Onu, Trump su Nord Corea: “Se costretti, non c’è alternativa alla sua distruzione”.

Onu, Trump su Nord Corea: “Se costretti, non c’è alternativa alla sua distruzione”. Macron lo critica su clima e isolazionismo

Onu, Trump su Nord Corea: “Se costretti, non c’è alternativa alla sua distruzione”. Macron lo critica su clima e isolazionismo

MONDO
Il presidente Usa fa il suo debutto all’Assemblea generale e attacca Kim Jong-un, definito “Rocket man”. Poi parla come fosse a uno dei suoi comizi-show: “Metterò sempre l’America al primo posto, da quando sono stato eletto abbiamo fatto un buon lavoro”. Scontro totale con Macron su trattato di Parigi, accordo con l’Iran e “America First”

“Se costretti, non ci sarà alternativa alla sua distruzione“. Nel suo debutto all’Assemblea generale dell’Onu, Donald Trump usa parole non fraintendibili per commentare un eventuale attacco della Corea del Nord. Il presidente americano è il primo dei leader mondiali a parlare dopo il discorso del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterresche aveva inaugurato il suo intervento con le parole “il mondo è nei guai. A Trump ha replicato duramente Emmanuel Macron: il presidente francese lo ha attaccato innanzitutto sulla questione clima, argomento mai toccato dal leader della Casa Bianca. Ma poi anche sul concetto di “America First“, più volte ribadito dal tycoon nel suo discorso: “I muri non ci proteggono”, ha detto il capo dell’Eliseo. Uno scontro totale tra i due presidenti che ha coinvolto anche l’accordo con l’Iran, definito “imbarazzante” da Trump e “solido” da Macron.

Il discorso di Trump
Trump ha parlato al Palazzo di Vetro per 41 minuti come fosse a uno dei suoi comizi-show. “Metterò sempre l’America al primo posto“, ha detto il presidente Usa dopo aver elogiato il suo lavoro da quando è alla Casa Bianca: “Dopo l’8 novembre abbiamo fatto un buon lavoro. Il mercato azionario va molto bene, la disoccupazione ha raggiunto livelli più bassi degli ultimi anni e grazie alle riforme ci sono più lavoratori negli Usa, le società stanno tornando in America, portando lavoro, come non si era mai visto”.

Rocket man è in una missione suicida per se stesso e per il suo regime”, ha detto Trump riferendosi a Kim Jong-un, che aveva già battezzato “uomo razzo” in un tweet dei giorni scorsi. “Se saremo costretti, non avremo altra alternativa che distruggere la Corea del Nord”, ha aggiunto mentre la delegazione di Pyongyang ha lasciato la sala prima che il presidente Usa prendesse la parola. “E’ un oltraggio che ci siano paesi che sostengono Kim” ha aggiunto ancora Trump, sottolineando come “la Corea del Nord deve capire che la denuclearizzazione è l’unico futuro”.

Rimanendo in tema di politica estera, Trump ha poi definito “un imbarazzo per gli Stati Uniti” l’accordo con l’Iran che a suo parere “fornisce copertura per l’eventuale realizzazione di un programma nucleare”. “La popolazione iraniana è quello che i leader temono di più – ha sostenuto – sono in grado di esportare violenza, bagni di sangue e caos”, inoltre finanziano “gli Hezbollah contro i pacifici Paesi arabi e Israele”. Inoltre il presindente Usa ha avvertito Cuba che “non toglieremo le sanzioni fino a che il regime non farà le dovute riforme per il suo popolo”. Gli Stati Uniti sono pronti ad agire anche nei confronti del governo del Venezuela, è l’altro monito del tycoon che parla di una ”dittatura socialista inaccettabile”.

“E’ un periodo di grandi promesse ma anche di grandi pericoli”, ha aggiunto poi Trump. “I terrorismi e gli estremismi si sono rafforzati, sono diffusi in ogni angolo del pianeta e sono sostenuti nel mondo da diversi regimi. Se i giusti non sapranno affrontare questi pochi cattivi, il male trionferà”, ha sostenuto il tycoon, indicando negli “Stati canaglia” una minaccia per il mondo. “Metterò sempre l’America al primo posto e difenderò sempre gli interessi americani”, ha chiarito il presidente Usa. Ha anche precisato che “lavoreremo sempre con gli alleati ma non si potrà più approfittare di noi”. “Non vogliamo imporre il nostro stile di vita a nessuno – ha aggiunto – ma l’America vuole essere un modello“.

La replica di Macron
“L’accordo non sarà mai rinegoziato. Rispetto profondamente la decisione degli Stati Uniti e la porta resterà aperta per un loro ritorno. Ma noi andremo avanti”. La melina di Trump sull’accordo Cop21 sul clima non ha distolto Macro dal “proseguire nel dialogo” con la Casa Bianca perché “convinto che alla fine capirà che è nel suo interesse e nell’interesse degli americani”. Ma il presidente francese ha precisato che non ha intenzione di “cedere nulla sugli equilibri dell’accordo di Parigi” e ha sottolineato come gli uragani che in questi giorni si sono abbattuti sui Caraibi ma anche sulle coste orientali degli Stati Uniti (Harvey, Irma, in queste ore Maria) “siano una delle conseguenze dirette del riscaldamento climatico“.

“La loro violenza, la loro frequenza – ha insistito – è chiaramente correlata al riscaldamento climatico”. In questo contesto, ha continuato Macron, “l’accordo di Parigi è una cornice importante, non è l’alfa e l’omega, ma una base indispensabile“. Esortando “a fare meglio”, il presidente francese ha ricordato che il 12 dicembre si terrà a Parigi “un summit per i due anni della Cop21“, la conferenza dell’Onu che promosse l’accordo nella capitale francese che contava sull’impegno dei quattro grandi inquinanti: Europa, Cina, India e Stati Uniti. Fra questi, il contenimento delle emissioni, il controllo periodico dei risultati e il sostegno ai Paesi poveri.

La linea di Washington su Cop21 è ondivaga da mesi. Trump ha usato a giugno parole nette dicendo di voler uscire dall’accordo di Parigi. Poi ha detto che resterà nell’intesa. Infine ha detto che resterà ma solo se avrà condizioni migliori sulle emissioni di gas. Ma durante il discorso di 41 minuti al Palazzo di Vetro, per la sua prima volta all’assemblea delle Nazioni Unite, non ha detto una sola parola sul tema.

Macron però non ha attaccato Trump solo sul versante clima. Il presidente francese ha criticato in generale tutto l’impianto dell’intervento del tycoon, basato su quell’isolazionismoamericano che ha caratterizzato tutta la sua campagna elettorale. “E’ falso pensare che i Paesi siano più forti quando sono da soli. Il multilateralismo è molto più efficiente”, ha detto nel suo intervento il leader dell’Eliseo. “I muri non ci proteggono, il mondo è interdipendente“, sono le parole con cui ha chiuso il suo intervento. Prima, un passaggio anche sull’accordo con l’Iran, definito “solido”. “Denunciarlo e rigettarlo senza proporre altro è un grave errore“, ha detto Macron, pungendo nuovamente Trump.

