Snowden ottiene asilo temporaneo dalla Russia e lascia l’aeroporto di Mosca. Casa Bianca: delusi dal Cremlino

Snowden ottiene asilo temporaneo dalla Russia e lascia l’aeroporto di Mosca. Casa Bianca: delusi dal Cremlino

Edward Snowden, la “talpa” del Datagate, ha ottenuto asilo temporaneo in Russia. Lo riferisce la tv russaRossia 24. Ricevuti i documenti il giovane americano ha lasciato l’aeroporto Sheremetevo di Mosca dove era bloccato dal 23 giugno. 
Avvocato di Snowden: lasciapassare da servizio migrazioni russo – Secondo il suo avvocato, Anatoli Kucherena, Snowden ha ricevuto dal Servizio federale Migrazioni russo un “certificato” che “gli permette di uscire dalla zona di transito” dello scalo internazionale di Mosca. Snowden sarebbe diretto “in un luogo sicuro”, ma “segreto”, che non sarà rivelato. Il legale ha raccontato che l’ex analista della Cia ha lasciato l’aeroporto a bordo di un normale taxi e da solo, senza alcun accompagnatore.
Casa Bianca: estremamente delusi da Russia – Siamo ”estremamente delusi dalla scelta russa”. Lo ha detto Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, commentando le notizie arrivate dalla Russia. ”Ed Snowden non e’ ne’ un informatore, ne’ un dissidente, ma è imputato di gravi crimini. La scelta russa non ha alcuna giustificazione” ha aggiunto il portavoce. ”Valuteremo l’utilita’ di un summit con la Russia ma oggi non ci sono annunci particolari” in proposito ha poi affermato Carney in merito all’ipotesi che il presidente Usa possa disertare il vertice bilaterale in calendario a margine del prossimo G20 a San Pietroburgo.
Padre di Edward ringrazia la Russia e Putin – ”Sono veramente grato alla nazione russa e al presidente Vladimir Putin”. Cosi’ Lonnie Snowden, padre di Ed, ringrazia le autorita’ di Mosca che oggi hanno concesso un permesso di un anno al figlio. Papa’ Snowden ha ringraziato il Cremlino parlando alla tv pubblica russa.  “Nelle ultime 8 settimane – ha attaccato Ed Snowden – abbiamo visto che l’amministrazione Obama non mostra alcun rispetto per le leggi internazionali e nazionali, ma alla fine la giustizia ha vinto”. 
Media Usa: schiaffo a Obama in vista del G20 – La concessione di un permesso temporaneo da parte di Mosca a Ed Snowden rappresenta uno ”schiaffo a Obama” in vista del G20 in programma a settembre a San Pietroburgo. E rischia di deteriorare seriamente i rapporti tra Washington e Mosca. In attesa di un commento ufficiale della Casa Bianca, i media Usa leggono cosi’ la scelta del governo russo di permettere alla ‘talpa’ dello scandalo ‘Datagate’ di lasciare l’aeroporto. Sinora la Casa Bianca ha sempre definito una soluzione di questo tipo ”decisamente deludente”, osservando che Snowden e’ arrivato a Mosca ”senza un passaporto valido”. Gli States hanno sempre insistito sul fatto che Mosca avrebbe dovuto rispedire Snowden in patria ”per affrontare i capi d’accusa che pendono a suo carico”.

Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

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Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

Processo diritti tv Mediaset: confermati i quattro anni di carcere (3 coperti da indulto) per Silvio Berlusconi, si rimanda invece alla corte di appello di Milano per ridefinire l’interdizione dai pubblici uffici. Così ha deciso la Cassazione dopo sei ore e mezza di camera di consiglio.

Ma Berlusconi resta in campo, non si fa da parte, anzi rilancia: «In cambio dell’impegno che ho profuso in questi 20 anni per il Paese – afferma l’ex premier in un videomessaggio, registrato e trasmesso in serata – ricevo in premio delle accuse e una sentenza fondata sul nulla assoluto che mi toglie la mia libertà personale e i miei diritti politici, ma questa non è l’Italia che vogliamo e per questo resto in campo. Come? Ripartendo da Forza Italia.

 

«Dobbiamo chiamare a raccolta i giovani migliori e le energie migliori e insieme a loro rimetteremo in piedi Forza Italia. La sentenza mi rende sempre più convinto che una parte della magistratura sia un soggetto irresponsabile una variabile incontrollabile, con magistrati non eletti dal popolo, che è assurta a vero e proprio potere dello Stato che condizionato permanentemente la vita politica. Nessuno può comprendere la carica di violenza che mi è stata riservata in seguito ad una serie di accuse e processi che non avevano fondamento: è un vero e proprio accanimento giudiziario che non ha uguali».

«Rimettendo in campo Forza Italia – continua il leader del Pdl – puntiamo a chiedere agli italiani di darci la maggioranza per cambiare il Paese e fare quelle riforme necessarie, a partire dalla più indispensabile che è quella della giustizia». Lo stesso capo dello Stato Giorgio Napolitano, nel commentare in una nota la sentenza, ha auspicato che «possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia».

E adesso che cosa accade? «La pena principale è definitiva ed è eseguibile», osserva il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Per l’anno che rimane il Cavaliere ha due possibilità: l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. L’ex presidente del consiglio non sconterà la pena in carcere.La tensione tra i due principali azionisti dell’Esecutivo Letta di larghe intese è alta.

Solo a ottobre decisione tribunale Milano su esecuzione condanna 
La condanna a 4 anni di reclusione per l’ex premier è dunque eseguibile, ma la decisione dei giudici di Milano arriverà solo in ottobre. L’ex premier infatti avrà tempo fino al 15 ottobre per chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. A decidere sarà il Tribunale di sorveglianza di Milano dopo aver sentito il parere della Procura generale. Mentre sarà la Procura ad avviare l’iter nei prossimi giorni, non appena riceverà le carte da Roma.

Agorà si chiede ancora come Berlusconi abbia cambiato l’Italia, sforzo fuori tempo massimo

Agorà si chiede ancora come Berlusconi abbia cambiato l’Italia, sforzo fuori tempo massimo

di Mariano Sabatini

Adesso la priorità è capire se e come Silvio Berlusconi, il premier più sfavillante degli ultimi centocinquant’anni, ha cambiato il nostro paese. Se lo chiedeva ieri mattina Agorà, nella seconda parte affidata a Giovanni Anversa. Il giornalista ha dedicato tutta la sua carriera al racconto dei mutamenti sociali, sempre dalla parte dei più svantaggiati. Va bene, uno scivolone è concesso a tutti. Certo è difficile, in ogni caso, esprimere tutto il fastidio che simili trasmissioni provocano. Abbiamo detto più volte che è impossibile prescindere dalle vicende imprenditoriali, politiche e soprattutto giudiziarie del cavaliere di Arcore; questo per l’attività tentacolare che ha contraddistinto l’intera sua parabola di vita, che coincide – come per tutti i tycoon – con le professioni svolte.

