I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

   

 

 

I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

 

di Marcello Pamio – 27 novembre 2012 – tratto da Effervescienza nr. 46 l’inserto di Biolcalenda mese ottobre 2012 – www.labiolca.it/effervescienza

 

“La pubblicità può essere descritta come la scienza di fermare l’intelligenza umana abbastanza a lungo da ricavarne denaro”, Stephen Leacock

 

Nel 1957 il giornalista Vance Packard scrisse “I persuasori occulti”, un libro che svelava i trucchi psicologici e le tattiche usate dal marketing, per manipolare le nostre menti e convincerci a comprare.

Libro inquietante per l’epoca. Oggi però, i pubblicitari sono diventati più bravi, furbi e spietati.

Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato.

Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare.

Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”.

Il Kids marketing

Gran parte del budget del marketing è impiegata per impiantare i brand (marchi) nel cervello dei piccoli consumatori, perché le nostre preferenze per i prodotti attecchiscono dentro di noi ancora prima di nascere. Il linguaggio materno è udibile dall’utero, ma quello che non si sapeva è che la musica lascia nel feto un’impressione duratura in grado di plasmare i gusti che avranno da adulti.

Le ultime scoperte confermano che ascoltare reclame e jingle pubblicitari nell’utero ci predispone favorevolmente nei confronti dei brand associati. Il marketing lo sa e ha iniziato ad escogitare modi per capitalizzare tale spregiudicato fenomeno…

Con il kids marketing si coinvolgono i bambini nei giochi, monitorando il loro comportamento e preferenze, il tutto per aggiornare gli assortimenti dei supermercati: ridisegnare forma e colore degli scaffali, arricchire i totem posizionati di fianco alle casse, ecc. Non a caso giocattoli e merendine sono disposti a circa un metro da terra, alla portata dei più piccoli.

I bambini sotto i tre anni (guardano 40.000 spot pubblicitari all’anno e conoscono più nomi di personaggi pubblicitari che animali), solo negli USA, rappresentano un mercato da 20 miliardi di dollari!

A 6 mesi i bambini sono in grado di formarsi un’immagine mentale di loghi, e infatti i biberon e passeggini vengono decorati con personaggi ad hoc. I loghi riconosciuti a 18 mesi saranno preferiti anche da adulti.

Per finire, condizionando i bambini agli acquisti si condizionano anche i genitori: il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto a un bambino e una madre su due compra un alimento che è stato chiesto dal figlio.

Marketing della paura e nostalgia

La paura è un’emozione che stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del combatti o fuggi. Tale riflesso produce a sua volta un altro ormone, l’epinefrina che determina un piacere estremo. Il sangue affluisce ad arti e muscoli, per cui il cervello ne sarà privato, e questo ci rende incapaci di pensare con lucidità: la paura è persuasore molto efficace (psicofarmaci, vaccini, ecc.). Le case farmaceutiche spendono decine di miliardi di dollari per inventare nuove malattie e alimentare le nostre paure. Risultato? Le vendite di farmaci da ricetta in America raggiungono i 235 miliardi di dollari all’anno.

Spesso l’approccio consiste nell’evocare emozioni negative, indi presentare l’acquisto del prodotto come l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione. Pubblicità più sofisticate adoperano invece l’umorismo come rinforzo positivo: far ridere è un ottimo mezzo per far simpatizzare con il prodotto.

Viceversa, struggersi nei ricordi migliora l’umore, l’autostima e rafforza le relazioni.

La nostra predilezione per la nostalgia dipende dal fatto che il cervello è programmato per ricordare le esperienze passate come più piacevoli di quanto le avessimo ritenute nel momento. Tendiamo a valutare gli eventi passati in una luce più rosea.

Anche la nostra età percepita è un fattore cruciale nelle decisioni di acquisto: più invecchiamo e più rimpiangiamo il passato. Il “marketing della nostalgia” è una strategia di grande efficacia, con cui i pubblicitari riportano in vita immagini, suoni e spot del passato per venderci un brand.

Le dipendenze

I cibi ricchi di grassi e zuccheri (cioccolate, patatine, merendine…) sono tra i prodotti che generano più dipendenza. Le aziende arricchiscono appositamente i loro prodotti con sostanze che creano assuefazione (glutammato monosodico, caffeina, sciroppo di mais, aspartame, zucchero).

Uno studio pubblicato su “Nature Neuroscience”, dimostra che questi alimenti agiscono sul cervello in modo quasi identico alla cocaina e all’eroina!

Lo zucchero stimola la secrezione della dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, mentre la caffeina ne inibisce il suo riassorbimento, facendoci sentire briosi e vivaci, e dall’altra stimola l’adrenalina che ci fa sentire carichi.

Anche i giochi danno una dipendenza fisiologica fortissima, il cervello infatti reagisce rilasciando più dopamina. Per questo le aziende cercano di aumentare le vendite di Playstation e Wii, anche perché hanno scoperto che quando i giochi sono progettati a dovere, non fanno sviluppare soltanto una dipendenza dal gioco stesso, ma possono riprogrammare il cervello rendendo dipendenti dall’atto di comprare, dallo shopping.

Usano i videogiochi per trasformarci in drogati dello shopping: brandwashing.

Vanity sizing

È un bieco trucco con cui alcuni negozi vendono abiti più larghi per farci credere di indossare una taglia più piccola.

Le taglie riportate nelle etichette di abbigliamento spesso non corrispondono a quelle reali: sono di una taglia più bassa. Il neuromarketing sa benissimo che ambo i sessi comprano più volentieri un prodotto che li fa sembrare più magri, anche se ciò non è vero.

Celebrity marketing

Sfruttano la fama delle celebrità (attori, sportivi, ecc.) per lavarci il cervello, perché un prodotto associato a una persona famosa esercita un ascendente subliminale potentissimo.

Il “celebrity marketing” fa leva sul fatto che sogniamo di diventare famosi, belli e popolari, vogliamo essere loro o almeno essere come loro.

Non a caso il numero delle persone famose si è moltiplicato negli ultimi anni, grazie a programmi creati ad arte: reality show, intrattenimento, ecc. Aumentano i testimonial per poterli usare per la pubblicità.

Data mining

Si tratta di un business enorme che consiste nel tracciare e analizzare il comportamento dei consumatori, per poi categorizzare ed elaborare i dati e usarli per persuaderci a comprare e, a volte, a manipolarci.

Le aziende possono conoscere le nostre abitudini, l’etnia, il sesso, l’indirizzo, il telefono, il numero dei componenti della famiglia e molto altro ancora. Il nome tecnico è “Ricerca motivazionale”, e in pratica vanno alla ricerca delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti di acquisto dei consumatori.

Analizzando i dati delle carte fedeltà e incrociandoli con quelli delle carte di credito, è possibile scoprire delle cose inquietanti su tutti noi.

I “programmi fedeltà” infatti esistono solo per persuaderci a comprare di più.

Ogni volta che usiamo tali carte, viene aggiunta al nostro archivio digitale l’indicazione di quello che abbiamo comprato, le quantità, l’ora, il giorno e il prezzo. Quando usiamo le carte di credito, l’azienda archivia la cifra e la tipologia merceologica: ad ogni transazione è assegnato un codice di quattro cifre che indica la tipologia di acquisto.

Dove questi dati vadano a finire è facile da immaginare.