Terremoto in Messico, oltre 200 morti e 4 milioni senza luce

Terremoto in Messico, oltre 200 morti e 4 milioni senza luce

  • 20 settembre 2017

Quasi 4 milioni e 600mila tra case, negozi e altri edifici sono senza elettricità in Messico. Almeno 24 bambini rimasti uccisi nel crollo di una scuola, in tutto oltre 200 vittime. Questo il bilancio provvisorio del terremoto di magnitudo 7.1 che ieri ha scosso il Messico e che è stato 30 volte meno potente del precedente, di magnitudo 8.1, avvenuto lo scorso 8 settembre. I due eventi sono avvenuti sulla stessa placca, ma è difficile dire se siano legati da un rapporto di causa-effetto. A rilevarlo sono gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Le zone più colpite ora senza elettricità si trovano nella zona della capitale e negli Stati di Guerrero, Morelos, Puebla, Oaxaca, e Tlaxcala. Il coordinatore nazionale della Protezione civile messicana ha rivisto al rialzo il bilancio dei morti provocati finora dal terremoto in Messico rispetto alla stima fatta pochi minuti fa dal ministero dell’Interno.

Secondo quanto ha reso noto in un tweet Luis Felipe Puente, le vittime accertate del sisma sono 248, di cui circa la metà nella capitale: 72 nello Stato di Morelos, 117 a Città del Messico, 43 nello Stato di Puebla, 12 nello stato del Messico, 3 in quello di Guerrero e uno in quello di Oaxaca.

«Sfortunatamente diverse persone hanno perso la vita, inclusi bambine e bambini in scuole, edifici e abitazioni», ha detto il presidente messicano Enrique Pena Nieto. 24 bambini in una scuola crollata. «La priorità rimane quella di portare soccorso a chi è ancora intrappolato e prestare assistenza medica ai feriti», ha aggiunto, precisando che il sisma «rappresenta una dura e dolorosa prova per il Paese».

Sisma in Messico, Paese in ginocchio

Sui tanti fronti dell’emergenza, l’aspetto centrale è quello di salvare chi è rimasto sotto i detriti dei tanti crolli nella capitale: una quarantina, ha precisato il presidente Enrique Pena Nieto, tra i quali quello nella scuola “Enrique Rebasamen” dove sono morti una ventina di bambini. A sottolineare la lotta contro il tempo per scavare tra i detriti alla ricerca dei sopravvissuti è stato tra gli altri il sindaco Miguel Angel Mancera, che ha disposto lo “stato d’emergenza” in tutta la città. Oltre agli uomini delle forze di sicurezza – tra i quali 3 mila miliari – tantissimi volontari hanno preso parte alle operazioni di soccorso fin da subito dopo la mega-scossa di ieri alle 13,14 (ore locali). La megalopoli, dove circa 50 persone hanno perso la vita, è rimasta profondamente ferita dal terremoto. Molte le fughe di gas e le strade chiuse, senza semafori a causa dei black out, soprattutto nell’area del centro e del sud della capitale.

La violenta scossa 
Il sisma di magnitudo 7,1 ha colpito 5 miglia (8 km) a sud est di Atencingo nello stato di Puebla a una grande profondità. Le persone sono fuggite in strada a migliaia ma in molti sono rimasti intrappolati sotto le macerie. Alcuni quartieri abitati dalla classe media sono stati tra i più danneggiati: Roma, Del Valle e Napoles, tra le altre zone. Le tv messicane hanno mostrato immagini di edifici crollati in parti molto popolose della capitale. Si sono viste numerose colonne di fumo e uno degli edifici crollati è un grande parcheggio vicino a un ospedale.

Nella capitale vivono oltre 20 milioni di persone. Il traffico aereo verso l’aeroporto internazionale di Città del Messico, distante 123 chilometri dall’epicentro, è stato bloccato secondo quanto riportano i siti che monitorano il traffico aereo. Qui sotto si può vedere l’effetto del terremoto al 38esimo piano di un edificio nel quartiere finanziario del Paseo de la Reforma.

Secondo il sismologo Alessandro Amato dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) «non c’è rischio di tsunami per il forte terremoto che ha colpito il Messico centrale, perché il sisma è avvenuto nell’entroterra lontano dalla costa, almeno a 200 chilometri. L’Ingv – ha aggiunto – stima preliminarmente la profondità del sisma intorno ai 60-70 chilometri».

 
7.5 magnitude powerful tremor hits on anniversary of major 1985 quake, held practice evacuations drills! !!

La forte scossa ha avuto luogo nel giorno in cui nella capitale era in programma un’esercitazione antisismica in occasione del 32/o anniversario del devastante terremoto del 1985.

Il sisma giunge dopo lo sciame sismico innescato dal devastante terremoto dello scorso 7 settembre, che aveva raggiunto una magnitudo pari a 8,2 gradi Richter, anche se esperti locali non confermano che tra i due sismi ci sia un collegamento. La scossa di ieri è stata avvertita chiaramente non solo a Città del Messico ma anche, tra l’altro, nell’Oaxaca, uno dei tre stati – insieme al Chiapas e a Tabasco – più colpiti dalla scossa di qualche giorno fa.

Tony Gali, governatore di Puebla, città a un centinaio di chilometri dalla capitale, ha riferito che «continuiamo a vedere» danni e «per ora non abbiamo notizia di morti». In realtà si sarebbero contate ben presto diverse vittime, ma il bilancio sembra destinato ad aumentare. Secondo il ministro dell’Interno dello Stato, Diodoro Carrasco, i campanili di alcune chiese sono crollati nella località di Cholula, famosa per le sue molte chiese. Intanto l’istituto sismologico messicano ha precisato che l’epicentro del sisma è stato individuato a una profondità di circa 50 chilometri.

“L’uomo della Sindone subì torture”. Un clamoroso studio proverebbe che il telo è originale

“L’uomo della Sindone subì torture”. Un clamoroso studio proverebbe che il telo è originale

Ma da Torino arriva la smentita: “Chi ha condotto la ricerca non è in grado di dimostrare da dove provengono le fibre sindoniche sulle quali ha lavorato

'L'uomo della Sindone subì torture'. Un clamoroso studio proverebbe che il telo è originale
Redazione Tiscali

La Sindone avvolse effettivamente un uomo che subì delle torture. A provarlo sarebbe uno studio, pubblicato dalla rivista scientifica Applied Spectroscopy, che si basa sull’isolamento di alcune sostanze derivanti dalla degradazione del sangue contenuto nel sacro telo. Ma a Torino, gli esperti del Centro Internazionale di Sindonologia mettono le mani avanti: gli esami sono stati compiuti su campioni non attendibili, dunque non hanno valore scientifico.

Lo studio, condotto da Giulio Fanti del dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova, e Jean-Pierre Laude, della francese Horiba Jobin-Yvon, specializzata in tecniche di analisi, ha preso in esame le sostanze isolate da alcuni frammenti del telo, fra cui la biliverdina, identificata grazie alla tecnica della spettroscopia Raman. La biliverdina viene prodotta dalla degradazione dell’eme, un componente di proteine di sangue e muscoli. Il nuovo risultato è complementare a quello già raggiunto in una precedente indagine, condotta dall’Università di Padova e il CNR,  che aveva riconosciuto la presenza di un componente del sangue come la creatinina e di una proteina presente in molti tessuti, come la ferritina.

