Sicurezza: primo ok per la pistola elettrica e le telecamere sulla divisa della polizia

Sicurezza: primo ok per la pistola elettrica e le telecamere sulla divisa della polizia

Dopo lo spray al peperoncino e le microcamere sulle divise, che dopo mesi di sperimentazione potrebbero fare il loro esordio “ufficiale” in ordine pubblico giovedì a Napoli, è in arrivo un nuovo strumento per i poliziotti: la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato un emendamento al decreto stadi che autorizza la sperimentazione del Taser, la pistola elettrica. L’emendamento, che dovrà ora ricevere il via libera dall’Aula, è stato approvato dopo che il viceministro all’Interno Filippo Bubbico ne ha proposto una riformulazione rispetto al testo iniziale di Forza Italia: la sperimentazione dovrà avvenire “con le necessarie cautele per la salute e l’incolumità pubblica e secondo principi di precauzione e previa intesa con il Ministro della salute”.
Arma di dissuasione – Presto dunque il Taser, che produce una scossa elettrica che rende la persona colpita inoffensiva per alcuni secondi e che già utilizzano diverse polizie europee, potrebbe approdare nelle questure. “C’è da augurarsi – dice il promotore dell’emendamento Gregorio Fontana – che la condizione posta dalla riformulazione non si trasformi in una manovra ostativa, verso un’operazione di ammodernamento tecnologico, di estrema utilità per gli operatori della sicurezza e per tutti i cittadini”.
Numerosi studi ne hanno rilevato la pericolosità – Contraria Sel, con il capogruppo in Commissione Daniele Farina: “numerosi studi e rapporti ne hanno rilevato la pericolosità e l’uso indiscriminato nei paesi dove l’armamento è stato adottato”. Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza si guarda invece con interesse alla possibile sperimentazione. Perché lo spray, le microcamere e, ora il Taser, sono strumenti che vanno verso un’unica ottica: ridurre al minimo il contatto fisico tra operatori di polizia da un lato e cittadini dall’altro. E, di conseguenza, ridurre drasticamente i rischi che un arresto o una carica di alleggerimento possano degenerare, come accaduto in passato e come insegna ad esempio la storia di Federico Aldrovandi.
Si comincia ad abbattere un pregiudizio – “Piano piano – commenta il segretario del Sap Gianni Tonelli – si comincia ad abbattere un pregiudizio di fondo verso determinati strumenti, che non sono di repressione ma di prevenzione, anche se la strada da fare è ancora molto lunga”. Per l’Associazione nazionale dei funzionari di Polizia “sarebbe preferibile impiegare già nella fase sperimentale pistole Taser che dispongono di un sistema di videoregistrazione connesso automaticamente al loro uso, come avviene già in Francia” a garanzia di agenti e cittadini.
In arrivo le telecamere installate sulle divise – In attesa che il Parlamento si pronunci sul Taser, faranno intanto l’esordio ufficiale in ordine pubblico le microcamere installate sulle divise, la cui sperimentazione è in corso a Roma, Napoli, Torino e Milano: in occasione del vertice della Bce di giovedì a Napoli, gli agenti dei reparti mobili potranno utilizzare i nuovi strumenti e sarà il dirigente incaricato della gestione della piazza a decidere se sussistono o meno le necessità per la loro attivazione.
Garantita la privacy – Nel parere con cui il Garante della privacy ha dato il via libera all’utilizzo, si sottolinea infatti che il sistema, per quanto finalizzato alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione, all’accertamento o alla repressione dei reati, è pur sempre soggetto al rispetto dei principi del codice privacy sul trattamento dei dati personali. E dunque le immagini riprese dovranno essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolte. Ecco perché il sistema dovrà essere attivato solo ove vi sia effettiva necessità, ossia nel caso di insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Le riprese, inoltre, dovranno essere conservate per un periodo di tempo limitato e poi cancellate.
M5s: soldi per pistole taser e non per stipendi – La possibilità di sperimentare la pistola elettrica è un’ “esigenza così tanto urgente e necessaria da essere inserita in un decreto legge”?. Se lo chiedono i Cinque Stelle polemizzando sui costi. “Quanto ci costeranno queste ‘pistole giocattolo’ non è dato sapere mentre i nostri emendamenti per sbloccare il tetto agli stipendi delle forze dell’ordine non sono stati dichiarati ammissibili. Questa – concludono i deputati M5s – è la priorità di governo e maggioranza: pistole elettriche invece dello sblocco degli stipendi e la tutela della salute della polizia. Noi, invece, domani incontriamo le forze di polizia”.