Non starò a fare esempi, perché partendo dallo stalliere in odore di mafia fino a Ruby Rubacuori, tutti hanno ben chiaro a cosa mi riferisco. La situazione italiana (anche per le malversazioni parlamentari dei tanti governi targati Forza Italia e poi Pdl) è talmente critica che avremmo solo voglia di scrollarcelo di dosso, questo signorotto con velleità da statista: lo faremmo con lo stesso piacere con cui i cani arruffano il pelo bagnato. Più che di bilanci sarebbe tempo di guardare avanti. A quel futuro che quasi nessuno riesce più ad immaginarsi.

Eppure c’è chi si accalora. Sulle poltroncine di Agorà sedeva Anselma Dell’Olio, prestata ad Anversa da Gigi Marzullo, per il quale in questi anni si è prodotta nelle vesti di critico cinematografico. Ed è cinema lo scenario che si prospetta e ci propina, l’ineffabile signora Ferrara: “Vent’anni di processi senza arrivare ad una soluzione, una cosa assurda, è fantagiustizia”.

Un ritrovato della fantascienza le consente invece di obliare, senza scoppiare a ridere, tutte le leggi ad personam e i lodi dei governi Berlusconi che hanno reso possibili le acrobazie giudiziarie dei suoi legali per allontanare le sentenze. Le ha risposto Udo Gumpel, rigorosissimo giornalista tedesco, che ha paragonato l’ex premier al “grande tappo” (non si riferiva alla statura) di questa Italia che non sa rinnovarsi. Difficile invocare la palingenesi con una sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset attesa in queste ore e che potrebbe determinare la cadute del governo delle larghe fraintese, come lo ha ribattezzato la mia amica e collega Anna Lombroso. Viene di dare ragione a quel giuggiolone di Matteo Renzi: mandiamolo anche solo in pensione, ma liberiamocene. Finalmente i talk show, una volta saltato il “tappo”, potranno occuparsi di come potremo farcela a risalire la china dell’abisso.

Le condanne per Sanitopoli in Abruzzo annullano le assoluzioni “fideistiche”

Le condanne per Sanitopoli in Abruzzo annullano le assoluzioni “fideistiche”

Di  | il 25 luglio 2013 | Lascia un commento

 

La presunzione di innocenza fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna è un valore fondamentale di civiltà giuridica e vale anche in questo caso.

Non sarebbe neppure il caso di dirlo, se non urgesse l’opportunità di sgombrare il campo da ogni equivoco nel commentare quella relativa alla Sanitopoli abruzzese. Ciò nondimeno, la condanna a 9 anni e 6 mesi inflitta a Ottaviano Del Turco, se non ne fanno ancora un colpevole, per la sacrosanta ragione appena richiamata, è pur vero che pone fine, in qualche modo, a fideistichepregiudiziali e partigiane assoluzioni che in questi ultimi anni hanno punteggiato, accompagnandoli, inchiesta e processo, con l’intervento di qualificati personaggi di caratura nazionale a sostegno del ex presidente della Regione Abruzzo e, anche espressamente, contro la magistratura pescarese che ha lavorato al caso.

Intanto, si deve rilevare che, evidentemente, nella valutazione delle prove recate in giudizio, di cui, da parte dei detrattori dell’accusasi contestava la consistenza e persino l’esistenza, il Tribunale di Pescara ha ritenuto, al contrario, di dovervi ravvisare fondatezza e validità, in una condivisione di forte momento con le vedute della pubblica accusa.

La circostanza è di assoluto rilievo perché la magistratura giudicante ha espresso una posizione di sostanziale convergenza con la magistratura inquirente introducendo unelemento importante di “novità” dopo anni di polemica a senso unico contro la tesi accusatoria per Del Turco.

Per questo, la sentenza, viene a riequilibrare, senza nulla pregiudicare dei diritti di Ottaviano Del Turco e di chiunque altro, un “confronto” mediaticamente tanto ben orchestrato quanto sperequato, anche per l’autorevolezza dei personaggi che si sono spesi per sostenere l’estraneità di Del Turco alle accuse e censurare l’operato dei pubblici ministeri.

La decisione del Tribunale costituisce un elemento di riflessione che, finalmente, autorizza, al momento, un’ipotesi di lettura più distesa e distaccata e, nel contempo, più critica, delle vicende che hanno riguardato la sanità abruzzese che ancora oggi, in ogni caso, è condizionata dal peso enorme di debiti, disserviziliste d’attesa bibliche,carenze di personale e quant’altro plasticamente significate dal commissariamento del settore, proprio nell’anno 2008, da parte del Governo, ancorché, in una visione sinceramente liberale e democratica, quest’ultimo istituto è affatto discutibile sia in termini costituzionali sia in termini di trasparenza ed efficienza organizzativa del sistema.

Non può, infatti rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta, ossia, la competenza esclusiva dello Stato nella materia sanitaria.

La riforma del Titolo V della Costituzione ha, inopinatamente secondo il nostro giudizio, deciso per la sua natura di materia “concorrente” e coerenza vorrebbe che tale rimanesse, a prescindere dai disavanzi.

L’alternativa, è che sia, più correttamente, riportata sotto l’alveo della competenza statale, essendo la salute di ciascun individuo, una e indivisibile e apparendo prive di senso, per questo aspetto, i discorsi sulle “vocazioni” che avrebbero gli ospedali come se fossero cristiani, sulle “eccellenze” di questa o quella struttura come se la qualità la esprimessero le mura e non gli individui che, al contrario di quelle, sonomobili.

Certamente, la gestione del settore sanitario con la Giunta Del Turco non sembra possa classificarsi tra le note positive di quell’esperienza politico-amministrativa, non fosse altro perché al momento dell’interruzione traumatica della sua guida della Regione, nel luglio 2008, non erano ancora stati rinnovati i contratti con le strutture private convenzionate, scaduti a fine 2007, dei quali lo stesso Del Turco aveva aspramente criticato le statuizioni.

Quegli accordi erano stati introdotti dalla Giunta Pace nel 2005 e lui proclamava di voler far cessare il “Far West”.

Non rinnovare, sorprendentemente, in tempo utile quei contratti, oltre a suonare contraddittorio, rispetto ad uno status quo da lui contrastato con grande verbosità e cessato di diritto il 31 dicembre 2007, significò anche introdurre elementi di confusione e difficoltà giuridico-amministrativa per il regime di “limbo” che seguì alla scadenza contrattuale, a partire dall’inizio del 2008.

Anche dal punto di visto gestionale, dunque, l’operato di Del Turco non è stato brillante, se non era un “Far West” era un “Sahara”. Da oggi, con la sentenza del tribunale di Pescara, ci attendiamo una maggiore prudenza e una più approfondita valutazione della sua stessa eredità politica in regione.

Di certo, ci appare più ingeneroso il biasimo riversato per lunghi anni sulla Procura di Pescara che delle ragioni da far valere, oggi sappiamo, in prima battuta, che pure le aveva.

