Venezia 71, Leone d’oro a “Un piccione su un ramo”.

Venezia 71, Leone d’oro a “Un piccione su un ramo”. Coppa Volpi a Rohrwacher e Driver

La serata finale di Venezia71, il più importante Festival del cinema italiano, ha fatto calare il sipario su un’edizione particolarmente interessante e ricca di titoli e nomi internazionali. Madrina della serata è stata l’attrice Luisa Ranieri che, con la sua grazia e professionalità, ha accompagnato giurati e ospiti in concorso nella cerimonia di premiazione. La Giuria, presieduta da Alexandre Desplat e composta da Joan Chen, Philip Groening, Jessica Hausner, Jhumpa Lahiri, Sandy Powell, Tim Roth, Elia Suleiman e Carlo Verdone, dopo aver visionato tutti i 20 film in concorso, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
Un piccione su un ramo che riflette sull’esistenza (A pigeon sat on a branch reflecting on existence) del regista svedese Roy Andersson è il vincitore del Leone d’oro a Venezia71.
Il Leone d’argento per la miglior regia è andato invece a Belye nochi pochtalona alekseya tryapitsyna (The Postman’s White Nights) di Andrej Končalovskij
Nel concorso l’Italia vince due volte con le due Coppe Volpi agli attori di Hungry Hearts di Saverio CostanzoAlba Rohrwacher e Adam Driver.
Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco ha vinto il premio speciale della giuria Orizzonti.
Il film The look of silence di Joshua Oppenheimer ha vinto il Gran premio della giuria.
Le notti bianche del Postino (The Postman’s White Nights) del regista russo Andrej Konchalovskij ha vinto il Leone d’argento.
Gran premio della Giuria a The look of silence di Joshua Oppenheimer.
Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente a: Romain Paul in Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte.
Premio speciale della Giuria a: Sivas di Kaan Müjdeci.
La Giuria Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis) della 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Alice Rohrwacher e composta da Lisandro Alonso, Ron Mann, Vivian Qu e Razvan Radulescu, assegna il premio a: Court di Chaitanya Tamhane nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore.
Gli altri Premi Orizzonti La Giuria Orizzonti della 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Ann Hui e composta Moran Atias, Pernilla August, David Chase, Mahamat Saleh Haroun, Roberto Minervini e Alin Tasciyan, dopo aver visionato i film in concorso, assegna:
– Premio Orizzonti per il miglior film a Court di Chaitanya Tamhane
– Premio Orizzonti per la miglior regia a: Theeb di Naji Abu Nowar
– Premio speciale della Giuria Orizzonti a: Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco
– Premio speciale Orizzonti per la miglior interpretazione a: Emir Hadžihafizbegović in TAKVA SU PRAVILA di Ognjen Sviličić
– Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio a: Maryam di Sidi Saleh European Short Film Award 2014

È morta l’attrice Franca Rame, camera ardente al teatro Piccolo di Milano. Funerali con cerimonia laica

È morta l’attrice Franca Rame, camera ardente al teatro Piccolo di Milano. Funerali con cerimonia laica

L’attrice Franca Rame, moglie di Dario Fo, è morta a Milano. L’ex senatrice aveva 84 anni ed era malata da tempo. Secondo quanto si è appreso, è deceduta nella sua abitazione di Porta Romana a Milano. Questa mattina alle 8:50 dall’abitazione dove abitava col marito, il premio Nobel per la Letteratura del 1997, è stato allertato il 118 che sul posto ha inviato un’ambulanza e un’automedica. I soccorritori hanno spiegato di aver tentato di rianimare l’attrice ma di non aver potuto far altro che constatarne, poco dopo, la morte. Franca Rame, era stata colpita da un ictus il 19 aprile dello scorso anno sempre nella sua casa. In quella circostanza era stata trasportata al Policlinico dove era rimasta ricoverata per diversi giorni. 
Camera ardente e funerali – Sarà allestita al teatro Piccolo di Milano la camera ardente. Lo ha spiegato dopo aver fatto visita, il presidente del Consiglio Comunale, Basilio Rizzo. “Posso anticipare che la tumulazione avverrà al Famedio, la giunta deciderà in tal senso”, ha commentato Rizzo, che ha anche aggiunto “é difficile immaginare la separazione di Franca da Dario, forse solo la morte poteva separarli”. Rizzo ha ricordato Franca Rame come “una persona di teatro che ha fatto grandi cose, che ha seguito il movimento dal 1968 in poi”. Rizzo ha ricordato infine come “dieci anni fa con l’impegno di lei e di Dario fondammo le prime liste civiche”. Al termine della camera ardente allestita al Piccolo Teatro di Milano, da giovedì mattina alle 10 (resterà aperta anche di notte), Franca Rame verrà ricordata con una cerimonia laica venerdì mattina alle 11 davanti al teatro Strehler.
Una foto grande sul sito del figlio – Una grande foto di Franca Rame campeggia sul sito di Jacopo Fo. Nessun commento per ora dal figlio, partito immediatamente per Milano da Santa Cristina di Gubbio, in Umbria, dove gestisce la Libera università di Alcatraz.
Il debutto – Nata a Villastanza (Parabiago, Mi) il 18 luglio 1929, debuttò nel mondo dello spettacolo appena nata: fu subito impiegata, infatti, per i ruoli da neonata nelle commedie allestite dalla compagnia di giro familiare. Nel ’50, in piena epoca di rivista, con la sorella debuttò in Ghe pensi mi di Marcello Marchesi.
Le nozze con Dario Fo – In quegli anni conosce Dario Fo che sposa nel 1954 (dalla loro unione nascerà nel ’55 Jacopo) e da allora sarà la sua interprete preferita e spesso la sua collaboratrice ai testi. Sono gli anni delle commedie paradossali, dai titoli buffi (“Chi ruba un piede è fortunato in amore”, “Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”).
L’esilio dalla Rai – Insieme Dario Fo e Franca Rame (1962) sbattono la porta di una “Canzonissima” di successo, per la censura imposta alle loro scenette dichiaratamente politiche. “L’esilio dalla Rai” durerà fino al 1977, quando Raidue trasmetterà le commedie. Ma nel frattempo l’Italia avrà vissuto tanti drammi e la coppia Fo-Rame, avrà radicalizzato la sua scelta più a sinistra del PCI. Sempre con Dario esce dal circuito dell’Eti per fondare il collettivo teatrale Nuova Scena e poi successivamente La Comune con cui interpreta in fabbriche e scuole occupate spettacoli di satira e di controinformazione politica.
L’utopia sessantottina – Nel 1968, sempre al fianco di Dario, abbracciò l’utopia sessantottina e cominciò a interpretare spettacoli di satira e di controinformazione politica anche molto feroci. Si ricordano almeno Morte accidentale di un anarchico e Non si paga! Non si paga. Insieme al marito Dario Fo ha sostenuto l’organizzazione Soccorso Rosso Militante. A partire dalla fine degli anni settanta la Rame partecipò al movimento femminista interpretando testi di propria composizione come Tutta casa, letto e chiesaGrasso è bello!La madre.
Nel 1971 sottoscrisse la lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso sul caso Pinelli.
Il rapimento e lo stupro – Nel marzo del 1973 Franca Rame venne rapita da esponenti dell’estrema destra e subì violenza fisica e sessuale di gruppo, ricordata a distanza di tempo nel lavoro Lo stupro, del 1981. Il procedimento penale è giunto a sentenza definitiva solo dopo 25 anni: ciò ha comportato la prescrizione del reato.
Nel 1974 i due attori occupano e trasformano in teatro la Palazzina Liberty a Milano, dove Sebastian Matta dipinge murales rivoluzionari. 
Nel 1999 ha ricevuto la laurea honoris causa da parte dell’Università di Wolverhampton insieme a Dario Fo.
La politica – Nelle elezioni politiche del 2006 si candidò capolista al Senato in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria tra le fila dell’Italia dei Valori. Venne eletta senatrice in Piemonte. Sempre nel 2006, Antonio Di Pietro la propose come Presidente della Repubblica: ricevette 24 voti. Lasciò il Senato nel 2008, non condividendo gli orientamenti governativi.
Nel 2009 ha scritto assieme al marito Dario Fo la sua autobiografia intitolata Una vita all’improvvisa.