Scontro Renzi-calcio su chi deve pagare gli straordinari alla Polizia

Scontro Renzi-calcio su chi deve pagare gli straordinari alla Polizia SONDAGGIO

matteo renzi in tribuna al franchi

01 ottobre alle 19:00

Chi deve pagare gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi? I club, secondo il Premier Matteo Renzi, che su Twitter, facendo riferimento ai contenuti del decreto stadi in votazione alla Camera, scrive: “Gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini“.

LA SERIE A E’ CONTRARIA – Di diverso parere il presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beretta, che aRadio 24 spiega: “Il provvedimento così come è ci preoccupa molto, per la sua realtà e per il precedente che rischia di costituire. Le società di calcio sono contribuenti significativi come tutti gli altri e penso che non sia facile stabilire cosa è ordinario e cosa straordinario, perché dipende dai modelli organizzativi. Poi questa cosa è dedicata al calcio o agli eventi sportivi come è scritto nel testo dell’emendamento. Penso che ci siano tante cose su cui è necessario fare chiarezza. Spiace trovarsi questa sorpresa senza un minimo confronto e credo che questo sia un rammarico legittimo”.

Il costo degli straordinari, ogni anno, è di 25 milioni di euro, come ricorda l’agenzia Agi: “Sono il fatturato di molte società di calcio e bisognerebbe avere chiaro il quadro e molte di queste società hanno bilanci in tensione – commenta ancora Beretta -. Con questa operazione rischiamo di scaricare oneri su realtà anche importanti che poi sono chiamate a competere all’estero, a fare una serie di attività. Ricordo che tutta la sicurezza all’interno degli stadi, che sono pubblici, è pagata dalle società direttamente con gli steward. Credo che si stia cercando di addossare un peso su alcune realtà che già ne sopportano una parte significativa. Se andiamo a guardare numeri e cose sarà più facile capire di che grandezza stiamo parlando, poi abbiamo massimo rispetto del legislatore”.

PARLA TAVECCHIO – Sul sito della Figc, un comunicato riassume il pensiero del presidente Carlo Tavecchio sulla vicenda. IL COMUNICATO – La FIGC condivide le parole e le preoccupazioni del presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta  riguardo l’emendamento al decreto stadi approvato dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera, con il quale si intende introdurre un contributo dei club (in percentuale sugli incassi da botteghino) per il pagamento dei costi della sicurezza in occasione degli eventi sportivi. Come già affermato dal presidente Carlo Tavecchio in occasione dell’audizione in commissione lo scorso 16 settembre, il mondo del calcio è consapevole delle ragioni e delle esigenze delle Forze dell’Ordine, con le quali da tempo si sta lavorando in maniera congiunta e proficua, ma chiede un confronto urgente affinché si sgombri il campo da inutili demagogie. “Occorre fare chiarezza su competenze e risorse disponibili – afferma Tavecchio – quindi analizzare con attenzione il contributo già fornito all’Erario direttamente dalle Società ed indirettamente anche attraverso i giochi e le scommesse sportive, al fine di verificare l’intera filiera dei ricavi collegati al gioco del calcio, rispetto alle risorse di cui beneficia. Sono convinto che attraverso una discussione preventiva e approfondita, di concerto con il CONI, si potranno trovare soluzioni condivise”. La Federcalcio rappresenta l’interlocutore imprescindibile per l’approfondimento di tematiche così importanti e si è già attivata nelle sedi competenti perché si avvii sull’argomento un dialogo proficuo.

INTERVIENE ANCHE MALAGO’ – Giovanni Malagò, presidente del Coni, commenta, come si legge su Gazzetta.it: “Il presidente della Lega Serie A Beretta è preoccupato? Lo capisco, ha ragione. Come tutte le questioni giuste o sbagliate che siano, se sono fatte in corso d’opera, se tu hai un tuo bilancio e dalla mattina alla sera ti dicono che hai una spesa supplementare che, per altro ancora non ho capito come si quantifica, è chiaro che non va bene. Servirebbe un’analisi generale per “ridisegnare un vero rapporto con tutto il sistema calcio” valutando “quelli che sono i benefici e gli introiti che ha il pubblico rispetto ai costi che ha”.