Francesco in Brasile, a Copacabana l’abbraccio enorme della folla: nella spiaggia un milione di ragazzi

Francesco in Brasile, a Copacabana l’abbraccio enorme della folla: nella spiaggia un milione di ragazzi

A Copacabana un abbraccio colossale, intenso, da parte di una moltitudine variopinta di giovani per Papa Francesco. Nell’enorme spiaggia c’era il doppio delle persone presenti per la messa celebrata martedì scorso per l’avvio ufficiale della Giornata mondiale della gioventù. Del resto questo è un Pontefice che ha voglia di uscire, di offrirsi alla gente e condividere, ma anche di trascinare. “Non possiamo rimanere rinchiusi – ha detto rivolgendosi ai giovani a Rio – se non usciamo siamo una Ong, e la Chiesa non può essere una Ong. Che ci scusino – ha aggiunto – i vescovi e i preti se vi do questo consiglio”. Perché il suo concetto di Chiesa non ha muri di confine. ”Mi dispiace che stiate qui ingabbiati – ha aggiunto – vi devo confessare che qualche volta mi sento ingabbiato anche io”.
Ieri la visita alla favela – Ieri il Papa ha visitato la “favela” Varginha, a Manguinhos, nella zona nord di Rio de Janeiro, dove ha svolto una breve omelia nella cappella Sao Jeronimo Emilliani. Centinaia di residenti lo hanno accolto con grida di entusiasmo. Papa Francesco ha camminato tra le viuzze accolto da centinaia di persone in festa. Ha salutato tutti, distribuendo sorrisi, nonostante la pioggia, e varcando la soglia di casa di un residente per una visita privata.
“Non essere insensibili alle diseguaglianze sociali” – ”E’ importante saper accogliere, è ancora più bello di qualsiasi abbellimento o decorazione”, ha sostenuto. Ma ha anche invitato a “non essere insensibili alle diseguaglianze sociali” e a “chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e agli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale”, per un “mondo più giusto e solidale”.
La quinta giornata – Oggi, quinta giornata in Brasile di Francesco, si comincia con la confessione di alcuni giovani nel parco Quinta de Boa Vista, tra le 10 e le 11, ora locale. Seguirà l’incontro con alcuni giovani detenuti nell’arcivescovado di Buenos Aires, da dove poi il Papa reciterà l’Angelus. Subito dopo saluterà il Comitato organizzativo della Gmg e i benefattori. Rispettando una tradizione ormai consolidata, il Papa pranzerà con 12 ragazzi da tutto il mondo, 6 coppie, una di brasiliani e una per ogni continente. Nel pomeriggio il Papa raggiungerà Copacabana, dove sul lungomare si svolgerà la Via Crucis, un momento molto suggestivo della Gmg.
L’incontro con i giovani delle regioni brasiliane – Concluso il suo intervento nel saluto a Copacabana ai ragazzi della Giornata mondiale della gioventu’, il Papa ha incontrato i giovani rappresentanti delle diverse regioni del Brasile. L’omaggio è proseguito con una serie di coreografie e musiche tipiche della religiosità nelle diverse aree del paese.
“Fate casino” – Bergoglio – come ormai d’abitudine – ha rotto il protocollo in più occasioni e non ha badato alle etichette neppure con il linguaggio. Incontrando i ragazzi argentini venuti a trovarlo ha chiesto loro di fare ”lio. Lio – ha osservato padre Federico Lombardi – in spagnolo significa chiasso, rumore, casino. Quindi il Papa ha chiesto ai giovani di fare chiasso e casino, nel senso di uscire dal chiuso, nel senso della missionarietà, anche se questo crea un certo sconcerto. Mi sembra – ha detto – una espressione estremamente efficace ed espressiva dello stile del nuovo Papa”.
Lombardi: “Questo Papa ha energia” – ”Il Papa ha una grande energia e capacità di lavoro – ha spiegato Lombardi – La energia che mostra anche in questi giorni papa Bergoglio, ha detto il portavoce vaticano, fa pensare a quando Benedetto XVI ha spiegato la sua rinuncia dicendo che serviva un papa con più vigore di quello che aveva lui. ”Bergoglio – ha aggiunto Lombardi – ha molto vigore e lo sperimentiamo anche a Santa Marta e in Vaticano”.

Strage bus, il vescovo durante l’omelia: la prima solidarietà è il rispetto delle regole

Strage bus, il vescovo durante l’omelia: la prima solidarietà è il rispetto delle regole

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I parenti delle 38 vittime del bus precipitato a Monteforte Irpino (Avellino) poco prima del funerale nella camera ardente allestita nel palazzetto dello sport a Monteruscello (Napoli). (Reuters)I parenti delle 38 vittime del bus precipitato a Monteforte Irpino (Avellino) poco prima del funerale nella camera ardente allestita nel palazzetto dello sport a Monteruscello (Napoli). (Reuters)

È iniziato con la lettura dell’elenco dei nomi delle 38 vittime dall’altare il funerale a Pozzuoli (Napoli) delle persone rimaste uccise nella strage sulla A16 Napoli-Bari, dove un bus carico di pellegrini devoti a Padre Pio è precipitato da un viadotto. La messa, a cui hanno assistito 4000 persone, è stataofficiata da mons. Gennaro Pascarella, vescovo di Pozzuoli. Erano presenti il premier Enrico Letta, il ministro De Girolamo, il governatore Stefano Caldoro, il leader del Pd, Guglielmo Epifani. Oggi, giornata di lutto nazionale, le bandiere sono a mezz’asta negli edifici pubblici. L’ultima volta era accaduto il 4 giugno del 2012, per le vittime del sisma in Emilia.

L’omelia: la prima solidarietà è il rispetto delle regole
«Ai magistrati spetterà fare chiarezza sulla dinamica dell’incidente per trovarne le cause, ad altri mettere in atto strumenti che non permettano che si verifichino altri incidenti. La prima solidarietà è il rispetto delle regole…Non lasciamo soli questi nostri fratelli, soprattutto quelli che si sono ritrovati senza più sostegni anche economici … Adesso bisogna fare in modo che il dolore non ci chiuda ma possa diventare trampolino di lancio per ralizzare una convivenza più bella e solidale». Dopo queste parole di esortazione all’agire il vescovo ha quindi sottolineato il telegramma di solidarietà fatto arrivare da Papa Francesco e l’abbraccio da parte di tutta l’Italia rappresentata qui dal presidente del Consiglio. 

 

La ricostruzione 
Secondo quanto rende noto il prefetto di Avellino, Umberto Guidato, non vi è più nessun disperso. Il procuratore della città, Rosario Cantelmo, intanto, ha reso noto che «si sta valutando anche la posizione della società Autostrade», a conferma che le indagini sulla strage «sono a tutto campo». E nel fascicolo aperto in procura «ci sono indagati», ha aggiunto Cantelmo, che tuttavia non ha spiegato di chi si tratti e perché. Cantelmo ha precisato anche che l’autista del bus, di cui non è presente il nome nella lista dei deceduti ormai pubblica, era parente del proprietario della ditta da cui era stato affittato il bus. Un portavoce della società Autostrade per l’Italia, interpellato sulla vicenda, ha espresso un «no comment». Il procuratore di Avellino ha aggiunto che le ipotesi di reato per cui si procede sono omicidio plurimo colposo e disastro colposo. Non si procede per strage colposa, come riferito in precedenza.