Palma d’oro a “La vie d’Adéle” di Kechiche Bruce Dern migliore attore, la Bejo migliore attrice

Palma d’oro a “La vie d’Adéle” di Kechiche Bruce Dern migliore attore, la Bejo migliore attrice

La Palma d’oro del 66/mo festival di Cannes è andata a ‘La vie d’Adelé di Abdellatif Kechiche ed eccezionalmente, anche alle due giovani protagoniste Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux. Escluso dal palmares l’unico film italiano in concorso La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Così ha scelto la giuria presieduta da Steven Spielberg. Il massimo riconoscimento è andato al film di Abdellatif Kechiche che racconta la storia d’amore fra due ragazze. Una relazione che il regista ha scelto di raccontare con dispendio di sequenze erotiche che la critica ha apprezzato fin dalla prima proiezione. Un premio che, in via eccezionale, non è andato solo al film ma anche alle due giovani protagoniste, Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux.
Il premio per il migliore attore è andato a Bruce Dern, 76 anni, protagonista del film di Alexander Payne Nebraska, quello per la migliore interpretazione femminile a Berenice Bejo per Le passè di Asgar Farhadi. Il Prix du Scénario per la migliore sceneggiatura è andato all’autore e regista Jia Zhangke per A touch of sin, quello della Giuria a Tale padre tale figlio del giapponese Kore-Eda Hirokazu. Il Gran Premio del festival ai fratelli Joel e Ethan Coen per Inside Llewyn Davis. Il miglior regista è Amat Escalante per Heli. La decisione è stata presa da Steven Spielberg e dalla sua giuria stellata: l’attrice Nicole Kidman, il regista vincitore dell’Oscar come miglior regia, Christopher Waltz premio Oscar come migliore attore non protagonista, Vidya Balan attrice indiana di Bollywood, Naomi Kawase regista giapponese, Lynne Ramsay sceneggiatrice e regista britannica, Daniel Auteil, quotato attore francese e Cristian Mungiu, scrittore regista e produttore romeno. La Montée de Marche è inziata sotto il sole, dopo giornate invernali. A fare da madrina l’attrice Audrey Tatou. Cerimonia sobria e concisa come nella tradizione di Cannes, con ospiti illustri come Alain Delon e Kim Novak.

E’ con una tenera, quanto esplicita, storia d’amore lesbo di una quindicenne che scopre lentamente la sua sessualità che il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche ha fatto il pieno di premi al festival di Cannes, conquistando con il suo film una Palma d’oro eccezionalmente divisa con le due giovani attrici protagoniste. Il regista del cinema sociale, in odor di documentario ne ‘La Vie d’Adelé, tocca corde molto sentite nella Francia di oggi e senza dubbio è fortemente d’attualità. Dai lunghi dialoghi con le sue coetanee fino al sesso rappresentato in maniera realistica, tra nudità e gemiti. Adele (Adele Exarchopoulos) è una ragazzina di quindici anni come tante che va a scuola, partecipa alle manifestazioni studentesche e si lancia in mille chiacchiere su tutti gli argomenti possibili con le sue amiche.