Ucraina, nuove sanzioni Ue-Usa. Russia: “Risposta sarà adeguata”

Ucraina, nuove sanzioni Ue-Usa. Russia: “Risposta sarà adeguata”

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Il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy spiegherà la decisione mirata a mantenere la pressione su Mosca nonostante il cessate il fuoco in est Ucraina. Obama: “I settori colpiti quelli finanziario, dell’energia e della difesa”

Bruxelles, 11 settembre 2014 – Gli Stati membri dell’Unione europea si sono accordati perché le sanzioni economiche rafforzate contro la Russia, decise lunedì, entrino in vigore domani. Il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, ha spiegato in una nota che per il momento la Ue intende mantenere la pressione su Mosca, già a fine mese ma gli ambasciatori dei 28 potrebbero suggerire la revoca delle restrizioni se la messa in atto del piano di pace andrà avanti secondo i piani. “Oggi ci uniamo all’Unione europea” nell’inasprire le sanzioni contro la Russia “in risposta alle azioni illegali in Ucraina”, ha detto il presidente americano, Barack Obama.

”L’ho detto dall’inizio della crisi che volevamo trattare una soluzione politica in grado di rispettare l’integrità territoriale e la sovranità dell’ Ucraina. Con il G7, i partner europei e gli altri alleati, abbiamo detto chiaramente che eravamo pronti a imporre costi maggiori sulla Russia. Attuiamo queste nuove misure alla luce delle azioni della Russia per destabilizzare ulteriormente l’Ucraina nell’ultimo mese” ha messo in evidenza Obama, precisando che vengono ”monitorati da vicino gli sviluppi dall’annuncio del cessate il fuoco e dell’accordo di Minsk, ma non abbiamo ancora visto le prove che la Russia abbia messo fine ai suoi sforzi per destabilizzare l’Ucraina”. ”Amplieremo le sanzioni contro i settori finanziari, dell’energia e della difesa russi. Queste misure aumenteranno l’isolamento politico della Russia e i costi che dovrà sopportare” ha affermato Obama. ”Se la Russia attuerà gli impegni presi, le sanzioni possono essere alimentate. Se invece la Russia continuerà con le sue azioni aggressive e con le violazioni della legge internazionale, i costi continueranno ad aumentare”.

La Nato intanto fa sapere che la Russia ha ancora circa 1.000 soldati schierati nelle regioni orientali e separatiste ucraine. La prima reazione russa al provvedimento è affidata a Aleksandr Lukasehvich, portavoce del ministero degli Esteri: “Le sanzioni Ue rappresentano una linea assolutamente non amichevole, che contraddice gli interessi della stessa Unione Europea. La risposta di Mosca sarà commensurabile“.

Ntv incontra le Banche. Si attende un nuovo ad

Ntv incontra le Banche. Si attende un nuovo ad

6 settembre 2014

Chiuso, quasi, un capitolo, come quello, pesante, di Alitalia, Intesa Sanpaolo mette mano a un’altra operazione in cui si trova coinvolta sia come creditrice  che come azionista delle medesima società. Stiamo parlando di Ntv, la società che ha aperto alla concorrenza i binari italiani ma che ora naviga in cattive acque.

Perciò il cfo Fabio Tomassini e altri manager di vertice di Ntv, hanno incontrato in questi giorni a Roma, per circa quattro ore, i rappresentanti delle principali banche creditrici: Intesa Sanpaolo, appunto, che vanta crediti per 394 milioni, Mps, a 175,7 milioni, Banco Popolare a quota 95,2 e Bnp-Bnl, a 17,8 milioni. All’incontro non erano presenti i banchieri di Lazard, la banca d’affari  incaricata di predisporre il nuovo piano industriale, in arrivo nel prossimo Cda. Dove si parlerebbe anche di un rafforzamento del management con l’arrivo, anche di un nuovo amministratore delegato.

A margine del workshop Ambrosetti il direttore generale di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè, ha detto che la sua banca  “resta in attesa nelle prossime settimane del piano industriale di Ntv che verrà presentato a cda, soci e creditori”. Al momento infatti  “non c’è nient’altro che un accordo di congelamento del debito, il tema principale è mantenere la concorrenza leale tra pubblico e privato”, ovvero con il principale concorrente Trenitalia. Che, per bocca del presidente di Fs Marcello Messori, proprio a Cernobbio, dopo tanta guerra guerreggiata, tende la mano al concorrente “malato”: “Auspico che il concorrente delle Ferrovie dello Stato nell’alta velocità possa trovare un equilibrio gestionale adeguato per poter svolgere al meglio il servizio”.

