Nuova tragedia dell’immigrazione in Libia, affonda un barcone: oltre 200 dispersi

Nuova tragedia dell’immigrazione in Libia, affonda un barcone: oltre 200 dispersi

Oltre 200 persone sono disperse dopo l’affondamento di un barcone al largo della costa libica. A bordo c’erano 250 persone, ma solo 26 sono state tratte in salvo. Lo ha reso noto il portavoce della Marina libica, Ayub Qassem, citato dal sito di Al Jazeera.
Tanti morti galleggiano sul mare – “Ci sono così tanti morti che galleggiano sul mare”, ha spiegato Qassem, aggiungendo che la guardia costiera libica ha pochi mezzi per intervenire. Il naufragio è avvenuto vicino a Tajoura, a est della capitale Tripoli. La maggior parte dei migranti erano africani, secondo il portavoce della Marina. La guardia costiera libica può contare solo su pescherecci e imbarcazioni che noleggia dal Ministero del Petrolio.
Salvati domenica 95 migranti – Nella giornata di domenica la Marina italiana è intervenuta per soccorrere un barcone a 60 miglia dalla Libia e ha posto in salvo 95 migranti. Altri 9 sono stati soccorsi al largo di Lampedusa dalla guardia costiera. Domenica sera 111 migranti siriani sono arrivati nel porto di Crotone su una motovedetta della guardia costiera, che aveva intercettato il peschereccio che li aveva portati dalla Siria fino davanti alle coste italiane.

50 “italiani” tra gli jihadisti, in Italia 200 reclutatori. Allarme per terroristi infiltrati tra migranti

50 “italiani” tra gli jihadisti, in Italia 200 reclutatori. Allarme per terroristi infiltrati tra migranti

25 Agosto 2014. Politica

 

Cresce il pericolo jihadista in Italia con il risciò di gravi attentati. 50 giovani di seconda generazione sono già’ partiti per la Siria o l’Iraq. I servizi segreti italiani segnalano che sono partiti soprattutto dalle città’ del nord, da Milano a Ravenna. I più’ pericolosi sono pero’ i reclutatori, agenti residenti in Italia, rientrati dopo un periodo di addestramento in Afghanistan. Sarebbero pronti ad organizzare attentati. Intanto prosegue il contrabbando di uomini al posto del petrolio. In Libia e’ diventato il business principale. c’e’ pero’ il problema che gli jihadisti hanno conquistato il vecchio aeroporto e che cominciano a dettare legge anche in quel paese. E così, approfittando del contrabbando di uomini e spesso di morte, potrebbero cominciare ad infiltrate tra i migranti terroristi addestrati. E certo, visto i costi dell’addestramento, non li metterebbero su barche della morte, ma su imbarcazioni sicure di arrivare a Lamdepusa. L’Italia deve sbrigarsi a rivedere tutta la sua politica sui profughi o sarà tropo tardi. Sempre che già non lo sia. Impossibile contropporre solidarietà ad una guerra apertamente dichiarata.  La difesa e’ la prima regola per ogni democrazia.

La Fallaci lo scrisse: “Il crocifisso sparirà'”, Islam moderato non esiste

La Fallaci lo scrisse: “Il crocifisso sparirà'”, Islam moderato non esiste

26 Agosto 2014. Politica

 

“Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare: ‘Troia brucia, Troia brucia”. Anni che ripeto che la verità sul Mostro e sul complici del  Mostro. Che come nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna” E’ quanto scriveva la grande giornalista Oriana Fallaci all’indomani del famoso 11 settembre del 2001 ed oggi riproposto dal Giornale. “Mi volevano portare in Svizzera in manette accusata di razzismo e processare in Italia per vilipendio all’Islam, prosegue. Libere idee e per le quali la sinistra al caviale e la destra al foia gras ed anche il centro al prosciutto mi hanno deidrata, vilipesa, messa alla gogna  insieme a coloro che la pensano come me”. L’odio per l’occidente, il fallimento dell’integrazione: nelle parole della Fallaci sembra di leggere la cronaca di oggi. Il suo pensiero di fondo era che alla fine il Crocifisso sparirà e che non esiste un Islam moderato. Per loro la jihad rimane comunque una guerra santa. Forse si vogliono vendicare dei tempi delle Crociate. Certo allora l’occidente era più forte