Arriva per lei la prima esperienza eterosessuale con un ragazzo, ma è stranamente attratta da una sconosciuta dai capelli blu e non capisce neppure perché. Dopo una prima esperienza lesbo con una compagna di scuola, conoscerà con la ragazza dai capelli blu che si chiama Emma (Lea Seydoux) il vero amore passionale e intimo. Da qui una storia piena di sesso esplicito (non si erano mai viste tante lunghe immagini di orgasmi lesbo, di sfregamenti e variazioni nell’amplesso), ma anche di amore pieno e passionale. Il film, che è un omaggio a Marivaux – e che sarà distribuito in Italia da Lucky Red – non manca anche di riferimenti colti anche perché Emma è un’artista contemporanea che rivendica una certa cultura a differenza della naive Adele. E così frasi come ‘l’esistenza precede l’essenzà di Sartre diventa ‘l’orgasmo precede l’essenzà o ancora, in quanto a considerazioni filosofiche “l’orgasmo femminile è mistico” rispetto a quello maschile.
Tra amplessi, lamenti, promesse e discorsi di amore eterno, anche la storia tra la dolce Adele ed Emma arriva alla fine. Le scadenze sono proprio quelle delle coppie eterossessuali: un tradimento non perdonato, la rottura e poi un reincontrarsi che non porta a una vera riappacificazione. Tornando alle immagini hard del film sembra che il regista abbia usato un teleobbiettivo per non creare un’imbarazzante presenza sul set. Questo, come appunto è accaduto, ha creato una veridicità nelle scene di sesso ancora più autentica. Il film, accolto alla proiezione stampa da applausi, aveva conquistato subito la critica francese guadagnando un record: ben 11 palme su il daily di Le film francais. Un record assoluto che vale per qualsiasi film di qualsiasi nazionalità. Resta da capire quanto questo sia potuto pesare sulla giuria internazionale anche perché il film è esattamente l’opposto di quelli nello spirito del presidente Steven Spielberg. Ovvero non é per nulla familiare, è terribilmente parlato e ha anche scene di sesso lesbo lontane mille miglia da Et.
Questo il Palmares del 66/mo festival di Cannes
– Palma d’oro: La vie d’Adéle di Abdellatif Kechiche, e alle due protagoniste del film, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos.
– Grand Prix: Inside Llewyn Davis di Ethan e Joel Coen
– Regia: Amat Escalante per Heli
– Giuria: Tale padre, tale figlio di Hirokazu Kore-Eda
– Migliore attore: Bruce Dern per Nebraska di Alexander Payne
– Migliore attrice: Berenice Bejo per Il Passato di Asghar Farhadi
– Sceneggiatura: Jia Zangh Ke per A touch of Sin
– Palma d’oro per il miglior cortometraggio: Safe di Byong-Gon
– Menzione speciale a 37/o 4S dell’italiano Adriano Valerio e a Le fjord des baleines di Whale Valley
– Camera d’or (migliore opera prima): Ilo Ilo di Anthony Chen (dalla Quinzaine).

Il ‘Cuore matto’ ha smesso di battere, addio Little Tony

Il ‘Cuore matto’ ha smesso di battere, addio Little Tony

 

 

 

Musica a lutto: il ‘Cuore matto’ ha smesso di battere, fiaccato da un tumore. Little Tony, il cantante col ciuffo, l’Elvis Presley italiano, è morto oggi a Roma nella clinica privata in cui era ricoverato da tre mesi. I funerali giovedi’ al Divino Amore. Little Tony, al secolo Antonio Ciacci, era nato a Tivoli (Roma) 72 anni fa. Dopo una lunga gavetta – ma non avara di consensi – in Inghilterra dove il rock’n roll made in Usa aveva trovato terreno fertilissimo, e dove quel giovane italiano col ciuffo, giubbotto di pelle e occhiali alla Marlon Brando (Little Tony and his brothers il nome della sua band) si presentava con le movenze del grande Elvis e un nome che richiamava quello di un altro grande interprete del rock come Little Richard, era rientrato in Italia senza una lira all’inizio degli anni Sessanta per ‘sfondare’ a Sanremo nel 1961 cantando in coppia con Celentano ’24 mila baci’. Da allora successi uno dopo l’altro. Nel ’66 ancora sugli scudi con ‘Riderà’ presentata al Cantagiro (più di un milione di copie), nel 1968 la sua forse più famosa interpretazione con ‘Cuore matto’.

Nuovo lutto nel mondo della musica: è morto Franco Califano

Nuovo lutto nel mondo della musica: è morto Franco Califano

Dopo la scomparsa di Enzo Jannacci, ancora un lutto nella musica italiana. Franco Califano è morto nella sua casa ad Acilia. Malato da tempo, era nato nel 1938. Solo pochi giorni fa, il 18 marzo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.

Originario di Paganica in provincia di Salerno, ma nato a Tripoli, che allora era una colonia italiana, il 14 settembre del 1938, e cresciuto a Roma, città alla quale è rimasto sempre legatissimo, Franco Califano, o Er Califfo, come lo hanno sempre affettuosamente chiamato i suoi fans, ha lavorato fino all’ultimo tanto che stava per partire per un minitour la cui prima tappa doveva essere il 4 aprile a Porto Recanati, nelle Marche. 

Nella sua lunghissima carriera è stato autore di canzoni indimenticabili come “La musica è finita“, “Una ragione di più”, “E la chiamano estate”, “La nevicata del ’56”. Ha scritto per Mina, Ornella Vanoni, Mia Martini, Renato Zero, Bruno Martino. E tantissimi sono stati anche i successi come cantautore, da quella che è stata un po’ il suo manifesto, “Tutto il resto è noia” (“La canzone che mi rappresenta di più”), a ‘La mia liberta”, “Io nun piango”. Personaggio di grande popolarità, di fatto Califano è stato una figura atipica della canzone italiana, una sorta di chansonnier alla francese, radicatissimo nella tradizione culturale e musicale di Roma. 

E la sua è stata una vita da romanzo, in cui non è mancato il carcere, con un primo arresto nel 1970, coinvolto insieme con Walter Chiari (poi assolto) in una vicenda di droga e poi di nuovo nel 1983, di nuovo accusato di possesso di stupefacenti e in questo caso anche di armi nella vicenda che vide in manette anche Enzo Tortora (assolto con formula piena e caso emblematico di mala giustizia). Durante quest’ultima esperienza carceraria anzi ha scritto ‘Impronte digitali’, album che si basa soprattutto su esperienze di quel periodo. In entrambi i processi è stato comunque assolto. E lo ha ripetutamente ricordato sia nei libri sia nelle interviste. 

Musicista prolifico, si è però cimentato anche come scrittore e saggista con opere come ‘Ti perdo – Diario di un uomo da strada’ ,’ Il cuore nel sessò, ‘Sesso e sentimento’ e ‘Calisutra – Storie di vita e casi dell’amore raccontati dal maestrò. Del 2008 è, invece, l’autobiografia “Senza Manette”, scritta a quattro mani con Pierluigi Diaco, che oggi piange “l’amico e il complice di tante notti in radio”. Attaccatissimo al suo personaggio di disincantato amante latino, un po’ cinico e un po’ romantico, sempre pronto a vantare le sue conquiste femmilini, il Califfo è stato anche interprete di fotoromanzi e attore cinematografico in Sciarada alla francese (1963), Gardenia, il giustiziere della mala (1979), Due strani papà (1983) con Pippo Franco, Viola bacia tutti (1998) e Questa notte è ancora nostra (2008). Ha partecipato tre volte a Sanremo, l’ultima nel 2005 con Non escludo il ritorno, scritta con i Tiromancino.