Un futuro in cui si attende che i soci sborsino altri quattrini per consentire la normale attività che dovrebbe puntare ancor più sulla rotta Torino-Roma-Salerno, mentre sarebbero in forse gli investimenti, circa 15 milioni di euro, sulla dorsale Adriatica, per mantenere una quota di mercato del 23% nei volumi e del 22,7% nei valori. Si parla di 80-100 milioni di euro, da trovare tra i soci Montezemolo, Della Valle, Punzo (al 35%), Intesa (20%), Sncf (20%), Generali (15%) e Alberto Bombassei (5)%.

è questo giova sia agli utenti dei servizi sia alle imprese nel medio termine”.

Marchionne: “L’Italia sembra incapace di reagire, ma abbiamo fiducia nel governo Renzi”

Marchionne: “L’Italia sembra incapace di reagire, ma abbiamo fiducia nel governo Renzi”

L’amministratore delegato di Fiat-Crysler al Meeting di Rimini. “Il premier ha un compito arduo, ma vada avanti. Dobbiamo smettere di aspettare il miracolo, il futuro dipende da noi”

Rimini, 30 agosto 2014 – L’Italia vive oggi “una recessione prolungata in condizioni che non sono più in grado di garantire un paese competitivo”. Lo ha detto l’ad di Fiat Sergio Marchionne, intervenendo al Meeting Cl di Rimini, secondo cui però il nostro paese “non sembra capace di reagire”. “Saranno almeno 10 anni che dico che abbiamo bisogno di riforme e trasformazioni strutturali” per recuperare “il livello competitivo del Paese”, ha avvertito Marchionne.
Per Fiat “guardare un Paese immobile e incapace di avviare un anche piccolo cambiamento è qualcosa di inconcepibile”, ha spiegato l’a.d. aggiungendo di riporre “la massima fiducia nel governo, anche se fino ad ora chi ha guidato il Paese si è scontrato con un muro di gomma”. “Il presidente Renzi – ha sottolineato –  ha di fronte un ruolo arduo e ingrato. Appare coraggioso e determinato a fare le riforme e io l’ho incoraggiato a proseguire l’intento riformatore senza curarsi degli attacchi”.
Abbiamo passato vent’anni a far finta di fare riforme sociali. Non abbiamo neppure approfittato dell’adesione all’euro, con cui potevamo finanziare le riforme – ha proseguito sempre Marchionne -. Abbiamo solo alimentato una dialettica distruttiva che ha indebolito le istituzioni, così gli investitori non arrivano, i salari si erodono e il tenore di vita cala”. “Quando dico noi, dico tutti. Destra e sinistra, e imprenditori”, ha puntualizzato.
Dobbiamo smettere di aspettare il miracolo, se le riforme fossero davvero varate saremmo i primi a salutarli con gioia ma noi non possiamo riporre tutte le speranza nell’attesa”, ha proseguito l’amministratore delegato di Fiat-Crysler Sergio, sferzando poi i giovani di Cl. “A chi si è iscrittto alla scuola della rassegnazione dico che il futuro non dipende da nessun altro se non da noi. Non aspettate che ve lo dica qualcuno o che vi arrivi una direttiva sulla scrivania. Invece di combattere le inefficienze della democrazia, pensate a un modello nuovo, costruitevi un percorso ma iniziate oggi, iniziate subito, accettate la sfida dell’ignoto”.
E ancora: “Le speranze per il futuro dell’Italia sono in mano alla gente che fa e che decide di reagire, di impegnarsi e mettersi in gioco. Questa è l’esperienza della Fiat- ha sottolineato Marchionne- Decidendo la fusione con la Crysler ci siamo giocati tutto e io in particolare la mia carriera. Abbiamo deciso di assumerci il rischio facendo scelte coraggiose. Ribadiamo anche che non chiudiamo nessuno stabilimento in Italia“. Ma la Fiat oggi per Marchionne “è solo uno degli esempi di quello che si può fare se ognuno di noi fa la propria parte: si può invertire la rotta, quando la voglia di impegnarci vince sulle scelte facili”. “Non è per fare i presuntuosi”, ha detto, ma “per dimostrare che anche in situazioni disperate, anche quando la concorrenza ti considera morto, ti puoi rialzare”. Nel Paese serve una svolta, avverte più volte: “La realtà è che dobbiamo guardare avanti, che non possiamo più aspettare, il Paese sta prendendo una brutta impennata”.
Non sopporto più gente con gelati, barchette e cavolate. Voglio essere orgoglioso di essere italiano, di poter dire che siamo veramente bravi come gli altri perché lo siamo”, ha detto ancora Marchionne rispondendo a margine del suo intervento in merito alla vicenda della copertina dell’Econimist che ritrae il premier Matteo Renzi con un cono gelato in mano ed anche all’ironica risposta del premier stesso di ieri nel cortile di Palazzo Chigi, quando si è fatto fotografare con un vero cono gelato in mano (FOTO). Marchionne ha premesso: “La gente che si impegna a fare le cose, di qualsiasi colore sia, la appoggio. Sono i benvenuti”. “Non possiamo aspettare più. Il sistema ha bisogno di azione e bisogna muoversi – ha ammonito -. Ho preso la Fiat come esempio: non possiamo piùaspettare che vengano modificate le regole, che la gente ci segua, che troviamo accordi, che troviamo soluzioni per tutte le poltrone disponibili. A me non interessa un cavolo”.

