Sicurezza: primo ok per la pistola elettrica e le telecamere sulla divisa della polizia

Sicurezza: primo ok per la pistola elettrica e le telecamere sulla divisa della polizia

Dopo lo spray al peperoncino e le microcamere sulle divise, che dopo mesi di sperimentazione potrebbero fare il loro esordio “ufficiale” in ordine pubblico giovedì a Napoli, è in arrivo un nuovo strumento per i poliziotti: la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato un emendamento al decreto stadi che autorizza la sperimentazione del Taser, la pistola elettrica. L’emendamento, che dovrà ora ricevere il via libera dall’Aula, è stato approvato dopo che il viceministro all’Interno Filippo Bubbico ne ha proposto una riformulazione rispetto al testo iniziale di Forza Italia: la sperimentazione dovrà avvenire “con le necessarie cautele per la salute e l’incolumità pubblica e secondo principi di precauzione e previa intesa con il Ministro della salute”.
Arma di dissuasione – Presto dunque il Taser, che produce una scossa elettrica che rende la persona colpita inoffensiva per alcuni secondi e che già utilizzano diverse polizie europee, potrebbe approdare nelle questure. “C’è da augurarsi – dice il promotore dell’emendamento Gregorio Fontana – che la condizione posta dalla riformulazione non si trasformi in una manovra ostativa, verso un’operazione di ammodernamento tecnologico, di estrema utilità per gli operatori della sicurezza e per tutti i cittadini”.
Numerosi studi ne hanno rilevato la pericolosità – Contraria Sel, con il capogruppo in Commissione Daniele Farina: “numerosi studi e rapporti ne hanno rilevato la pericolosità e l’uso indiscriminato nei paesi dove l’armamento è stato adottato”. Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza si guarda invece con interesse alla possibile sperimentazione. Perché lo spray, le microcamere e, ora il Taser, sono strumenti che vanno verso un’unica ottica: ridurre al minimo il contatto fisico tra operatori di polizia da un lato e cittadini dall’altro. E, di conseguenza, ridurre drasticamente i rischi che un arresto o una carica di alleggerimento possano degenerare, come accaduto in passato e come insegna ad esempio la storia di Federico Aldrovandi.
Si comincia ad abbattere un pregiudizio – “Piano piano – commenta il segretario del Sap Gianni Tonelli – si comincia ad abbattere un pregiudizio di fondo verso determinati strumenti, che non sono di repressione ma di prevenzione, anche se la strada da fare è ancora molto lunga”. Per l’Associazione nazionale dei funzionari di Polizia “sarebbe preferibile impiegare già nella fase sperimentale pistole Taser che dispongono di un sistema di videoregistrazione connesso automaticamente al loro uso, come avviene già in Francia” a garanzia di agenti e cittadini.
In arrivo le telecamere installate sulle divise – In attesa che il Parlamento si pronunci sul Taser, faranno intanto l’esordio ufficiale in ordine pubblico le microcamere installate sulle divise, la cui sperimentazione è in corso a Roma, Napoli, Torino e Milano: in occasione del vertice della Bce di giovedì a Napoli, gli agenti dei reparti mobili potranno utilizzare i nuovi strumenti e sarà il dirigente incaricato della gestione della piazza a decidere se sussistono o meno le necessità per la loro attivazione.
Garantita la privacy – Nel parere con cui il Garante della privacy ha dato il via libera all’utilizzo, si sottolinea infatti che il sistema, per quanto finalizzato alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione, all’accertamento o alla repressione dei reati, è pur sempre soggetto al rispetto dei principi del codice privacy sul trattamento dei dati personali. E dunque le immagini riprese dovranno essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolte. Ecco perché il sistema dovrà essere attivato solo ove vi sia effettiva necessità, ossia nel caso di insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Le riprese, inoltre, dovranno essere conservate per un periodo di tempo limitato e poi cancellate.
M5s: soldi per pistole taser e non per stipendi – La possibilità di sperimentare la pistola elettrica è un’ “esigenza così tanto urgente e necessaria da essere inserita in un decreto legge”?. Se lo chiedono i Cinque Stelle polemizzando sui costi. “Quanto ci costeranno queste ‘pistole giocattolo’ non è dato sapere mentre i nostri emendamenti per sbloccare il tetto agli stipendi delle forze dell’ordine non sono stati dichiarati ammissibili. Questa – concludono i deputati M5s – è la priorità di governo e maggioranza: pistole elettriche invece dello sblocco degli stipendi e la tutela della salute della polizia. Noi, invece, domani incontriamo le forze di polizia”.

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

Più informazioni su: .

La Francia, riferisce La Stampa del 9 settembre, ha deciso di bloccare il trasferimento dall’Italia delcombustibile nucleare da riprocessare. I trasporti nucleari da Saluggia via Val Susa a La Hague vengono, al momento, interrotti.