Percorsi e orientamento

Sapevate che si spende di più se ci muoviamo nel negozio in senso antiorario?

Il braccio destro ha più margine di movimento per afferrare i prodotti; la guida delle auto, tranne alcuni Pesi, è a destra e leggiamo da sinistra a destra, per cui i nostri occhi tendono a seguire questo movimento anche quando si è davanti a uno scaffale.

I supermercati sono pensati per favorire la circolazione dei clienti da destra a sinistra, col risultato che le cose più acquistate sono sempre sugli scaffali a destra. Le grosse industrie, sapendo questo, posizionano i loro prodotti civetta sempre a destra.

La porta d’ingresso è sempre a destra, e questo è un modo subdolo nel determinare il flusso d’acquisto antiorario.

Infine i percorsi contorti all’interno servono per farci camminare lentamente, e più lentamente ci muoviamo, più prodotti vedremo… e saremo tentati di comprare.

I beni di prima necessità come sale, zucchero, ecc., sono posizionati lontanissimo dall’ingresso e difficili da scovare, obbligandoci a ripercorrere più volte le corsie facendoci girare l’intero supermercato. Addirittura in molti supermercati cambiano di posto i prodotti una volta al mese, per impedirci di trovare facilmente quello che cerchiamo.

L’istituto ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato, ha messo a punto un dispositivo per registrare ciò che il cliente guarda da quando entra a quando esce, scoprendo che l’area più osservata negli scaffali è a circa 20 centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo.

Un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima probabilità d’essere notato e quindi di essere acquistato.

La musica è servita

Quale musica è meglio: rock, metallica, samba o sinfonica?

A questo ci pensano aziende come Muzak, gli “architetti audio”, che hanno progettato 74 programmi musicali in 10 categorie diverse, che spaziano dal rock, alla classica, e tutte sortiscono un effetto psicologico ben preciso e diverso.

Anche la velocità e il ritmo sono importanti. Nei supermercati la musica è lenta perché dobbiamo muoverci più lentamente per comprare di più, mentre nei fast-food e ristoranti è più veloce allo scopo di accelerare il ritmo della masticazione, in questo modo ci spingono ad andarcene prima per servire più clienti.

I carrelli della spesa

Nel 60% dei carrelli si trovano batteri coliformi, gli stessi dei bagni pubblici. Uno studio ha trovato più batteri di tutte le altre superfici analizzate, inclusi water e poggiatesta dei treni.

Il carrello è stato inventato nel 1938, con l’unico intento di stimolare gli acquisti, e nel corso degli anni le dimensioni sono aumentate permettendo di contenere più prodotti.

Oggi si trovano carrelli di dimensione ridotta dedicati ai bambini, e in questa maniera da una parte vengono abituati e indottrinati fin da piccoli a usarlo, dall’altra possono riempirlo con i prodotti posizionati alla loro altezza.

Esposizioni

Le industrie pagano per posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente dalle persone: un metro e mezzo da terra, a destra e a fine corsia.

Posizionano a fine corsia, dove c’è anche più spazio, prodotti ad alto profitto, come le cioccolate e che ispirano acquisti compulsivi.

Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelle esposizioni di fine corsia, rispetto quelli a metà corridoio, perché si pensa che “il vero affare è alla fine”.

Attenzione agli amici

Paradossalmente il persuasore occulto più potente sono proprio gli amici. Il marketing e le aziende non possono nulla in confronto all’influenza esercitata da un consumatore sull’altro. Nulla è più persuasivo quanto osservare una persona che conosciamo e rispettiamo intenta a usare un prodotto.

Quando un brand ci è raccomandato da un’altra persona, nel nostro cervello le aree razionali e procedurali si disattivano. Tali meccanismi spiegano come mai la pubblicità basata sul passaparola ci resta in testa per settimane, mentre non ricordiamo gli spot televisivi visti alla mattina.

Conclusione

Aveva ragione Edward L. Bernay, padre della Propaganda, quando scrisse nel 1928 che “gli uomini raramente sono consapevoli delle vere ragioni che stanno alla base delle loro azioni”.

Questo articolo è incompleto perché il materiale su tali argomenti è faraonico, ma dopo questa lettura forse saremo un po’ più consapevoli del piano diabolico del neuromarketing.

La consapevolezza, assieme a un percorso di crescita evolutivo-spirituale, rimangono gli strumenti più potenti per difendersi dalla persuasione… e non solo.

Partendo da hic et nunc, qui e ora, è molto importante essere presenti il più possibile nella nostra vita. La tv, in quanto strumento principe della manipolazione, meno la guardiamo e meglio è per tutti, soprattutto per i bambini. Infine, evitare di fare la spesa durante gli orari di pranzo e cena, perché lo stimolo della fame incentiva acquisti compulsivi, non usare il carrello e portarsi sempre la lista della spesa.

Questi consigli sono banalità o possono far tremare i polsi alle multinazionali? Lo sapremo solo se li metteremo in pratica…

Parlerà tedesco il nuovo canone Rai

Parlerà tedesco il nuovo canone Rai

Parlerà tedesco la nuova normativa per il canone della Rai. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, il ministero dell’Economia, che è l’azionista della televisione di Stato, sta mettendo a punto una proposta di legge per trasformare il vecchio canone di Viale Mazzini da tassa di possesso a verocontributo obbligatorio di servizio pubblico.

E la base per la nuova normativa, che punta a dare un colpo all’evasione dell’ex abbonamento, stimata dagli uffici del Tesoro al 25%, verrà mutuata da una legge che sta per entrare in vigore in Germania, dove da anni ci si trova a fronteggiare un tasso di renitenti al canone molto alto. Proprio il governo di Angela Merkel è riuscito a far passare una riforma che svincola il pagamento del servizio dal possesso effettivo dell’apparecchio tv. In altri termini, il canone viene trasformato in un «contributo infrastrutturale» che tutti i coabitanti di uno stesso alloggio sono tenuti a pagare per avere la possibilità di ricevere il segnale e godere del servizio pubblico radiotelevisivo. Su tutta la materia vigila nel Paese dei lander l’autorità di servizio tedesca (GEZ) che gestirà dal prossimo anno il «rundfunkbeitrag», appunto il contributo, con tanto di campagna di convinzione: nella home page della GEZ campeggia inquietante uno spazio intitolato proprio alle nuove modalità di pagamento (Der Rundfunkbeitrag kommt!). 

La storia dell’evasione del canone alla televisione tedesca ricorda un po’ quella che stanno affrontando da pochi mesi i nuovi vertici della Rai, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, rispettivamente presidente e direttore generale. In Germania, al pari del sistema italiano, i cittadini sostengono ogni anno un canone tv pari a 215,76 euro per la visione di soli due canali pubblici (Ard e Zdf, oltre alla radio federale Deutschlandfunk). Dal 1° gennaio 2013, invece, il canone-tassa sarà sostituito da untributo-imposta fisso per ogni residenza e questo indipendentemente dal numero o dalla presenza di un apparecchio radiotelevisivo in grado di ricevere o meno i programmi. Ai servizi di informazione pubblica, così, viene attribuito un valore culturale nazionale, più o meno quello che vuole fare il Tesoro italiano e che potrebbe prendere corpo a breve almeno come tema di discussione nei prossimi cda.