I due risultati indicano che l’uomo avvolto nella Sindone aveva affrontato una morte crudele, ha spiegato Fanti in una dichiarazione a La Stampa: “Un trauma produce la biliverdina come degradazione dell’emoglobina nel sangue e la creatinina con ferritina risulta dalla degradazione delle fibre muscolari”. Secondo il ricercatore “questi risultati rappresentano un importante passo in avanti negli studi sull’autenticità della Sindone perché, mentre è confermato il fatto che essa realmente ha avvolto un uomo torturato a morte, è molto improbabile che un artista, forse nei secoli passati, sia stato in grado di aggiungere tutti questi dettagli alla sua opera d’arte”.

Tuttavia da Torino arriva la doccia fredda da Giuseppe Ghiberti e dal professor Bruno Barberis, massimi esperti della Sindone che, ancora dalle colonne de La Stampa precisano : “Fanti non è in grado di dimostrare da dove provengano le fibre sindoniche sulle quali sta lavorando da tempo. Se anche si trattasse di fibre vere ottenute illegalmente, e non si comprende come, durante i prelievi per le analisi del 1978 e del 1988, non c’è alcuna certezza – osservano i due studiosi – sulla loro conservazione. Circostanza che, purtroppo, toglie valore alle analisi di cui parliamo oggi”.

Grillo e il metodo Rousseau per far vincere chi deve vincere

Grillo e il metodo Rousseau per far vincere chi deve vincere

Al centro della nuova vignetta di Sergio Staino per tiscali.it finisce la democrazia digitale dei M5s

[L'esclusiva] Grillo e il metodo Rousseau per far vincere chi deve vincere
Redazione Tiscali

Nella nuova vignetta disegnata in esclusiva da Sergio Staino per tiscali.it il protagonista stavolta è Beppe Grillo che esulta per la vittoria di Luigi Di Maio per la premiership.

Il battesimo di Di Maio

Italia 5 stelle, le istantanee di una svolta. Il battesimo di Di Maio, Grillo che canta (e basta) e Casaleggio regista

Italia 5 stelle, le istantanee di una svolta. Il battesimo di Di Maio, Grillo che canta (e basta) e Casaleggio regista

POLITICA
La scheda finale della tre giorni di Rimini. Dal battesimo del candidato premier a Di Battista che ha vinto senza partecipare. E ancora, la “milanesizzazione” operata dal figlio del fondatore. Fino a Fico in trincea. Ecco, nome per nome, la fotografia della kermesse politica che è la prova generale della campagna elettorale

Luigi Di Maio battezzato tra la folla degli attivisti di Rimini mentre Beppe Grillo intona i Blues Brothers con una finta catena al collo. Davide Casaleggio regista silenzioso del nuovo corso chiuso dietro il palco. Alessandro Di Battista che con un videomessaggio commuove la piazza, quella piena come forse i grillini avevano visto solo agli inizi. L’album delle fotografie di Italia 5 stelle a Rimini, la prova generale di campagna elettorale dove il Movimento si gioca il tutto per tutto, inizia con la proclamazione del nuovo capo politico e finisce con le panoramiche di una folla che è tornata ad uscire di casa per contarsi.

Sono 50mila le presenze complessive nei tre giorni. L’istantanea che non c’è è quella di Roberto Fico, il deputato ortodosso che si autoescluso, fuori dalle primarie e fuori dal programma e che ha passato tre giorni in trincea. Ci sono, in piccolo tra le ultime pagine, i parlamentari con gli occhi persi che cercano di capire da che parte stare: chi fa il cordone sul palco al momento dell’incoronazione di Di Maio, chi passeggia tra gli stand alla ricerca dello spirito delle origini perduto. Chiude la foto di gruppo degli attivisti ventenni: “Dite a Luigi che la prossima volta tocca a noi”.

Renzi lancia il “Pd squadra”

Renzi lancia il “Pd squadra” e chiude a Mdp: il no al Def un gol contro l’Italia


Il centrosinistra da ricostruire? Le alleanze? La coalizione? «Il centrosinistra siamo noi, la più grande comunità politica d’Europa». Le aperture di Pier Luigi Bersani, che invoca primarie di coalizione per individuare il candidato premier della coalizione? «C’è qualcuno alla nostra sinistra o presunta tale che ci ha educato alla bandiera, alla “ditta” e al rispetto della nostra collettività e alla prima occasione ha lasciato la bandiera e la ditta per un risentimento personale che non ha ragione di esistere. A questo risentimento rispondiamo con il sentimento di una politica diversa. Per essere di centrosinistra si deve fare di più ma il primo modo è creare crescita e benessere, non fare i convegni». E ancora, a scanso di equivoci sul tema delle alleanze: «La nostra sinistra è quella di Obama da cui saremo il 31 ottobre e 1 novembre a Chicago. Non è la sinistra rivendicativa e vendicativa, non la sinistra di Bertinotti che ha rotto il patto di governo e ha fatto vincere la destra. C’è chi segue Obama e chi segue Bertinotti».

Porta chiusa a Mdp

Nei giorni in cui si è ritornato a parlare di riforma della legge elettorale e di possibili alleanze a sinistra Matteo Renzi – che ha concluso a Imola i lavori della festa nazionale dell’Unità davanti a una platea gremita nonostante il cattivo tempo – sembra chiudere le porte a qualsiasi tipo di dialogo con gli scissionisti di Mdp che hanno seguito Bersani e D’Alema e incentra il suo discorso sull’”orgoglio” Pd: l’orgoglio di essere l’unica comunità democratica di fronte alla democrazia del clic del M5S («noi non siamo dipendenti di un’azienda privata che fa software, ma cittadini di un Paese che si chiama Italia. Non scegliamo il capo sulla base di un principio dinastico: se ne va il padre e arriva il figlio. Ma scegliamo il leader sulla base di un principio democratico, votano in milioni a casa nostra»); l’orgoglio di aver riportato il segno più in economia in questi anni di governo («abbiamo portato il Paese fuori dalla crisi creando più di 900mila posti di lavoro»).

Giornalisti fondamentali

«O vincono loro, i populisti, quelli che urlano, o vinciamo noi», dice Renzi rilanciando l’idea del Pd come unico argine al populismo. Quasi un mantra della campagna elettorale già in atto. Non a caso Matteo Salvini e il M5S sono i principali bersagli del suo intervento. E Renzi ha anche buon gioco a difendere la categoria dei giornalisti dopo le aggressioni avvenute durante la kermesse grillina di Rimini: «Un grande abbraccio a chi svolge la funzione civile del giornalista, noi non li aggrediamo e gli auguriamo buon lavoro. Anche quando non siamo d’accordo sappiamo che in democrazia il giornalismo è fondamentale», dice ricordando l’assassinio da parte del camorra del giovane Giancarlo Siani 32 anni fa.

Votare no al Def un autogol

La porta chiusa di Renzi a Mdp arriva anche in Parlamento, dove il 4 ottobre ci sarà la fondamentale votazione sullo scostamento dal deficit che precede il voto sulla Nota di aggiornamento al Def e che necessita della maggioranza assoluta, 161 voti. I senatori bersaniani non danno per scontato il loro voto, sulla carta fondamentale, legandolo alle loro richieste sulla legge di bilancio. Le parole del leader del Pd a riguardo, come quelle già pronunciate dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan proprio da Imola, sono chiarissime: votare no sarebbe un gol contro l’Italia, dal momento che si negherebbero circa 8 miliardi di flessibilità in più concordata con Bruxelles da investire nella crescita e nel lavoro. «Il passaggio del 4 ottobre è fondamentale. Da qui arrivi un appello a tutte le forze politiche. Leggo di qualcuno che vorrebbe smarcarsi dal voto sul Def, come se per un gioco politico si cercasse di far scattare l’Iva. Invitiamo tutti a considerare quel passaggio importante, la quota 161 al Senato non può essere oggetto di ricatti e trattative. Serve agli italiani per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia e sarebbe assurdo che qualcuno giocasse la palla contro l’Italia».