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di perderlo’

Gian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica, lancia l’allarme: “Le nostre imprese sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico, ma i governi degli ultimi due anni non hanno fatto nulla per prevenire il disastro”. Gabriele Iacovino, capo analista del Cesi: “Le realtà economiche risentono della mancata stabilizzazione del paese: senza sviluppo, il Paese fallirà”

libia

Un miliardo di euro in fumo: potrebbe essere uno dei costi della crisi libica per l’Italia. Un miliardo di euro di cui le imprese italiane sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico e che con il caos in corso rischiano di non essere mai saldati. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.itGian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica: “Per la precisione si tratta di circa 350 milioni di euro risalenti ancora agli anni Novanta e di 650 milioni degli anni Duemila. Si sapeva quello che stava per succedere. C’erano state informative dei servizi, già a maggio Marco Minniti aveva lanciato l’allarme, dicendo che c’erano sei mesi di tempo per salvare la Libia, ma non si è fatto nulla per prevenire il disastro. Si è trattato quanto meno di indolenza da parte dei nostri governi degli ultimi due anni. E le imprese italiane ne vanno di mezzo”.

Sono circa 150/200 le aziende nostrane presenti in Libia, con numeri variabili e una presenza fissa di almeno un centinaio, operanti in svariati settori, dalle infrastrutture alle costruzioni, dallatecnologia alle telecomunicazioni, dal food a quella ittica che stava partendo in questi mesi. Nonostante la crescente e invasiva presenza turca e cinese, il made in Italy continua ad essere apprezzato. “Nei primi mesi dell’anno il flusso di traffico dall’Italia verso la Libia era aumentato, ma anche in direzione contraria c’era molto movimento: è un aspetto sottovalutato, questo, ma sono molti i privati che vengono a fare shopping da noi, e che spesso lamentano le pastoie burocratiche e la difficoltà di avere visti. Ora purtroppo è tutto fermo. Quando telefono giù, sento la gente stanca, che ha voglia di ricostruire. Distruggere la propria capitale e le sue infrastrutture è un gioco al massacro che il 95% dei libici non comprende”. Damiano prosegue ritenendo l’impostazione data finora dalla Nato sbagliatissima e ribadisce: “Le imprese in silenzio resistono, alcune continuano a lavorare tra mille difficoltà, ma solo lasciate sole. Le istituzioni non ci sono. Per i big esistono le relazioni intergovernative, ma la piccola e media impresa, quella che paga le tasse, non ha capacità di lobby ed è bistrattata”

Pubblicità

Ma quali sviluppi può avere la situazione? “L’aeroporto di Tripoli, al centro degli scontri in atto, è un importante hub economico – spiega a IlFattoQuotidiano.it Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti per il Medio Oriente del Cesi – Centro Studi internazionali – se non funziona ne resta compromesso tutto il paese, dato che su Bengasi ci sono pochissimi voli ed è difficile entrare dal confine tunisino. Mai come ora le autorità di Tripoli sono state in difficoltà. Lo scontro in corso, ovviamente, non è solo per il controllo dell’aeroporto, ma è un conflitto profondo tra islamisti e laici”. Su quali conseguenze ciò possa avere per il nostro paese, Iacovino è chiaro: “La sicurezza energeticaitaliana non è particolarmente a rischio, per ora. I danni sono circoscritti, perché negli ultimi anni i rifornimenti di petrolio e gas dalla Libia sono stati ridotti e non c’è stata una ripresa netta dell’industria estrattiva rispetto al pre Gheddafi. In una nuova escalation di violenza potrebbero esserci ripercussioni, ma comunque circoscritte”.

