L’Italia senza figli non ha futuro.

L’Italia senza figli non ha più futuro. “Ora un welfare per le famiglie”

Il demografo Dalla Zuanna: sistema fermo agli anni ’50, quando le mamme si occupavano solo dei bambini. “Servono subito un assegno fino a 18 anni, l’aumento dei nidi e la creazione di baby sitter di Stato”.

Pubblicato il 14 luglio 2020 , di ELENA G. POLIDORI

Professor Giampiero Dalla Zuanna (ordinario di Demografia all’università di Padova), secondo l’Istat il popolo italiano è in via di estinzione…

“È un dato di fatto. Sono 40 anni che il tasso di natalità è di 1,5 figli per donna, quando ce ne vorrebbero almeno due per mantenere il nostro livello di popolazione. Stiamo invecchiando e abbiamo tenuto botta negli ultimi 10 anni perché c’è stato un forte flusso immigratorio che ha coperto i ‘buchi’ creati dalla denatalità. Ma così non può continuare, anche perché sono ormai uscite dall’età fertile le cosiddette ‘baby boomer’, le donne nate negli anni ’60 e ’70, dunque non possiamo che attenderci un ulteriore calo”.

Perché a un certo punto le donne in Italia hanno smesso di fare figli?

“È a causa di un combinato di vari fattori, che vanno dalla crisi economica al fatto che l’Italia non si è mai evoluta sotto il profilo del welfare verso le famiglie, ma è rimasta agli anni ’50, quando valeva il famoso detto che chi fa i figli, poi se ne deve far anche carico. È solo che all’epoca bastava uno stipendio solo per mantenere una famiglia e le donne stavano a casa o lavoravano solo mezza giornata. Ma l’economia è cambiata e con essa sono arrivate le scelte da fare; se uno i figli non può mantenerli perché ha poche risorse e non ha nulla a cui appoggiarsi se li mette al mondo, è chiaro che ci rinuncia”.

In altri Paesi hanno fatto scelte diverse.

“Certo, hanno spostato ingenti risorse sul welfare familiare, hanno cambiato la cultura di fondo che invece persiste in Italia, Spagna, Grecia, Corea del Sud, Taiwan e Giappone che, guarda caso, sono proprio quei Paesi a tasso negativo di natalità, dove non si è investito nel welfare familiare, ma si continua a pensare che chi fa figli se ne debba poi fare completamente carico”.

Cosa possiamo fare per invertire la tendenza?

“Fare come i tedeschi. Loro hanno un assegno per ciascun figlio, una cifra anche importante, che le famiglie ricevono fino alla maggiore età, hanno allargato l’accesso ai nidi e costruito anche figure alternative di assistenza riconosciute e flessibili, ossia persone che prendono in casa gruppi di bambini, li assistono e sono pagati dallo Stato e poi hanno aumentato i soldi delle donne in congedo parentale, in modo che non debbano scegliere tra stare con i figli e tornare al lavoro per ragioni economiche. Dieci anni fa la Germania aveva una natalità più bassa della nostra e grazie a queste misure hanno invertito totalmente la tendenza. In Olanda le donne che decidono di prendersi periodi di congedo, non solo mantengono il posto di lavoro, ma per legge le si mette in condizione di lavorare di meno a parità di stipendio”.

In Italia, gli imprenditori considerano ancora le donne che fanno figli un peso per l’azienda anziché una risorsa.

“Anche questa mentalità va cambiata, ma soprattutto bisogna dare alle famiglie la certezza di un aiuto fattivo da parte dello Stato. Bastano 56 miliardi, che si sarebbero potuti trovare anche prima se non si fosse scelto di mettere denaro in misure come quota 100. Però, almeno qualcosa si muove…”.

Cosa?

“Giovedì al Senato sarà in votazione l’assegno unico per le famiglie, una misura nata nella precedente legislatura (primo firmatario l’ex ministro Delrio, ndr) che dovrebbe dare alle famiglie la certezza di un sostegno per i figli fino alla maggiore età”.

Professore, il Covid che effetto avrà sulla natalità?

“Negativo, senza dubbio; se la gente già prima era dubbiosa perché non vedeva futuro, figurarsi ora. Mi aspetto dati di natalità ancora più bassi nel 2021”.

