in eccesso entro un anno. Ossia, dovranno rinunciare a una parte dei media che attualmente possiedono e anche in futuro non superare mai i limiti consentiti.
Secondo quanto dichiarato da Sabatella, in Argentina sono ben 20 i gruppi che possiedono più licenze di mezzi audiovisivi di quelle consentite dalla legge e che dovranno liberarsi di parte di esse. In particolare il Gruppo Clarín, proprietario del principale quotidiano argentino, possiede ben 300 licenze, e dovrà limitarsi a un massimo di 24.
Il caso argentino rimbalza anche nell’ormai arretratissima Italia dove i nuovi scenari saranno al centro di un dibattito organizzato da FNSI, il sindacato dei giornalisti e Inter Press Service, agenzia di stampa indipendente, a corso Vittorio Emanuele II, 349 Roma. Appuntamento alle 15 del 29 novembre con Frank La Rue, Special Rapporteur dell’ONU sulla libertà d’opinione e d’espressione, Roberto Natale, presidente FNSI, Mario Lubetkin, direttore generale IPS e, in collegamento dall’Argentina, Daniel Fernando Filmus, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato argentino.
RAJOY SI GIOCA LA SPAGNA
RAJOY SI GIOCA LA SPAGNA
di comidad
I 111 morti della fabbrica di Ashulia in Bangladesh ci danno concretamente il senso di cosa sia la modernità nelle relazioni industriali auspicata dal governo Monti. Per un residuo di dignità sindacale, Susanna Camusso si è rifiutata di apporre la sua firma al cosiddetto accordo sulla produttività annunciato la settimana scorsa. Il testo dell’accordo, dopo un’enunciazione retorica sull’importanza della contrattazione collettiva, di fatto la liquida a favore della contrattazione di secondo livello, cioè quella aziendale. In pratica è un suicidio del sindacalismo confederale; un suicidio che coinvolge la stessa Confindustria, che sino a qualche anno fa era ancora uno dei maggiori potentati italiani, mentre oggi ha poco a che fare con l’industria, ed è ridotta ad una delle tante agenzie di lobbying dei poteri finanziari. Un lobbismo di “secondo livello”, o addirittura meno.
Lo scopo del cosiddetto accordo è di confinare la contrattazione collettiva nell’ambito della mera ritualità, trasformando le contrattazioni aziendali in ricatti caso per caso nei confronti dei lavoratori. L’accordo non colpisce solo il lavoro, ma va a mettere in difficoltà lo stesso sistema della piccola e media impresa, che, senza contratti collettivi, si troverà sempre più esposta al sindacalismo giallo controllato dalle malavite locali, a loro volta più o meno tutte irretite da poteri sovranazionali, dalla NATO alle compagnie multinazionali. Risulta sempre più chiaro che il vero contenuto degli slogan sulla “produttività”, la “flessibilità” e la “modernità” riguarda il controllo criminale sull’economia, una criminalità che trova i suoi centri dirigenti e le sue protezioni nelle grandi agenzie internazionali, come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale e la stessa ONU, come ha dimostrato la vicenda del traffico di organi umani in Kosovo.
Il complotto forse non esiste, ma le associazioni a delinquere (“criminal conspiracy”, in inglese), invece esistono eccome. Del resto, quando si mettono in discussione le relazioni sociali fondamentali come l’occupazione, l’istruzione, le pensioni e la sanità, su cos’altro può fondarsi una società se non sul crimine organizzato?
Anche in Spagna il primo ministro Rajoy si affretta ad affossare quel che rimane dello Statuto dei Lavoratori vigente, che verrà rivisto al ribasso per permettere l’assunzione di personale ricattabile e sottopagato. Ciò per attirare i famosi “investimenti internazionali”. C’è in atto un piccolo accordo con l’azienda di Stato francese Renault, ma il piatto forte riguarda il gioco d’azzardo, con la costruzione di una “Eurovegas” da parte del magnate internazionale del settore, Sheldon Adelson. Secondo alcuni commentatori Adelson può essere considerato una sorta di redivivo Meyer Lansky, il boss del gioco d’azzardo a Las Vegas negli anni ’60, la cui figura fu adombrata nel personaggio di Hyman Roth del film “Il Padrino. Parte Seconda” [1].