Addio al poeta della musica, è morto Enzo Jannacci.

Addio al poeta della musica, è morto Enzo Jannacci. Aperta la camera ardente

E’ stata aperta poco fa la Camera ardente per Enzo Jannacci alla casa di cura Columbus, in via Buonarroti 48 a Milano, dove ieri sera è morto il cantautore. E nonostante il cattivo tempo e le festività pasquali, già alcuni milanesi sono arrivati per rendere l’ultimo saluto a uno degli artisti simbolo del capoluogo lombardo. La Camera Ardente sarà aperta fino alle 18. Era il poeta della musica. Stroncato da un male incurabile, Enzo Jannacci è morto a Milano. Cantautore, cabarettista, tra i protagonisti della scena musicale italiana, oltre che cardiologo, si è spento a Milano all’età di 77 anni. È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber, con il quale formò un sodalizio durato più di quarant’anni.
Jovanotti e Morandi – Il cordoglio del mondo dello spettacolo non si è fatto attendere. “Sentite qua. Una a caso. E’ Jannacci. Sono tutti capolavori”, ha scritto Jovanotti su Twitter rendendo omaggio all’illustre collega. “Un grande artista ci ha lasciato, Enzo Jannacci. Un poeta estroso, ironico, geniale, con quella vena malinconica, ma così sublime…. un innovatore, capace di lasciare sempre la sua inconfondibile impronta. Ciao Enzo, ci mancherai”, ha scritto invece Gianni Morandi in un post sulla sua pagina Facebook, accompagnandolo con una foto giovanile che ritrae in scena lo stesso Morandi con Jannacci e Adriano Celentano.
Club Tenco – Il club Tenco “saluta” Enzo Jannacci “con tutto il dolore di una perdita così grande ma anche con la gratitudine di aver sempre ricevuto da lui il soffio leggero di una poesia spiazzante e infallibile”. Il club Tenco ricorda i premi attribuiti al cantautore milanese nel corso degli anni: dal Premio Tenco del 1975, alle tre targhe per la più bella canzone dell’anno fino al riconoscimento per il migliore album in dialetto. “Dentro quella voce – si legge in una nota del Club Tenco – si poteva nascondere qualcosa di molto serio, spesso tragico, ma anche dolce e levigato come il suo volto. Enzo Jannacci sapeva in questo modo ‘dire’ più dei tanti parolai che ci tocca ascoltare tutti i giorni. Sapeva esprimersi più e meglio di tutto il bla-bla quotidiano di cui a suo modo si faceva beffe”.
Maroni – Anche Roberto Maroni si inchina davanti al grande Jannacci. “Addio a Enzo Jannacci, cuore e musica di Milano. Riposa in pas, cunt i tòo scarp del tenis”, ha scritto il segretario della Lega e presidente della Regione Lombardia (oltreché musicista) su twitter.
La commozione sul Web –  “Lo ricordo bene: intelligente, spiritoso, surreale, geniale. Ha raccontato la poesia di Milano”: così Enrico Ruggeri ricorda su Twitter Enzo Jannacci. In tanti, sul social network, hanno voluto ricordare la “voce degli ultimi”, come lo ha definito Claudio Cecchetto. “Ciao grande maestro” ha scritto il napoletano Gigi D’Alessio, a cui hanno fatto eco i Negramaro con una citazione da ‘Messico e nuvole’: “Che voglia di piangere ho… addio Enzo!”. A messaggi più sintetici come quello di Syria, che ha salutato Jannacci con un “ciao signor Enzo”, si accompagnano twitt più personali come quello di Paola Turci: “Rimangono tutte le tue canzoni e un pezzo di strada fatta insieme”. Commosso Fabio Fazio: “Enzo Jannacci era un genio. Le sue parole non riuscivano a star dietro ai suoi pensieri. La sua poesia ha inventato un mondo bellissimo”; ironico Frankie Hi Energy: “Ciao Enzo non ti scapicollare”; triste Luca Bizzarri: “Cristo come mi dispiace. Addio, signor pur talento”. “Enzo Jannacci, rimpiango un genio che se ne va insieme alla Milano meravigliosa delle sue canzoni”, scrive Gad Lerner. Tanti e accorati i messaggi di Dalia, figlia di Giorgio Gaber, con cui Jannacci formò una celebre coppia della canzone italiana: “Ciao Enzo, ti voglio bene” scrive l’erede di Gaber postando una foto da giovani dei due celebri artisti. “Quelli che… Adesso sanno l’effetto che fa. Buon viaggio”: questo il post su Twitter di Francesco Guccini.

La biografia – Jannacci era nato a Milano il 3 Giugno 1935. E’ stato  tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra. Caposcuola del cabaret italiano, nel corso della sua cinquantennale carriera ha collaborato con svariate personalità della musica, dello spettacolo, del giornalismo, della televisione e della comicità italiana, divenendo artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori. Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore, Enzo Jannacci, dopo un periodo di ombra nella seconda metà degli anni novanta, è tornato a far parlare di sé ottenendo vari premi alla carriera e riconoscimenti per i suoi ultimi lavori discografici. È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber, con il quale formò un sodalizio durato più di quarant’anni.