Ci estingueremo?

“No, non succederà. Perché arriverà una forte ondata migratoria che darà un ricambio alla popolazione, andando a ricoprire quell’offerta di lavoro che noi non siamo in gradi di coprire con i nostri figli”.

Fisco, rivoluzione per le partite Iva.

Fisco, rivoluzione per le partite Iva. Tasse mensili e detrazioni lampo

Il meccanismo allo studio dell’Agenzia delle Entrate: addio all’ingorgo, si pagherà ogni 30 o 90 giorni. Gli investimenti sui macchinari saranno scontati in tempi brevi. Il ministro Gualtieri: ci stiamo ragionando

Pubblicato il 29 luglio 2020 , di CLAUDIA MARIN
Fisco, rivoluzione delle tasse
Fisco, rivoluzione delle tasse

Si chiama cash-flow tax o “fisco per cassa”. È il piano per rivoluzionare il pagamento delle tasse di oltre 4 milioni di contribuenti (tutte partite Iva) che il Ministero dell’Economia vorrebbe far decollare dal 2021, sulla base di una proposta articolata che ha come autore e regista il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini.

Con almeno due obiettivi, indicati in una nota esplicativa messa a punto dai tecnici dell’Agenzia: riallineare “finalmente il calendario delle scadenze fiscali con il calendario della vita e dell’attività dei cittadini, superando il meccanismo degli acconti e dei saldi d’imposta, che non rispecchiano l’effettivo andamento delle loro attività”.

Le imposte, infatti, “verranno versate mese per mese sulla base di quanto si incassa effettivamente e al netto di quanto si spende per svolgere la propria attività, favorendo così gli investimenti in beni strumentali i cui costi potranno essere subito dedotti dal proprio reddito e incentivando così anche la crescita del Paese”, si spiega.

La rivoluzione riguarda più di 4 milioni di cittadini titolari di partite Iva: artigiani, commercianti, professionisti e società di persone, il tessuto produttivo del Paese. Mentre non tocca le società di capitali. In una prima fase si dovrebbe applicare solo alle imprese minori in contabilità semplificata, ma rapidamente dovrebbe ricomprendere l’intera platea indicata. Ieri, in commissione, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, vi ha accennato: “Stiamo ragionando su una riscrittura sostanziale del calendario dei versamenti fiscali, che superi il meccanismo degli acconti e dei saldi”.

Ma quali sono i capisaldi della soluzione “fisco per cassa”? In primo luogo, si introduce “la deducibilità totale e immediata degli investimenti in beni strumentali al posto degli attuali ammortamenti, nonché l’applicazione del criterio di cassa anche a tutte le altre voci di bilancio ancora oggi soggette al criterio di competenza”. Si soddisfa così una richiesta antica delle imprese, quella di “anticipare la fruizione dei benefici fiscali, che oggi, invece, sono distribuiti lungo tutto il periodo d’ammortamento”, che dura anni.

In secondo luogo si prevede, secondo quanto indica la nota, “l’introduzione di un sistema di liquidazione periodica mensile o trimestrale delle imposte sui redditi agganciato all’andamento della cassa, effettuando le possibili compensazioni in automatico”. Le somme dovute saranno addebitate sul conto corrente del contribuente, ma anche con accredito dei rimborsi o ’sconti’ sulle imposte da pagare nel primo periodo successivo utile. In conseguenza, si avrebbe “l’abolizione dei versamenti in acconto (giugno e novembre) e a saldo (giugno dell’anno successivo) e della ritenuta d’acconto per i professionisti”. Fino all’introduzione della precompilata Irpef anche per le partite Iva.

Il nuovo sistema – spiegano i tecnici – renderebbe il versamento delle imposte dirette più continuo nell’arco dell’anno e aderente alla situazione del contribuente e alle esigenze erariali. Si arriverebbe anche a una drastica semplificazione del complessissimo regime degli ammortamenti, col taglio di registri contabili e adempimenti relativi. Aumenterebbe la cosiddetta compliance fiscale: “I flussi di cassa sono più facilmente osservabili, tanto più in presenza di un sistema di fattura e scontrino elettronici integrato con l’acquisizione delle informazioni dei flussi di cassa dal sistema bancario”.