Sappiamo, in particolare, che da Saluggia (sede di depositi temporanei di rifiuti radioattivi) e Trino (ex centrale nucleare) le scorie nucleari vengono inviate via treno a La Hague per un riprocessamento che, in teoria, dovrebbe mettere in sicurezza i rifiuti atomici, ma che in pratica attenua ma non annulla affatto il lascito mortale dei prodotti di fissione consumati nei reattori, ancorché dismessi.

Lo sappiamo, perché il movimento No Tav ha avuto il merito di promuovere, in particolare a Villar Focchiardo, comune che a suo tempo ha predisposto un ricorso al Tar, convegni aperti e sostenuti da interventi di esperti sull’argomento ed ha attivato in collaborazione con i francesi di Sortir du Nucléaire, una rete di attivisti che protestano con blocchi non violenti per sollevare il problema della messa in sicurezza del percorso dei treni carichi di materiali radioattivi.

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Le stesse scorie trattate nell’impianto francese dovrebbero compiere il cammino a ritroso per l’immagazzinamento finale in Italia nel deposito unico di stoccaggio che dovrebbe essere pronto entro il 2025, come richiesto dalle normative in atto nei Paesi europei. Ma a Parigi non si fidano che potremmo, noi “italiani”, riprendere le scorie indietro, costruendo in massima sicurezza un deposito entro la scadenza del 2025. Ed ecco la decisione di sospendere i viaggi.

Dopo i cinque viaggi già effettuati, La Stampainforma che “a Trino restano ancora 47 barre di combustibile nucleare esaurito e a Saluggia 13,2 tonnellate di combustibile irraggiato che aspettano di varcare le Alpi per essere riprocessate“. Sarebbero necessari ancora tre viaggi, che, al solito, avvengono pressoché clandestinamente.

Per la sede del deposito italiano, che sarà di superficie (e dunque non sotterraneo come quello a suo tempo ipotizzato a Scanzano Jonico), Giampiero Godioex ricercatore dell’impianto di Eurex, teme che alla fine si punti su Saluggia, in provincia di Vercelli. In effetti, afferma, “l’Italia è quel Paese noto per far diventare definitivo il temporaneo. A Saluggia c’è già depositata la maggioranza delle scorie radioattive italiane nei centri D2 e D3, tra l’altro in una collocazione “infame”, a ridosso della Dora Baltea (dove le esondazioni del fiume sono frequenti e i recenti fenomeni estremi si sono già manifestati)”.

Dovrebbe essere – e questo è per noi inconcepibile – la società pubblica Soginazienda che gestisce lo smantellamento delle vecchie centrali, appena uscita da periodo di sprechi, scandali e indagini,  a occuparsi dell’iter di predisposizione del deposito, da definire e perfezionare entro il gennaio del 2015.

I francesi hanno motivi seri per dubitare dei nostri tempi, in quanto va ricordato, ad esempio, che secondo legge n. 368 del 2003, di recepimento delle direttive Ue, il deposito nazionale avrebbe dovuto essere operativo entro la fine del 2008. Ma siamo al punto in cui siamo: cioè, di fatto, si sta partendo, a chiacchiere, solo ora per ripiegare magari sui palliativi più facilmente a disposizione.

Non va infine dimenticato che il riprocessamento effettuato a La Hague con la tecnologiaPurex serve alla Francia anche per estrarre dalle scorie radioattive il plutonio necessario alla costruzione delle sue bombe atomiche.

L’intera vicenda possiamo inserirla nella categoria: “referendum del 2011 da attuare”. Gli italiani, in 27 milioni si sono pronunciati contro il rischio nucleare, quindi dobbiamo esigere dai decisori politici che la questione dei rifiuti radioattivi, nel rispetto della volontà popolare, sia gestita nel modo più razionale trasparente e sicuro possibile.

DIETRO RENZI LA LOBBY DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA POLIZIA

DIETRO RENZI LA LOBBY DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA POLIZIA

 

di comidad

 

L’ex ministro dell’Istruzione Gelmini ha rivendicato il copyright sulle proposte di “riforma” della Scuola avanzate in questi giorni da Matteo Renzi. La Gelmini ha fatto riferimento a quelli che, secondo lei, sarebbero i capisaldi della “riforma” che porta il suo nome: “il superamento del ’68”, il “merito”, ecc.

Il ricordo del ’68 ha sempre un notevole potenziale di distrazione, ed infatti la Gelmini si è dimenticata di ricordare l’effetto principale di quella “riforma” a lei attribuita, e cioè l’abolizione dell’istruzione tecnica. Col ’68 l’istruzione tecnica non c’entrava nulla, dato che risaliva addirittura ai governi post-unitari. Se in Italia sono potuti nascere un ENI o un ENEL praticamente da un giorno all’altro, è stato perché era possibile attingere ai diplomati degli Istituti Tecnici. Quell’istruzione tecnica che prima lo Stato garantiva pressoché gratuitamente, oggi gli studenti sono costretti a comprarsela, spesso a credito, indebitandosi con banche e finanziarie; e poi magari iscrivendosi a quei corsi di laurea triennale che avrebbero dovuto sostituire la tradizionale figura del diplomato-perito. In realtà la figura del laureato triennale (l’ingegnere di serie B) interessa oggi alle aziende molto meno del diplomato del tipo pre-riforma Gelmini.