La carriera – Dopo gli studi classici si era laureato in medicina per lavorare poi in Sudafrica e poi negli Stati Uniti. La sua formazione musicale ha radici altrettanto classiche e inizia al conservatorio ma la scoperta del rock and roll avviene presto. I suoi primi compagni di viaggio sono Tony Dallara, Celentano e poi Giorgio Gaber con il quale forma il duo de I due corsari, che debutta nel 1959. Ma prosegue parallela la sua carriera di solista e quella di autore, tanto che Luigi Tenco sceglie una della sue canzoni, Passaggio a livello, e la pubblica nel 1961. Lavora con Sergio Endrigo. Lavora anche con Dario Fo, Sandro Ciotti.
I successi – Poi la grande popolarità arriva con il surreale Vengo anch’io, no tu no tanto che diventerà sua la ribalta televisiva, fino a quella di Canzonissima. Ma sarà spesso anche in teatro e non disdegnerà apparizioni in film di grandi registi come Ferreri, Wertmuller, né di esercitarsi come compositore di colonne sonore come fece per Mario Monicelli. Dopo un periodo di oblio all’inizio degli anni ’80 torna alla ribalta tanto che incide un disco come Ci vuole orecchio, che raggiunge il livello di popolarita’ di Vengo anch’io. Del 1981 é un trionfale tour in tutta Italia. Nel 1994 si presenta per la terza volta al Festival di Sanremo in coppia con Paolo Rossi con il brano I soliti accordi, insolitamente dissacrante per la manifestazione, che è anche il titolo del rispettivo CD, arrangiato da Giorgio Cocilovo e il figlio Paolo Jannacci.
Il teatro – Tra un album e l’altro, poi nel 2000 torna a lavorare infine con Cochi e Renato, altra storica coppia con cui ha collaborato a lungo, per Nebbia in val Padana. Oramai la tv lo celebra, come fa il 19 dicembre 2011 Fabio Fazio che conduce uno speciale su di lui in cui amici di lungo corso lo omaggiano interpretando suoi brani. Tra cui Fo, Ornella Vanoni, Cochi e Renato, Paolo Rossi, Teo Teocoli, Roberto Vecchioni, Massimo Boldi, Antonio Albanese, J-Ax, Ale e Franz, Irene Grandi e altri. Enzo Jannacci compare nell’ultima parte dell’evento cantando due sue canzoni.
Il cinema – Esordisce nel cinema nel 1964 con il film La vita agra di Carlo Lizzani: canta L’ombrello di mio fratello in un locale dove entra il protagonista, interpretato da Ugo Tognazzi. Al cinema è poi protagonista di un episodio (Il frigorifero) diretto da Monicelli per il film Le coppie (1970), e de L’udienza di Marco Ferreri (1971). Ha inoltre interpretato i film Il mondo nuovo di Ettore Scola (1982), Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada di Lina Wertmüller, accanto a Ugo Tognazzi (1983) e Figurine di Giovanni Robbiano (1997). Nel 2010 è tra gli interpreti de La bellezza del somaro, per la regia di Sergio Castellitto, film nel quale interpreta il ruolo dell’anziano fidanzato della figlia adolescente dei protagonisti. Ha composto anche numerose colonne sonore, come quelle di Romanzo popolare di Monicelli (1974, di cui insieme a Beppe Viola ha anche tradotto in un felicissimo slang milanese i dialoghi di Age e Scarpelli e al quale ha regalato una delle più poetiche e intense canzoni da lui scritte, Vincenzina e la fabbrica); Pasqualino Settebellezze (1975), di Lina Wertmüller; Sturmtruppen (1976); Gran bollito di Mauro Bolognini (1977); Saxofone di e con Renato Pozzetto (1979) e Piccoli equivoci di Ricky Tognazzi (1989).

E’ morto Armando Trovajoli Maestro della musica italiana

E’ morto Armando Trovajoli
Maestro della musica italiana
Sua ‘Roma nun fa
la stupida stasera’

Aveva 95 anni. Dorelli: “Ricordo i suoi ‘vaffa’ d’amore”. Proietti: “La sua stima un grande orgoglio”

E’ morto qualche giorno fa a Roma, a 95 anni, il maestro Armando Trovajoli, autore di brani celebri come ‘Roma nun fa la stupida stasera’ e delle colonne sonore di oltre 300 film. Commozione sul web. Montesano: “Rivirà ogni sera nella sue musiche”. Alemanno: “Ora la voce di Roma è più spenta”

 
Armando Trovajoli (Ansa)

Armando Trovajoli (Ansa)

Roma, 2 marzo 2013 – E’ morto qualche giorno fa a Roma, a 95 anni, il maestro Armando Trovajoli, autore di brani celebri come ‘Roma nun fa la stupida stasera’ e delle colonne sonore di oltre 300 film. Solo oggi ne dà notizia la moglie, Maria Paola. ‘’Ho rispettato fino all’ultimo le volontà di un uomo schivo, che non amava presenzialismi, nè applausi. Sarà cremato’’.

Trovajoli era nato a Roma il 2 settembre del 1917. ‘’Ha lavorato fino all’ultimo giorno- racconta la vedova- la sua ultima commedia, la trasposizione per il teatro della Tosca di Gigi Magni, è ancora sul suo pianoforte”. Nella sua lunghissima carriera ha suonato con i più qualificati jazzisti del mondo (Duke Ellington, Louis Armstrong, Miles Davis, Chet Baker, Stephan Grappelli, Django Reinhardt e altri). Poi, accanto al jazz, si è dedicato al cinema (firmando, tra le altre, le colonne sonore per Riso amaro, Un giorno in pretura, La ciociara. C’eravamo tanto amati, Profumo di donna, Una giornata particolare) e alla commedia musicale grazie alla lunga collaborazione con Garinei e Giovannini. Tra le sue canzoni più celebri anche ‘’Aggiungi un posto a tavola’’.

COMMOZIONE SUL WEB – “In cielo hanno aggiunto un posto a tavola” per il Maestro. E’ uno dei tanti commenti di affetto, tra post e tweet, appena diffusa la notizia della morte del maestro Armando Trovajoli. Personaggi famosi e persone comuni in pochi minuti hanno lanciato in Rete: parole di solidarietà, ricordi, video dei suoi brani. Un gesto di vicinanza per il compositore italiano che nella sua lunghissima carriera artistica ha alternato l’attività nel jazz e nella musica leggera.

Ha suonato con i grandi jazzisti (Duke Ellington e Louis Armstrong, Miles Davis solo per citarne alcuni), ha composto le colonne sonore di registi come Vittorio De Sica, Dino Risi, Luigi Magmi, Ettore Scola. Tra i film, “Riso Amaro”, “Un giorno in pretura”, “La ciociara”, “C’eravamo tanto amati”, “Profumo di donna”… Tra le canzoni di musica leggera si ricordano “Roma nun fa’ la stupida stasera”, “Che m’e’ ‘mparato ‘a fa” e “Aggiungi un posto a tavola”. Quest’ultima per l’omonimo musical di Garinei e Giovannini, con i quali ha collaborato anche per “Rugantino”.