Sequestrate le riprese delle telecamere: nelle immagini si cerca la chiave dell’incidente 
Le riprese effettuate dalle telecamere locali sono state sequestrate. Gli inquirenti attribuiscono grande importanza alla verifica del sistema di sicurezza della barriera in calcestruzzo posta sul bordo laterale destro del viadotto. Cantelmo, che sta anche provvedendo a formalizzare il rilascio delle salme per il loro trasferimento, in serata, a Pozzuoli, ha anche riferito che una parte delle indagini «sono riservate a verificare le condizioni dell’autobus», il Gran Turismo della “Mondo Travel” di Napoli che era stato sottoposto a revisione lo scorso mese di marzo. Sui pezzi di semi-asse ed altre parti della carrozzeria che il pullman avrebbe perso sulla carreggiata un chilometro prima dell’impatto fatale con il guardrail, il capo degli inquirenti avellinesi si limita a far sapere che «è anche questo un tema dell’indagine e che i reperti, quando saranno completamente a disposizione, verranno sottoposti a perizia tecnica».

I feriti, tra i 48 presenti sul bus, sono stati estratti vivi e ricoverati negli ospedali di Napoli, Avellino e Nola, alcuni con ferite gravi, altri con fratture. Al disastro del bus bisogna aggiungere i 14 feriti del tamponamento tra 12 macchine sull’Autostrada, la maggior parte dei quali semplicemente medicati. Il mezzo avrebbe travolto in velocità alcune auto incolonnate, per poi sfondare il guardrail e cadere per 30 metri in una scarpata. Proseguono, intanto, anche le operazioni di recupero e di riconoscimento dei cadaveri nella palestra della scuola Don Bosco. La più giovane delle 38 vittime aveva 16 anni: si chiamava Silvana Del Giudice, era nata a Napoli nel febbraio del 1997, e abitava a Monterusciello, frazione di Pozzuoli. Il più anziano, Salvatore Testa, aveva 88 anni essendo nato nel 1925. Ben ventisei vittime su trentotto erano originarie di Pozzuoli (Napoli).

Il Comune di Pozzuoli, in collaborazione con la Croce Rossa Italiana, ha attivato un numero telefonico per avere informazioni sulla tragedia accaduta in Irpinia, sui funerali delle vittime e per fornire eventuale sostegno psicologico ai familiari delle vittime. Il numero è il seguente: 081.8551000

Santiago, sono 78 i morti. Vittima italiana confermata. I tecnici: l’allarme velocità era scattato

Santiago, sono 78 i morti. Vittima italiana confermata. I tecnici: l’allarme velocità era scattato

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(Reuters)(Reuters)

Tra le vittime della strage di Santiago c’è anche un giovane italiano. Lo ha confermato il viceconsole onorario italiano in Galizia, Francesco Milani. Si tratta di Dario Lombardo, un 25enne originario di Forza d’Agrò in provincia di Messina, ma residente in Germania con i genitori. Oggi è previsto l’esame del Dna per la conferma ufficiale dell’identità.

Nel frattempo Francisco José Garzon Amo, il macchinista del treno deragliato mercoledì sera a Santiago de Compostela , si trova in stato di fermo di polizia in ospedale dalle 20 di ieri sera; entro 72 ore il provvedimento dovrà essere confermato dal magistrato inquirente. Il sistema di allarme a bordo del treno per segnalare l’eccessiva velocità nella curva in cui è avvenuto l’incidente ferroviario avrebbe funzionato, secondo quanto emerge dai primi rilievi compiuti dai tecnici. Il sistema – visivo e acustico – ha segnalato al conducente che la velocità era superiore a quella prevista.

 

Niente lista alle 22 
Contrariamente a quanto annunciato inizialmente dalle autorità spagnole alle 22 non sarà pubblicata la lista delle 80 vittime del disastro ferroviario di Santiago. Lo riferisce il quotidiano Abc spiegando che l’elenco non é completo per cui si preferisce procedere solo dopo che tutti siano identificati con certezza. Le autorità hanno precisato che il numero di vittime accertate è 78, abbassando seppur di poco il bilancio di 80. Finora sei persone non sono state identificate: sono ancora in corso gli esami per cercare di dare un nome ai loro resti. I patologi hanno chiesto ai parenti di quanti avevano un familiare sul treno e di cui non hanno avuto notizia di fornire campioni del loro Dna.

Il macchinista si vantava su Facebook 
Francisco José Garzon Amo, il macchinista alla guida del treno deragliato ieri a Santiago e indagato dalla polizia come possibile responsabile dell’incidente, aveva diffuso quattro mesi fa sul suo profilo di Facebook una foto del tachimetro di un convoglio (presumibilmente di tipo Av) che segnava i 200 chilometri orari, vantandosi di «non poter andare più forte se no mi fanno la multa». Il 52enne Amo – macchinista da trent’anni – è stato già sottoposto al test dell’etilometro, che ha dato risultato negativo; inoltre, esiste una registrazione effettuata subito dopo l’incidente di un colloquio fra l’uomo – rimasto intrappolato nella motrice, ma sopravvissuto senza ferite gravi – e la stazione di Santiago, nel quale avrebbe ammesso di star circolando a 190 chilometri orari, in un tratto di linea tuttavia in cui la velocità massima autorizzata era di 80 km/h. Il macchinista del treno deragliato in Spagna è stato in stato di fermo, in ospedale, su decisione del tribunale.

Fotografata per la prima volta l’onda azzurra della morte

Fotografata per la prima volta l’onda azzurra della morte

Al momento della morte una onda di luce fluorescente azzurra si sprigiona dalla cellule e, da una cellula all’altra, si propaga nell’intero organismo: lo ha scoperto una ricerca internazionale che per la prima volta ha fotografato ”l’onda della morte”. Descritta sulla rivista PLoS Biology, l’onda azzurra della morte è stata fotografata in un organismo semplice, come un minuscolo verme, dal gruppo coordinato dal britannico University College London.
E’ un passo importante per comprendere come la morte cellulare si diffonda in tutto il corpo, anche nel caso di organismi complessi come l’uomo, dal momento che i meccanismi cellulari nei mammiferi sono simili a quelli dei vermi. La scommessa di questa ricerca, ha detto il coordinatore del lavoro, David Gems, è indentificare i geni che controllano l’invecchiamento e le malattie collegate.
Quando le singole cellule muoiono si innesca una reazione chimica a catena che porta alla rottura dei componenti cellulari e a un accumulo di detriti molecolari. Ma se queste reazioni sono ben comprese a livello cellulare, si sa molto poco invece, su come la morte raggiunge tutte le cellule dell’organismo. Il sopraggiungere della morte è stato osservato al microscopio in uno degli organismi più semplici e studiati nei laboratori di biologia e genetica: il minuscolo verme Caenorhabditis elegans. La morte appare come un’onda fluorescente azzurra che si diffonde in tutte le cellule. Un effetto, questo, che dipende da una sostanza chiamata acido antranilico e la sua diffusione avviene tramite il calcio, che agisce come un messaggero di cellula in cellula.
Inizialmente si sospettava che la fonte della fluorescenza blu fosse una sostanza chiamata lipofuscina, che emette luce di un colore simile ed è anch’essa collegata all’invecchiamento perché si accumula con l’età, causando danni molecolari. Ma poi è stato osservato che la lipofuscina non è coinvolta. I ricercatori hanno anche provato a bloccare il percorso chimico che propaga la morte cellulare, ma sono riusciti a ritardare solo la morte indotta da uno stress come un’infezione e non la morte per vecchiaia.
Ciò suggerisce che la morte dovuta a un’infezione è più facile da rallentare perché è innescata da un numero minore di processi, mentre la morte dovuta all’invecchiamento è più difficile da ritardare perché entrano in gioco numerosi processi che agiscono in parallelo e che sono più difficili da contrastare. ”Dobbiamo concentrarci sugli eventi biologici che si verificano durante l’invecchiamento e la morte – ha concluso Gems – per comprendere correttamente come interromperli”.