Decreto palchi, ok alle norme di sicurezza per fiere e spettacoli

Decreto palchi, ok alle norme di sicurezza per fiere e spettacoli

Definite le modalità con cui applicare le disposizioni sui cantieri mobili e temporanei previste dal d.lgs 81/2008

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28/08/2014 – Definiti con il Decreto palchi i criteri per l’applicazione delle norme sui cantieri mobili e temporanei agli spettacoli e alle manifestazioni fieristiche.

Il Decreto attua quanto stabilito dal Decreto del Fare, che estende a spettacoli e fiere il Titolo IV del D.lgs 81/2008sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il testo precisa che, per quanto riguarda gli spettacoli, le disposizioni sui cantieri mobili e temporanei si applicano alle attività di montaggio e smontaggio delle opere temporanee e all’allestimento e disallestimento degli impianti. Viene inoltre chiarito per opere temporanee si intendono quelle di notevole importanza e complessità per le geometrie e i sovraccarichi o per le quali è stata richiesta una specifica progettazione strutturale.

Date le particolari esigenze connesse all’allestimento degli spettacoli, nello svolgimento dei lavori bisogna tenere in considerazione la presenza contemporanea di più imprese esecutrici, il numero elevato di lavoratori, anche di nazionalità diversa, la necessità di operare in spazi ristretti e tempi ridotti e i rischi derivanti dalle condizioni meteo.

L’idoneità delle imprese deve essere verificata dal committente o dal responsabile dei lavori. Va inoltre redatto il piano di sicurezza e coordinamento, che deve essere messo a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza prima dell’inizio dei lavori. I lavoratori che si occupano delle opere temporanee devono inoltre essere formati sul montaggio e smontaggio dei ponteggi.

Per quanto riguarda le manifestazioni fieristiche, il decreto stabilisce che le norme sui cantieri mobili e temporanei si applicano alle attività di approntamento e smantellamento degli allestimenti.

Anche in questo caso bisogna considerare diversi aspetti tipici delle manifestazioni, come la presenza di più imprese e lavoratori, gli spazi ristretti, i tempi ridotti, le condizioni ambientali, l’eventuale presenza di vincoli architettonici e la presenza di più stand contigui.

Il committente o il responsabile dei lavori deve prendere tutte le informazioni sugli spazi in cui realizzare lo stand e verificare l’idoneità di imprese e lavoratori. Il piano di sicurezza e coordinamento deve essere messo a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza prima dell’inizio dei lavori.

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Normativa sull’argomento

Malta, l’ultimo paradiso fiscale Ue rischia deriva.

Malta, l’ultimo paradiso fiscale Ue rischia deriva. E vende passaporti a ricchi russi

Le aliquote sulle società, ferme al 5% per i non residenti, continuano ad attirare capitali stranieri. Tanto che il sistema bancario dell’isola vale ormai otto volte il Pil. Il pericolo è quello di diventare la terra promessa per il riciclo di capitali di oscura origine. Sempre più tesi i rapporti con Bruxelles

