Il precariato intellettuale raccontato da un film davvero divertente

Il precariato intellettuale raccontato da un film davvero divertente

di Marco Lodoli

 

Ogni tanto gli italiani, facendo appello alla lunga tradizione della commedia, sanno tirare fuori un film dai costi contenuti ma pieno di idee, un’operetta agrodolce che riesce a farci ridere dei nostri guai contemporanei. E’ il caso di “Smetto quando voglio” di Sidney Sibilia, candidato a svariati premi Donatello e soprattutto ancora vivo in sala, benché sia uscito addirittura a febbraio. I film italiani faticano a reggere per più due settimane, di solito vengono smontati rapidamente da esercenti che guadagnano molto di più proiettando kolossal americani: ma stavolta il nostro Davide ha retto il confronto con i vari Golia a stelle e strisce, grazie soprattutto al famoso tam tam. Chi l’ha visto, l’ha consigliato agli altri, e non c’è migliore pubblicità di un amico che ti dice: vai tranquillo, e poi ne parliamo. Tutta la vicenda è incentrata su un gruppetto di ricercatori ed ex ricercatori universitari che navigano tra i trenta e i quarant’anni, molti di loro sono stati rigettati da commissioni pilotate e baroni lestofanti, e ora campicchiano da semiproletari, sono benzinai, lavapiatti, giocatori di poker, esseri ormai quasi perduti nel nulla. L’unico che potrebbe avere delle speranze è Pietro, geniaccio della microbiologia, quasi sul punto si scoprire un logaritmo decisivo per lo sviluppo della ricerca molecolare. Ma anche lui viene brutalmente segato dai suoi professori, e così di colpo si ritrova senza un soldo in tasca, con un compagna piuttosto esigente, quasi aggressiva, che lavora con i tossicodipendenti e sogna una tranquilla vita di coppia. Spalle al muro, Pietro capisce che l’unica via d’uscita è la creazione e lo spaccio di una smart drug che può realizzare insieme ai suoi vecchi amici, una droga sintetica basata su una sostanza che ancora non appare nell’elenco dei prodotti proibiti stilato dal Ministero. Tutta la comicità del film sta nel contrasto tra la serietà accademica dei nostri eroi e il nuovo mondo nel quale si avventurano, tra la loro goffaggine e la spietatezza di un mercato criminale. L’idea funziona alla grande, è un racconto graffiante sulla condizione dei nuovi precari, persone spesso di altissimo livello intellettuale, costrette a ravanare nel fondo del barile. Si ride parecchio e allo stesso tempo si sente scendere nell’anima una malinconia senza fine. Non vi racconto tutti i passaggi narrativi del film per non rovinarvelo, caso mai ancora non l’abbiate visto: ma voglio anch’io battere sulla pelle del tamburo, alimentare il tam tam, provare a spingere nuovi spettatori al cinema. Troppi film raccontano il nostro tempo in modo quasi patologico, aggiungendo dolore a dolore, malattia estetica a malattia sociale. Sidney Sibilia ha scelto la strada dell’opera buffa, un teatrino di marionette disarticolate che arrancano sul palcoscenico dissestato del presente e che ci fanno sorridere dei nostri guai, senza dimenticarli neppure per un attimo. Il film ha sicuramente tanti piccoli difetti, però ha la forza che muove da un’intuizione semplice e diretta: l’unica economia che funziona è quella criminale, il resto è un catalogo di buone intenzioni prese a bastonate dal cinismo dominante.

Il precariato intellettuale raccontato da un film davvero divertenteultima modifica: 2014-07-30T15:00:59+02:00da ugo565
Reposta per primo quest’articolo