Con maggiore probabilità, però la Gelmini non ha dimenticato, ma semplicemente non ne ha mai saputo nulla, poiché la sua funzione di “ministro” consisteva appunto nel confondere le acque, mentre dietro di lei le lobby curavano i propri affari. Altrettanto probabilmente, ciò vale anche per Renzi, che forse non sa neppure di cosa parla, ma recita il copione che gli hanno affidato, composto inesorabilmente dai soliti luoghi comuni. Un altro slogan con specifica funzione fumogena e diversiva, è infatti quello del “merito”. Per quanto possa essere relativo questo concetto (in ambito lavorativo significa servilismo verso i dirigenti e spionaggio verso i colleghi), fa sorridere la prospettiva di una valutazione del “merito”, comunque concepito, affidata a personalità “borderline” come gli attuali dirigenti scolastici, reclutati nella feccia della categoria docente, fra i soggetti più affini alla criminalità comune.

Come oggi Renzi, a suo tempo anche la Gelmini tenne i media impegnati a parlare di aspetti astratti o marginali, mentre le vere modifiche al sistema passavano sotto silenzio. Probabilmente tra un mese Renzi tirerà fuori come un coniglio dal cilindro il provvedimento che davvero gli interessa (cioè interessa al Fondo Monetario Internazionale), cioè lo spostamento dell’ultimo anno del liceo verso l’università, a configurare un sistema analogo a quello statunitense, che distingue College (un doppione del Liceo) e University.

Più generoso della Gelmini, è stato invece l’ex ministro Brunetta, che non ha rivendicato copyright nei confronti di Renzi, sebbene lo stesso Brunetta possa considerarsi l’antesignano ed il precursore delle polemiche scomposte verso le cosiddette “forze dell’ordine”. Qualcuno ancora si ricorda dell’epiteto di “panzoni” lanciato ai poliziotti dal ministro nel 2009. Lo stesso Brunetta qualche giorno dopo presentò delle “scuse” che di fatto rincaravano la dose, poiché il ministro continuava ad accusare la gran parte dei poliziotti di svolgere un lavoro da “passacarte”.

Con altrettanta insolenza, oggi Renzi accusa poliziotti e carabinieri di essere dei “ricattatori” per aver prospettato un’ipotesi di sciopero. Come si vede, poliziotti e carabinieri sono garantiti e protetti solo quando ammazzano persone inermi ai posti di blocco. Lì se la cavano sempre con accuse di “omicidio colposo” che poi svaniscono per strada. Nell’omicidio a Rione Traiano di una settimana fa, i media si sono lanciati in pseudo-analisi sociologiche sul “degrado” napoletano, mentre richiedere un’analisi del sangue dei carabinieri coinvolti nella vicenda sarebbe stato più consono ai dati di fatto. La diffusione dell’alcolismo e delle tossicodipendenze fra i “tutori dell’ordine”, costituisce infatti uno di quei capitoli su cui non è lecito far domande. A proposito di distrazione, il razzismo antimeridionale può vantare un potenziale praticamente illimitato. Nonostante i narco-Stati e le Mafialand disseminate dalla NATO nei Balcani, persino tra le “opposizioni” c’è ancora chi è disposto a bersi le “Gomorre” e le “Terre dei Fuochi”.

Polizia e carabinieri non sfuggono però al “trend” europeo, che vede le lobby interessarsi al lucroso business della privatizzazione delle forze di polizia. Nel Regno Unito il processo di privatizzazione delle cosiddette forze dell’ordine è già in fase avanzata.

La privatizzazione dei corpi di polizia comporterà inevitabilmente un certo grado di dissacrazione mediatica di quelle “forze dell’ordine” che una volta non potevano neppure essere sfiorate dalla critica. Sarebbe stato invece interessante, ad esempio, capire quanto incidano le “forze dell’ordine” nella quota dei reati commessi, cioè quante “Uno Bianca” esistano ancora.

Può apparire inoltre paradossale la posizione di poliziotti e carabinieri, impegnati a criminalizzare e reprimere proprio i movimenti che lottano contro quelle privatizzazioni che oggi vanno a colpire persino le cosiddette forze dell’ordine. Anche la smilitarizzazione e l’accorpamento dell’Arma dei carabinieri alla polizia di Stato (come è già avvenuto in Francia con la Gendarmerie), servirebbe appunto a porre le basi giuridiche per privatizzazioni a tappeto. Infatti, nonostante la presunta “buona amministrazione” francese, nessun risparmio è derivato dalla privatizzazione della Gendarmerie.

D’altra parte le lobby delle privatizzazioni non sono solo esterne alle istituzioni, ma coinvolgono anche i funzionari interni. Come è già accaduto per l’industria di Stato, una gran parte della nomenklatura poliziesca si prepara a riciclarsi nei panni di “imprenditoria privata”, anche se ovviamente sarà sempre il contribuente a pagare. La contrapposizione tra Stato e “privato” rimane infatti sul piano meramente astratto, dato che molti funzionari pubblici militano nella lobby delle privatizzazioni.