Mdp: Renzi la smetta di provocare

Un passaggio che non può essere sottoposto a ricatti o a trattative: parole che per la verità provocano un brivido lungo la schiena ai senatori democratici presenti a Imola, che stanno preparando il difficilissimo passaggio del 4 ottobre. E infatti il senatore di Mdp Federico Fornaro reagisce subito parlando di provocazione e chiedendo al governo ascolto per le richieste di un partito di maggioranza: «Il governo Gentiloni non è un governo monocolore con una maggioranza numerica autosufficiente – ricorda Fornaro – ed è quindi naturale che il presidente del Consiglio si renda disponibile ad ascoltare le ragioni di chi nelle aule parlamentari dovrà approvare il Def e la legge di bilancio: Renzi la smetta di fare il provocatore per interessi di mera propaganda elettorale».
Certo è che il leader del Pd la campagna elettorale l’ha di fatto iniziata con il discorso di Imola. E la decisione di puntare sul Pd come comunità è sottolineata anche dalla scelta coreografica: è la prima volta, a memoria di cronista, che Renzi pronuncia un importante discorso politico su un palco gremito di dirigenti: oltre al alcuni giovani militanti, i cosiddetti millenials, c’è tutto lo stato maggiore del partito: tra gli altri i ministri Delrio, De Vincenti, Minniti e la sottosegretaria a Palazzo Chigi Boschi; il portavoce Richetti, il presidente Orfini, il vicesegretario e ministro Martina, i capigruppo Rosato e Zanda. Tutti attorno al segretario, quasi in un abbraccio.

Un inedito nella comunicazione renziana, sottolineato anche dall’uso del “noi” invece che dell’”io”. Si punta sulla squadra, insomma. E accade anche che a discorso finito, quando il segretario si ritira dietro le quinte con i suoi dirigenti, un ministro come Marco Minniti – simbolo della nuova linea “dura” sui migranti – rimanga sotto il palco a concedere selfie e strette di mano ai tanti militanti che lo chiamano e lo avvicinano. Anche questo un inedito, e forse il segno del nuovo corso del Pd.

“Il Papa sbaglia a perdonare i peccati sessuali”

“Il Papa sbaglia a perdonare i peccati sessuali”. Ecco chi sono i nemici in Vaticano di Francesco e perché lo accusano

Francesco è reo di aver permesso che “la Chiesa dovrebbe talvolta accettare l’adulterio in quanto compatibile con l’essere cattolici praticanti”. Francesco chiede invece di mai emarginare le persone ma di integrarle nonostante le debolezze, si può capire la distanza incolmabile tra le due posizioni. Gli estensori del nuovo documento vogliono dare la sensazione di rappresentare un dissenso molto più vasto dei firmatari scrivendo che rappresenta altri che “non hanno la necessaria libertà di parlare”

Papa Francesco
Papa Francesco

Assaggi dell’attacco a Francesco si erano avuti da presto dopo la sua elezione avvenuta nel 2013. La Chiesa viveva ancora nel trauma della rinuncia di Benedetto che aveva provocato un terremoto nella coscienza intorpidita dei fedeli e di buona parte dele istituzioni che non accennavano alla voglia di cambiare. Francesco da subito aveva chiarito che la strada del cambiamento sarebbe stata la sua strada rovesciando l’ordine dei fattori fino ad allora imperanti. Non più l’istituzione ecclesiastica e neppure la Curia romana al centro, ma la persona dei singoli fedeli, il riconoscimento e la difesa della loro dignità di figli di Dio a cominciare dai poveri e dagli esclusi.

Sessantatre alti prelati e docenti contro la linea di Bergoglio

Ora le cose si sono fatte più chiare, nonostante tanti aspetti torbidi portati avanti nell’ombra verranno portati ancor più alla luce. Il segnale di una vera strategia  di resistenza alle riforme che contano è venuta ieri con la pubblicazione di una lettera, firmata – per ora – da 63 ecclesiastici e docenti tradizionalisti di 20 Paesi nella quale si chiede formalmente al Papa di fare pubblica ammenda di almeno 7 eresie contenute nella esortazione Amoris Laetitia. La lettera porta la data del 16 luglio ma è stata spedita l’11 agosto con la richiesta di una risposta. A un mese di distanza, non avendo ottenuto risposta, i suoi estensori hanno ritenuto di rendere pubblico il contenuto dello scritto in latino, inviato al Papa con il titolo “Correzione filiale in ragione della propagazione di eresie”. In pratica si dichiara che Francesco in Amoris Laetitia ha sostenuto 7 proposizioni eretiche riguardanti la vita morale, il matrimonio e la recezione dei sacramenti. Ben 17 pagine con un’aggiunta di 8 pagine di puntigliose note teologiche per un totale di 25. In apparente umiltà i firmatari fanno la lezione al Papa sulla verità cattolica, gli ricordano il catechismo della vera morale cristiana sulla sessualità che resta un vero incubo quando viene pensata fuori dalle maglie rigide del matrimonio.

L’errore del’adulterio accettato come praticabile

Francesco è reo di aver permesso che “la Chiesa dovrebbe talvolta accettare l’adulterio in quanto compatibile con l’essere cattolici praticanti”. Inaccettabile per i firmatari che chiedono una pubblica condanna di queste eresie. Si pensa a un papa pentito di errori commessi forse in buona fede. In questo modo gli autori dello scritto pensano di ripristinare il primato della legge e della disciplina sulla persona dei fedeli  e riportare le cose nell’ordine di sempre sconvolto dal modernismo di Francesco e dalla sua “simpatia senza precedenti” per l’eretico Martin Lutero. Secondo i firmatari della lettera “l’autentico magistero papale soffre di una ferita che potrebbe non rimarginarsi presto”. La lotta potrebbe durare a lungo. Si potrebbe pensare che questo scontro sia una riproposizione in forma analoga dello scontro innescato nella Chiesa cattolica con il concilio Vaticano II. Un contrasto che, nonostante enormi sforzi, appare tuttora insanabile tra i cultori della tradizione intesa come immobilità delle formule cui bisogna attenersi e coloro che intendo la tradizione come patrimonio dottrinale compreso nell’evoluzione del tempo per garantire libera e cosciente adesione alla fede in Gesù dei Vangeli.

Dalle torture all’eccesso di perdono

Se si pensa che nel passato si è giunti a torturare e uccidere le persone per difendere la purezza astratta della dottrina e che invece Francesco chiede –sull’esempio della misericordia di Dio – di mai emarginare le persone ma di integrarle nonostante le debolezze, si può capire la distanza incolmabile tra le due posizioni. Tanto più che la lettera si richiama ai dubia che hanno spinto alcuni cardinali a scrivere già nei mesi passati al papa una lettera rimasta senza risposta. Gli estensori del nuovo documento  vogliono dare la sensazione di rappresentare un dissenso molto più vasto dei firmatari scrivendo che rappresenta altri che “non hanno la necessaria libertà di parlare”. Chiaro riferimento che tanti possibili firmatari si trovano nelle istituzioni ecclesiastiche.