IL SINDACO ALEMANNO – “Apprendo con dolore della scomparsa del maestro Armando Trovajoli. Oggi la voce di Roma è più spenta. Il nome di Trovajoli rincorre e si intreccia con la storia del cinema italiano e con quella della musica. A partire da ‘Roma nun fa’ la stupida stasera’ fino alle colonne sonore di decine di film, le note di Trovajoli hanno accompagnato la vita di ciascuno di noi: e’ sufficiente andare a riguardare la quantita’ di film che il maestro ha musicato per capirne l’importanza e la sua quotidiana frequentazione con tutti. Alla famiglia del maestro si stringe l’affetto dell’intera città”. Lo afferma in una nota il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

DORELLI – “Un uomo fantastico, molto colto, un grande musicista, compositore e anche un grande pianista. Ma soprattutto, un uomo fantastico’’. Così, con il dolore della sorpresa, Johnny Dorelli commenta con l’ANSA la notizia della scomparsa del maestro Armando Trovajoli. ‘’Non sapevo nulla neanche io – dice – Il riserbo faceva parte del suo modo di essere’’. Dorelli per Trovajoli è stato il primo Don Silvestro di ‘Aggiungi un posto a tavola’ nel ‘74. ‘’Insieme – ricorda – abbiamo vissuto cinque-sei anni da fine del mondo. Nello stesso ruolo ha guidato poi anche mio figlio. Ma sono tante le cose fatte insieme, come ‘Accendiamo la lampada’. Scrisse anche le musiche per un mio spettacolo di prosa, ‘L’amico di tutti’. Professionalmente era il massimo, ma lavorare con lui in buca che ti ascoltava non era mica facile. Una volta, spingendo un carrello in una scena di ‘Aggiungi un posto a tavola’, persi un paio di note e lui saltò su: ‘Johnny m’hai rotto il…!’’’, prosegue ridendo. ‘’Nella vita era un uomo molto divertente. Era romano e con sua moglie usava tutta una serie di paroline comprensibili solo tra di loro. Quando componeva la sua grande musica, pero’, se qualcosa non gli quadrava era capace di sfasciare tutto o di lanciare il leggio contro qualcuno. Io ridevo e lui: ‘Johnny stai zitto!. Era così se ti voleva bene. I suoi – conclude – erano ‘vaffa’ d’amore’’.

PROIETTI – “Con ‘Armandino’ eravamo molto amici. Ero stato a pranzo a casa un po’ di settimane fa. Tre ore fa ho saputo della sua scomparsa e sono sconcertato’’. Così Gigi Proietti commenta con l’Ansa la notizia della morte del maestro Armando Trovajoli. “Qualsiasi cosa si dica ora – sottolinea – suona come ovvia. E’ un lutto serio, anche se l’età era avanzata, come quando ti muore un genitore: non te l’aspetti mai. Lui poi era ancora molto attivo. L’ultima volta che l’ho visto aveva progetti, stava pensando, scrivendo. Suonò al piano e noi ascoltammo in religioso silenzio’’. Il rapporto con Trovajoli, ricorda Proietti, nacque nel ‘73, ‘’quando girai ‘La Tosca’ di Luigi Magni e lui scrisse per me ‘Nun je da’ retta, Roma’, una canzone che ancora porto nel mio repertorio e che ora continuerò a fare con un motivo in più. Da allora, fuori dalle scene, siamo sempre rimasti molto amici. L’estate scorsa, nonostante l’età, lasciò persino casa per venirmi a vedere in scena a Caracalla. Si fermò poi per abbracciarmi e farmi i suoi complimenti. Nel lavoro – dice ancora – Armandino era molto serio, severo, di poche parole, molto esigente. E faceva bene, specialmente negli ultimi tempi in cui si vede tanta leggerezza e superficialità. Sentirmi stimato da un uomo del genere mi ha sempre inorgoglito molto’’.

MONTESANO – ‘’Proprio ieri sera parlavo di lui, vedendo uno spettacolo con le musiche di Irving Berling. Trovajoli, come tutti grandi musicisti, non è morto. Rivivrà ogni sera nelle sue musiche, che continueremo a suonare’’. Così Enrico Montesano, raggiunto dall’ANSA a Londra, commenta la notizia della scomparsa del maestro Armando Trovajoli. ‘’Sono venuto a Londra a vedere alcuni spettacoli – spiega l’attore – Per la prossima stagione, lo dico in anteprima, sto lavorando a un nuovo show che avrà anche le musiche di Trovajoli, insieme a quelle di altri grandi maestri’’.Con quella comune vena di comicita’ romana, Enrico Montesano è stato tra gli interpreti piu’ ‘frequenti’ di Armando Trovajoli. ‘’Insieme abbiamo lavorato tanto – dice -. Con lui ho fatto ‘Rugantino’ (nella seconda edizione del 1978 ndr), ‘Se il tempo fosse un gambero’ e ‘Bravo’. Era un uomo caustico nel suo modo burbero, ma sempre affettuoso. Ricordo che la sera della prima di ‘Bravo’ venne a trovarmi in camerino e mi regalo’ un piccolo crocifisso: ‘te proteggera’?’, mi disse. Berling – conclude Montesano – e’ morto a 101 anni, Trovajoli se n’e’ andato a 95: evidentemente i grandi musicisti sono longevi. Ma vivranno comunque ogni sera nelle musiche che ci hanno lasciato’’.

L’INTRATTENIMENTO COME ARMA DA GUERRA

L’INTRATTENIMENTO COME ARMA DA GUERRA

 

di comidad

 

In questi giorni i media ci hanno narrato di un evento epocale, di un terremoto elettorale, tantevvero che il Parlamento è rimasto ingovernabile com’era prima. Le elezioni diventano l’occasione per una cavalcata tra i generi narrativi. C’è la fiaba di Pollicino che attraversa il bosco e passa dallo zero al 25% grazie solo alle mollichine di pane. Poi c’è la storia horror come va di moda adesso, senza risveglio dall’incubo, in cui il mostro (una specie di clown laido alla “It”) non muore mai e sembra spuntarla sempre, e non perché lui sia furbo, ma perché gli altri appaiono inspiegabilmente paralizzati. Non sono mancati poi i siparietti comici, in cui ci si è spiegato che il PdL si è avvantaggiato delle televisioni, mentre l’M5S dell’uso di Internet. Se ne può arguire che Bersani sarebbe ancora fermo ai segnali di fumo.