L’ALLARME DEL WWF: “BASTA CEMENTO SULLE NOSTRE COSTE”

L’ALLARME DEL WWF: “BASTA CEMENTO SULLE NOSTRE COSTE”

 

Tratto da http://www.today.it/green/cemento-coste-italiane-wwf.html

 

Oltre 8.000 chilometri di coste che andrebbero tutelati, valorizzati e preservati dall’invadente intervento dell’uomo. E invece dal 1988 ad oggi ben 312 “macro attività umane” hanno sottratto suolo naturale a pochi passi dal mare: villaggi, residence, centri commerciali, porti, autostrade, dighe e barriere hanno alterato il profilo e il paesaggio del nostro Paese facendo perdere biodiversità e patrimonio naturale.

“In un quarto di secolo abbiamo cancellato e imprigionato, coprendole di cemento, l’incomparabile bellezza delle nostre dune sabbiose, compromesso irrimediabilmente la macchia mediterranea, i boschi costieri e le aree di riposo e ristoro, come stagni costieri e foci di fiumi, per migratori”, dice Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia. Ben il 10% delle coste italiane sono artificiali e alterate dalla presenza di infrastrutture pesanti come porti, strutture edilizie, commerciali ed industriali che rispecchiano l’intensa urbanizzazione di questi territori in continuo aumento e dove si concentra il 30% della popolazione.

Le regioni più colpite sono Sicilia e Sardegna, con 95 e 91 casi rispettivamente di nuove aree costiere invase dal cemento, ma a segnare un record negativo è la costa adriatica, dove meno del 30% del “waterfront” è libero da urbanizzazioni. Il tutto documentato da una serie di foto tratte da Google che illustrano i casi più eclatanti regione per regione. Persino le aree protette che l’Europa ci chiede di salvaguardare hanno subito interventi e rischiano di scomparire pezzo dopo pezzo. Un quadro che conferma quanto denunciato quest’anno dallo stesso ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha definito lo stato di conservazione complessivo degli habitat costieri di interesse comunitario “non soddisfacente” (cattivo o inadeguato) per l’86,7% a fronte di un dato medio di tutti gli habitat presenti in Italia del 67,6%.

Alcuni esempi

Dalla cava del 2003 della Baia di Sistiana in Friuli, occupata poi da un mega villaggio turistico, alla Darsena di Castellamare di Stabia in Campania; dall’urbanizzazione della foce del Simeto in Abruzzo, al porto turistico ampliato e villaggio turistico sulla foce del Basento in Basilicata. Sono alcune delle “case history” illustrate nella foto gallery regione per regione pubblicata dal WWF. E a peggiorare le cose, il fatto che di tanta meraviglia non esista un “custode” unico visto che ad oggi nessuno sa chi realmente governi le nostre coste: la gestione è “condivisa” a livelli molto diversi (Stato, Regioni, Enti locali) con una frammentazione di competenze che ha portato spesso a sovrapposizioni, inefficienze, illegalità, e complicazioni gestionali e di controllo. Dalla legge sulla “Protezione delle bellezze naturali” del 1939, all’articolo 9 della Costituzione che tutela il paesaggio, passando per la Convenzione Ramsar sulle zone umide del 1971, senza dimenticare la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo e la Convenzione sulla diversità biologica di Rio del 1992, non mancano certo le leggi a tutela delle coste. Nonostante questo, non si sa chi le governi.

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe

13 agosto 2014 | In: Automobili | Tags: 

Tutor: come funziona

Tutor Autostrade

Il Sistema Informativo per il controllo delle velocità (SICVE), più comunemente noto cometutor, è il primo sistema che permette di rilevare la velocità media dei veicoli su una tratta autostradale di lunghezza variabile: un sistema gestito completamente dalla Polizia Stradale che si occupa di programmare l’attivazione e di accertare le violazioni del Codice della Strada. Il SICVE, introdotto gradualmente sulla rete autostradale dal 2005, ha dimostrato numericamente di essere uno strumento positivo, capace di modificare il comportamento degli automobilisti alla guida e di garantire una maggiore sicurezza sulle autostrade italiane. Già dopo il primo anno di funzionamento si è registrato una diminuzione del tasso di incidentalità ( -50% del tasso di mortalità e -27% del tasso di incidentalità con feriti). Un sistema funzionale, adatto a migliorare la sicurezza autostradale.

Come funziona il Tutor?

Sono molte le descrizioni che “girano” tra gli automobilisti, ma molte di queste sono lontane dalla reale funzionamento del sistema. Il Tutor rileva la velocità di un veicolo su di una tratta, che viene delimitata da due “portali” collegati a sensori posizionati sotto l’asfalto che al passaggio del veicolo attivano le telecamere installate sui portali stessi. Si tratta quindi di una strumentazione complessa che permette di monitorare l’andamento di ogni singolo veicolo.