Chi ha davvero compreso il Vangelo?

Che il nodo del contenzioso sia proprio sul discernimento, ossia sul modo di comprendere nel nostro tempo il Vangelo lo si comprende anche da un prezioso volumetto pubblicato di recente dal vescovo Marcello Semeraro, docente di teologia per tanti anni prima di diventare vescovo ad Albano. “L’occhio e la lampada” è il titolo del volumetto che si propone di comprendere dall’interno le dinamiche dell’Amoris Laetitia diventato motivo di preoccupazione e contestazione degli ambienti cattolici tradizionalisti. Semeraro dimostra invece la continuità del magistero di Francesco con la dottrina cattolica. Proprio in ossequio a tale dottrina la pastorale matrimoniale e familiare deve essere aggiornata per rispondere alla domanda dell’uomo contemporaneo. Il problema che ci si deve porre è: come manifestare oggi il Dio di Gesù Cristo che è un Dio di amore e misericordia?

La resistenza sui soldi della Curia romana

Mentre si svolge e prende forma il contrasto radicale a livello teologico nei confronti di Francesco, si muove la resistenza alle riforme concrete che il papa vuole portare a cominciare dalla Curia romana. E qui –in forme non meno sottili – si svolge un capitolo nuovo della resistenza al cambiamento. Una resistenza non fatta di sofisticati distinguo teologici ma di roba che gira intorno ai soldi, agli interessi, al potere che nascono in ogni realtà umana. Difficile meravigliarsi di ciò che può venire fuori da questo confronto se si pensa che sono quasi quaranta anni che in Vaticano sono iniziate le riforme delle finanze e che ancora non si è venuti a capo definitivamente della questione. Da una parte la teologia e dall’altra il denaro a sostenersi l’un l’altro. In corso c’è una bella e difficile battaglia.

Germania, Afd strappa 1.5 milioni di voti a Cdu e Spd dando risposte a precari e disoccupati.

Germania, Afd strappa 1.5 milioni di voti a Cdu e Spd dando risposte a precari e disoccupati. Ma anche alla classe media

Germania, Afd strappa 1.5 milioni di voti a Cdu e Spd dando risposte a precari e disoccupati. Ma anche alla classe media

MONDO
Sconfitti dalla società moderna, scettici sul futuro che litigano con i tempi che cambiano, orientali frustrati, occidentali timorosi, xenofobi, in maggioranza di sesso maschile. E’ l’identikit dell’elettore dell’AfdAlternative Für Deutschland, il partito populista di destra che ha raggiunto il 13% alle elezioni per il Bundestag. Un risultato storico che ha portato, per la prima volta dal dopoguerra, uno schieramento che non rinnega pienamente il nazionalsocialismo e ha toni apertamente razzisti ad ottenere quasi 90 seggi al Parlamento tedesco.

La Germania si interroga su quali possano essere le motivazioni di un successo che, sebbene annunciato, ha spiazzato tutti i maggiori partiti. Un dato c’è: secondo l’istituto Infratest, Afd ha sottratto più di 1 milione di voti a Cdu, 500.000 a Spd, più di 500.000 a Die Linke, mentre più di 1 milione provengono dalla galassia dell’astensionismo. Dato, quest’ultimo, confermato dall’aumento del 5% nel numero dei votanti rispetto al 2013.

Ma legare un successo così vasto ad un semplice voto di protesta sarebbe riduttivo. Quello di Afd è un processo più ampio che si è insinuato nella società tedesca e che, soprattutto, è destinato a cambiare la politica di Berlino, sancendo una cesura in una società che pensava di aver già fatto i conti con la Storia.

Non è certo un 13% che metterà in discussione la democrazia, ma la domanda che ci si pone è come sia stato possibile. Afd è riuscita ad intercettare il voto di coloro che sono senza lavoro o che un lavoro lo hanno ma è un mini-job, ossia una forma di lavoro estremamente precaria limitata nel tempo e a basso reddito. Quello che ci si chiede con maggior vigore è perché sia riuscita ad intercettare il voto di chi, invece, ha un reddito medio alto, non vive nell’est della Germania e ha un’istruzione almeno superiore.

Il profilo sembra essere ben delineato: maschio, 30-59 anni. Afd ha ottenuto una media dell’11% dei voti nella Germania Ovest, mentre è riuscita a raggiungere il 21% nella parte orientale, con punte del 37%. Proprio questa è la zona dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, che ha sofferto in misura maggiore il processo di riunificazione e che si sente meno considerata dal governo. Parte di questi sono coloro che hanno riconosciuto una minaccia nella cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015 e che hanno sofferto una campagna elettorale basata sul consenso piuttosto che sul cambiamento. Non a caso la wahlkampf è stata definita dagli stessi tedeschi la più noiosa che si ricordi.

Il partito populista ha avuto successo in quella fascia di popolazione delusa dalle politiche di Merkel che non riusciva a trovare una valvola di sfogo nei partiti tradizionali. Afd è stato il rigurgito di una fetta di popolazione che si sente abbandonata, che non riesce a stare al passo con le sfide imposte da un mondo che cambia velocemente e frequentemente. Una popolazione che vede una minaccia nell’Euro, nell’immigrazione e nella sfide poste dalla digitalizzazione.

Quello di Afd sembrerebbe quasi essere un grido di allarme nel Paese che gode della maggior ricchezza in Europa, e proprio per questo fa molto più rumore. Offrendo soluzioni semplici a problemi complessi, Alternativa per la Germania è riuscita ad intercettare il malessere degli elettori che vedono una minaccia nei rifugiati e sono nostalgici di un Paese che non c’è più. Ma anche in questo caso sarebbe un errore additare il successo dello schieramento semplicemente ai richiedenti asilo. Infatti, Afd ha un chiaro programma economico e politico che mira a maggiori sussidi statali e meno tasse. Ha attirato coloro che sentivano di non avere più una voce, a volte portando il discorso da bar nelle urne.

Con un sguardo più attento, l’exploit di Afd è il fallimento dei due partiti pigliatutto, Cdu e Spd, veri sconfitti da questa tornata elettorale. Mentre il primo riscuote la sconfitta più grande in termini numerici, dovuta ad una campagna senza promesse rivoluzionarie, il secondo sembra aver pagato a caro prezzo la Große Koalition e la mancanza di un programma politico alternativo. C’è una voglia di novità che è stata espressa attraverso un voto radicale e adesso starà alle forze democratiche capire quali sono i programmi da mettere in atto per riportare gli elettori sui binari tradizionali.

Un indizio è già arrivato, ed è la dichiarazione di Angela Merkeldi voler stringere sull’immigrazione e riconquistare gli elettori di destra. Scelta peraltro annunciata ad ogni ottimo risultato di Afd. Il timore è che questo risultato possa cambiare lo scacchiere politico tedesco non solo a causa di Afd, ma anche a causa del passaggio di Spd all’opposizione.

Se, infatti, così facendo, Spd si assicura la posizione di oppositore al futuro governo, che altrimenti sarebbe rimasta esclusivamente nelle mani dei populisti di destra, lascia il governo in mano ad una coalizione tripartita tra Cdu, Fdp e Grüne, con questi ultimi in posizione minoritaria. A rimetterci potrebbero essere l’Europa e l’Italia. Entrambe per una ricerca da parte del governo del consenso degli elettori di destra, fatta di politiche sempre più germanocentriche che vedono in Berlino (si legga Francoforte) la capitale europea.