Senza contare che la soluzione fornisce alla politica economica un’ulteriore “leva unica” gestionale, cosicché “la percentuale di deducibilità degli investimenti possa essere ridotta o aumentata a seconda del ciclo economico. Il legislatore non solo può fissare le aliquote d’imposta, ma potrà manovrare con più facilità la base imponibile”.

Coronavirus, l’America ci ammira

Coronavirus, l’America ci ammira: “Siete un modello”. Ecco perché ora facciamo scuola

Il New York Times applaude la strategia di Roma: “Era l’epicentro di un incubo, qualche mese dopo gli ospedali sono quasi vuoti”. Le chiusure progressive hanno funzionato. Usa e Brasile pagano un modello sanitario che non garantisce l’assistenza universale.

Pubblicato il 2 agosto 2020 , di ALESSANDRO FARRUGGIA

Da paria a modello. Viene dal New York Times un importante riconoscimento per la strategia anti Covid-19 attuata dal nostro Paese. “Quando il Coronavirus è esploso ad Ovest, l’Italia era l’epicentro dell’incubo, un posto da evitare a tutti costi, un sinonimo di contagio senza controllo” scrive il corrispondente da Roma Jason Horowitz. “Qualche mese dopo, i suoi ospedali sono quasi vuoti di pazienti Covid 19 e il numero giornaliero di nuovi casi è uno dei più bassi in Europa e nel mondo. Il fatto che l’Italia è passata da essere un paria a diventare un modello, ancorché imperfetto, di contenimento virale dovrebbe insegnare qualche lezione al resto del mondo”. “Dopo un inizio incerto – ricorda il quotidiano – l’Italia ha consolidato un rigido lockdown a livello nazionale attraverso un mix di allerta e competenza medica dolorosamente acquisita”.

L’articolo elogia gli sforzi fatti dal governo, “guidato da comitati scientifici e tecnici”, mentre “medici locali, ospedali e funzionari sanitari raccolgono ogni giorno più di 20 indicatori sul virus”, un modello “che ha consentito all’Italia di avere una radiografia settimanale della salute del Paese su cui si basano le decisioni politiche“. “Il tasso di trasmissione del virus – sottolinea il quotidiano – si è ridotto velocemente e la curva si è spianata a differenza di altri Paesi europei, come la Svezia, nei quali si è deciso di non fare lockdown”.

Questo approccio rigoroso ha imposto un alto prezzo. “Non c’è dubbio – osserva il Nyt – che il lockdown sia stato economicamente costoso. Si prevede che quest’anno l’Italia perderà circa il 10% del suo Pil. Ma a un certo punto i funzionari italiani hanno deciso di anteporre la vita all’economia. Benché dolorosa, la strategia di chiudere tutto potrebbe risultare più vantaggiosa di provare a riaprire l’economicamente il virus è ancora in circolazione, come accade in paesi come gli Stati Uniti, il Brasile e il Messico“.

I modelli di contrasto all’epidemia sono essenzialmente cinque, tutti in vigore dopo un generalizzato ritardo iniziale frutto di incertezze e di sottovalutazione del fenomeno. Il primo è quello centralista e rigoroso attuato in un regime non democratico come la Cina. È basato su misure di lockdown estreme, sul distanziamento sociale e su un diffuso controllo da parte delle autorità. Ha funzionato, a prezzo di una compressione dei diritti individuali. Il secondo modello è quello della Corea del Sud, che ha fatto largo uso della tecnologia e dl distanziamento sociale, anche qui con una compressione dei diritti individuali e ha puntato sul tracciamento, anche via app, dei contatti e un esteso numero di tamponi sui sospetti oltre che un lockdown selettivo: probabilmente è il modello che ha avuto i migliori risultati.

Il terzo modello è quello italiano: si è proceduto dapprima con zone rosse comunali, quindi pluriregionali e infine su un lockdown nazionale e divieti di spostamento al di fuori dei comuni di residenza. Scesa la curva dei contagi il lockdown è stato progressivamente allentato, con blocchi selettivi, tracciamento dei contagi e mantenimento del distanziamento sociale. Spagna, Belgio e Francia hanno seguito il modello italiano, ma in ritardo e riaprendo prima: anche per questo stanno avendo una seconda ondata.