Malta

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Da destinazione prediletta per vacanze studio estive a terra promessa dell’offshore made in Ue. È il destino dell’isola di Malta, fino a pochi anni fa nota soltanto come meta turistica, vero e proprio Eldorado per chi volesse imparare l’inglese godendosi il mare. Dal 2004, però, il volto di Malta sta velocemente cambiando: una vera e propria trasformazione capillare dell’economia che dopo il crack di Cipro ha reso l’isola l’ultimo paradiso fiscale all’interno dell’Unione Europea. “Chi è venuto ad aprire un’attività qui dieci anni fa ha fatto i soldi”, spiega Marcello, uno dei tanti siciliani che in due ore di catamarano da Pozzallo ha raggiunto l’isola per mettere radici. “Qui gira tutto intorno al turismo e al gioco d’azzardo on line”. Sull’onda di una presenza turistica che ormai sfiora i due milioni di visite l’anno, infatti, i maltesi hanno provato ad aprire la loro economia: al mare di Paradise bay e di Comino, alle case museo di Mdina, ai locali notturni di Saint Julian e Sliema, il piccolo isolotto in mezzo al Mediterraneo ha ormai affiancato decine di sportelli bancari. Che dal 2004, anno dell’entrata nell’Unione Europea, hanno visto l’arrivo di massa degli investitori stranieri. Merito delle imposte, tra le più esigue dell’Ue al pari soltanto del Lussemburgo: le aliquote sulle società sono al 35%, e si riducono appena al 5% per i non residenti, mentre non esistono tasse di successione o patrimoniale.

Il sistema bancario vale 8 volte il Pil – “Qui apri la tua attività in un giorno, puoi iniziare a lavorare in attesa di tutte le autorizzazioni e paghi il 18% secco di tasse se sei residente: nessun imposta per la musica dal vivo, somministrazioni o altro”, racconta Valerio che gestisce un bistrot a La Valletta, la capitale. Sull’onda della sempre florida azienda dei casinò (a Malta hanno sede legale molte società di gioco d’azzardo on line) ecco quindi che il sistema bancario maltese si è gonfiato in pochi anni fino a diventare otto volte più grande del Pil, che nel 2013 non raggiungeva gli 8 miliardi di dollari. Una cifra enorme che un anno fa aveva catalizzato l’attenzione del francese Le Monde. “Malta è il prossimo detonatore di una crisi Europea?” si chiedeva il quotidiano d’oltralpe. “Ha delle somiglianze inquietanti con Cipro”, continuava il giornale riportando l’analisi dell’economista Alan Lemangnen. Come dire che la prima banca che salta sull’isola trascina nel baratro le altre. E toccherebbe poi all’Ue provare a salvare l’enorme sistema bancario locale.

L’aliquota al 5% che attira i non residenti – “Paragonare Malta a Cipro è un inutile allarmismo: le nostre banche hanno una minore attività internazionale”, replicava il governatore della Banca Centrale maltese Joseph Bonnici. E anche negli ultimi dodici mesi gli investimenti stranieri in terra maltese non si sono fermati, soprattutto da parte dei non residenti, affascinati da quell’aliquota ferma al 5%. Anche in quel campo però potrebbero presto arrivare novità. “Dal mio punto di vista sconsiglio gli strumenti societari che non corrispondano ad una reale operatività della struttura: i paesi d’origine si stanno muovendo a livello europeo”, dice a ilfattoquotidiano.it il tributarista Nicola Galleani. I capitali esteri in terra maltese però continuano ad arrivare. E per cercare di aprire l’economia agli investitori stranieri il governo locale ha nei mesi scorsi cercato d’incidere anche sul tema dei diritti civili: nell’aprile scorso è stata approvata una legge che autorizza le unioni tra persone dello stesso sesso e riconosce le adozioni per le coppie omosessuali. Una misura che ha scatenato un aspro dibattito in Parlamento, dato che Malta è un paese profondamente cattolico dove ancora oggi è illegale qualsiasi forma di aborto: un caso unico all’interno dell’Ue.

Passaporti in vendita per i ricchi – Ma al di là delle incongruenze su questi temi e dello spauracchio di finire come Cipro, il vero pericolo per le finanze maltesi è un altro: diventare la terra promessa per il riciclo di capitali di oscura origine, provenienti soprattutto dalla Russia. Un rischio a cui l’isola al centro del Mediterraneo presta il fianco: risale al febbraio scorso, infatti, la trovata del Governo maltese di mettere in vendita 1.800 passaporti al prezzo di 650mila euro. Un’idea che ha sollevato i malumori ai piani alti di Bruxelles, dato che Malta avrebbe fatto cassa vendendo passaporti europei (con tutti i privilegi annessi) a facoltosi quanto sconosciuti personaggi esteri, attirati dalla favorevole condizione fiscale di un’isola all’interno dell’Unione Europea. Unico requisito per potere acquistare la cittadinanza, l’investimento di 500mila euro in bond maltesi e immobili sull’isola: come dire che per diventare europei basta essere ricchi.