Con un provvedimento alla tedesca, il vecchio abbonamento Rai (termine che tra l’altro verrà presto bandito da tutti i siti informativi di Viale Mazzini perché ha sempre lasciato intendere una discrezionalità nel pagare o meno) di 112 euro potrebbe essere pagato in banca con un modulo F24. Su questo punto ci sarebbe già un parziale assenso tra i consiglieri del Pdl mentre la questione non è stata ancora affrontata ai massimi livelli. Qualcuno, come in Germania, potrebbe eccepire l’eventualità di incostituzionalità della norma. A Berlino il governo ha avuto l’ok da autorevoli costituzionalisti, che anzi hanno caldeggiato l’applicazione della riforma del canone televisivo, che consentirà alla Merkel di aumentare gli attuali incassi di 8-10 miliardi di euro, pizzicando gli oltre 3 milioni gli evasori stimati.

Istat: ad ottobre 2,9 mln di disoccupati, è massimo storico.

Istat: ad ottobre 2,9 mln di disoccupati, è massimo storico. A novembre frena l’inflazione

Ormai è dramma lavoro in Italia. L’Istat ha reso noto che ad ottobre il tasso di disoccupazione ha superato la soglia dell’11%, raggiungendo l’11,1%, in rialzo di 0,3 punti percentuali su settembre e di 2,3 punti su base annua. E’ il tasso più alto da gennaio 2004 ovvero dall’inizio delle serie storiche mensili. Buone notizie invece sul fronte dei prezzi. A novembre l’inflazione ha rallentato ed è passata al 2,5% dal 2,6% di ottobre. Stessa dinamica per il rincaro del carrello della spesa che tuttavia è risultato superiore all’inflazione generale e pari al 3,5%.

Quasi 2,9 milioni i disoccupati, è il massimo storico
 – Il numero dei disoccupati a ottobre e’ di 2 milioni e 870 mila. E’ il livello più alto sia dall’inizio delle serie storiche mensili, gennaio 2004, sia dall’inizio delle serie trimestrali del 1992.

Disoccupazione giovanile al 36,5% 
– Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a ottobre è al 36,5%, è il livello più alto sia dall’inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia dall’inizio delle serie trimestrali, IV trimestre 1992. L’Istat ha aggiunto che tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 639 mila . Il tasso di disoccupazione under 25 risulta così in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,8 punti nel confronto tendenziale. Analizzando i dati relativi al terzo trimestre 2012, invece, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 26,5% del terzo trimestre 2011 al 32,1%, con un picco del 43,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Nel complesso nel terzo trimestre il numero dei disoccupati manifesta un ulteriore forte aumento su base tendenziale (+30,6%, pari a 581.000 unità). La crescita, diffusa su tutto il territorio nazionale, interessa entrambe le componenti di genere e in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita, spiega l’Istituto di statistica, è dovuta in un caso su due a quanti hanno perso la precedente occupazione. Il tasso di disoccupazione medio trimestrale (dati grezzi), fa sapere sempre l’Istat, è pari al 9,8%, in crescita di 2,1 punti percentuali rispetto a un anno prima. Nel dettaglio, l’indicatore passa dal 6,7% del terzo trimestre 2011 all’8,8% per gli uomini e dal 9% all’11% per le donne. 
Record dei lavoratori precari – Nel terzo trimestre i dipendenti a termine sono 2 milioni 447 mila a cui si aggiungono 430 mila collaboratori, sommando le due categorie si arriva a 2 milioni 877 mila lavoratori precari, il massimo dall’inizio delle serie trimestrali  del 2004. Se si guarda solo ai dipendenti a tempo il record è dal terzo trimestre del 1993. 
Ad ottobre quasi 644.000 disoccupati in più  rispetto al 2011 – A ottobre rispetto a settembre si è registrato un aumento di 93.000 disoccupati mentre rispetto a ottobre 2011 i senza lavoro in più sono 644.000 (+28,9%). Il dato è il risultato del calo degli inattivi (ovvero dell’aumento di coloro tra i 15 e i 64 anni che entrano nel mercato del lavoro) pari a 611.000 unità a livello tendenziale. Gli occupati sono a quota 22.930.000 unità, sostanzialmente stabili su settembre (-8.000 unita) e in lieve calo su ottobre 2011 (-45.000 su ottobre 2011). Il lieve calo degli occupati è da imputare alla diminuzione dell’occupazione maschile (-184.000 unità sull’anno) e all’aumento di quella femminile (+138.000 unità sull’anno).
Riforma pensioni incide sui dati – I dati su occupazione e disoccupazione risentono fortemente della permanenza al lavoro degli occupati più anziani grazie all’inasprimento delle regole per l’accesso alla pensione (per ora solo quelle delle riforme Damiano-Sacconi mentre per la riforma Fornero gli effetti si sentiranno dal 2013). Per i giovani che entrano nel mercato (passando dall’inattività all’attività) in molti casi il passaggio è direttamente verso la disoccupazione.
Inflazione, a novembre frena al 2,5% –  A novembre il tasso d’inflazione annuo registra un nuovo, anche se lieve, rallentamento, fermandosi al 2,5% dal 2,6% di ottobre, e così tornando al livello di marzo 2011. Lo rileva l’Istat nelle stime preliminari. Su base mensile i prezzi risultano in calo dello 0,2%. La frenata è dovuta soprattutto al calo dei carburanti. 
Rincaro carrello della spesa al 3,5% – A novembre il rincaro annuo del cosiddetto carrello della spesa, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (da cibo a carburanti), è del 3,5%, un rialzo superiore all’inflazione (2,5%), ma inferiore rispetto a quanto segnato a ottobre (4,0%). Lo rileva l’Istat nelle stime, aggiungendo che su base mensile si registra un calo (-0,1%). 
Nessuna frenata sugli alimentari – Si comincia a registrare complessivamente un andamento dei prezzi al consumo coerente con la forte contrazione di mercato ma, “seppure in lieve frenata, l’inflazione al +2,5% determinerà ricadute di +746 euro annui a famiglia, pari a oltre 48 giorni di spesa alimentare di una famiglia media”. Lo sottolineano in una nota i presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, evidenziando che “tale adeguamento al ribasso, però, non riguarda i beni di prima necessità, specialmente quelli del settore alimentare, per i quali non risulta alcuna frenata”. Per le due associazioni “é indispensabile agire per risollevare il potere di acquisto delle famiglie, specialmente di quelle a reddito fisso. 
 

Topolino, clamoroso autogol

Topolino, clamoroso autogol

Sportal
“Io non rubo il campionato, ed in serie B non son mai stato”. Parole di Stefano Belisari, in arte Elio (senza le storie tese). Voce di Graziano Romani. “Cantassero quello che vogliono”, pensa il tifoso juventino. E ci mancherebbe: trattasi di “C’è solo l’Inter”, vecchio inno – rispolverato – della società meneghina.

La polemica monta, però, quando ad usare certi termini non è un attore parziale. Quando poi a compiere lo scivolone è il giornalino Topolino, un velo di stupore mista a indignazione non può che investire i lettori calcisticamente più sfegatati. All’interno del numero del celebre fumetto in edicola questa settimana, Paperino e Paperoga assistono al derby della Mole in versione disneyana – quello “in carne ed ossa” è previsto per sabato sera – e alle loro spalle compare uno striscione recante la scritta “Rubentus”. Nella storia, infatti, così viene ribattezzata la Vecchia Signora (il Torino si trasforma in “Corino”).