Il pentito della super loggia massonica segreta: “C’erano anche capi di Stato ed esponenti di governo”

Il pentito della super loggia massonica segreta: “C’erano anche capi di Stato ed esponenti di governo”

di Ignazio Dessì   –   Facebook: I. Dessi

Che rapporto esiste tra le mafie e la Massoneria? Ha tentato di chiarirlo la Commissione Parlamentare Antimafia presieduta dall’onorevole Rosy Bindi che, dopo aver impattato contro il diniego delle organizzazioni massoniche italiane a consegnarli, ha deliberato il sequestro degli elenchi degli iscritti. Così a inizio marzo scorso gli uomini dello S.C.I.C.O., il Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata, hanno sequestrato le liste degli affiliati alle quattro principali associazioni massoniche italiane: il Grande Oriente d’Italia, la Gran Loggia Regolare d’Italia, la Serenissima Gran Loggia d’Italia e la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori.

“Inchiesta sui massoni mafiosi e non sulla Massoneria”

La reazione delle obbedienze massoniche non si è fatta attendere. Il Gran Maestro del Goi, Stefano Bisi, ha dichiarato: “Noi cerchiamo di utilizzare tutti gli strumenti che la legge consente per respingere l’atto (secondo noi illegale) che la commissione parlamentare antimafia ha fatto. La nostra non è lotta contro lo Stato”.

Ma Rosy Bindi ha risposto spiegando che “la mancanza di collaborazione con le Istituzioni parlamentari, arrivata al diniego di consegnare i nominativi alla Commissione, ha portato al sequestro perché è stata lanciata una sorta di sfida. Ha fatto nascere alcuni dubbi sull’organizzazione massonica, assolutamente legittima nella sua esistenza, che non può tuttavia presentarsi come un ordinamento separato rispetto allo Stato rifiutando la collaborazione per proteggere i propri iscritti e il buon nome dell’organizzazione. Eppure non stiamo facendo una inchiesta sulla Massoneria, stiamo facendo una inchiesta sui mafiosi massoni”.

Il Gran Maestro del Goi Stefano Bisi e Rosy Bindi

Si tratta insomma di gettare un fascio di luce sulla nuova organizzazione delle mafie. Per la commissione presieduta dalla Bindi la questione è fondamentale. E’ importante cercare di far chiarezza su una realtà che vede “insieme pezzi delle mafie con pezzi delle massonerie, dello Stato e delle classi dirigenti del nostro Paese”, precisa la presidente della commissione.

“Indizi concreti”

La esigenza di chiarezza del resto non è ingiustificata, si basa su indizi concreti. “Le conclusioni cui siamo giunti non sono definitive – spiega la Bindi nella puntata di PreasaDiretta intitolata I Mammasantissima mandata in onda lunedì su Rai3 – ma i primi risultati del nostro lavoro dimostrano che fra i nominativi degli iscritti di alcune logge della Calabria e della Sicilia vi sono alcuni condannati in via definitiva per 416 bis, quindi per associazione mafiosa, e un numero considerevole di situazioni giudiziarie in itinere di imputati rinviati a giudizio sia per reati di mafia, sia per quelli che comunemente chiamiamo reati spia, ovvero comportamenti mafiosi o comunque di collusione con la mafia”.

Sono stati scoperti effettivamente dei mafiosi all’interno di logge regolari? Alla domanda della giornalista di PresaDiretta la presidente dell’Antimafia risponde di sì. Ma i Gran Maestri hanno detto seccamente no alla consegna degli elenchi. Anche se la Bindi precisa che “nessun nome è circolato e circolerà proprio perché non vogliamo rivelare un dato riservato che è quello dell’iscrizione alla massoneria”.

La situazione sembra ormai a tinte fosche. “I dati quantitativi che stanno emergendo – afferma la Bindi – sono obbiettivamente ed effettivamente preoccupanti, si dimostra che alcune teorie sulle nuove organizzazioni della mafia, per cui questa starebbe assumendo nuove connotazioni che passano anche attraverso le organizzazioni massoniche sono in qualche modo convalidate”.

“Quali i nuovi varchi delle mafie”

E’ allora fondamentale comprendere bene e fino in fondo “quali sono i nuovi varchi delle mafie oggi”, quelle che “sparano meno ma corrompono di più, condizionano l’economia legale, la politica, la Pubblica Amministrazione e riescono a piegare ai loro voleri e interessi le classi dirigenti del Paese”.

Per l’onorevole Bindi è indubitabile, “dopo i primi risultati, poter dire che anche le associazioni massoniche rischiano di essere un varco o addirittura una nuova forma di organizzazione attraverso cui le mafie creano relazioni con il potere”.

L’aderente alla massoneria pentito e la super loggia segreta

Particolarmente istruttiva l’intervista fatta da Raffaella Pusceddu di PresaDiretta ad un aderente pentito della massoneria, Cosimo Virgilio, imprenditore calabrese legato alla ‘ndrangheta e massone d’alto livello. Virgilio inizia col ricordare il suo ingresso in Massoneria, nel Goi (Grande Oriente d’Italia), negli anni ’90, a Messina. Poi il trampolino di lancio per arrivare a Roma: “L’ordine dei Templari, dove si ambiva ad essere riconosciuti dalla Santa Sede, dal Vaticano”, racconta.

La loggia dove approdò dopo però non era una loggia delle obbedienze ufficiali. “Era una massoneria diversa”. In sostanza, sintetizza Virgilio, si trattava “dell’accorpamento del vero potere. C’erano Capi di Stato, esponenti del governo, alcuni dei quali ancora in carica”. Descrive anche il suo rito di iniziazione alla loggia segreta. “Un rito molto crudo – afferma – teso a significare la morte della vita terrena, in cui si doveva stare per ore a fianco di quella che rappresentava la morte del profano, ovvero lo scheletro”.

Una Super Loggia in definitiva, “al di sopra di leggi e governi che decideva le sorti del Paese e non solo”. Il fine ultimo era sempre il solito: “Il denaro e il potere”. Per questo si arrivava alla “costituzione di banche per raccattare i capitali”. E altro. “Per fare un esempio, all’epoca era in ballo la fornitura in Turchia di elicotteri Agusta, mi sembra, e si andava a decidere lì” il da farsi.

“Anche esponenti della criminalità organizzata”

E nella Super Loggia segreta c’erano “anche – a detta del massone e imprenditore – esponenti della criminalità organizzata. Ad esempio, per la ‘ndrangheta si gestivano proventi illeciti, si faceva riciclaggio insomma. Una nostra missione era inoltre quella di accorpare sempre più avvocati, perché gli avvocati avevano i rapporti con i magistrati, e se un ‘ndranghetista ha bisogno di aggiustare un processo non può andare a parlare direttamente con un magistrato”.