Nell’attraversare il portale, il sensore rileva la tipologia di veicolo (camion, automobile, bus, moto, etc.) e attiva la telecamera che rileva targa e registra la data e l’ora del passaggio. Alla fine della tratta in analisi il sensore del portale d’uscita si comporta allo stesso modo di quello all’entrata, rilevando targa del veicolo, data e ora del passaggio. Un sistema centralizzato abbina in seguito i dati rilevati dai due sensori, quello di entrata e di uscita, determinano la velocità media (il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato nel percorrerlo) di ciascun veicolo. Ovviamente tiene conto dei limiti di velocità specifici di ciascuna tipologia di veicolo transitato.

In caso di violazione, il sistema interroga automaticamente il database della Motorizzazione Civile per risalire all’intestatario del veicolo. La Polizia Stradale accerterà la violazione e successivamente il sistema si occuperà di compilare, stampare e avviare la procedura di notifica al trasgressore. I dati relativi ai veicoli la cui velocità media non supera quella consentita vengono automaticamente eliminati.

Tutor: dubbi e leggende

  • Il Regolamento di Esecuzione al Codice della Strada prevede che al valore rilevato venga applicata una tolleranza pari al 5%.
  • Il Tutor funziona anche di notte, in caso di pioggia e in presenza di nebbia con visibilità ridotta fino a 30-40 metri. Quando piove sapete che il limite di velocità scende a 110 km/h, ma come si comporta il Tutor? Si adegua? Non è automatico, l’abbassamento del limite per il Tutor può avvenire su decisione e ad opera della Polizia Stradale.
  • Le telecamere del Tutor sono in grado di rilevare anche i veicoli che viaggiano in corsia d’emergenza. Si ricorda comunque che la sanzione prevista per chi viaggia in corsia di emergenza è il ritiro della patente.
  • Il tutor è installato solo su segmenti autostradali omogenei per limiti di velocità.
  • Il Tutor è omologato anche per il funzionamento in modalità “Autovelox” e cioè per la rilevazione della velocità istantanea. Tuttavia si tratta di un utilizzo molto raro e limitato in casi particolari, come ad esempio in prossimità di aree di cantiere.
  • Il Tutor è totalmente indipendente dalla presenza di un Telepass a bordo. Il Tutor, infatti, rileva la targa e procede alla notifica del verbale a tutti coloro che superano i limiti di velocità consentiti, anche se non possiedono un Telepass.

Tutor

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe http://bit.ly/17GA1zZ via @6sicuro

Su quali strade è installato il Tutor?

Essendo un sistema di tutela/prevenzione sul sito di Autostrade per l’Italia è disponibile una Mappa dei Tutor, facilmente consultabile da qualsiasi utente, che mette in chiaro su quali tratti autostradali sono attive le postazioni fisse per il rilevamento della velocità. Viene fornito anche un pdf con tutte le tratte coperte dal sistema, indicando anche l’inizio e la fine della tratta monitorata. Per gli automobilisti più tecnologici c’è la possibilità di servirsi di device e app dedicate per segnalare i dispositivi di rilevamento della velocità. Anche i classici navigatorivengono in soccorso degli automobilisti, ma per l’unico modo per evitare la sanzione del Tutor è moderare la velocità. Diversamente dall’autovelox, che punisce chi supera il limite nel punto in cui viene rilevata la velocità, il SICVE agisce su un tratto di strada più lungo.

Come contestare una multa notificata tramite Tutor?

Diversamente dalle altre sanzioni amministrative, impugnare una multa notificata dal sistema tutor non è così facile. La sanzione può essere contesta davanti al Giudice di Pace competente, come accade per le altre tipologie di multe, determinato dal “portale di uscita” ovvero i sensori posti alla fine del tratto di strada preso in analisi. Le cose si complicano nel caso in cui la violazione del limite di velocità sia “prolungata” e quindi notificata da più porte di uscita. In questo caso il conducente del veicolo,  intenzionato a contestare la sanzione, dovrà presentare ricorso a tutti gli Uffici del Giudice di Pace di competenza coinvolti dalla sanzione. Un ricorso che risulterebbeoneroso per qualsiasi automobilista.

Napoli: Carabiniere spara, ucciso 17enne.

Napoli: Carabiniere spara, ucciso 17enne. Un testimone: “Un’esecuzione” ed e’ rivolta

05 Settembre 2014. Politica

 