I tifosi juventini suonano la carica, ritenendo inaccettabile uno sgarbo sportivo di questo livello. Sul web l’insurrezione si è ormai gonfiata a dismisura tra chi invita ad un boicottaggio del giornalino e chi propone querele ai danni dell’autore. Tale Zoro commenta: “Non è questione di chi si tifi o meno, ma un giornale per bambini non può scrivere queste cose. Dovrebbe insegnare i valori dello sport non creare tensioni”. Gli fa eco il complottismo di annapina: “Topolino vuole indirizzare il sentimento popolare dei baby lettori”. Infuriato PirrO: “Querelare Topolino di m…”. Daniele Genesio esprime il suo dissenso tramite facebook: “Siete tutti delle m…, potevano mettere la Rubinter o la Rubilan. Fiero di essere gobbo! E di certo ai miei figli non comprerò mai questo giornalino di m…”.

Per la cronaca: nella storia Paperino è juventino, Paperoga torinista. Da buoni cugini
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L’Onu battezza la Palestina “Stato osservatore”

L’Onu battezza la Palestina “Stato osservatore”, ma Israele amplia gli insediamenti dei coloni

Con 138 voti favorevoli, 9 contrari e 41 astenuti, la Palestina è da giovedì un “Paese osservatore non membro” delle Nazioni Unite: come previsto, l’Assemblea generale ha approvato a larga maggioranza la risoluzione presentata dall’Autorità nazionale. Un’iniziativa diplomatica decisa per raggiungere due obbiettivi principali, ovvero sbloccare il processo di pace e rafforzare la posizione del suo presidente Abu Mazen, ma che non è priva di incognite. Sbollito l’entusiasmo, non è infatti detto che l’Anp si trovi in una migliore condizione rispetto agli obbiettivi della risoluzione. Innanzitutto, rimane irrisolta la questione legata all’unità del fronte palestinese: Hamas – che non ha mai visto di buon occhio l’iniziativa diplomatica, finendo per aderirvi a malincuore – continua a dominare la Striscia di Gaza, e agli occhi di buona parte dell’opinione pubblica araba incarna la vera resistenza contro Israele.
Israele costruirà 3.000 nuovi alloggi in Cisgiordania – Pronta la risposta di Israele che ha deciso di costruire 3mila nuove unità abitative per i coloni a Gerusalemme est e in Cisgiordani. E’ quanto ha rivelato un responsabile israeliano all’Afp. Alla domanda se poteva confermare un tweet in tal senso del corrispondente del quotidiano israeliano Haaretz, la fonte ha risposto: “E’ vero. A Gerusalemme est e in Cisgiordania”.
La pace è ancora lontana – E’ quindi probabile che lo Stato ebraico – che ha sottolineato come la decisione dell’Onu non cambi di una virgola la situazione sul terreno – non si veda per nulla costretto a tornare troppo in fretta al tavolo negoziale, non solo approfittando della persistente frattura tra le fazioni palestinesi ma sostenuto anche dal “no” statunitense alla risoluzione e da un’altra pericolosa divisione, quella all’interno dell’Unione Europea. Se Bruxelles non è in grado di fare da contrappeso a Washington nella regione, l’unica forza in grado di smuovere le acque non è certo il Palazzo di Vetro ma rimane la Casa Bianca. Il primo mandato dell’Amministrazione Obama a dire il vero non ha certo giustificato le speranze riposte quattro anni fa per una rapida (nei limiti del possibile) soluzione “dei due Stati”: e al momento, la posizione ufficiale americana rimane quella difesa anche da Israele, ovvero che da un coinvolgimento dell’Onu – passando così da un conflitto “privato” ad uno con un potenziale scenario internazionale, soprattutto da un punto di vista legale – il processo di pace ha poco da guadagnare.
Palestina potrà aderire anche alla Corte Penale Internazionale – La “statehood” palestinese infatti non cambia nulla sul terreno (di fatto, certificherebbe la creazione di uno Stato palestinese sulla cui necessità tutte le parti si dicono d’accordo) ma permetterebbe alla Palestina di aderire a tutte le istanze che dipendono dall’Onu come ad esempio la Corte Penale Internazionale: di qui la – non semplice, data la mancanza di precedenti e la vaghezza della giurisdizione – possibilità di coinvolgere i dirigenti dello Stato ebraico in processi relativi a crimini di guerra o contro l’umanità. Un’iniziativa che creerebbe a Israele sicuramente dei danni di immagine – come già accaduto in occasione del “Muro di separazione”, senza peraltro nessuna conseguenza pratica – ma che potrebbe anche essere sfruttata da un governo recalcitrante per bloccare ulteriormente il progresso dei negoziati: si spiega dunque lo sforzo da parte degli Stati Uniti e dei partner europei di convincere Ramallah a rinunciare a questa ipotesi.
Non c’è da attendersi alcun progresso nel processo di pace – La Cpi passerebbe dunque a far parte dell’arsenale di armi se non proprio spuntate di utilizzo più che dubbio destinate a far ripartire un processo impantanato da oltre due anni: anche Washington del resto ha una sola vera fiche da giocarsi presso Israele, ovvero una soluzione alla questione iraniana, che rischia però di aprire la possibilità di un conflitto – oltretutto nel cuore di una zona petrolifera fondamentale – che nessuno vuole. Lo stesso Stato ebraico sconta la mancanza di una alternativa moderata ai governi guidati dalla destra nazionalista e religiosa, che non hanno alcuna intenzione di alienarsi i voti dei coloni. In un tale panorama in cui da entrambe le parti i falchi dominano sulle colombe non occorre attendersi alcun progresso, almeno in tempi brevi: la soluzione dei due Stati è oggi nata, forse prematuramente, ma anche solo tenerla in vita fino a tempi più propizi non sarà semplice.

Bersani: “Le regole non si cambiano in corso d’opera”. Renzi: “Mi attaccano ma sarà un boomerang”

Bersani: “Le regole non si cambiano in corso d’opera”. Renzi: “Mi attaccano ma sarà un boomerang”