Il governo liberalizza il Wi-Fi, Decreto Fare cambiato in extremis

Il governo liberalizza il Wi-Fi, Decreto Fare cambiato in extremis

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In extremis il governo liberalizza il Wi-Fi - Se la rete è «neutra» ne beneficia l'economia - Vai al dossier

Vittoria per chi tifava per il Wi-Fi libero, ma libero davvero. Ieri sera in Commissione Bilancio alla Camera è riuscito il blitz per modificare l’articolo 10 del Decreto del Fare: ora sono caduti tutti gli obblighi per esercenti, negozi, ristoranti che offrono il Wi-Fi al pubblico. Liberalizzazione, quindi, “quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio”.

Ecco quindi l’attuale testo dell’articolo 10:
“L’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite rete WIFI non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° gennaio 2003, n.259 e successive modificazioni, e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni”.

 

Analizziamolo. L’obbligo di identificazione era già caduto nel 2011, con la scadenza di alcuni termini del decreto Pisanu (e quindi non è una novità), ma serviva una norma che per prima cosa esplicitasse questo principio e che poi facesse piazza pulita anche di altri obblighi per gli esercenti che offrivano il Wi-Fi: sia quelli del codice delle comunicazioni (che valgono per i provider di internet) sia quelli sopravvissuti nel Pisanu contro il terrorismo. Adesso quindi un esercente, un negozio, un hotel, un ristorante, ma anche una pubblica amministrazione può liberalmente mettere un hot spot, collegarlo alla rete e offrire il servizio. Senza dover tracciare gli utenti, le loro connessioni, fornire account e password, né chiedere autorizzazioni. Il precedente testo del Fare invece chiedeva di tracciare i codici del dispositivo usato per la connessione (computer, tablet o cellulare) imponendo oneri tecnici e burocratici gravosi per qualsiasi esercente.

In realtà resta consigliabile tenere traccia di chi utilizza il nostro hot spot Wi-Fi, anche se non è obbligatorio. Può servire per discriminarsi, nei confronti di indagini di polizia, qualora qualche utente utilizzi la nostra connessione per commettere reati. In altri Paesi europei è capitato che l’esercente fosse considerato corresponsabile, in questo caso. In Germania, una sentenza del maggio 2010 ha dichiarato parzialmente responsabile il proprietario/utente di una rete Wi-Fi che non abbia utilizzato adeguati sistemi di protezione dal rischio di utilizzi abusivi della connessione per finalità illecite. Il caso riguardava lo scambio di file pirata. Stessa casistica nel Regno Unito, dove però è proprio il Digital Economy Act a imporre che siano identificati gli utenti che violano il copyright. La Francia addirittura chiede di tenere per 12 mesi il registro delle connessioni e di fare il possibile per consentire di risalire all’identità degli utenti.

In Italia la normativa non è così esplicita e non c’è una giurisprudenza chiara, in merito. Però già adesso, e da tempo, le principali reti Wi-Fi identificano in modo sicuro gli utenti, via sim del cellulare, quindi il problema è marginale.

Alla fine è prevalsa quindi, comunque, la linea della liberalizzazione su chi- nel ministero dell’Interno, in particolare- voleva imporre alcuni obblighi di tracciabilità degli utenti per favorire le indagini.

Il nuovo testo è vicino a quanto suggerito da Stefano Quintarelli (Scelta Civica), Marco Meloni (PD); ma a quanto risulta ci ha lavorato anche Roberto Sambuco (Capodipartimento Comunicazioni del Mise) con il viceministro Antonio Catricalà. Hanno convinto il relatore Francesco Boccia, in Commissione, a modificare l’articolo 10 togliendo ogni obbligo. Il relatore ha quindi proposto l’emendamento alla Commissione, che l’ha approvato. Adesso resta da vedere il testo definitivo nero su bianco e aspettare la fine dell’iter del decreto, che deve ancora passare alla Camera e poi al Senato. Ma altre sorprese, a questo punto, sono improbabili.

IL VELENO NEL PIATTO. I RISCHI MORTALI NASCOSTI IN QUELLO CHE MANGIAMO

IL VELENO NEL PIATTO. I RISCHI MORTALI NASCOSTI IN QUELLO CHE MANGIAMO

 

di Marcello Pamio – tratto dal libro “Il veleno nel piatto” di Marie Monique Robin, ed. Feltrinelli

 

Non era mai successo prima.

Nella lunghissima storia plurimillenaria l’uomo è sempre stato immerso nella natura cercando con tutti i limiti del caso, di rispettarne il ruolo basilare per la vita stessa.

Oggi invece, ci siamo così allontanati dalla Natura che viviamo completamente immersi nella chimica di sintesi, cioè nell’anti-natura per antonomasia.

Nel giro di poco più di un secolo, oltre 105.000 sostanze chimiche diverse sono state immesse nell’ambiente dalle industrie. Moltissime di queste sono cancerogene, creano malformazioni nei feti e danni al DNA.

Le respiriamo, beviamo, mangiamo ogni giorno, e come se non bastasse, ce le fumiamo e spalmiamo sulla pelle.

Qual è il risultato di questa pazzia?

Crescita esponenziale di tutte le patologie cronico-degenenerative, tumorali e autoimmunitarie.

La spesa sanitaria nazionale, cioè il mercato dei farmaci, cresce ogni anno a vista d’occhio: nel 2011 ha raggiunto la ragguardevole cifra di 26,3 miliardi di euro (1), oltre 50.000 miliardi delle vecchie lire. Ogni cittadino italiano quindi, spende all’anno di media, 434 euro, per avvelenarsi.

Idem per i tumori: nel 2011 nel nostro Paese sono stati diagnosticati 360.000 nuovi casi di tumori maligni, cioè 1.000 nuovi tumori al giorno (2), senza contare quelli epiteliali.

Escludendo infatti questi ultimi, il tumore più frequente tra uomo e donna, risulta essere quello del colon-retto con quasi 50.000 nuove diagnosi all’anno.

Pelle e intestino, sono gli organi più colpiti dal tumore.