Mentre le scadenze elettorali si rivelano sempre più come uno psicodramma d’intrattenimento, quello che invece dovrebbe costituire l’intrattenimento propriamente detto, cioè il cinema, dimostra di essere una fondamentale arma da guerra. Nello stesso momento in cui la Corea del Nord è stata fatta oggetto di nuove provocazioni statunitensi a causa di un presunto test nucleare, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha deciso di assegnare il premio Oscar come miglior film ad uno spot di propaganda anti-iraniana, “Argo”. Il film è stato diretto da Ben Affleck, e da lui stesso prodotto, insieme con l’immancabile George Clooney, un attore che si era già segnalato per le sue provocazioni contro un altro “nemico” degli Stati Uniti, il Sudan, contro il quale lo stesso Clooney ha proposto nientemeno che una sorta di progetto di spionaggio satellitare.

A conferma di questo suo attivismo imperialistico, Clooney fa anche da testimonial per un’agenzia coloniale che imperversa da anni in Africa, la Fondazione Clinton, creata dall’omonimo ex presidente degli USA; quello stesso presidente che nel 1998 aveva fatto bombardare il Sudan.

Il fatto che un agente provocatore della levatura di Clooney risieda praticamente in Italia, nelle sue tante ville sul Lago di Como, non costituisce un dato rassicurante per l’Italia, e neppure per il Lago di Como.

Già nel 2010 una pioggia di Oscar era stata assegnata al film “The Hurt Locker”, basato sulle vicende di un gruppo di artificieri dell’esercito USA in Iraq. Il film era incentrato su una storiella completamente campata in aria, a proposito di improbabili conflitti esistenziali di un artificiere americano; ma il tutto era solo l’occasione per presentare, con apparente casualità, una serie di esempi sulla barbarie del nemico. Ma i conflitti esistenziali fanno molto “sinistra”, quindi il film ha fatto breccia anche nell’opinione pacifista.

Se oggi Hollywood ha ritenuto di sacrificare l’icona di Lincoln ad un episodio minore – e tutto da verificare – accaduto nel 1979 durante la crisi degli ostaggi a Teheran, ciò significa che le guerre passate sono narrativamente molto meno interessanti di quelle future. Insomma, per la propaganda bellica ad Hollywood si preparano nuovi tempi d’oro.

La militarizzazione di Hollywood non è, ovviamente, un fatto recente. L’intrattenimento e la fiction sono infatti da sempre veicoli essenziali della propaganda coloniale. Nelle serie televisive statunitensi le battute contro l’Iran e la Corea del Nord sono collocate nei momenti più inaspettati e nelle occasioni più varie. Ciò non riguarda solo le serie più direttamente attinenti alla politica estera statunitense, ma anche le commedie e le detective story. In un telefilm di una serie apparentemente innocua come “Monk”, le disavventure di un pesce d’acquario sono diventate il pretesto per un elucubratissimo riferimento alla cattivissima dittatura nord-coreana. Lo stesso vale per la produzione documentaristica, nella quale si dà spazio a tutta un’aneddotica non verificata e non verificabile a proposito di nemici storici, o di turno, degli USA.

Quando all’inizio degli anni 2000 la Francia e la Chiesa Cattolica si trovarono, per un certo lasso di tempo, in contrasto con la politica estera USA, anch’esse divennero bersagli della propaganda all’interno dell’intrattenimento; perciò nei film e telefilm i francesi erano invariabilmente infidi e antipatici, ed i preti immancabilmente pedofili. Un film franco-belga di due anni fa, “Hitler a Hollywood”, ha posto un po’ all’attenzione quello che è stato il grado di importanza che la psicoguerra USA ha attribuito al monopolio dell’intrattenimento cinematografico, col conseguente boicottaggio della cinematografia europea.

Chi scrive e produce film e serie televisive deve quindi dimostrare uno zelo instancabile per sorprendere ed aggirare il senso critico dello spettatore. Il target principale di questa propaganda è proprio il pubblico di opinione progressista, a cui viene presentata un’immagine di un nemico perennemente in conflitto non tanto con gli USA, quanto con i valori-cardine del sentimento di sinistra, dai diritti umani all’ambiente. Dopo i disastri comunicativi dell’era Bush, per la psicoguerra USA è diventato imperativo associare sempre più la guerra a valori positivi, trasformandola in un nuovo “politically correct”.

Oscar 2013: beffati Spielberg e Tarantino, trionfa “Argo”

Oscar 2013: beffati Spielberg e Tarantino, trionfa “Argo”

Dopo il successo ai Golden Globe è ancora Argo il grande protagonista dell’85esima edizione degli Oscar. Il thriller politico di Ben Affleck ispirato ad una storia vera sull’azione intrapresa per liberare sei ostaggi americani durante la rivoluzione iraniana ha conquistato la statuetta più prestigiosa, quella per il miglior film, e a sorpresa la vittoria è stata annunciata direttamente dalla Casa Bianca con la first lady Michelle Obama comparsa in video a Hollywood. Argo ha inoltre conquistato l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e quello per il miglior montaggio visivo, battendo così il favoritissimo Lincoln che si presentava con ben 12 nomination. Il film di Steven Spielberg si è dovuto accontentare dei premi al suo protagonista Daniel Day-Lewis, al terzo Oscar come miglior attore protagonista, e di quello per la scenografia.
I ringraziamenti di Affleck – “Grazie ai miei amici in Iran che vivono in condizioni non facili e a mia moglie che ha lavorato al nostro matrimonio per dieci Natali. Grazie all’Academy. Non importa quanto certe cose ti possano buttare giù. Nella vita, alla fine bisogna sempre risollevarsi” così un emozionato Ben Affleck nel suo discorso dopo la vittoria dell’Oscar nella categoria più importante, quella per il miglior film. Ma nel Paese governato da Ahmadinejad l’agenzia Fars, vicina ai Pasdaran, sostiene che Argo ha vinto l’Oscar “nonostante non lo meritasse”. L’agenzia che spesso riflette posizioni dei Guardiani della Rivoluzione islamica iraniana  quello di Affleck è un “film anti-Iran” realizzato da “una casa di produzione sionista”. Secondo il critico Nadder Talebzadeh il film è un “pezzo di propaganda” prodotto per mettere in ombra le varie sconfitte patite dagli Usa nel loro trentennale confronto con l’Iran. Perciò l’Iran risponderà con una propria produzione cinematografica alla pellicola statunitense sulla fuga di americani rifugiatasi nell’ambasciata canadese a Teheran durante i giorni della rivoluzione islamica del 1979. Si intitolerà The General Staff (Lo Stato maggiore).
Bene anche Ang Lee – Grande successo per Vita di Pi di Ang Lee, l’epopea spettacolare di un ragazzo che rimane per mesi in mezzo all’Oceano su una barca da solo con una tigre è valsa al regista taiwanese 4 Oscar, miglior regia, effetti speciali, fotografia e colonna sonora. Tre Oscar al musical I Miserabili: la principessa di Hollywood Anne Hathaway ha trionfato come miglior attrice non protagonista per il ruolo della prostituta Fantine, per cui ha perso oltre 10 kg e si è tagliata i capelli alla “maschiaccio”, inoltre premi per il miglior sonoro e il miglior trucco. L’Oscar per i costumi è andato invece ad Anna Karenina.
Lawrence, come da pronostico – Come miglior attrice protagonista, la giovane Jennifer Lawrence ha vinto per Il lato positivo, battendo veterane come Naomi Watts ed Emmanuel Riva, Jessica Chastain e la piccola Quvenzhane Wallis per il toccante Re della terra selvaggia che ha commosso anche il presidente Obama. Miglior attore non protagonista, invece, Christoph Waltz per Django Unchained di Quentin Tarantino, film che si è aggiudicato anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
Amour miglior film straniero – Nonostante il mancato premio alla Riva, Amour di Michael Haneke è stato incoronato miglior film in lingua straniera, Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow, il film sulla cattura di Osama Bin Laden, si è dovuto accontentare della statuetta per il miglior montaggio sonoro insieme a Skyfall, e l’ultimo James Bond ha vinto anche per la miglior canzone originale, il brano omonimo di Adele. Infine, in campo animato ancora una volta la Disney ha sbaragliato la concorrenza con il cartoon Brave. Niente da fare per l’Italia che era in lizza solo per la colonna sonora originale di Anna Karenina con Dario Marianelli.