Con la clessidra che continua a segnare il tempo mancante al voto di domenica, lo scontro tra i due contendenti rimasti in campo per le primarie del Centro Sinistra si fa più aspro. “Le regole non si cambiano in corso d’opera. Se si fa una partita a pallone c’é il primo tempo e il secondo con le stesse regole”, ribadisce il segretario del Pd Pier Luigi Bersani a Repubblica Tv. “Le ho volute io queste primarie. Ma di cosa stiamo parlando? Io potevo essere il candidato del Pd senza tutta questa cosa. Ho forse paura che i tre milioni diventino quattro?”, dice, replicando allo sfidante per il ballottaggio, Matteo Renzi.
Bersani: “Adeguarsi alle regole” – “Questa leggenda metropolitana per cui avrei paura della partecipazione andrà smentita: ho vinto ovunque nelle grandi città. E’ un’accusa ridicola”, aggiunge il segretario del Pd, che puntualizza: “Voglio che si capisca, al prossimo giro, che le regole vengono prima del consenso”. Insomma, per Bersani “Le nostre primarie sono aperte, ma non sono un porto di mare. La gente si adeguerà alle regole”.
Renzi: “Sarà un boomerang” – Secca la risposta di Renzi. “Con questa caccia alle streghe stanno facendo il male di se stessi e del Pd. E’ un boomerang che spero non gli si ritorca contro. Forse aiuterà Bersani ad avere un paio di punti in più domenica sera ma non l’aiuterà a vincere poi le elezioni”. E’ quanto afferma all’Unità il sindaco di Firenze Matteo Renzi. “Io non ho violato nulla, stanno cacciando elettori che vorrebbero votare al ballottaggio: così prendono consensi ora e perdono le elezioni poi”. Sull’accusa di inquinare le primarie, il sindaco di Firenze replica: “E’ tutto molto triste, francamente non penso di meritare questo atteggiamento” “e pensare – aggiunge – che sono andato io ad abbracciare Bersani dopo il confronto tv. Certe cicatrici si rimargineranno a fatica. Sei milioni di italiani, più del doppio di quelli che sono andati a votare alle primarie – continua Renzi -, hanno visto il confronto tv, vogliamo parlare solo a chi è andato alle primarie o a tutti? Le elezioni questi le vogliono vincere o no?. C’é da fare attenzione – sottolinea quindi – perché le frasi che vengono dette oggi non so se cambieranno l’esito del ballottaggio, ma rischiano di avvelenare il clima per dopo. Se vincono loro avranno bisogno di un aiuto. E davvero pensano di chiedere un aiuto a chi hanno insultato?, ma noi – assicura – saremo leali”. Sull’ipotesi di un ticket con Bersani , Renzi afferma: “Partendo dal fatto che il ticket non esiste, non credo che i bersaniani ritengano i miei elettori una risorsa per il centrosinistra”.
Renzi: “Dal segretario mi aspettavo qualità umane diverse” – “Un mio difetto è che sono molto testardo, un mio pregio è che mi piace sapere ridere di me. In quanto a Bersani il pregio è sicuramente la solidità, il difetto è che mi aspettavo qualità umane diverse”: così Matteo Renzi a Rtl 102.5. Cosa farà lunedì mattina? è stato chiesto al ‘rottamatore’. “Lunedì mattina andrò a lavorare a Firenze, perché ho lasciato un po’ di cose in sospeso in città. Se vinciamo prendiamo il treno, andiamo a Roma ed iniziamo a lavorare alla campagna elettorale, se perdiamo augureremo buon lavoro a Pierluigi Bersani”. “Bersani? A me piace molto, soprattutto Samuele”, ha poi detto scherzosamente Renzi, ospite de ‘Il treno delle 8’ a Radio Kiss Kiss Italia. Renzi ha scelto una playlist di canzoni trasmesse durante il programma, fra cui ‘Non e’ tempo per noì di Ligabue (“il Liga è una garanzia”, ha detto), e ‘Giudizi universali’ cantata proprio da Samuele Bersani, omonimo del Pierluigi segretario Pd e avversario alle primarie.
Bersani: “Sfumature di destra in Renzi” – Ma il segretari del Pd qualche frecciatina all’antagonista continua a tirarla. Matteo Renzi è un po’ di destra? “Qualche inflessione, qualche meccanismo che viene detto come ‘nuovo’ e che abbiamo sentito troppo spesso in questi anni io lo sento anche nelle sue parole”, si lascia sfuggire Bersani a Repubblica.it. “Ma questo ci sta. E’ un elemento di discussione nel mio partito”, puntualizza il segretario che cita i guasti degli anni ’80, ”della destra” che “ci ruba le parole e usa la parola ‘merito’ per giustificare il potere dei più forti” e negare il merito, “quello vero, dei più deboli”.
Bersani: “Vendola deve avere un ruolo” – Il leader del Pd si esprime anche sul suo legame con Vendola. “Io e Vendola ci parliamo spesso, ci stimiamo, non abbiamo mai parlato in termini di ‘seggiole’, parliamo di politica”, afferma. Vendola – spiega – ai miei occhi dovrà avere un ruolo in questo paese: parliamo di uno che sta governando una Regione, ma se questo appare come se stessimo facendo chissà quale inciucio é deludente come ricostruzione. Oggi essere riformisti vuol dire mettere dentro degli elementi di radicalità, a cominciare dai temi dei diritti e dell’uguaglianza”. Il segretario del Pdl poi torna sulle parole a lui riferite dal governatore pugliese. “Se non ci fosse un po’ di profumo di sinistra mi troverei a disagio io stesso: vuol dire un po’ di eguaglianza, di diritti, un po’ di lavoro. E un po’ di idealità”.
Bersani: “Contributi ai sensi di legge” – Quanto alla spinosa questione dei finanziamenti dell’Ilva i “contributi sono stati dati ai sensi di legge e spesi ai sensi di legge. Se qualcuno pensa che io sia venuto meno ai miei doveri non ha che da dirlo. Io lo querelo – puntualizza Bersani – e vediamo se la cosa è vera. Se c’é chi conosce le cose, è la gente del quartiere Tamburi. Io ho avuto il 67,9 per cento al quartiere Tamburi. Nessuno può dire che nell’esercizio della mie funzioni mi sono fatto influenzare da chiunque. Questo è certo”, conclude Bersani .
“Più lotta all’evasione anziché aumentare le tasse ai ricchi” – Ci vuole più lotta all’evasione piuttosto che aumentare le tasse su chi già paga. Lo dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani nel corso de “La Telefonata” di Maurizio Belpietro a proposito della proposta di Nichi Vendola di aumentare le tasse sui redditi più alti. “No – dice Bersani – io metto al primo posto il recupero dalla lotta all’evasione. Sono sempre dell’idea che c’é chi paga e non dobbiamo continuare a bastonare chi paga”. Per quanto riguarda la soglia per il pagamento in contanti Bersani si è detto d’accordo con il principio indicato dal leader si Sel, purché ci si arrivi con “gradualità”. “Io dico che 1.000 euro è troppo alto, dopo di che si può graduare. Bisogna anche creare un’abitudine”.

DALLA GREEN ALLA BLUE ECONOMY

DALLA GREEN ALLA BLUE ECONOMY

 

di Pietro Mezzi

 

Legambiente, importante associazione ambientalista nazionale, lo dice chiaramente: “Gli investimenti idrici sono il secondo pilastro della green economy, al fianco di quelli energetici”. Insomma, per l’associazione del cigno verde non basta aver vinto i referendum del giugno 2011. “Ora – afferma Damiano Di Simine, presidente dell’associazione ecologista lombarda – dobbiamo affrontare i problemi, seri e urgenti, della gestione idrica del nostro Paese. L’inquinamento di falde e acque superficiali, insieme ai ricorrenti fenomeni di carenza, rappresentano un’assoluta emergenza. Le direttive comunitarie ci costringono giustamente a bruciare le tappe nel realizzare le necessarie opere di collettamento e depurazione. E il deficit infrastrutturale si misura su cifre del valore di diversi miliardi di euro: 60. Stiamo parlando della più grande opera infrastrutturale italiana, da realizzare in tempi rapidi e con centinaia, migliaia di cantieri da aprire, per costruire depuratori e collettori, mettere mano a reti fognarie da cui colano liquami, separare le acque nere dalle acque bianche, gestire le piene. Opere pubbliche ma anche azioni private da incentivare: per attrezzare le case, le fabbriche, le città affinché gli usi dell’acqua siano più efficienti, riducendo sprechi e impropri conferimenti in fogna, gestendo le acque di pioggia, rimuovendo inutili superfici impermeabili, riciclando le acque grigie”.