Napoli violenta, Napoli città con molti scippi e rapine, vive una giornata drammatica. Un diciassettenne ucciso, un testimone che dice “E’ stata un’esecuzione” ed il quartiere Traiano in rivolta. Due auto della polizia date alle fiamme. E’ il risultato di una tragica notte iniziata con l’inseguimento di tre giovani su uno scooter. I tre non si sono fermati all’alt dei carabinieri, ne e’ nato un inseguimento, conclusosi quando il conducente ha preso un’aiuola del mezzo, urtando la Gazzella e cadendo a terra. Ma c’e’ anche chi dice che il motorino sia stato speronato dai militari. Uno e’ riuscito a fuggire e mentre i carabinieri bloccavano fil altri due, e’ partito un colpo dalla pustola d’ordinanza. Accidentalmente dicono i carabinieri, “un’esecuzione” sostiene un testimone. Così’ e’ morto ad appena 17 anni Davide Bifolco. I carabinieri pensavano che si trattasse di rapinatori, e forse non avevano torto. Infatti quello fuggito a piedi sarebbe un latitante, evaso a febbraio dai domiciliari, a cui era detenuto per rapina. L’altro fermato, Salvatore Tronfio, 18 anni, ha precedetti per furto e danneggiamento. C’era un altro scooter vicino a quello inseguito, con amici dei tre giovani. Uno di questi racconta: “Stavamo percorrendo un viale quando ad un certo punto la macchina dei carabinieri e’ andata contro lo scooter di Davide: E’ iniziato l’inseguimento, e’ stata puntata la pistola e Davide e’ stato ucciso. Poi l’hanno ammanettato come il peggiore dei criminali, nonostante fosse già’ stato colpito”.C’e’ da dire che carabinieri e polizia agiscono su un territorio pericoloso e spesso anche i ragazzi giovani sono armati di pistola. E spesso in solo due uomini devono affrontare più’ persone. Per questo capita che tirino fuori la pistola a scopo precauzionale. Come sia veramente partito il colpo mortale saranno ora gli investigatori a stabilirlo. Comunque troppo spesso giovani rapinatori, come quelli abituali dei rolex, vengono mandati ai domiciliari, dai quali puntualmente evadono per continuare a fare il loro lavoro. E per le forze dell’ordine diventa difficile controllare tutto senza mai perdere la lucidità necessaria.

Napoli, carabiniere uccide diciassettenne. Scoppia la rivolta, distrutte auto della polizia

Napoli, carabiniere uccide diciassettenne. Scoppia la rivolta, distrutte auto della polizia

Era in scooter insieme ad altri due nel quartiere Traiano e non si è fermato all’alt. I carabinieri: “Colpo accidentale”. Il fratello: “E’ stato un omicidio”

VIDEO La madre in lacrime: “So solo che mio figlio è morto”

Napoli, 5 settembre 2014 – Uno scooter, tre ragazzini. L’alt dei carabinieri, il mezzo che non si ferma; poi l’inseguimento e il colpo che parte. La notte balorda di Napoli si è portata via Davide Bifolco, 17enne del Rione Traiano.

SCOPPIA LA RIVOLTA – Dopo la tragedia in strada è scoppiata la rivolta: la gente si è sfogata distruggendo un’auto della polizia e danneggiandone altre. Ressa anche all’ospedale San Paolo, dove è stata trasportata la salma del giovane a disposizione dell’autorità giudiziaria per l’autopsia. In tanti si sono stretti attorno al dolore di parenti e amici sotto casa del 17enne ucciso. (FOTO – LO STRAZIO DEI PARENTI)

LA DINAMICA – Tutto in pochi minuti. Nella ricostruzione fornita dai carabinieri, la morte di Davide è il frutto di un colpo di pistola partito per errore durante le concitate fasi per arrivare a bloccare due delle tre persone che erano fuggite all’alt della pattuglia. Sono circa le 2.40 quando una gazzella del Nucleo radiomobile di Napoli, nota i tre senza casco che viaggiano in sella a uno scooter. Il conducente non si ferma all’alt, e inizia l’inseguimento. 
il guidatore del mezzo in corsa impatta contro una aiuola e perde il controllo, urta la gazzella, e scooter e passeggeri cadono a terra. Subito dopo la caduta, il latitante, Arturo Equabile, 23 anni, fugge a piedi facendo perdere le tracce pur inseguito da uno dei due componenti della pattuglia. A questo punto dalla sua pistola parte un proiettile in maniera accidentale e raggiunge, all’emitorace sinistro il diciassettenne. Il carabiniere è ora indagato per omicidio colposo.

FERMATO UN 18ENNE, FUGGITO UN LATITANTE – In caserma, fermato dai militari, un altro ragazzo che era a bordo dello scooter, il 18enne Salvatore Triunfo, con precedenti per reati contro il patrimonio e danneggiamento. I carabinieri invece hanno identificato e ricercano il terzo occupante dello scooter, un latitante, secondo quanto si è appreso, con precedenti per reati contro il patrimonio, evaso dai domiciliari a febbraio scorso. Davide invece non aveva nessun precedente penale.