“Allargando il discorso alla stabilizzazione della Libia – prosegue – dovremmo fare lo sforzo di guardare alla Libia non solo come bacino energetico, ma come un partner economico e finanziario a 360 gradi, le realtà attive sono numerosissime, il problema è che dal punto di vista politico manca la forza di supportare la stabilizzazione del paese. Potrebbe essere una partnership ben oltre il rapporto energetico, un volano per lo sviluppo reciproco, non solo per noi ma soprattutto per loro: senza sviluppo economico e politico, la Libia è destinata ad essere un nuovo Stato fallito“. Che tipo di intervento servirebbe? “Se ci fosse un coraggio maggiore da parte della nostra politica estera nel prendere la leadership nel processo di ricostruzione politica, si otterrebbero indubbi vantaggi per la popolazione libica, ma si creerebbero anche i presupposti per relazioni istituzionali ed economiche: due bacini economico-finanziari a incastro, con interessi reciproci”.

Però l’Europa è già intervenuta in passato. “I paesi che portarono alla caduta del regime e poi si tirarono indietro, soprattutto la Francia di François Sarkozy, ma anche gli Usa dietro le quinte, inevitabilmente lasciano l’Italia e l’Europa in prima linea nella gestione dell’agenda libica, col rischio che senza un intervento rapido, possiamo ritrovarci un paese fallito. Le conseguenze sarebbero molto difficili da gestire dal punto di vista economico, ma anche di sicurezza: la Libia sta diventando sempre più un paese non governato, in balia di traffici illegali (dalla droga al traffico di esseri umani), paradiso di terroristi nordafricani e criminali. Ed è proprio questo il problema principale”.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

Secondo i media americani a bordo dell’imbarcazione affondata a 60 chilometri da Tripoli c’erano più delle 200 persone ipotizzate inizialmente. Tra i corpi riaffiorati c’era anche quello di un bimbo di 18 mesi, mentre tutti gli altri rimangono dispersi

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

Più informazioni su: .

Sarebbero oltre 250 i migranti all’interno del barcone di legno naufragato il 22 agosto a 60 chilometri dalla Libia. È quanto riferiscono i media americani, secondo i quali a bordo dell’imbarcazione salpata da Guarakouzi e diretta in Europa, c’erano più persone rispetto alle 200 ipotizzate inizialmente. I corpi senza vita di 20 migranti, tra cui un bimbo di 18 mesi sono riaffiorati venerdì nelle acque a largo di Tripoli, mentre tutti gli altri rimangono dispersi. A dare notizia della tragedia era stato Abdellatif Mohammed Ibrahim, della guardia costiera locale che venerdì aveva riferito di aver trovato ”a pochi passi dalla spiaggia i resti di un’imbarcazione di legno a bordo della quale si erano imbarcati circa 200 migranti”, precisando di essere riuscita a “salvare 16 persone”, e di averne trovati “15 morti“.

Intanto continuano le tragedie sulle coste italiane. Oggi al largo di Lampedusa la Marina Militareha recuperato i corpi di 18 migranti affogati, che erano a bordo di un gommone, arrivato sull’isola con 73 persone a bordo. Sulle coste di Pozzallo invece sono arrivati sabato 355 migranti: 183 uomini, 65 donne e 107 bambini. E’ il secondo sbarco in meno di 24 ore nel porto in provincia diRagusa: venerdì, infatti, erano giunti 200 migranti di nazionalità siriana. Gli agenti della squadra mobile di Ragusa e gli uomini della Capitaneria di porto hanno diretto le operazioni di sbarco. Gli immigrati si trovavano in difficoltà nelle scorse ore durante la traversata nel Mediterraneo ed erano stati soccorsi da un mercantile che li ha trasportati fino a Pozzallo. Sono in corso le indagini per individuare gli scafisti. Intanto, al porto di Catania sono sbarcati altri 196 migranti, soccorsi da nave Foscari della Marina militare nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum.