Fin qui gli ambientalisti. A sostenere le loro tesi ci sono le posizioni ufficiali di Federutility. La federazione che raggruppa 451 imprese italiane di servizi pubblici locali dei settori acqua ed energia, nel riconoscere che negli ultimi anni il servizio idrico nazionale è migliorato, sostiene che esiste ancora un problema legato alle perdite delle reti idriche. “Per superare tale deficit – afferma Adolfo Spaziani, direttore generale della Federazione – occorrono forti investimenti e regole certe per il settore. In Italia servirebbero 4 miliardi di investimenti l’anno. Ma tale azione è rallentata per mancanza di norme chiare e stabili”. Federutility stima in 4,5 i miliardi di progetti già cantierabili, che potrebbero generare 60.000 nuovi posti di lavoro. Ma le risorse economiche necessarie non si possono attivare a causa della scarsa affidabilità del settore. “Il settore idrico in questi anni – prosegue Spaziani – è stato considerato affidabile dagli investitori solo grazie al rating delle aziende più grandi quotate in Borsa, ma ora non è più così. Siccità e fragilità idrogeologica del nostro territorio richiedono risposte urgenti. Le istituzioni sono chiamate a comporre finalmente un quadro regolatorio che garantisca i meccanismi di credito e finanziamento indispensabili al comparto”.

“A tutt’oggi – sostiene Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – gli investimenti programmati per i prossimi 30 anni ammontano a circa 64 miliardi di euro, 2,1 miliardi l’anno. La maggior parte di questi investimenti riguarda i servizi di depurazione, di fognatura (il 65% del totale) e il settore acquedottistico, soprattutto al Sud. Ma per fare questo occorre un profondo rinnovamento capace di coinvolgere le pubbliche amministrazioni, le società idriche, il settore delle costruzioni e i singoli cittadini”.

Un rinnovamento che l’Istituto di ricerche Ambiente Italia stima in 27 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, che potrebbero creare 45.000 nuovi posti di lavoro.

Onu, riconoscimento Palestina: l’Italia dirà sì. L’ira dell’ambasciatore israeliano: “Siamo delusi”

Onu, riconoscimento Palestina: l’Italia dirà sì. L’ira dell’ambasciatore israeliano: “Siamo delusi”

Il Governo italiano intende dare il proprio sostegno alla risoluzione per attribuire alla palestinese lo status di ‘Stato non membro osservatore’ delle Nazioni Unite. Lo riferiscono fonti di governo. La decisione dell’Italia di sostenere la richiesta palestinese all’Onu “non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele”, ha sottolineato il premier Mario Monti in una telefonata a Netanyahu garantendo “il forte impegno a evitare qualsiasi strumentalizzazione” contro Israele alla Cpi.
L’impegno italiano per rilanciare il processo di pace – La decisione “è parte integrante” dell’impegno italiano a “rilanciare il Processo di Pace con l’obiettivo di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, che possano vivere fianco a fianco, in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento. Nell’ultimo anno – ricorda la nota – “il Governo ha consolidato ulteriormente il rapporto già eccellente con Israele”, dove il premier si è recato due volte, ribadendo la centralità che per Italia e UE ha il Processo di pace. Il premier ha anche manifestato sostegno agli sforzi dell’Autorità Nazionale Palestinese e alla leadership moderata del Presidente Abbas (Abu Mazen) e del Primo Ministro Fayyad per riavviare il negoziato, contro ogni violenza ed a favore del dialogo come unica strada verso una soluzione duratura del conflitto. In questo contesto la decisione italiana – prosegue la nota – “é un incoraggiamento a proseguire sulla strada del dialogo e contro ogni estremismo”. D’altra parte, “la nascita di uno Stato di Palestina membro a pieno titolo ONU potrà arrivare solo ed esclusivamente con il negoziato e l’intesa diretta tra le parti”.
Ambasciatore Israele: “Delusi dall’Italia” –  E’ la reazione a caldo dell’ambasciatore israeliano a Roma all’annuncio del sì italiano al riconoscimento dello status della Palestina quale Stato non membro dell’Onu. Secondo l’ambasciatore Naor Gilon, “tale iniziativa indebolisce le relazioni tra israeliani e palestinesi fondate sugli Accordi di Oslo”. “Dopo quattro anni in cui i Palestinesi hanno rifiutato di tornare al tavolo negoziale – prosegue Gilon – assistiamo ora al tentativo palestinese di influenzare i risultati dei negoziati stessi per mezzo di istituzioni internazionali. Questa mossa, non soltanto non migliorerà la situazione sul terreno, ma aumenterà le preoccupazioni di un ritorno alla violenza e, soprattutto, allontanerà le prospettive di pace”.
La telefonata ad Abbas – Il Presidente Monti ha telefonato al Presidente Mahmoud Abbas e al Primo Ministro Benyamin Netanyahu per spiegare le motivazioni della decisione italiana, aggiunge il comunicato spiegando che l’Italia, in coordinamento con altri partner europei, ha “in parallelo chiesto al Presidente Abbas di accettare il riavvio immediato dei negoziati di pace senza precondizioni e di astenersi dall’utilizzare l’odierno voto dell’Assemblea Generale per ottenere l’accesso ad altre Agenzie Specializzate delle Nazioni Unite, per adire la Corte Penale Internazionale o per farne un uso retroattivo”. A Netanyahu Monti ha invece ribadito che la decisione “non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele”. Ed ha “garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale”.
L’Italia chiede ad Abbas di riavviare i negoziati – Nel sostenere la Risoluzione per lo status di ‘stato non membro’ dell’Onu alla Palestina, l’Italia, “in coordinamento con altri partner europei, ha in parallelo chiesto al Presidente Abbas di accettare – si legge in una nota di Palazzo Chigi – il riavvio immediato dei negoziati di pace senza precondizioni”. E, ancora, “di astenersi dall’utilizzare l’odierno voto dell’Assemblea Generale per ottenere l’accesso ad altre Agenzie Specializzate” Onu, “per adire la Corte Penale Internazionale o per farne un uso retroattivo”.Nel contempo il rappresentante dell’Anp a Roma Sabri Ateyeh ha fatto notare che la decisione dell’Italia di votare a favore della nascita della Palestina come ‘Stato non membro’ all’Onu riflette “lo spirito del Paese per la libertà ed il rispetto dei diritti umani” e testimonia la “vicinanza dell’Italia, da sempre, al processo di pace” in Medio Oriente.
Clinton: “Non aiuterà a raggiungere un accordo” – Secondo il segretario di Stato Hillary Clinton il riconoscimento dello stato della Palestina come osservatore non membro alle Nazioni Unite non aiuterà palestinesi e israeliani a raggiungere un accordo di pace duraturo fondato su due stati. La Clinton sottolinea che “il cammino verso una soluzione che preveda due stati e che soddisfi le aspirazioni del popolo palestinese é attraverso Gerusalemme e Ramallah, non New York”. L’unico modo – mette in evidenza Clinton – per una soluzione di lungo termine è attraverso trattative fra palestinesi e israeliani.
La Germania si asterrà – La Germania intanto ha già fatto sapere di avere intenzione di astenersi sulla richiesta palestinese di diventare “stato non membro osservatore” dell’Onu. Lo ha detto il ministro degli Esteri Guido Westerwelle.
I cittadini europei sono favorevoli – I cittadini dei paesi europei sono però in grande maggioranza favorevoli al riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro alle Nazioni Unite. Lo rivela un sondaggio condotto in Gran Bretagna, Spagna, Francia e Germania, pubblicato dal sito web del quotidiano spagnolo El Mundo. Il 76% degli spagnoli sono favorevoli a un’approvazione da parte del loro governo della risoluzione che sarà messa oggi ai voti all’Assemblea generale dell’Onu, che prevede un innalzamento dello status della Palestina, oggi riconosciuta come “entità” osservatrice. A favore sono anche i francesi (66%), i tedeschi (64%) e i britannici (58%). L’Europa però non si presenterà unita oggi al Palazzo di Vetro: mentre Francia e Spagna voteranno “sì”, la Gran Bretagna e la Germania si asterranno.
Le preoccupazioni di Usa e Israele – La preoccupazione principale per Israele e Stati Uniti è quella di vedere la Palestina entrare nella Corte penale internazionale (Cpi). Una sua ammissione non sarebbe automatica, ma dovrebbe essere approvata dall’Assemblea degli Stati Parte, vale a dire i paesi firmatari dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Cpi. La Cpi, incaricata dal 2002 di giudicare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, è indipendente dall’Onu, ma coopera con il Palazzo di Vetro. Né Israele né gli Stati Uniti ne fanno parte, ma sui suoi criteri di giurisdizione – la corte giudica gli individui – ci sono divergenze di interpretazione.
Si teme per i possibili finanziamenti dell’Autorità palestinese – Washington e Gerusalemme temono anche che i palestinesi possano utilizzare il loro nuovo status per cercare di entrare in altre agenzie specializzate delle Nazioni Unite, eventualità che potrebbe però avere ripercussioni sui finanziamenti delle agenzie e della stessa Autorità Palestinese. Il Congresso americano ha tagliato i finanziamenti all’Unesco (l’agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura), dopo che lo scorso anno la Palestina fu accolta a pieno titolo nel suo seno.
Per gli israeliani così si allontana la pace – Secondo Zvi Hauser col voto odierno all’Onu sulla richiesta palestinese “la pace si allontana”. Il segretario del governo israeliano lo ha detto a radio Gerusalemme. La pace, ha aggiunto, può essere raggiunta solo con negoziati diretti “e non con mosse unilaterali”: la richiesta palestinese è una “violazione sostanziale degli accordi di Oslo” (del 1993, fra Israele e Olp). “Se i palestinesi rompono le regole il governo israeliano si sente autorizzato a prendere i provvedimenti necessari per difendere i propri interessi”. Il voto all’Onu sulla Palestina “non cambierà alcunché sul terreno”, ha affermato invece il premier Benyamin Netanyahu secondo cui quel voto “non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà “. Comunque “la mano di Israele resta tesa verso la pace”, ha assicurato.