Il quarto modello è quello di Germania, Austria, Norvegia: lockdown più contenuto, grande efficienza del tracciamento dei focolai, grandi risorse nel sistema sanitario. Ha funzionato benissimo. Il quinto modello è quello di Svezia e, peggio, Stati Uniti, Brasile e Messico. Nessun lockdown nazionale se non limitato ad alcuni stati o regioni, misure di distanziamento sociale di solito scarse e in ritardo, uso di tamponi variamente declinato. Ma soprattutto, handicap notevole, per gli Usa e il Brasile, niente assistenza sanitaria universale. E così la Svezia ha avuto tassi di mortalità superiori a quelli dei paesi vicini (pur se lievemente inferiori ai nostri), gli Usa (sia pur con mortalità al momento inferiore alla nostra) contano già 157mila morti, il Brasile 92mila, il Messico 46mila. E non è certo finita: lì l’epidemia è ancora pienamente in corso e farà molte altre vittime.

Ponte di Genova

Ponte di Genova, il San Giorgio aperto al traffico. Concerto di clacson

Intorno alle 22, con due ore di ritardo rispetto al previsto, auto e moto hanno iniziato a percorrere i 1067 metri del nuovo viadotto

Genova, 4 agosto 2020 – Dopo l’inaugurazione di ieri e le ultime verifiche, in serata – alle 22, due ore dopo il previsto – è stato aperto al traffico il viadotto Genova-San Giorgio, sulla A10. Prima, perché tutto fosse perfetto, gli operai sono intervenuti per rifare un piccolo tratto di asfalto.

Ora il ponente e il levante della città sono ‘ricuciti’ insieme dai 1067 metri del nuovo ponte che ha sostituito il Morandi, crollato il 14 agosto 2018. A togliere le transenne, Francesco e Claudio, ausiliari alla viabilità.
E le prime auto hanno percorso il ponte in direzione ponente, suonando i clacson. Qualcuno abbozza una “V” di esultanza con la mano. E su un scooter sventola la bandiera di Genova, la stessa croce di Giorgio, rossa in campo bianco, che dà il nome al ponte.
La riapertura del Ponte è slittata a causa di due avallamenti provocati nell’asfalto da alcune strutture allestite ieri per la cerimonia di inaugurazione. Ma dopo le 22, in pochi minuti, il flusso è diventato regolare, con il traffico che scorre in entrambi i sensi di marcia.

Semaforo verde

Il segnale è arrivato dalla centrale operativa di Aspi una manciata di secondi prima delle 22. A quel punto le due segnalazioni luminose che si trovano sull’arco di volta della galleria di Coronata sono passate dal rosso al verde simultaneamente, come fosse la linea di partenza di un Gran Premio . È stato quello il segnale: il personale di Aspi ha tolto le due transenne che chiudevano le corsie: il tratto di A10 che unisce il ponente e il levante della città, inaugurato ieri e finalmente completo, è stato riaperto.

Il ponte tricolore

La galleria di Coronata illuminata a giorno, 500 metri di pannelli bianchi e segnalazioni luminose, ha portato la carovana, guidata dalla safety car della Polstrada, sul ponte illuminato col Tricolore. È stato in quel momento che le macchine hanno cominciato a passare sulle due due carreggiate, festeggiando a colpi di clacson il ponte ritrovato che affaccia, come il ponte di una grande nave, sulla Genova notturna e sul suo porto, completamente illuminati.
La polizia stradale e il personale di Aspi hanno percorso con una lunga carovana di giornalisti il chilometro e mezzo di strada fino al casello di Genova ovest, che è sembrato esser preso d’assalto sia in entrata che in uscita. Tanti i genovesi che non si sono voluti perdere il momento, come se quel ponte ritrovato fosse una grande conquista collettiva.