Pubblicità

Sul fronte politico non accennano a placarsi le polemiche tra Germania e Italia, dopo le parole del ministro dell’Interno bavarese Joachim Hermann che ha affermato, in merito agli sbarchi di profughi, che “Roma non prende dati personali o impronte perché così gli stranieri possono chiedere asilo in un altro paese”. Oggi (sabato 23 agosto) è arrivata a risposta del sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione (guarda), secondo cui il problema è che i migranti “preferiscono non farsi identificare” perché significherebbe avviare una lunga procedura di riconoscimento deldiritto d’asilo. Cosa che rallenterebbe il loro viaggio verso i paesi di destinazione, che molto spesso sono quelli del Nord Europa. Per questo – secondo Manzione – vanno rivisti “gli accordi di Dublino”, in modo che la procedura per l’ottenimento dell’asilo venga avviato solo una volta raggiunto il paese desiderato, una soluzione che consentirebbe ai migranti appena sbarcati in Italia di “farsi identificare tranquillamente e poi raggiungere i posti dove vogliono andare”.

Alfano: “Stop a Mare Nostrum, da ottobre ai migranti dovrà pensare l’Ue”

Alfano: “Stop a Mare Nostrum, da ottobre ai migranti dovrà pensare l’Ue”

Ora tocca all’Ue, l’Italia da sola non può fare tutto in termini di accoglienza dei migranti. Lo ha ribadito in conferenza al Viminale il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il quale: “L’operazione Mare Nostrum non deve fare il secondo compleanno perché nata a termine. Da ottobre deve subentrare Frontex e l’Europa. Se così non fosse il governo italiano dovrà assumere decisioni in materia. Sul fronte dell’immigrazione l’Italia si è dimostrata ancora una volta campione del mondo di accoglienza”.
Primo consuntivo – Nella conferenza stampa al termine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, il ministro ha ricordato che “dall’avvio dell’operazione Mare Nostrum, lo scorso 18 ottobre, sono state salvate oltre 70mila persone e non sappiamo quanti di loro sarebbero morti senza la nostra missione. Siamo orgogliosi di aver salvato vite”. La linea, ha aggiunto, “è accogliere chi fugge da guerre e persecuzioni e far rispettare le leggi in Italia. Queste due cose vanno di pari passo”. Alfano ha poi ribadito che “la responsabilità della frontiera del Mediterraneo deve essere europea, i migranti non vogliono venire in Italia ma in Europa e quindi Frontex deve subentrare a Mare nostrum”.
Lavoro: accelerare con le riforme – “Nessun ultimatum, anzi occorre rallentare le polemiche e accelerare le soluzioni” sull’articolo 18: “Il giochino di minacciare la crisi per ottenere di più puzza di naftalina” ha aggiunto Alfano tornando sulle misure per il lavoro. Non importa, chiarisce, andare oltre il 29 agosto (in agenda il Cdm sullo Sblocca Italia): “Non casca il mondo in quella data”, tanto più che “il 2 settembre la commissione Lavoro, presieduta da Sacconi, comincerà appunto a lavorare sul nuovo Statuto dei lavoratori. Noi apriamo a Renzi i varchi, gli diamo la spinta per inserire la sua capacità innovativa e superare le resistenze di parte della sinistra, del suo mondo”. Gli altri obiettivi del Nuovo Centro Destra, dice Alfano sono “il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione: 15 miliardi da immettere nell’economia”, “la semplificazione fiscale, soprattutto a beneficio dei piccoli imprenditori: pagamento in base agli incassi e non alla fatturazione” e “la contrattazione aziendale anziché quella collettiva”. Alfano smentisce poi le voci di rimpasto in autunno e i dissapori con il premier: “Il governo non è un monocolore Pd e non mi pare che Renzi lo gestisca come tale”. “Oggi mi pare che il governo sia ancora in luna di miele”. Sul rapporto con Forza Italia puntualizza: “Siamo noi la start up per un nuovo centro destra, quello vecchio non c’è più”. Quindi la previsione: “A settembre si manifesterà un’area di oltre 80 parlamentari che sosterrà la riforma costituzionale e il governo”, mentre in FI “vedo solo leggerissime torsioni sul busto. Non succede e non succederà nulla da quelle parti”.

Migranti, il bilancio si aggrava: 29 i cadaveri nella stiva.