MEDIA, L’ARGENTINA SI SBARAZZA DEI MONOPOLI

MEDIA, L’ARGENTINA SI SBARAZZA DEI MONOPOLI

 

di Checchino Antonini

 

In Argentina, almeno fino al prossimo 7 dicembre, le regole sulla concentrazione del media sono le stesse fissate nel 1980 dai generali fascisti che avevano compiuto il golpe quattro anni prima. Ma fra otto giorni entrerà in vigore in quel Paese una legge che limita la concentrazione dei mezzi di comunicazione di massa e apre uno spazio ampio e inedito alle organizzazioni non governative.

Secondo il governo argentino, la legge sui Servizi di Comunicazione Audiovisiva, nota come Ley de Medios, permetterà a tutti i settori della società l’accesso ai mezzi di comunicazione. Per gran parte dell’opposizione e dei gruppi editoriali, che ne usciranno indeboliti, si tratta invece di un grave attentato alla libertà di espressione e di una manovra per imporre il controllo statale sui mezzi di comunicazione.

La Ley de Medios implica, secondo l’agenzia IPS, una riforma quasi senza precedenti in America Latina dove alta è la concentrazione di mezzi di comunicazione e debole la presenza di media comunitari. Il processo di deregulation e di privatizzazione promosso negli anni ’80 negli Stati Uniti è stato adottato in pieno in America Latina e ha contribuito in molti Paesi della regione a rafforzare la già grande concentrazione dei mezzi di comunicazione.

Frank La Rue, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà d’opinione e d’espressione, ha seguito da vicino il processo che ha portato alla Ley de Medios argentina, e ha osservato come «in questo momento c’è un dibattito aperto analogo in Ecuador e in altri Stati. Nel mio Paese, il Guatemala, si sta sfidando la vecchia legge delle telecomunicazioni che si limitava a creare un sistema di appalto pubblico, per stabilire un meccanismo più giusto ed equo per la concessione delle frequenze».

L’antefatto di questo processo in Argentina è, appunto, la legge nazionale sulla radiodiffusione, in gran parte ancora vigente, imposta nel settembre del 1980 dalla dittatura militare che governò il Paese tra il 1976 e il 1983. Una volta ripristinato il sistema democratico, i successivi governi proposero delle riforme alla legislazione del 1980 a cui però non si arrivò mai.

Nell’agosto del 2009, la presidente Cristina Fernández de Kirchner presentò al Parlamento il progetto di legge per la Ley de Medios, della cui attuazione, a partire dal 7 dicembre, sarà incaricata l’Autorità Federale dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva (AFSCA), presieduta dal deputato Martín Sabatella.

I gruppi in possesso di un numero di licenze superiore a quelle consentite dalla Ley de Medios dovranno liberarsi delle concessioni in eccesso entro un anno. Ossia, dovranno rinunciare a una parte dei media che attualmente possiedono e anche in futuro non superare mai i limiti consentiti.

Secondo quanto dichiarato da Sabatella, in Argentina sono ben 20 i gruppi che possiedono più licenze di mezzi audiovisivi di quelle consentite dalla legge e che dovranno liberarsi di parte di esse. In particolare il Gruppo Clarín, proprietario del principale quotidiano argentino, possiede ben 300 licenze, e dovrà limitarsi a un massimo di 24.

Il caso argentino rimbalza anche nell’ormai arretratissima Italia dove i nuovi scenari saranno al centro di un dibattito organizzato da FNSI, il sindacato dei giornalisti e Inter Press Service, agenzia di stampa indipendente, a corso Vittorio Emanuele II, 349 Roma. Appuntamento alle 15 del 29 novembre con Frank La Rue, Special Rapporteur dell’ONU sulla libertà d’opinione e d’espressione, Roberto Natale, presidente FNSI, Mario Lubetkin, direttore generale IPS e, in collegamento dall’Argentina, Daniel Fernando Filmus, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato argentino.