Ma si tratta di una “’Ndrangheta al servizio della massoneria o di una massoneria al servizio della ‘ndrangheta? “Io lo definisco un sistema di mutuo scambio”, risponde Virgilio nell’intervista. Il punto di vista di uno che sa quello di cui parla. Virgilio infatti, oltre a far parte della loggia massonica segreta faceva parte anche di una loggia ufficiale. Era maestro venerabile della Loggia dei garibaldini, spiega il servizio. E a questo proposito la domanda dell’intervistatrice è puntuale: si trattava di una copertura o esiste un rapporto tra le logge segrete e quelle ufficiali? La risposta dell’imprenditore calabrese fa davvero riflettere: “C’è un riconoscimento universale, ogni massone non può rifiutare il riconoscimento di un altro massone. E’ inutile distinguere tra massoneria riconosciuta e non, con questa super loggia i maestri venerabili avevano grossi interscambi culturali. Diciamo così, culturali”.

La giornalista di LineaDiretta a questo punto approfondisce non senza un moto di sorpresa: “Quindi lei mi dice – incalza – che esistevano rapporti tra obbedienze della massoneria ufficiale e quella dove c’era la ‘ndrangheta?”. La risposta:  “Si, siamo fratelli comunque”.

I lavori della Commissione

Diventa allora ancor più comprensibile lo sforzo portato avanti dalla Commissione Antimafia per acclarare quali siano i rapporti reali tra mafie e massoneria. Davanti alla presidente Rosy Bindi hanno sfilato i nomi più importanti delle obbedienze italiane. Si sono domadati chiarimenti tesi a verificare possibili rapporti con ndrangheta e mafia. Si è chiesto se i Gran Maestri fossero a conoscenza di talune inchieste e rapporti. Si sono infine richiesti i nomi degli iscritti.  Ma tutti i responsabili si sono barricati dietro il diritto alla privacy.

Il 17 gennaio il Gran Maestro del Goi, Stefano Bisi, ha chiarito che “la consegna degli elenchi dei circa 23mila fratelli non può avvenire, perché si compirebbe noi stessi un reato”.

La Bindi gli ha detto a quel punto: “Vi siete chiesti perché in Sicilia e Calabria vi è una sproporzionalità tra abitanti di quelle regioni e iscritti alla massoneria rispetto alle altre regioni italiane?”. E Bisi ha risposto: “Sì, conosco i fratelli di quei territori e non sono peggiori di altri, sono come altri. Noi finché non c’è un documento penale non possiamo agire come organi di polizia giudiziaria”.

Trasparenza e rifiuto degli elenchi

Inevitabile per la giornalista autrice del servizio porre una domanda al Gran Maestro del Goi intercettato durante una riunione della sua organizzazione. “Come si concilia con la sua annunciata politica della trasparenza il fatto di non voler fornire i nomi dei vostri elenchi alla commissione parlamentare?”. E’ semplice, ad avviso del Gran Maestro: “Nessun’altra organizzazione  umana di persone fornisce l’elenco dei propri iscritti, nessuna”. In soldoni, tutte le grandi obbedienze rifiutano di consegnare l’elenco degli iscritti.

E la difesa si è fatta strenua. Schiere di avvocati sono state mobilitate perché – ha detto Bisi ai suoi – “Non si può continuare con le pesche a strascico. Ci opporremo  con tutte le forze a chi sta trasformando in una caccia alle streghe una caccia all’uomo”. Inevitabile per la Commissione Antimafia e per Rosy Bindi deliberare per il sequestro degli elenchi attraverso la Guardia di Finanza.

‘Ndrangheta, favori a imprenditore legato a cosche: arrestato sindaco di Seregno.

‘Ndrangheta, favori a imprenditore legato a cosche: arrestato sindaco di Seregno. “Mantovani politico di riferimento”

‘Ndrangheta, favori a imprenditore legato a cosche: arrestato sindaco di Seregno. “Mantovani politico di riferimento”

‘NDRANGHETA
Edoardo Mazza, avvocato 38enne eletto nel 2015 con Forza Italia, è accusato di corruzione. In totale sono 27 le misure cautelari dell’inchiesta, una costola dell’indagine “Infinito”. In cambio di voti il primo cittadino Edoardo Mazza avrebbe aiutato Antonino Lugarà a ottenere una convenzione per realizzare un centro commerciale. Indagato anche l’ex vicepresidente della Lombardia Mantovani. L’intercettazione: “Mario c’ha una potenza indescrivibile.

C’è un nuovo capitolo dell’inchiesta Infinito. Sette anni dopo, come spiega in conferenza stampa l’aggiunto della Dda Ilda Boccassini, nulla è cambiato: le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni sono un “sistema”, che vede omertà e convenienza andare a braccetto. Ed è così che la nuova fotografia appare: politici corrotti, imprenditori in odor di ‘Ndrangheta pronti a portare voti in cambio di facilitazioni negli affari. Ed è per questo, aver aiutato un imprenditore edile legato alle cosche (che voleva ottenere una convenzione per realizzare un centro commerciale nel Comune brianzolo) in cambio di voti che è stato arrestato con l’accusa di corruzione il sindaco di Seregno Edoardo Mazza, avvocato 38enne eletto nel 2015 con Forza Italia. Per lui il gip ha deciso la misura degli arresti domiciliari. È uno dei 24 arrestati nell’operazione dei Carabinieri, per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione.

Secondo gli investigatori l’uomo d’affari Antonino Lugarà è stato “determinante” per l’elezione di Mazza, che nel 2015, ex assessore all’Urbanistica della giunta precedente, si è candidato con Fi e il sostegno dalla Lega Nord e di due liste civiche. Lo stesso imprenditore avrebbe intrattenuto rapporti con altri politici del territorio e coltivato frequentazioni e rapporti fatti di reciproci scambi di favori con esponenti della criminalità organizzata. Tra gli indagati c’è l’ex vicepresidente della Lombardia, ora consigliere regionale di Forza Italia, Mario Mantovani, già arrestato due anni fa in un’altra inchiesta, è indagato per corruzione (non gli vengono contestati reati di mafia). È Mantovani il filo rosso che, secondo gli inquirenti di Milano e Monza, unisce l’imprenditore Antonio Lugarà e il sindaco di Seregno.  E Lugarà, “è parte del capitale sociale della ‘ndrangheta o mondo di mezzo nell’accezione delle indagini romane, che è il trait d’union tra il potere politico istituzionale e la ‘ndrangheta – secondo la pm della Dda di Milano Alessandra Dolci – ‘ndrangheta che continua ad acquisire consenso anche nella nostra regione, ‘ndrangheta che appare come ormai organismo sociale risolutore di problemiper cui per un recupero crediti ci si rivolge alla ‘ndrangheta, per la risoluzione di una controversia civile ci si rivolge alla ‘ndrangheta”.

Mantovani “politico di riferimento” di Lugarà
Proprio Mantovani è considerato “il politico di riferimento” di Lugarà. Un legame, quello tra Mantovani e l’imprenditore finito in carcere che “è risultato a chiare lettere – secondo quando scrive il gip di Monza Pierangela Renda nell’ordinanza di custodia cautelare – dal tenore di un’intercettazione del 27 luglio 2015 nel quale Lugarà ha dato atto al suo interlocutore del ruolo dirimente di Mantovani anche nelle competizioni elettorali amministrative di Seregno del giugno 2015, ove la famiglia Lugarà ha potuto collocare all’interno del consiglio comunale il proprio uomo di fiducia, Stefano Gatti, poi effettivamente eletto”.  Nelle carte viene anche certificato l’incontro tra il sindaco Mazza e Lugarà il 22 giugno 2015.