FOCUS / Modello Genova, niente gare e decisioni lampo. Burocrazia ko

 

Bruno, in coda per ore

“Io vengo da Bolzaneto, guardi l’ho vissuta tutta la storia del ponte, lo sa? Spero che tutto vada bene, che tutto duri. Passarci sopra? Penso che mi verrà la pelle d’oca. Sarò tra i primi, dietro la polizia”. Sono le parole emozionate di Bruno, che a bordo della sua moto da strada è stato tra i primi a mettersi in coda – già nel primo pomeriggio, sulla rampa della A10 diretta a levante in entrata al casello di Aeroporto per attraversare il nuovo viadotto San Giorgio alla riapertura.

Stoccolma senza un sol giorno di lock down?

La Svezia ha deciso di non effettuare il lockdown e le conseguenze sono state terribili. Economicamente e socialmente terribili.

Per avere un termine di paragone occorre valutare le nazioni confinanti come Norvegia, Danimarca e Finlandia.

Il danno sociale è stato enorme, i morti sono moltissimi, ma questa scelta è stata condivisa dalla popolazione che ha accettato le perdite in vite umane pur di mantenere la libertà di poter andare al ristorante o in palestra.

In Danimarca, Norvegia e Finlandia ci sono state veramente pochi casi e il lockdown è durato pochissimo.

Economicamente la Svezia è una nazione a economia debole che non ha l’euro ma la sua moneta, dopo l’euforia dei mercati, sta perdendo competitività con problemi di costo per l’approvvigionamento di petrolio e materie prime. La corona Svedese è al minimo storico a luglio 2020.

https://www.thelocal.se/20200805/swedish-economy-shrinks-by-86-percent-in-second-quarter

Esplosione a Beirut

Esplosione a Beirut, morta anche un’italiana

La conferma da fonti della Farnesina. Feriti lievi altri dieci connazionali. Si scava ancora tra le macerie in cerca di sopravvissuti. Arrestati 16 funzionari del porto

Beirut, 6 agosto 2020 – C’è anche un’italiana tra le 137 vittime della devastante esplosione di Beirut, mentre almeno altri dieci connazionali sono rimasti lievemente feriti. Lo confermano fonti della Farnesina. La donna, che si chiamava Maria Pia Livadiotti e aveva 92 anni, è morta in casa probabilmente a causa di un trauma cranico dovuto alla forza d’urto dello scoppio. Sul suo corpo non vi erano segni di ferite da schegge o lamiere. L’anziana era una delle più longeve italiane della capitale libanese e aveva quasi sempre vissuto lì. Era vedova di Lutfallah Abi Sleiman, già medico di fiducia dell’ambasciata d’Italia a Beirut. Il figlio della donna ha detto di esser stato anche lui lievemente ferito in strada, di aver trovato, al suo ritorno a casa, la madre riversa a terra e di aver capito che purtroppo era già morta.

Soccorritori ancora al lavoro

E non si arresta il lavoro dei soccorritori, ancora impegnati a scavare tra le macerie nel tentativo di trovare dei sopravvissuti, mentre il Paese dei cedri cerca ancora un motivo e le responsabilità all’inferno di morte che sulla sua capitale. L’ultimo bilancio parla anche 5mila feriti e 300mila sfollati. Intanto, sono stati arrestati 16 funzionari del porto di Beirut nell’ambito dell’inchiesta sulla doppia esplosione.  Lo ha reso noto Fadi Akiki, commissario statale ad interim presso il tribunale militare. “Le indagini continuano a includere tutti gli altri sospetti, al fine di chiarire tutti i fatti relativi a questo disastro”, ha aggiunto Akiki, spiegando che finora sono state interrogate 18 persone.

Macron a Beirut

Intanto a manifestare il suo sostegno al Libano ferito anche il presidente francese Emmanuel Macron, arrivati stamani a Beirut: “Vogliamo sapere le cause dell’esplosione”, ha detto il capo dell’Eliseo. Il quale ha assicurato che proporrà ai dirigenti libanesi un “nuovo patto” politico, per far fronte alla rabbia della popolazione, già stremata dalla crisi economica. E’ necessario “un cambio di sistema”, ha ribadito Macron, che si è recato nel quartiere cristiano di Gemmayzeh, dove è stato accolto da una folla che inneggiava a una “caduta di regime”.