Sanremo: vince Mengoni, due premi per Elio e Le Storie Tese

Sanremo: vince Mengoni, due premi per Elio e Le Storie Tese

di Cristiano Sanna (nostro inviato)
E’ L’essenziale di Marco Mengoni la canzone regina dell’edizione numero 63 di Sanremo. Era il super favorito, il televoto lo amava, i pronostici sono stati rispettati. Ecco i fiori che non vedrete sul palco di Sanremo. Lo scrivono sulle loro bancarelle piene di vasi colorati e petali al sole, i commercianti di via Manzoni e piazza Colombo. Pochissimi fiori sul palco del Festival. E’ la spia di quanto l’evento tv sia lontano dalla realtà e di quanto poco il Festival impatti positivamente sull’economia del posto. L’Italia della crisi si salva con i lustrini televisivi e una gran dose di “unza unza” un po’ ska e un po’ swing veloce, vero tormentone di questa edizione. Nel Sanremo preda dei talent show (sì, anche quest’anno, nonostante le apparenze) vincono ancora gli amici di Maria e i nipotini di X-Factor. Premio della critica Mia Martini a Elio e Le Storie Tese, così come il premio per il miglior arrangiamento assegnato dall’orchestra.
L’emozione di Marco – “Dedico la mia vittoria a tutto il mio gruppo di lavoro che ha lavorato sodo per creare un nuovo progetto seguendomi fino a qui. Dedico questa vittoria anche a Luigi Tenco e ringrazio la sua famiglia” sono le prime emozionatissime parole di Marco Mengoni, stravolto dalla felicità. “Credo di essere un po’ cresciuto in questi anni grazie alle collaborazioni che ho avuto. E’ ancora un mondo un po’ strano per me questo della musica, ma grazie a tutti”.
Wagner, Verdi e l’orchestra allo stremo – Si comincia con Wagner e Verdi e si prosegue con la lettera degli orchestrali di Sanremo affidata alla lettura alla Littizetto. Alla canna del gas pure loro come troppi altri professori d’orchestra in Italia. Contratto di solidarietà e l’ennesima orchestra lasciata in agonia. Il paradosso si ripete e sul filo del paradosso gioca anche il monologo di Luciana Littizzetto. Elogio della bruttezza in un mondo che chiede a tutti di essere belli: la bellezza aiuta, spalanca porte, ma non è tutto dice Lucianina. “Lo dimostrano Ennio Flaiano, Ave Ninchi, Nicola Arigliano, il pittore Ligabue e perfino Noé, che non era bellissimo ma ha salvato un sacco di bestie”. Una serata che scorre senza grandi guizzi. Non il numero di Bisio, con la prima parte riciclata pari pari da un suo vecchio spettacolo teatrale, Quella vacca di Nonna Papera. Nemmeno con il ritorno sul palco Sanremese di Andrea Bocelli, il tenore pop italiano più amato dagli americani, che insieme al figlio Amos al piano ha proposto le sue versioni di Love Me Tender Quizas Quizas Quizas. Bella e algida Bianca Balti, ex attivista no global ora top model miliardaria giunta sul palco dell’Ariston a piedi nudi. Divertenti i siparietti della Littizzetto con il monumentale rugbista Martin Castrogiovanni. “Parla con l’accento di Belen ed è pettinato come lei” punge Luciana, lui risponde divertito: “La farfalla non ce l’ho”. La Littizzetto chiude fra le risate: “La metto io”.
Elii grassissimi e lo scivolone di Bianca – In chiusura di serata ecco Birdy, la ragazzina inglese di sedici anni divenuta un fenomeno pop milionario anche grazie all’uso accorto di Internet (discografici e produttori italiani, studiate). Ma ad entusiasmare l’Ariston, tra i tanti big tutti concentrati nella gara, sono gli Elio e Le Storie Tese resi grassissimi dal trucco e parrucco, quasi un omaggio agli sketch dei Monty Python, e sempre impeccabili nell’esecuzione. E un Max Gazzé con lente a contatto Marilyn Manson style che nel finale del suo brano ruba la bacchetta al direttore d’orchestra e dirige la platea nel coro all’unisono. Come pure il duello in passerella che vede, a sorpresa, perdere la Balti che scivola in modo inatteso, mentre la Littizzetto fa il giro del palco sulle note della famosa marcia circense. Poi arrivano i premi, arriva Marco adorato dalle ragazzine e dal grande pubblico. Sanremo rispetta le sue tradizioni, nemmeno la furbesca bravura musicale di Elio e soci riesce a scalfirla. Forse è giusto così.