Migranti, il bilancio si aggrava: 29 i cadaveri nella stiva. Tra loro anche bimbo di un anno

Commenti

Nella giornata di ieri recuperati 749 migranti. Arrivati a Messina i 440 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia

Roma, 20 luglio 2014 – Sono 29 e non 19 i cadaveri trovati nella stiva del barcone soccorso ieri nel Canale di Sicilia e trainato a Malta dopo il trasbordo dei 556 migranti su una petroliera danese arrivata nel pomeriggio a Messina. Tra le vittime anche un bimbo di un anno che viaggiava insiema alla madre. Ieri un’altra persona era morta durante il trasferimento in motovedetta a Lampedusa, ma il numero delle vittime è destinato a salire visto che ci sono ancora almeno 30 dispersi.

Secondo fonti malesi, i migranti – quasi tutti di origine siriana – sono morti nella calca durante un naufragio, secondo fonti italiane invece, avrebbero perso la vita a causa dei fumi tossici provenienti dal motore.

Intanto continuano senza sosta le attività delle  Unità della Marina Militare. Ieri 5 interventi di salvataggio hanno portato al recupero di 749 migranti tra cui 100 donne, 61 minori e un neonato. Questa mattina quattro ponti aerei hanno permesso di trasferire 368 immigrati dal centro d’accoglienza di Lampedusa (Ag) a Vicenza, Verona, Venezia, Reggio Emilia, Rimini, Forlì e Rovigo. Nella struttura di contrada Imbriacola rimangono 640 persone.

Sono infine sbarcati a Pozzallo 203 nigeriani, tra cui due donne, soccorsi da una nave petroliera che li ha recuperati su due gommoni a 45 miglia a nord della Libia. Ma i due centri di accoglienza in provincia di Ragusa, Pozzallo e Comiso, sono pieni ed è probabile che i nuovi arrivati verranno trasferiti in pullman verso altri centri siciliani.

GENOVA – “Non sono scafisti, ma schiavisti“: così si è espresso il questore di Genova Vincenzo Montemagno riferendosi ai tre egiziani arrestati la scorsa notte con l’accusa di essere stati gli scafisti dei 106 passeggeri naufragati al largo di Capo Passero e successivamente sbarcati a Genova grazie a una petroliera che li ha salvati. “Hanno fatto fare a questi profughi un viaggio in condizioni disumane. Li hanno picchiati e ricattati chiedendo loro piu’ denaro altrimenti li avrebbero buttati in mare e li hanno costretti a stare per ore sotto il sole dentro teloni per non farsi vedere” ha detto il questore, aggiungendo: “Meritano una pena esemplare”. Gli arrestati, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, hanno 25, 26 e 17 anni.

LE PAROLE DEL PREMIER – “Il problema va risolto alla radice”, aveva detto ieri Matteo Renzi. Mentre il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, auspica l’utilizzo delle caserme per accogliere i migranti, arrivati ormai a quota 80mila durante il 2014.

Virus Ebola: l’origine, i sintomi e le cose da sapere

Virus Ebola: l’origine, i sintomi e le cose da sapere

L’infezione continua a diffondersi in Africa e fa temere che possa arrivare anche in Europa. Ma come si diffonde? E ci sono davvero rischi anche per l’Italia?

Yahoo NotizieScritto da Andrea Signorelli | Yahoo Notizie – ven 1 ago 2014

Il virus Ebola (LaPresse)Il virus Ebola (LaPresse)L’epidemia di Ebola che ha colpito nuovamente l’Africa e che sta causando numerose vittime preoccupa sempre di più anche in Europa e negli Stati Uniti. A maggior ragione dopo la morte di due cittadini americani, che si trovavano in Liberia per lavorare con una ong. Proprio situazioni di questo tipo non fanno che aumentare l’allarmismo, visto che si teme che persone infette possano raggiungere altri continenti via aereo e portare anche da noi il temibile virus. E il fatto che la Liberia abbia deciso di chiudere le frontiere fa pensare che il pericolo non sia del tutto inventato. È da segnalare però come il ministero della Salute abbia escluso rischi per l’Italia, anche se, ovviamente, non è impossibile che un caso giunga in Europa.