E gli immigrati vanno in prigione (con i fondi Ue) – Un particolare che ha ulteriormente infiammato i rapporti tra La Valletta e Bruxelles, dato che in passato sono stati molteplici le bacchettate che l’Ue ha riservato a Malta, per la questione dei respingimenti in mare delle imbarcazioni di migranti provenienti dall’Africa. E mentre da una parte il governo maltese si appresta a vendere passaporti a peso d’oro, dall’altra costruisce nuovi penitenziari con i fondi arrivati dall’Unione Europea per l’accoglienza dei migranti. Sull’isola infatti il reato d’immigrazione clandestina è punito con un anno di detenzione.

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di perderlo’

Gian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica, lancia l’allarme: “Le nostre imprese sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico, ma i governi degli ultimi due anni non hanno fatto nulla per prevenire il disastro”. Gabriele Iacovino, capo analista del Cesi: “Le realtà economiche risentono della mancata stabilizzazione del paese: senza sviluppo, il Paese fallirà”

libia

Un miliardo di euro in fumo: potrebbe essere uno dei costi della crisi libica per l’Italia. Un miliardo di euro di cui le imprese italiane sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico e che con il caos in corso rischiano di non essere mai saldati. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.itGian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica: “Per la precisione si tratta di circa 350 milioni di euro risalenti ancora agli anni Novanta e di 650 milioni degli anni Duemila. Si sapeva quello che stava per succedere. C’erano state informative dei servizi, già a maggio Marco Minniti aveva lanciato l’allarme, dicendo che c’erano sei mesi di tempo per salvare la Libia, ma non si è fatto nulla per prevenire il disastro. Si è trattato quanto meno di indolenza da parte dei nostri governi degli ultimi due anni. E le imprese italiane ne vanno di mezzo”.

Sono circa 150/200 le aziende nostrane presenti in Libia, con numeri variabili e una presenza fissa di almeno un centinaio, operanti in svariati settori, dalle infrastrutture alle costruzioni, dallatecnologia alle telecomunicazioni, dal food a quella ittica che stava partendo in questi mesi. Nonostante la crescente e invasiva presenza turca e cinese, il made in Italy continua ad essere apprezzato. “Nei primi mesi dell’anno il flusso di traffico dall’Italia verso la Libia era aumentato, ma anche in direzione contraria c’era molto movimento: è un aspetto sottovalutato, questo, ma sono molti i privati che vengono a fare shopping da noi, e che spesso lamentano le pastoie burocratiche e la difficoltà di avere visti. Ora purtroppo è tutto fermo. Quando telefono giù, sento la gente stanca, che ha voglia di ricostruire. Distruggere la propria capitale e le sue infrastrutture è un gioco al massacro che il 95% dei libici non comprende”. Damiano prosegue ritenendo l’impostazione data finora dalla Nato sbagliatissima e ribadisce: “Le imprese in silenzio resistono, alcune continuano a lavorare tra mille difficoltà, ma solo lasciate sole. Le istituzioni non ci sono. Per i big esistono le relazioni intergovernative, ma la piccola e media impresa, quella che paga le tasse, non ha capacità di lobby ed è bistrattata”

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Ma quali sviluppi può avere la situazione? “L’aeroporto di Tripoli, al centro degli scontri in atto, è un importante hub economico – spiega a IlFattoQuotidiano.it Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti per il Medio Oriente del Cesi – Centro Studi internazionali – se non funziona ne resta compromesso tutto il paese, dato che su Bengasi ci sono pochissimi voli ed è difficile entrare dal confine tunisino. Mai come ora le autorità di Tripoli sono state in difficoltà. Lo scontro in corso, ovviamente, non è solo per il controllo dell’aeroporto, ma è un conflitto profondo tra islamisti e laici”. Su quali conseguenze ciò possa avere per il nostro paese, Iacovino è chiaro: “La sicurezza energeticaitaliana non è particolarmente a rischio, per ora. I danni sono circoscritti, perché negli ultimi anni i rifornimenti di petrolio e gas dalla Libia sono stati ridotti e non c’è stata una ripresa netta dell’industria estrattiva rispetto al pre Gheddafi. In una nuova escalation di violenza potrebbero esserci ripercussioni, ma comunque circoscritte”.