Sino a qualche anno fa la Spagna era considerata dai media come una locomotiva economica dell’Europa, un modello da imitare. La guerra di Spagna sembrava un ricordo vago e lontano, una follia ideologica da lasciarsi alle spalle; roba utile giusto per i film di Ken Loach. Oggi invece la Spagna si trova nuovamente ad essere bersaglio di un’offensiva colonialistica; ed ancora una volta l’aggressione coloniale dall’esterno trova i suoi referenti ed i suoi punti di appoggio nelle oligarchie interne.
La tecnica del furto delle case dei poveri attraverso finanziamenti e mutui truffaldini da parte delle banche, aveva conosciuto un notevole sviluppo in Spagna, ma questa tecnica era stata inventata e messa a punto con successo negli USA. Questa truffa immobiliare presenta come controindicazione il fatto che, dopo aver spolpato fino all’osso la popolazione più povera, gli speculatori e le banche siano costretti a rifilarsi bidoni reciprocamente, oppure a ricorrere all’aiuto soccorrevole dello Stato. Così, mentre il governo Rajoy scatena gli ufficiali giudiziari, gli sfratti per morosità sui mutui crescono in modo esponenziale, i procedimenti di pignoramento dal 2008 ad oggi sono arrivati a 350.000 secondo dati ufficiali, e il fenomeno dei suicidi per chi perde il lavoro o la casa ha raggiunto un livello endemico. Il tutto mentre il numero di abitazioni invendute e vuote in Spagna ha superato il milione di unità.
La ricetta di Rajoy per risolvere la “crisi” è stata la solita: i “tagli lineari”, cioè riduzione delle deduzioni fiscali, riduzione dei fondi per la scuola, la ricerca scientifica, la salute e la disoccupazione; e, contemporaneamente, rifinanziamento con soldi pubblici degli istituti di credito che hanno mandato in malora l’economia spagnola con le loro truffe. Qui il governo spagnolo perde la sua durezza e si intenerisce fino a promettere alle banche ben 60 miliardi di euro. Ma il fatto che la “crisi” sia uno slogan/pretesto per creare povertà e che la povertà sia un business, diventa ancora più chiaro se si pensa che, in un Paese ridotto allo stremo, la manovra finanziaria prevede incredibili incentivi per il gioco d’azzardo.
Mentre l’opinione pubblica spagnola viene distratta dalle velleità secessioniste della Catalogna, ecco come Rajoy ha pensato di giocare veramente le sue carte. Sheldon Adelson aveva posto precise condizioni per il faraonico progetto di Eurovegas, che il governo Rajoy si è affrettato ad accettare. Dopo un tira e molla con la Catalogna, si è deciso finalmente che Eurovegas sorgerà nelle vicinanze di Madrid con 6 casinò, 12 resort, 9 teatri e cinema, e 3 campi da golf; un bel progetto per chi deve tirare la cinghia. In effetti gli incentivi del governo permetteranno di dedurre le perdite al gioco dalle vincite, mentre l’IBI (l’ICI spagnola) per le case da gioco otterrà esenzioni fino al 95%. Roba da fare invidia alla Chiesa Cattolica nostrana.
Non c’è dubbio che Adelson porterà in Spagna una ventata di nuova moralità, visto che per i suoi casinò di Macao il magnate risulta già coinvolto in inchieste che riguardano rapporti con la mafia cinese e lo sfruttamento della prostituzione. Il magnate sarebbe anche un magnaccia [2].
Ma si tratta di marachelle, di birichinate, ed alla fine si scoprirà che la colpa è tutta dei cinesi; e magari ci si dirà pure che l’FBI si è ricordata improvvisamente di questi peccatucci solo perché Adelson aveva dato i suoi finanziamenti elettorali a Romney invece che ad Obama. Queste inchieste dell’FBI in effetti sanno molto di cortina fumogena, di espediente per placare quella parte di opinione pubblica che fa fatica a digerire personaggi come Adelson. Il vero problema infatti è un altro. Non si capisce perché debba esistere un “magnate” del gioco d’azzardo. Quali competenze, quali capacità manageriali, quali know-how, sarebbero necessari per impiantare un casinò? Mica è uno stabilimento della Volkswagen.
Gestire il gioco d’azzardo in realtà non richiede nessuna competenza; semmai la “competenza” consiste nell’accaparrarsi questa gestione, cioè nell’impedire materialmente ad altri di soffiarti l’affare. Non per niente il gioco azzardo in passato o era un affare del crimine organizzato, oppure era un monopolio dello Stato. Oggi capita però che lo Stato ed il crimine organizzato si mettano d’accordo per gestire insieme il business; ed è appunto il caso del “cartello” (o “criminal conspiracy”?) Rajoy-Adelson.