RAJOY SI GIOCA LA SPAGNA

RAJOY SI GIOCA LA SPAGNA

 

di comidad

 

I 111 morti della fabbrica di Ashulia in Bangladesh ci danno concretamente il senso di cosa sia la modernità nelle relazioni industriali auspicata dal governo Monti. Per un residuo di dignità sindacale, Susanna Camusso si è rifiutata di apporre la sua firma al cosiddetto accordo sulla produttività annunciato la settimana scorsa. Il testo dell’accordo, dopo un’enunciazione retorica sull’importanza della contrattazione collettiva, di fatto la liquida a favore della contrattazione di secondo livello, cioè quella aziendale. In pratica è un suicidio del sindacalismo confederale; un suicidio che coinvolge la stessa Confindustria, che sino a qualche anno fa era ancora uno dei maggiori potentati italiani, mentre oggi ha poco a che fare con l’industria, ed è ridotta ad una delle tante agenzie di lobbying dei poteri finanziari. Un lobbismo di “secondo livello”, o addirittura meno.

Lo scopo del cosiddetto accordo è di confinare la contrattazione collettiva nell’ambito della mera ritualità, trasformando le contrattazioni aziendali in ricatti caso per caso nei confronti dei lavoratori. L’accordo non colpisce solo il lavoro, ma va a mettere in difficoltà lo stesso sistema della piccola e media impresa, che, senza contratti collettivi, si troverà sempre più esposta al sindacalismo giallo controllato dalle malavite locali, a loro volta più o meno tutte irretite da poteri sovranazionali, dalla NATO alle compagnie multinazionali. Risulta sempre più chiaro che il vero contenuto degli slogan sulla “produttività”, la “flessibilità” e la “modernità” riguarda il controllo criminale sull’economia, una criminalità che trova i suoi centri dirigenti e le sue protezioni nelle grandi agenzie internazionali, come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale e la stessa ONU, come ha dimostrato la vicenda del traffico di organi umani in Kosovo.

Il complotto forse non esiste, ma le associazioni a delinquere (“criminal conspiracy”, in inglese), invece esistono eccome. Del resto, quando si mettono in discussione le relazioni sociali fondamentali come l’occupazione, l’istruzione, le pensioni e la sanità, su cos’altro può fondarsi una società se non sul crimine organizzato?

Anche in Spagna il primo ministro Rajoy si affretta ad affossare quel che rimane dello Statuto dei Lavoratori vigente, che verrà rivisto al ribasso per permettere l’assunzione di personale ricattabile e sottopagato. Ciò per attirare i famosi “investimenti internazionali”. C’è in atto un piccolo accordo con l’azienda di Stato francese Renault, ma il piatto forte riguarda il gioco d’azzardo, con la costruzione di una “Eurovegas” da parte del magnate internazionale del settore, Sheldon Adelson. Secondo alcuni commentatori Adelson può essere considerato una sorta di redivivo Meyer Lansky, il boss del gioco d’azzardo a Las Vegas negli anni ’60, la cui figura fu adombrata nel personaggio di Hyman Roth del film “Il Padrino. Parte Seconda” [1].

Sino a qualche anno fa la Spagna era considerata dai media come una locomotiva economica dell’Europa, un modello da imitare. La guerra di Spagna sembrava un ricordo vago e lontano, una follia ideologica da lasciarsi alle spalle; roba utile giusto per i film di Ken Loach. Oggi invece la Spagna si trova nuovamente ad essere bersaglio di un’offensiva colonialistica; ed ancora una volta l’aggressione coloniale dall’esterno trova i suoi referenti ed i suoi punti di appoggio nelle oligarchie interne.

La tecnica del furto delle case dei poveri attraverso finanziamenti e mutui truffaldini da parte delle banche, aveva conosciuto un notevole sviluppo in Spagna, ma questa tecnica era stata inventata e messa a punto con successo negli USA. Questa truffa immobiliare presenta come controindicazione il fatto che, dopo aver spolpato fino all’osso la popolazione più povera, gli speculatori e le banche siano costretti a rifilarsi bidoni reciprocamente, oppure a ricorrere all’aiuto soccorrevole dello Stato. Così, mentre il governo Rajoy scatena gli ufficiali giudiziari, gli sfratti per morosità sui mutui crescono in modo esponenziale, i procedimenti di pignoramento dal 2008 ad oggi sono arrivati a 350.000 secondo dati ufficiali, e il fenomeno dei suicidi per chi perde il lavoro o la casa ha raggiunto un livello endemico. Il tutto mentre il numero di abitazioni invendute e vuote in Spagna ha superato il milione di unità.

La ricetta di Rajoy per risolvere la “crisi” è stata la solita: i “tagli lineari”, cioè riduzione delle deduzioni fiscali, riduzione dei fondi per la scuola, la ricerca scientifica, la salute e la disoccupazione; e, contemporaneamente, rifinanziamento con soldi pubblici degli istituti di credito che hanno mandato in malora l’economia spagnola con le loro truffe. Qui il governo spagnolo perde la sua durezza e si intenerisce fino a promettere alle banche ben 60 miliardi di euro. Ma il fatto che la “crisi” sia uno slogan/pretesto per creare povertà e che la povertà sia un business, diventa ancora più chiaro se si pensa che, in un Paese ridotto allo stremo, la manovra finanziaria prevede incredibili incentivi per il gioco d’azzardo.

Mentre l’opinione pubblica spagnola viene distratta dalle velleità secessioniste della Catalogna, ecco come Rajoy ha pensato di giocare veramente le sue carte. Sheldon Adelson aveva posto precise condizioni per il faraonico progetto di Eurovegas, che il governo Rajoy si è affrettato ad accettare. Dopo un tira e molla con la Catalogna, si è deciso finalmente che Eurovegas sorgerà nelle vicinanze di Madrid con 6 casinò, 12 resort, 9 teatri e cinema, e 3 campi da golf; un bel progetto per chi deve tirare la cinghia. In effetti gli incentivi del governo permetteranno di dedurre le perdite al gioco dalle vincite, mentre l’IBI (l’ICI spagnola) per le case da gioco otterrà esenzioni fino al 95%. Roba da fare invidia alla Chiesa Cattolica nostrana.

Non c’è dubbio che Adelson porterà in Spagna una ventata di nuova moralità, visto che per i suoi casinò di Macao il magnate risulta già coinvolto in inchieste che riguardano rapporti con la mafia cinese e lo sfruttamento della prostituzione. Il magnate sarebbe anche un magnaccia [2].

Ma si tratta di marachelle, di birichinate, ed alla fine si scoprirà che la colpa è tutta dei cinesi; e magari ci si dirà pure che l’FBI si è ricordata improvvisamente di questi peccatucci solo perché Adelson aveva dato i suoi finanziamenti elettorali a Romney invece che ad Obama. Queste inchieste dell’FBI in effetti sanno molto di cortina fumogena, di espediente per placare quella parte di opinione pubblica che fa fatica a digerire personaggi come Adelson. Il vero problema infatti è un altro. Non si capisce perché debba esistere un “magnate” del gioco d’azzardo. Quali competenze, quali capacità manageriali, quali know-how, sarebbero necessari per impiantare un casinò? Mica è uno stabilimento della Volkswagen.

Gestire il gioco d’azzardo in realtà non richiede nessuna competenza; semmai la “competenza” consiste nell’accaparrarsi questa gestione, cioè nell’impedire materialmente ad altri di soffiarti l’affare. Non per niente il gioco azzardo in passato o era un affare del crimine organizzato, oppure era un monopolio dello Stato. Oggi capita però che lo Stato ed il crimine organizzato si mettano d’accordo per gestire insieme il business; ed è appunto il caso del “cartello” (o “criminal conspiracy”?) Rajoy-Adelson.