E dagli Usa sono partiti tre aerei C-17 con cibo, acqua e medicine. Secondo riferisce in una nota il portavoce del Pentagono, il capitano Bill Urban, gli Stati Uniti intendono continuare ad assistere la popolazione libanese durante questa crisi.

Di Maio: “Pronti ad assistenza”

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha avuto oggi un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri libanese, Charbel Wehbe, al quale ha espresso profondo cordoglio e massima solidarietà per la violenta esplosione che ha colpito Beirut martedì. Lo rende noto un comunicato della Farnesina. “Siamo pronti a rispondere alle esigenze più urgenti e a fornire tutta l’assistenza necessaria” ha detto il titolare della Farnesina, che ha ricordato i due voli italiani atterrati a Beirut nelle scorse ore con un team di soccorritori specializzati in questo tipo di emergenze e 8,5 tonnellate di materiale sanitario, che si aggiungono all’assistenza già messa a disposizione dal contingente italiano impegnato in Unifil.

Viviana Parisi morta, il corpo trovato nei boschi.

Viviana Parisi morta, il corpo trovato nei boschi. Si cerca senza sosta il piccolo Gioele

Il cadavere sfigurato dai cinghiali. Riconosciuta dalla fede

Viviana Parisi insieme al figlio Gioele
Viviana Parisi insieme al figlio Gioele

Roma, 8 agosto 2020 – Svolta nel giallo di Viviana Parisi e del piccolo Gioele, scomparsi da lunedì 3 agosto. Oggi è stato trovato il cadavere irriconoscibile, perchè sfigurato dai cinghiali, di una donna nei boschi di Caronia ( Messina). E solo in serata è arrivata la conferma: secondo quanto si apprende da fonti investigative, il cadavere è di Viviana, riconosciuta dalla fede al dito con scritto il nome del marito, Daniele Mondello. La dj, sul cui corpo sarà svolta l’autopsia, potrebbe essersi uccisa oppure potrebbe essere deceduta per morte violenta. E’ quanto dicono gli inquirenti che hanno sequestrato nell’area dov’è stata trovata la donna un traliccio che regge cavi dell’energia elettrica per capire se la Parisi possa essersi gettata dall’alto dopo essere salita sull’impalcatura. Sembra che la donna sia morta “da diversi giorni”. Ancora nessuna traccia del piccolo Gioele, che era con la mamma al momento della scomparsa. Intensificate le ricerche che riprenderanno all’alba di domenica. Per le ricerche vengono utilizzati anche cani molecolari. Oltre ai gioielli, il marito avrebbe riconosciuto, secondo quanto apprende l’Adnkronos, anche dei vestiti e le scarpe della moglie. Nel tardo pomeriggio è stata invece ritrovata l’altra donna che si cercava da ieri nella stessa zona.

Il corpo ritrovato a Caronia

La donna trovata morta a Caronia indossa un paio di pantaloncini jeans, una maglietta e un paio di scarpe bianche. Una scarpa era indossata, l’altra è stata trovata vicino al cadavere che giaceva bocconi tra gli alberi di una boscaglia, non molto distante dal punto dell’autostrada A20 da cui Viviana Parisi si è allontanata. Almeno un indumento sembra corrispondere a uno dei capi che indossava la dj il giorno della scomparsa.

Il cadavere, irriconoscibile perché sfigurato dai cinghiali, non appartiene all’altra donna che si cercava nella zona: la 43enne (stessa età della Parisi) è stata ritrovata dopo un giorno di ricerche a casa di un’amica. Madre di tre figli, era scomparsa a Castel di Lucio, un piccolo paese dei Nebrodi a una ventina di chilometri da Caronia. Si era allontanata con una Fiat Bravo e aveva lasciato il cellulare in casa: è stata rintracciata da un’amica a Sant’Agata di Militello, altro centro a una trentina di chilometri da Caronia. Sulle ragioni della sua scomparsa, la donna viene sentita ora dai carabinieri.