“Allargando il discorso alla stabilizzazione della Libia – prosegue – dovremmo fare lo sforzo di guardare alla Libia non solo come bacino energetico, ma come un partner economico e finanziario a 360 gradi, le realtà attive sono numerosissime, il problema è che dal punto di vista politico manca la forza di supportare la stabilizzazione del paese. Potrebbe essere una partnership ben oltre il rapporto energetico, un volano per lo sviluppo reciproco, non solo per noi ma soprattutto per loro: senza sviluppo economico e politico, la Libia è destinata ad essere un nuovo Stato fallito“. Che tipo di intervento servirebbe? “Se ci fosse un coraggio maggiore da parte della nostra politica estera nel prendere la leadership nel processo di ricostruzione politica, si otterrebbero indubbi vantaggi per la popolazione libica, ma si creerebbero anche i presupposti per relazioni istituzionali ed economiche: due bacini economico-finanziari a incastro, con interessi reciproci”.

Però l’Europa è già intervenuta in passato. “I paesi che portarono alla caduta del regime e poi si tirarono indietro, soprattutto la Francia di François Sarkozy, ma anche gli Usa dietro le quinte, inevitabilmente lasciano l’Italia e l’Europa in prima linea nella gestione dell’agenda libica, col rischio che senza un intervento rapido, possiamo ritrovarci un paese fallito. Le conseguenze sarebbero molto difficili da gestire dal punto di vista economico, ma anche di sicurezza: la Libia sta diventando sempre più un paese non governato, in balia di traffici illegali (dalla droga al traffico di esseri umani), paradiso di terroristi nordafricani e criminali. Ed è proprio questo il problema principale”.

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

Silvio Stricchi, ingegnere senese, con i suoi 243.600 euro supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici dei 240mila euro, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Capo dello Stato che guadagna 239.181 euro lordi all’anno

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Prende come e più di un presidente. Anzi, del Presidente. In tempi di polemiche sui tetti agli stipendi dei manager pubblici, in provincia di Ferrara si segnala il caso del direttore dell’Acquedotto del Delta. Silvio Stricchi, ingegnere senese di 58 anni trapiantato da giovane nella città estense, guadagna 243.600 euro e supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici di 240mila, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Presidente della Repubblica. Che guadagna 239.181 euro lordi all’anno. Non arriverà certo agli oltre 2,2 milioni di Massimo Sarmi(ad e dg di Poste Italiane), ma tra gli incarichi apicali di aziende a partecipazione pubblica non quotate Stricchi può dire la sua.

Il manager è direttore generale del Cadf, al secolo il Consorzio Acque Delta Ferrarese (Cadf), “L’Acquedotto del Delta”, con sede a Codigoro, che gestisce il servizio idrico integrato per 15 comuni del Ferrarese. Il consorzio è formato da Berra, Codigoro, Copparo, Fiscaglia, Formignana, Goro, Jolanda di Savoia, Lagosanto, Mesola, Ostellato, Ro e Tresigallo. Tutti comuni a guida centrosinistra cui si aggiunge l’ara avis di Comacchio, amministrazione condotta da una giunta Cinque Stelle.

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A condurre dal 15 ottobre 1997 ad oggi il Cadf è questo ingegnere plurititolato, con un passato costellato di vari incarichi in aziende pubbliche e non. Scorrendo il suo cursus honorum si leggono voci come ingegnere capo del Comune di Argenta, capo servizio viabilità e traffico del Comune di Ferrara, consulente tecnico e gestionale di Ferrara Tua (azienda comunale che gestisce la sosta nel capoluogo estense), direttore generale di Delta Reti S.p.A, coordinatore con funzioni tecniche e gestionali della società Delta Web S.p.A.. Aziende pubbliche anche queste ultime due. Fino allo scorso mese è stato anche consigliere di amministrazione di Area, azienda partecipata di Copparo che gestisce i rifiuti in una dozzina di comuni. Qui ha percepito nell’ultimo anno 21.394,8 euro.

A quest’obolo Stricchi può sommare i guadagni che riceve dal Cadf: 198.600 euro come dirigente (assunto a tempo indeterminato), cui vanno aggiunti 45.000 come direttore generale. Per un totale di 243.600 euro (esclusi i 20mila di Area). Napolitano è già distaccato. Ma fino allo scorso novembre il manager poteva contare anche sull’incarico di direttore generale di Delta Reti (proprietaria delle reti idriche, avviata poi alla fusione con Cadf), con uno stipendio da 30mila euro. Poco male, visto che due mesi dopo, il 21 novembre 2013, il cda da lui presieduto ha deliberato un aggiornamento del compenso che copre la dolorosa perdita. Prima percepiva dal consorzio un più che appagante 183.631,6 come dirigente e 30.000 come dg. Ecco recuperati per intero, con un lieve arrotondamento per eccesso, i 30.000 di Delta Reti.