LA MADRE – “Oggi sono morta anch’io”. Sono le parole pronunciate con la voce rotta dal pianto da Flora Mussorofo, mamma di Davide. “Aveva solo 17 anni – aggiunge – non poteva fare male a nessuno. Il suo unico svago era giocare a pallone”. Spiega poi di non ricordare se al suo arrivo il figlio fosse ammanettato o meno, perché “ero in preda al panico”.”Niente, Davide non ha fatto niente. Ma che ha fatto che l’hanno ucciso? Voglio giustizia”, prosegue la donna. E racconta: “Era a casa, ha preso un giubbino e un cappellino e mi ha detto ‘vado a fare un giro e vengo’. Cinque minuti, e mi ha chiamato una ragazza e ha detto ‘signora scendete che i carabinieri hanno fermato Davide, servono i documenti”. “Era morto a terra – prosegue Flora Mussoforo – lo chiamavo e gli dicevo ‘alzati, andiamo’. E poi ho detto ‘che avete fatto’, ma nessuno mi rispondeva”. La madre di Davide si rivolge nuovamente al carabiniere: “Venga qui e uccida anche me”. Prova ancora a ricostruire quanto accaduto ieri sera, quando Davide le ha chiesto un cappellino perché “voleva fare ancora un giro in motorino, ma aveva freddo”. Più tardi “sono venuti a chiamarmi – spiega – sono arrivata sul posto e ho visto mio figlio a terra, ho cercato di scuoterlo ma era morto”. (VIDEO – LA MADRE IN LACRIME)

IL FRATELLO – “E’ stato un omicidio, non s’inventino scuse. E’ stato un omicidio”, dice, anche lui tra le lacrime nel rione Traiano, il fratello di Davide, Tommaso Bifolco. “Non è caduto durante l’inseguimento – aggiunge – è stato speronato e ucciso”.

GLI AMICI – Enrico ha ancora lo sguardo spaventato. Ripete, quasi a memoria, quel che ha vissuto stanotte. Era a bordo di uno scooter insieme ad un amico, accanto a Davide. “Stavamo percorrendo un viale quando ad un certo punto una macchina dei carabinieri è andata contro lo scooter di Davide. E’ iniziato l’inseguimento, è stata puntata la pistola e Davide è stato ucciso – dice ancora – l’hanno ammanettato come il peggior dei criminali, nonostante fosse già stato colpito”. “Davide era un bravissimo ragazzo – aggiunge Enrico – per me era un fratello. Giocavamo a calcio, scherzavamo tra di noi. Non eravamo delinquenti, stavamo soltanto facendo un ultimo giro prima di tornare a casa”.

“Lo hanno investito, gli hanno sparato e lo hanno ammanettato. Lo hanno ucciso tre volte“. Sono le parole di un altro amico di Davide. “Si tratta di omicidio volontario – aggiunge un altro ragazzo ancora – è morto sul colpo ed è arrivato all’ospedale già morto”. Gli amici riuniti davanti alla casa del giovane, al Rione Traiano, chiedono “giustizia. Chi ha sparato deve pagare”. Un ragazzo che abita in una casa vicina a quella del 17enne ucciso sottolinea ai cronisti: “La camorra ci protegge, lo Stato ci uccide”. Poi si allontana velocemente. Rione Traiano è una delle zone di Napoli in cui è forte la presenza della criminalità, organizzata e non.

Decreto palchi, ok alle norme di sicurezza per fiere e spettacoli

Decreto palchi, ok alle norme di sicurezza per fiere e spettacoli

Definite le modalità con cui applicare le disposizioni sui cantieri mobili e temporanei previste dal d.lgs 81/2008

Letto 2054 volte

28/08/2014 – Definiti con il Decreto palchi i criteri per l’applicazione delle norme sui cantieri mobili e temporanei agli spettacoli e alle manifestazioni fieristiche.

Il Decreto attua quanto stabilito dal Decreto del Fare, che estende a spettacoli e fiere il Titolo IV del D.lgs 81/2008sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il testo precisa che, per quanto riguarda gli spettacoli, le disposizioni sui cantieri mobili e temporanei si applicano alle attività di montaggio e smontaggio delle opere temporanee e all’allestimento e disallestimento degli impianti. Viene inoltre chiarito per opere temporanee si intendono quelle di notevole importanza e complessità per le geometrie e i sovraccarichi o per le quali è stata richiesta una specifica progettazione strutturale.

Date le particolari esigenze connesse all’allestimento degli spettacoli, nello svolgimento dei lavori bisogna tenere in considerazione la presenza contemporanea di più imprese esecutrici, il numero elevato di lavoratori, anche di nazionalità diversa, la necessità di operare in spazi ristretti e tempi ridotti e i rischi derivanti dalle condizioni meteo.

L’idoneità delle imprese deve essere verificata dal committente o dal responsabile dei lavori. Va inoltre redatto il piano di sicurezza e coordinamento, che deve essere messo a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza prima dell’inizio dei lavori. I lavoratori che si occupano delle opere temporanee devono inoltre essere formati sul montaggio e smontaggio dei ponteggi.

Per quanto riguarda le manifestazioni fieristiche, il decreto stabilisce che le norme sui cantieri mobili e temporanei si applicano alle attività di approntamento e smantellamento degli allestimenti.

Anche in questo caso bisogna considerare diversi aspetti tipici delle manifestazioni, come la presenza di più imprese e lavoratori, gli spazi ristretti, i tempi ridotti, le condizioni ambientali, l’eventuale presenza di vincoli architettonici e la presenza di più stand contigui.

Il committente o il responsabile dei lavori deve prendere tutte le informazioni sugli spazi in cui realizzare lo stand e verificare l’idoneità di imprese e lavoratori. Il piano di sicurezza e coordinamento deve essere messo a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza prima dell’inizio dei lavori.