 “C’è un video, è lei”. Ma il marito nega

Gioele

Proseguono con rinnovato vigore le ricerche del piccolo Gioele. Uomini, mezzi e cani molecolari sono in azione. L’area divisa per reticoli è di oltre 300 ettari. Le ricerche si svilupperanno a partire dal punto in cui è stato ritrovato il corpo irriconoscibile della donna. In linea d’aria è a meno di un chilometro dalla galleria Pizzo Turda nel quale Viviana Parisi ha avuto il lieve incidente con il furgone degli operai di una ditta di manutenzione. Secondo la ricostruzione degli stessi operai, che si sono subito fermati per deviare il traffico, la donna avrebbe proseguito per un tratto e poi sarebbe scomparsa. I vigli del fuoco hanno seguito le sue tracce per alcune centinaia di metri. La logica avrebbe voluto che Viviana imboccasse un varco sul lato destro della carreggiata. Invece, la posizione del cadavere di Viviana indica che abbia lasciato a piedi l’autostrada scavalcando il guard rail a sinistra. Da qui si sarebbe allontanata per alcune centinaia di metri prima di trovare la morte nella boscaglia vicina. Gli operai sostengono che era sola (altri dicono che fosse con il figlio). Resta da capire a questo punto dove sia finito Gioele. La speranza è che la donna abbia affidato il bambino a qualcuno. Accanto a questo filo di speranza vi è però anche la terribile ipotesi che il bambino sia morto e il suo corpo sia stato fatto a pezzi dai cinghiali. Il medico legale, infatti, ipotizza che Viviana Parisi sia morta lo stesso giorno della scomparsa.

Il ‘buco’ di venti minuti

“Gli scontrini del pedaggio ci dicono che ci sono venti minuti di buco tra il momento in cui è uscita e il momento in cui è rientrata. Dal suo paese, Venetico, ha raggiunto Milazzo. Qui, anziché fermarsi come aveva detto al marito, ha imboccato l’autostrada in direzione Palermo ed è uscita allo svincolo di Sant’Agata, senza pagare il pedaggio. A Sant’Agata non sappiamo cos’abbia fatto per venti minuti, poi si è rimessa in marcia fino al punto in cui è accaduto l’incidente in autostrada”. Una ricostruzione puntigliosa, che il procuratore svela alla Stampa. Viviana dunque ha cambiato programma. “Non ci sono testimoni che ce lo confermino – dice Cavallo – E purtroppo non ci sono registrazioni video: le videocamere dell’autostrada sono tutte guaste e i caselli sono automatici. Tranne che all’inizio del viaggio: a Milazzo in macchina c’era lei con il figlio”.

Gli iscritti hanno dato il via libera al terzo mandato e all’alleanza con i partiti tradizionali.

Movimento 5 Stelle, sulla piattaforma Rousseau si vota sul mandato zero e sulla possibilità di alleanza con i partiti tradizionali a livello comunale. Il Movimento 5 Stelle sposa una doppia rivoluzione che passa per il voto su Rousseau. Con un voto sulla piattaforma, gli iscritti hanno risposto a rispondere a due quesiti: il primo è legato ala modifica del mandato zero per i consiglieri comunali, il secondo è legato alle alleanze delle liste dei 5 stelle a livello comunale con i partiti tradizionali. “Hanno partecipato alle due votazioni un totale di 48.975 aventi diritto che hanno espresso complessivamente 97.685 preferenze“, recita la nota del Movimento 5 Stelle al termine della votazione. Movimento 5 Stelle, il voto su Rousseau su mandato zero e alleanze con partiti tradizionali Di fatto gli iscritti si sono espressi su due temi delicati che vanno in qualche modo a modificare l’assetto originario del MoVimento. PUBBLICITÀ Il primo quesito interessa la modifica del mandato zero per i consiglieri comunali. Il caso richiama alla mente l’annuncio della sindaca di Roma Virginia Raggi che ha manifestato la sua decisione di correre nuovamente per confermare il suo ruolo di prima cittadina della Capitale. La decisione della sindaca è stata accolta di buon grado dai vertici del Movimento 5 Stelle e da esponenti di spicco dell’universo pentastellato. Come specificato da Vito Crimi, il vincolo dei due mandati aveva lo scopo di evitare che gli esponenti del Movimento 5 Stelle vivessero di politica. Ma nei Comuni il tempo è differente da quello della politica nazionale. Nelle città serve continuità per dare un senso al lavoro svolto e quindi per portare a termine un progetto. Il secondo quesito è legato invece alla possibilità di procedere con alleanze a livello comunale con i partiti tradizionali. E la questione sembra legata soprattutto al rapporto tra il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico. Nella storia recente la decisione dei pentastellati di correre da soli contro gli alleati di governo si è rivelata fallimentare e in diversi casi ha spalancato alla coalizione di Centrodestra la via verso la vittoria. Il risultato del voto Gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno dato il via libera al terzo mandato e all’alleanza con i partiti tradizionali.