La pelle è il primo organo a diretto contatto con l’ambiente esterno e quindi con i veleni del mondo; il colon-retto è l’organo che accumula e dovrebbe espellere verso il mondo esterno, i veleni e le tossine autoprodotte con il nostro stile di vita.

Secondo l’ISTAT, i decessi per tumore nel 2007 sono stati 172.000 (il 30%) degli oltre 572.000 decessi totali verificatisi quell’anno.

I morti per cause cardiovascolari sono stati invece 223.000 (il 39%).

Questi dati confermerebbero che la prima causa di morte sono i problemi cardiocircolatori.

Ma non è così.

Quando una persona, magari di una certa età, muore in ospedale, si certifica il decesso per arresto cardiocircolatorio e/o cardiorespiratorio, e questo fa gonfiare le statistiche.

Se teniamo conto di questo artifizio matematico, oggi il cancro è la prima causa di morte almeno nel mondo occidentale!

È chiaro come la luce del sole che la chimica in tutto questo gioca un ruolo fondamentale.

Diossine nel piatto

Nel 2006 è stata eseguita un’analisi chimica su campioni di alimenti, provenienti da Gran Bretagna, Polonia, Svezia, Italia, Spagna, Grecia e Finlandia, ha rinvenuto in tutti i prodotti – chi più, chi meno – inquinanti vecchi e nuovi, comprese sostanze chimiche di tipo persistente e bioaccumulabile come il DDT e i PCB banditi da decenni perché riconosciuti cancerogeni.

La ricerca, durata 10 anni, ha preso in esame 27 campioni di alimenti (tra cui latte, carne, pesce, pane, olio d’oliva e succhi d’arancia), di marche comuni e presenti normalmente nei supermercati e ha riscontrato la presenza di ben 119 contaminanti, tra cui le cancerogene diossine.

Questa è solo una delle tante indagini che dimostrano, dati alla mano, come oggi, grazie alla mortifera industrializzazione della vita, mangiamo chili di sostanze chimiche deleterie e cancerogene ogni anno.

Storia dei pesticidi

I pesticidi sono i soli prodotti chimici concepiti dall’uomo e intenzionalmente liberati nell’ambiente per uccidere o danneggiare altri organismi viventi.

Tutta la grande famiglia dei pesticidi, è identificabile dal suffisso “cida” (erbicida, fungicida, ecc.), che deriva dal latino cœdere, che significa “uccidere” o “abbattere”.

Quindi pesticidi, secondo l’etimologia sono degli sterminatori di “pesti” (dall’inglese pest: animale, insetto o pianta nociva e dal latino pestis che indica un flagello o una malattia contagiosa).

Ecco perché nel mondo industriale, si evita accuratamente di parlare di pesticidi, preferendo la dicitura prodotti fitosanitari, o l’ancor più edulcorato, prodotti fitofarmaceutici.

Sostituire il termine corretto e reale pesticidi con fitofarmaceutico non è solo un gioco di prestigio semantico che rassicura tutti, ma mira proprio ad ingannare prima i coltivatori e poi noi consumatori.

L’impiego di pesticidi risale all’antichità, ma fino al XX secolo gli sterminatori di pesti, erano derivati di composti minerali o vegetali, di origine naturale (piombo, zolfo, tabacco o foglie di neem). Oggi invece usiamo derivati cancerogeni del petrolio…

I pesticidi conobbero un primo balzo in avanti grazie alla chimica inorganica del XIX secolo, ma bisognerà attendere la Grande Guerra perché siano gettate le basi della loro produzione di massa, e questo grazie allo sviluppo della chimica organica e della ricerca sui gas bellici.

Pesticidi, chemio e guerra chimica hanno un unico padre: Fritz Haber

L’origine storica dei pesticidi e dei chemioterapici, è intimamente legata alla guerra chimica, la cui paternità è attribuibile al chimico tedesco Fritz Haber, i cui lavori sul processo di fissazione dell’azoto atmosferico, serviranno per la produzione dei famosissimi concimi chimici azotati, ma anche degli esplosivi.

Allo scoppio della guerra, Haber è alla direzione del prestigioso Kaiser Wilhelm Institute a Berlino, e il suo laboratorio viene sollecitato a partecipare allo sforzo bellico. La sua missione sarà quella di sviluppare gas irritanti per stanare dalle trincee i soldati nemici, e questo alla faccia della Dichiarazione dell’Aia del 1899 che vieta l’uso di armi chimiche.

Tra tutti i gas studiati uno solo emerge per caratteristiche utili allo scopo: il cloro.

Il cloro è un gas gialloverde (da cui il nome greco chloros che significa appunto verde chiaro), estremamente tossico, caratterizzato da un odore soffocante che penetra violentemente le vie respiratorie.

Il 22 aprile 1915 l’esercito tedesco scarica 146 tonnellate di gas di cloro (detto dicloro o diossido di cloro) a Ypres in Belgio: le truppe francesi, britanniche e canadesi, prese alla sprovvista caddero come mosche, cercando di proteggersi le vie aeree con banali fazzoletti.

Fritz Haber pagherà molto cara questa vittoria, perché qualche giorno dopo aver usato il gas, la moglie Clara Immerwahr, chimico pure lei, si suicida con un colpo di pistola direttamente nel cuore, usando l’arma di servizio del marito, promosso al grado di capitano.

Ma come si sa: business is business, e il lavoro è lavoro, per cui Haber continua nella sua ricerca come se niente fosse successo.

Per gli Alleati, che nel frattempo si erano dotati di maschere antigas, il cloro non fu più un problema, per cui Haber mise a punto il fosgene, costituto da una miscela di dicloro e monossido di carbonio. Meno irritante per naso e gola del cloro stesso, ma rappresenta la più letale arma chimica preparata a Berlino, poiché attacca violentemente i polmoni riempiendoli di acido cloridrico.

Questa arma chimica, il fosgene, continua ad essere largamente utilizzato come composto dei pesticidi, ed è uno dei componenti del sevin, l’insetticida all’origine della catastrofe ambientale e umanitaria di Bhopal nel dicembre 1984.

Verso al fine della guerra, quando le vittime dei gas si contano a decine di migliaia, il nostro lancia l’ultimo ritrovato, il gas mostarda, detto anche iprite, che prende il nome dalla località in cui è stato sperimentato, come il gas cloro: le trincee di Ypres in Belgio.

Gli effetti del gas mostarda sono terribili: provoca vastissime vesciche sulla pelle, brucia la cornea causando cecità permanente e attacca il midollo osseo inducendo la leucemia. Proprio la distruzione del midollo, darà lo spunto di partenza alla grande ricerca medica per sviluppare il prodotto principe dell’oncologia: la chemioterapia.

I lavori di Fritz Haber, dopo l’armistizio, gli costarono l’iscrizione nella lista dei criminali di guerra e per questo si rifugiò in Svizzera fino a quando nel 1920 ricevette addirittura il premio Nobel per la chimica.

L’ironia della sorte è che Fritz Haber era ebreo, ed è stato pure l’inventore del Zyclon-B, il gas usato nei campi di concentramento. Muore il 29 gennaio 1934 e non saprà mai che una parte della sua famiglia morirà asfissiata dal gas che lui stesso ha inventato.