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50 “italiani” tra gli jihadisti, in Italia 200 reclutatori. Allarme per terroristi infiltrati tra migranti

50 “italiani” tra gli jihadisti, in Italia 200 reclutatori. Allarme per terroristi infiltrati tra migranti

25 Agosto 2014. Politica

 

Cresce il pericolo jihadista in Italia con il risciò di gravi attentati. 50 giovani di seconda generazione sono già’ partiti per la Siria o l’Iraq. I servizi segreti italiani segnalano che sono partiti soprattutto dalle città’ del nord, da Milano a Ravenna. I più’ pericolosi sono pero’ i reclutatori, agenti residenti in Italia, rientrati dopo un periodo di addestramento in Afghanistan. Sarebbero pronti ad organizzare attentati. Intanto prosegue il contrabbando di uomini al posto del petrolio. In Libia e’ diventato il business principale. c’e’ pero’ il problema che gli jihadisti hanno conquistato il vecchio aeroporto e che cominciano a dettare legge anche in quel paese. E così, approfittando del contrabbando di uomini e spesso di morte, potrebbero cominciare ad infiltrate tra i migranti terroristi addestrati. E certo, visto i costi dell’addestramento, non li metterebbero su barche della morte, ma su imbarcazioni sicure di arrivare a Lamdepusa. L’Italia deve sbrigarsi a rivedere tutta la sua politica sui profughi o sarà tropo tardi. Sempre che già non lo sia. Impossibile contropporre solidarietà ad una guerra apertamente dichiarata.  La difesa e’ la prima regola per ogni democrazia.

È inchiesta su bomba d’acqua nel Trevigiano. Zaia difende le viti

La notizia del giorno

È inchiesta su bomba d’acqua nel Trevigiano. Zaia difende le viti

Si contano i danni in Veneto, dopo la tragedia che è costata la vita a 4 persone. Galletti: «Impegno del Governo sul dissesto idrogeologico».

Dopo l’esondazione del torrente Lierza sabato sera a Refrontolo, nel Trevigiano, è ora il momento della conta dei danni e del dolore per le 4 vittime del disastro. E mentre restano gravi le condizioni di due feriti, ricoverati all’ospedale di Treviso, monta la polemica degli ambientalisti, che puntano il dito sui terreni disboscati per far posto ai vigneti del Prosecco. Ma il governatore della regione Veneto Zaia smentisce: «I vitigni ci sono sempre stati. È semplicemente caduta troppa acqua». E interviene anche il sindaco di Refrontolo, che assicura che «il torrente Lierza è stato pulito nel 2013». Guarda il servizio e scopri tutte le foto

Aperta un’inchiesta
La Procura della Repubblica di Treviso ha aperto un fascicolo d’inchiesta per disastro e omicidio colposo plurimo, «un atto dovuto» fa sapere. «Bisognerà verificare con accertamenti tecnici la tenuta del terreno», spiega il sostituto Procuratore Repubblica Treviso Laura Reale. L’obiettivo è capire le cause del disastro costato la vita a 4 persone, ma mentre sembra prevalere l’ipotesi della pura fatalità, monta la polemica. «In questi ultimi 10 anni il bosco è stato strappato per piantare vitigni», vitigni di Prosecco, denuncia a Sky TG24 Daniele Ferrazza, giornalista de La Tribuna di Treviso. La denuncia di un giornalista locale

Zaia: «I vitigni ci sono sempre stati»
Il governatore della regione Veneto Luca Zaia, però, smentisce nella maniera più categorica. Coltivazioni come i vigneti di prosecco «non centrano nulla con le frane e gli smottamenti». E aggiunge: «I vitigni ci sono sempre stati. La piovosità è stata tanta». Gli  fa eco il capo della Forestale di Treviso che ribadisce che «la tragedia è stata causata dalla pioggia», mentre a Sky TG24, Innocente Nardi, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, ribadisce che «si fa viticultura oggi come si faceva 100 anni fa», precisand che «Io credo che il problema del dissesto idrogeologico derivi dall’abbandono del territorio, dal fatto che non ci sono persone che vanno a regimentare le acque». Le parole di Zaia

Galletti a Refrontolo, «Vero dramma, serve prevenzione»
«Spendere in prevenzione salva le vite e protegge l’ambiente» scrive su Twitter il ministro Gallett, che a Sky TG24 aggiunge: «Il Governo in questi mesi non ha mai dimenticato chi è stato oggetto di calamità naturali e continueremo a non farlo. Su questo l’impegno del Governo e della Regione ci sono». Interrogato poi sui sempre più frequenti dissesti idreologici in Italia risponde «Abbiamo già fatto alcune cose  importanti in questo mese: sia dal punto di vista organizzativo, con la cabina di regia per coordinare tutti i ministeri, sia dal punto di vista legislativo» ma «Il problema è un problema grande, perché questo paese è morfologicamente portato al dissesto idrogeologico».  Le parole di Galletti