Un legame tra Lugarà e Mantovani che emerge anche in una intercettazione di cui è protagonista il figlio dell’imprenditore: “Lo abbiamo messo a fare il consigliere e presidente di Giunta (…) non sapevo chi cazzo mettere (…) abbiamo messo lui e ha vinto (…) non ha fatto neanche la campagna elettorale .. i voti vabbé me li ha dati Mario” riferendosi all’elezione a Seregno del consigliere Stefano Gatti, finito ai domiciliari. Nell’ordinanza del gip di Monza Pierangela Renda si ricostruiscono, infatti, anche i “contatti” tra il costruttore Lugarà, ritenuto vicino alla ‘ndrangheta, e Mantovani. “Contatti – scrive il gip – collocati in un sistematico e più allargato operato di Lugarà Antonino e dei suoi congiunti, improntato nel tempo a garantire e sostenere, a vario titolo, i soggetti politici di maggiore rilievo in sede locale e regionale all’evidente finalità di assicurarsi all’interno dei settori istituzionali i necessari canali di collegamento“. Negli atti, poi, si fa riferimento anche a “contatti” in passato tra l’imprenditore e l’ex assessore lombardo Massimo Ponzoni, che venne arrestato nel 2012 in un’altra inchiesta. “Anche dietro Mazza c’è Mario”, diceva ancora il figlio dell’ imprenditore nell’intercettazione dell’agosto 2015, facendo sempre riferimento a Mantovani e al sindaco di Seregno. E ancora: “Se Mario decide oh domani mattina decide tu sei finito (…) Mario c’ha una potenza indescrivibile“. “Mario Mantovani è un mio amico” diceva Lugarà intercettato il 28 ottobre 2015. “Mantovani a Seregno è venuto soltanto per Lugarà non per Mazza”, diceva invece il consigliere comunale Gatti all’imprenditore che ribatteva: “Ma io lo dichiaro ancora oggi. Mario Mantovani è un mio amico”.

Inchiesta di due procure: dalla mafia alla corruzione
In tutto sono 27 le misure cautelari – 21 delle quali in carcere, tre ai domiciliari e tre sospensioni dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio – firmate dai gip di Monza e Milano Pierangela Renda e Marco Del Vecchio e eseguite dai carabinieri del Comando provinciale di Milano. Le accuse sono, a vario titolo, associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armilesionidanneggiamento (tutti aggravati dal metodo mafioso), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, corruzione per un atto d’ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale.

L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Monza e dalla Procura di Milano, porta la firma dei pm monzesi Salvatore Bellomo, Giulia Rizzo e del Procuratore di Monza Luisa Zanetti e dei pm della Dda Alessandra Dolci, Sara Ombra e dell’aggiunto Ilda Boccassini ed è una costola dell‘indagine “Infinito”, che nel 2010 aveva inferto un duro colpo alle Locali ‘ndranghetiste in Lombardia. È iniziata dagli approfondimenti avviati nel 2015 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Milano sui summit di ‘ndrangheta tenutisi a Legnano (Milano) e a Paderno Dugnano(Milano). L’investigazione ha consentito di identificare gli elementi di vertice della locale di Limbiate (Monza e Brianza) e di individuare un sodalizio dedito al traffico di cocaina, con base nel comasco, composto prevalentemente da soggetti originari di San Luca (Reggio Calabria), legati a cosche di ‘ndrangheta di notevole spessore criminale.

Il rinfresco elettorale di Mazza nel bar in odor di ‘ndrangheta
Nel maggio 2015, in piena campagna per le amministrative, Mazza aveva offerto un rinfresco elettorale al bar “Tripodi pane & caffè” di Antonino Tripodi, che nel 2010 era stato arrestato nell’inchiesta Infinito, accusato anche di associazione mafiosa. Questa imputazione era caduta, ma non quella per detenzione di armi. Che gli era fruttata una condanna definitiva comminata dalla Corte di Cassazione. Di fatto, stando alle indagini, era l’armiere dei boss. Nel 2016 il Comune ha revocato la licenza al bar Tripodi “per pericolo di infiltrazione mafiosa”. All’evento del maggio 2015, comunque, accanto a Mazza sedeva proprio Lugarà, che nel 1989 fu oggetto insieme ai due fratelli di un agguato a colpi di pistola nell’ambito di quella che secondo gli investigatori era una guerra per aggiudicarsi appalti.

L’intercettazione: “Ogni promessa è debito, no?”
Dall’indagine “è emerso un totale asservimento del sindaco di Seregno nei confronti dell’imprenditore indagato” dice il pm di Monza Salvatore Bellomo. Per il pubblico ministero i tratta di un “vicendevole connubio: io ti procuro voti e in cambio te mi garantisci ciò che serve ai miei interessi“. In un’intercettazione emerge il legame tra Mazza e Lugarà considerato vicino alla ‘Ndrangheta e i cui voti – secondo l’accusa degli inquirenti – decretano il successo elettorale del primo cittadino eletto nelle fila di Forza Italia. Il 30 luglio 2015, in una conversazione telefonica ascoltata dai carabinieri che hanno lavorato alla duplice inchiesta della procura di Monza e della Dda di Milano, ci sarebbe “la svolta positiva (ovvero la adozione)” di quanto voluto dall’imprenditore nella pratica riguardante l’area ex dell’Orto. “Ogni promessa è debito no?“, dice il sindaco all’imprenditore che replica “eh non avevo dubbi”. “Mm non devi arrabbiarti”, dice il sindaco e aggiunge “No tranquillo fatto…tutto a posto” e Lugarà ringrazia.

“Vogliamo mettere in piedi San Luca a Milano”
Una guerra in cui la mentalità da criminali organizzati era ben radicata: “Vogliono mettere in piedi San Luca (…) San Luca a Milano … al nord” diceva uno. Il riferimento è a San Luca, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, noto per una faida delle cosche in relazione ad un grosso traffico di cocaina nel Comasco. In altre telefonate captate dagli investigatori i presunti affiliati alla ‘ndrangheta parlavano anche di “mitra” e “kalashnikov“. Nell’inchiesta, tra l’altro, sono coinvolti anche altri due politici locali di Seregno: un consigliere comunale è stato posto agli arresti domiciliari, mentre per un assessore, Gianfranco Ciafrone, è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici.

Individuata e arrestata anche una talpa
Come in ogni inchiesta importante è stata individuata una talpa. Un dipendente dell’ufficio affari semplici della Procura di Monza è stato arrestato. “Attraverso le sue credenziali accedeva alla nostra banca dati e rispondeva alle domande dell’imprenditore di Seregno indagato – ha spiegato il procuratore della Repubblica di Monza Luisa Zanetti – viene ascoltato mentre elenca gli indagati davanti alla nostra schermata, poi abbiamo una fotografia che inquadra l’imprenditore con il nostro dipendente”. Il procuratore poi ha aggiunto: “Giuseppe Carello, ai domiciliari, ha violato la fiducia del procuratore e del personale giudiziario ed amministrativo che sono totalmente estranei ai fatto. Ha violato il giuramento alle istituzioni”.

Il governatore lombardo Roberto Maroni ha commentato dicendo che “la ‘ndrangheta è l’associazione mafiosa più pericolosa perché si insinua nel tessuto economico e ha rapporti con le istituzioni” e “chi rappresenta il popolo nelle istituzioni deve ovviamente stare lontano e rifiutare ogni rapporto con queste persone. Se poi qualcuno ci casca, è giusto che venga estromessoimmediatamente dalla politica alle istituzioni”.