La legge di Haber

Mentre sviluppava queste terribili armi, si dedicava anche a confrontare la tossicità dei gas formulando una legge che permettesse di valutarne l’efficacia, ossia la loro potenza letale.

Questa legge, usata ancor oggi, ha preso il suo nome: “legge di Haber”, ed esprime la relazione tra la concentrazione di un gas e il tempo di esposizione necessario a provocare la morte di un essere vivente.

La “legge di Haber”, ha anche ispirato direttamente la creazione di uno degli strumenti più crudeli, dal punto di vista morale, e più assurdi da quello scientifico, per la valutazione e la gestione dei rischi chimici: la “Dose Letale-50” o semplicemente DL-50.

Questo paradossale indicatore di tossicità, misura la dose di sostanza chimica necessaria per sterminare la metà degli animali usati nei laboratori.

Organoclorati e il DDT

I lavori del chimico tedesco spianarono la strada alla produzione industriale degli insetticidi di sintesi, il più celebre dei quali è il DDT (diclorodifeniltricloroetano) che fa parte della famiglia degli organoclorati.

Gli organoclorati, sono composti chimici in cui uno o più atomi di idrogeno sono stati sostituiti da atomi di cloro, formando una struttura stabile.

Sintetizzato nel 1874 dal chimico austriaco Othmar Zeidler il DDT è rimasto a dormire in un cassetto fino al 1939 quando il chimico svizzero Paul Muller, stipendiato dalla Geigy (oggi Syngenta) individua le sue proprietà insetticide. A tempo di record, nove anni dopo, per questa grande scoperta ricevette il premio Nobel per la medicina.

All’indomani della seconda guerra mondiale il DDT è celebre in tutto il globo come l’insetticida miracoloso. Questo sarà la manna per l’industria chimica, in testa Monsanto e Dow Chemical che dal 1950 al 1980 riverseranno nel mondo 40.000 tonnellate. Solo nel 1963 la produzione tocca le 82.000 tonnellate.

Prima del suo divieto, avvenuto nel 1972, gli USA saranno irrorati con 675.000 tonnellate di DDT.

Nonostante sia classificato dall’OMS come “moderatamente pericoloso” i suoi effetti a lungo termine sono disastrosi: perturbatore endocrino, tumori, malformazioni congenite, disturbi della riproduzione, ecc.

Organofosforati

Una seconda categoria di insetticidi fa la sua comparsa dopo la seconda guerra mondiale: gli organofosforati, il cui sviluppo è legato sempre alla ricerca militare di nuovi gas bellici.

Queste molecole sono concepite per attaccare il sistema nervoso degli insetti e presentano una tossicità molto più elevata degli organoclorati. In questa pericolosissima famiglia troviamo: parathion, malathion, diclorvos, clorpirifos, sevin e il sarin (gas sviluppato nei laboratori della nazista IG Farben, oggi considerato dalle Nazioni Unite “arma di distruzione di massa”).

Agli inizi degli anni Quaranta, i ricercatori isolano l’ormone che controlla la crescita delle piante, riproducendone sinteticamente la molecola. Constatano che iniettando l’ormone in piccole dosi, si stimola la crescita delle piante, mentre in dosi massicce, provoca la morte della pianta.

Così creano due diserbanti che danno il via ad una vera e propria “rivoluzione agraria”. Si tratta dell’acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D) e il 2,4,5-triclorofenossiacetico (2,4,5-D), due molecole che fanno parte dei clorofenoli.

Per comprenderne la pericolosità, è bene sapere che una miscela dei due, origina il tristemente noto “agente arancio”, il defoliante usato dall’esercito americano nella guerra in Vietnam. Dal 13 gennaio 1962 al 1971 sono stati sganciati qualcosa come 80 milioni di litri di defolianti.

Oggi in Europa come siamo messi?

Ogni anno vengono sparse nell’ambiente 220.000 tonnellate di pesticidi: 108.000 tonnellate di fungicidi, 84.000 tonnellate di erbicidi e 21.000 tonnellate di insetticidi. Se ci aggiungiamo le 7.000 tonnellate di “regolatori della crescita” questo equivale a mezzo chilo di sostanze attive per ogni cittadino europeo.

L’80% delle sostanze irrorate riguarda solo quattro tipi di colture, che però rappresentano il 40% delle superfici coltivate: i cereali a paglia, il mais, la colza e la vite (uno dei prodotti dove si usa più chimica).

Cosa provoca nella salute umana tutta questa chimica?

Dipende ovviamente dall’esposizione e dal tempo di esposizione.

I più colpiti ovviamente sono le popolazioni agricole, soprattutto i coltivatori che maneggiano queste sostanze, senza una corretta protezione; poi veniamo noi consumatori.

I disturbi osservati riguardano prevalentemente le mucose e l’epidermide, con irritazioni, ustioni, prurito o eczemi; l’apparato digerente; sistema nervoso; malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson o le miopatie, alcuni tipi di cancro (cervello, pancreas, prostata, pelle e polmone) e quelli del sangue; leucemie, linfomi non Hodgkin.

Questo tipo di linfoma, secondo l’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Bethesda (USA), in 18 dei 20 studi esaminati è associato agli erbicidi a base di acido fenossiacetico, i pesticidi organoclorati e organofosforici.

Altri risultati, questa volta dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Rockville, indicano per i clorofenoli una supermortalità per quattro tipi di cancro: linfoma NH, tumore al cervello, alla prostata e all’intestino.

Una trentina di studi epidemiologici hanno esplorato il rischio di tumore al cervello tra gli agricoltori e la maggioranza evidenzia un aumento del rischio del 30%. Il tumore al cervello è in crescita esponenziale, soprattutto a livello pediatrico, cosa questa inconcepibile solo qualche decennio fa.

Il Gaucho e le api

Prodotto a base di imidaclopride ideato dalla Bayer ha fatto “miliardi di vittime”.

Si tratta di un insetticida sistemico che viene applicato sulle sementi e penetra nella pianta attraverso la linfa avvelenando i parassiti della barbabietola, del girasole o del mais. Ma purtroppo avvelena anche gli insetti pungitori-succhiatori come le api. Si stima che tra il 1966 e il 2000 solo in Francia siano spariti letteralmente 450.000 alveari.

Dove finiscono i pesticidi?

Secondo David Pimentel, professore di Agricoltura e scienze della vita alla Cornell University: “meno dello 0,1% dei pesticidi applicati per il controllo degli agenti nocivi raggiunge il bersaglio. Più del 99,9% dei pesticidi migra nell’ambiente, e qui aggredisce la salute pubblica, contaminando il suolo, l’acqua, l’atmosfera dell’ecosistema”.

Nel corso della stagione il ruscellamento porta via in media il 2% di un pesticida applicato al suolo, raramente più del 5% o 10%…

In compenso si sono osservate perdite per volatilizzazione tra l’80-90% del prodotto applicato, alcuni giorni dopo il trattamento. Con i trattamenti aerei può essere portato via dal vento fino alla metà del prodotto.