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Cinque deputati della Repubblica hanno chiesto e ottenuto i bonus da 600 e 1.000.

Questa è la conseguenza dell’aver mandato in parlamento gente che sa benissimo che una volta uscita li aspetta il baratro del nulla.

Un tempo un parlamentare – anche l’ultimo “peone” – era arrivato lì dopo una selezione feroce.

Spesso la selezione era fatta in base a criteri forse un po’ discutibili – chi è più bravo a rubare – ma comunque funzionava benissimo.

E chi diventava deputato i soldi della diaria e dell’indennità li usava per le noccioline ( ovvero pagare il conto del bar e del ristorante dove portava i vari “clientes”). Oggi il conto se lo fanno pagare loro (morti di fame che sono).

E comunque, se anche il parlamentare tornava a casa senza essersi sistemato economicamente per tre generazioni, lui e la famiglia intera fino al quarto grado, sapeva comunque di avere davanti un “buen retiro” fatto di posti prestigiosi e ben pagati nei vari sottoboschi di potere (poste, IRI, Finmeccanica, eccetera per i più “grandi” e ASL, municipalizzate, eccetera per i “piccoli calibri”).

E pensare che anche per i più specchiatamente onesti si poteva fare soldi senza neppure rubare un centesimo ma grazie agli intrallazzi saputi in anteprima e relative speculazioni edilizie, industriali e di borsa che divenivano possibili.

Oggi non è più così.

Finita l’avventura romana per molti si torna a ramazzare i corridoi.

Prodotto il primo lotto del vaccino contro il coronavirus in Russia

Prodotto il primo lotto del vaccino contro il coronavirus in Russia. I dubbi dell’Oms. MOSCA (RUSSIA) – E’ stato prodotto il primo lotto del vaccino contro il coronavirus in Russia. L’annuncio è arrivato direttamente dal ministro della Salute con una dichiarazione citata dalle agenzie di stampa locali e riportata dall’Ansa. Si tratta di un primo passo visto che la produzione industriale è prevista da settembre ed entro la fine dell’anno potrebbero essere prodotti circa 5 milioni di dosi al mese. I primi lotti saranno messi a disposizione dei medici, mentre subito dopo toccherà ai cittadini su base volontaria. Nel 2021 dovrebbe essere la volta anche dei Paesi esteri anche se non si hanno certezze sulle date. I dubbi dell’Oms La produzione del primo lotto del vaccino russo è stata annunciata da Mosca, ma dall’Oms si invita alla cautela. Sin dall’annuncio di Vladimir Putin le autorità sanitarie mondiali avevano ribadito il bisogno di un rigoroso controllo di sicurezza per verificare l’efficacia del farmaco. PUBBLICITÀ Da parte della Russia nessuna intenzione di fare un passo indietro con i lavori che vanno avanti. I primi risultati del vaccino potrebbero esserci tra settembre e ottobre con tutti i Paesi che guardano con attenzione alla Russia per capire le possibilità di uscire da questa emergenza nel giro di poco tempo. Vladimir Putin Vladimir Putin Putin assicura: “Vaccino sicuro” L’annuncio di Putin è arrivato a test non completati. La fase finale è iniziata solo questa settimana, ma Mosca ha deciso di lavorare anche sul primo lotto basandosi sui dati che ha ottenuto dalle sperimentazioni. Il presidente russo ha fatto testare il farmaco su una delle sue figlie e i risultati sembrano essere buoni. La cautela resta massima per questo che sembra essere un primo passo verso l’uscita dall’emergenza. Bisogna aspettare qualche settimana per avere la certezza sull’efficacia di questo farmaco prodotto in Russia.

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