In conclusione la stragrande maggioranza di questa chimica mortifera torna nell’ambiente e va ad inquinare pericolosamente il suolo, l’aria e l’acqua, entrando di conseguenza nella catena alimentare umana, minando la salute pubblica.

Cancro: malattia della civiltà

L’adozione della parola “cancro” è attribuita a Ippocrate, che osservando le ramificazioni che caratterizzano i tumori ne associò la forma a quella di un granchio (karkinos in greco).

La parola karkinos è stata presa a prestito nel latino dal medico romano Celso all’inizio della nostra era.

È al medico italiano Bernardino Ramazzini che si deve il primo studio sistematico sul rapporto tra cancro ed esposizione a inquinanti o a sostanze tossiche. Nel 1700 questo professore di medicina dell’Università di Padova pubblica il “De morbis artificium diatriba” (sulle malattie dei lavoratori e per questo è considerato il padre della medicina del lavoro), opera in cui presenta una trentina di corporazioni esposte allo sviluppo di malattie professionali, in particolare al tumore al polmone. Sono a rischio tutti coloro che lavorano a contatto con il carbone, piombo, arsenico, o metalli, come i vetrai, pittori, doratori, vasai, conciatori, tessitori, chimici, speziali, ecc.

Aumento delle malattie croniche e invecchiamento

Ovviamente per le industrie l’aumento di tutte le patologie, in primis il cancro, non è dovuto alla chimica che loro stessi producono e spargono nel pianeta.

Un argomento regolarmente avanzato per spiegare l’aumento delle malattie croniche è l’invecchiamento della popolazione.

Certamente l’aspettativa di vita è cresciuta e quindi ci saranno più anziani che possono ammalarsi di cancro, ma quello che bisogna esaminare è l’evoluzione del tasso di incidenza dei casi di cancro o di malattie neurodegenerative nelle varie fasce di età.

E qui constatiamo che il tasso di incidenza di certi tumori è raddoppiato tra le persone di più di 65 anni.

L’invecchiamento della popolazione non spiega perché negli USA il numero delle donne e uomini che soffrono di tumore al cervello è 5 volte maggiore che in Giappone. Senza parlare dei tumori infantili, il cui aumento non può certo dipendere dall’allungamento dell’aspettativa di vita!

L’aumento dell’incidenza del cancro si riscontra in tutte le fasce di età, soprattutto nelle più giovani, quindi non c’entra assolutamente nulla l’invecchiamento della popolazione!

Per esempio, tra una donna nata nel 1953 e una nata nel 1913, il rischio di cancro al seno si è moltiplicato quasi per 3, mentre il rischio di cancro al polmone si è moltiplicato per 5.

Tra un uomo nato nel 1953 e uno nato nel 1913, il rischio di cancro alla prostata si è moltiplicato per 12, mentre il rischio di cancro al polmone è rimasto uguale.

L’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) con sede a Lione, ha analizzato 63 registri europei del cancro, e il risultato è che nel corso dell’ultimo trentennio, la crescita annua dell’incidenza è stata dell’1% per la fascia di età da 0 a 14 anni e dell’1,5% per gli adolescenti (15-19 anni).

Il fenomeno si aggrava di decennio in decennio.

Per i bambini il tasso aumenta dello 0,9% dal 1970 al 1980, ma del 1,3% tra il 1980 e il 1990.

Per gli adolescenti la crescita è dell’1,3% tra il 1970 e il 1980 e del’1,8% tra il 1980 e 1990.

Secondo il voluminoso rapporto di 889 pagine intitolato “Cancers et Environnement”, tenendo conto dei mutamenti demografici, e cioè aumento e invecchiamento della popolazione francese, l’aumento dei tassi di incidenza dal 1980 è stimato a +35% negli uomini e +43% nelle donne!

Questa è la triste realtà. Nonostante i grandi e molto ben prezzolati esperti che in televisione continuano ad evangelizzare il gregge ripetendo che i tumori sono in diminuzione, e questo ovviamente grazie alla medicina e soprattutto agli screening di massa, la realtà è ben diversa: negli ultimi trent’anni i tumori sono costantemente aumentati!

Per essere ancora più precisi, 9 sono i tumori la cui incidenza NON ha cessato di crescere nel corso degli ultimi 25 anni: il cancro ai polmoni, mesoteliomi, emopatie maligne, tumori cerebrali, cancro al seno, alle ovaie, ai testicoli, alla prostata e alla tiroide.

Cancro e stile di vita

Secondo i nostri calcoli – dice il direttore dello IARC, il dottor Christopher P. Wild – tra l’80 e il 90% dei tumori sono legati all’ambiente e allo stile di vita”.

Questo è ciò che risulta dagli studi sulle persone che migrano da una regione del mondo a un’altra: dove l’esposizione agli inquinanti chimici e lo stile di vita variano, i soggetti adottano per così dire il modello cancerogeno delle regioni in cui si stabiliscono. Non è il loro patrimonio genetico a cambiare, ma il loro ambiente, quindi si potrebbe parlare di epigenetica.

Il risultato indica che l’ambiente svolge una funzione primaria nelle cause del cancro!

Non ci sono ormai più dubbi che la chimica sta lentamente avvelenando la Natura e noi stessi.

Chi controlla la chimica e farmaceutica?

A livello mondiale i giganti che controllano il settore della chimica e agrosementiera (Big Agro) sono: Basf Agro SAS, Bayer CropScience, Dow AgroScience, DuPont, Monsanto e Syngenta.

Big Pharma oggi è rappresentata da Pfizer, Glaxo Smith Kline, Johnson & Johnson, Merck, Novartis, Astra Zeneca, Roche, Bristol-Myers Squibb, Wyeth (Pfizer), Abbott Labs.

Con il termine Big Pharma s’intendono le prime 10 corporazioni della chimica e farmaceutica, cioè le industrie che a livello mondiale controllano la produzione e vendita di veleni legali: farmaci, vaccini e droghe.

Quello che non tutti sanno è che Big Pharma e Big Agro sono tra loro interconnesse e gestite dalle medesime figure, dai medesimi banchieri internazionali…

Da una parte ci avvelenano lentamente con la chimica di sintesi, predisponendoci a tutte le malattie possibili e immaginabili, e dall’altra ci curano sempre con la chimica di sintesi…

Follia? No, il risultato è che siamo sempre più ammalati rispetto al passato e non moriamo più di vecchiaia, ma per patologie degenerative e tumorali.

In tutto questo folle (per noi, ma non per loro) sistema, le industrie guadagnano migliaia di miliardi di dollari.

Non c’è alcun interesse da parte delle industrie, degli enti sovranazionali di controllo e salvaguardia della salute (FDA, EMEA, EFSA, OMS, ecc.), e ovviamente dei politici (beceri e squallidi camerieri dei banchieri), a cambiare l’attuale tendenza.

Dobbiamo essere noi i fautori del cambiamento, e questo è un dovere morale nei confronti dei bambini, di noi stessi e della Natura in genere.

 

 

Tratto dal libro: “Il veleno nel piatto: i rischi mortali nascosti in quello che mangiamo”, di Marie Monique Robin, ed. Feltrinelli