Ma che cos’è e come si diffonde il virus Ebola? Precedentemente nota come febbre emoraggica, si tratta di una infenzione che nella maggior parte dei casi, circa il 90%, diventa fatale. L’Ebola colpisce principalmente i villaggi più remoti dell’Africa occidentale e centrale, soprattutto quelli che si trovano vicini alle foreste tropicali; mentre è molto più difficile che colpisca i grandi centri abitati, ragione per cui la sua diffusione, fino a questo momento, è sempre stata abbastanza limitata.

Il virus dell’Ebola si trasmette agli umani attraverso il contagio da animali selvaggi, per poi diffondersi attraverso una trasmissione da uomo a uomo, causata da un contatto ravvicinato con il sangue o altri fluidi corporei di persone infette. L’ospite naturale dell’Ebola è considerato essere la volpe volante, anche nota come pipistrello della frutta, ma la diffusione del virus è stata documentata anche attraverso scimpanzè, gorilla e primati in generale.

Nella diffusione da uomo a uomo hanno invece giocato un ruolo importante le cerimonie funebri, in cui i partecipanti al funerale si sono trovati a contatto troppo ravvicinato con il defunto. Anche le persone che lavorano nel campo della sanità sono ad alto rischio, per il fatto di trovarsi necessariamente a stretto contatto con persone infette, spesso – nelle prime fasi della cura – senza adeguate protezioni. È importante anche sapere che le persone che sono guarite dal virus possono continuare a trasmetterlo attraverso i fluidi corporei per un tempo anche di sette settimane successive alla guarigione.

La prima comparsa del virus Ebola è del 1976, quando colpì a Nzara (Sudan) e a Yambuku (Repubblica democratica del Congo). Quest’ultimo villaggio si trovava vicino al fiume Ebola, da cui la malattia ha preso il suo nome. I sintomi del virus Ebola sono numerosi e possono facilmente essere inizialmente confusi per qualche banale altro virus che causi febbre o diarrea. I primi segnali sono infatti febbre alta e improvvisa, debolezza molto forte, dolori muscolari, mal di testa e mal di gola. Quando la situazione si aggrava, compaiono anche vomito, diarrea forte, insufficienza renale ed epatica, fino ad arrivare a emorragie interne ed esterne.

Il periodo di incubazione dopo la comparsa del virus è molto bassa, può andare dai due ai 20 giorni. Durante il periodo dell’incubazione il paziente non è contagioso, lo diventa solo quando comincia a manifestare i sintomi. Paradossalmente, il virus Ebola non è particolarmente resistente, viene ucciso anche solo con il sapone o la candeggina. In generale sopravvive solo per brevissimo tempo se esposto al sole o su superifici secche.

Uno dei problemi più gravi nel trattamento del virus Ebola è che non esistono trattamenti specifici per curare la malattia, così come non esiste nessun vaccino autorizzato (anche se ce ne sono parecchi in fase di spermentazione). Le persone che vengono colpite dall’Ebola vengono solitamente messe in terapia intensiva e trattati con liquidi immessi nel corpo per via endovenosa per colpire la grave disidratazione che li colpisce. La reidratazione avviene anche per via orale attraverso soluzioni contenenti elettroliti.

Per prevenire l’infezione da virus Ebola, se ci si trova in zone a rischio, è necessario evitare il contatto con animali morti che potrebbero esserne portatori (primati, scimmie, volpi volanti) e cuocere adeguatamente tutti i cibi prima di mangiarli. Se si deve fare visita a persone infette, indossare sempre guanti e mascherina e lavarsi immediatamente le mani dopo la visita. Sono da ritenersi infondate le voci secondo cui ci sono cibi in grado di prevenire l’infezione, l’unico modo di evitarla – se ci si trova in zone a rischio – è quello di prendere tutte le precauzioni del caso.

Fino a oggi, il virus Ebola ha sempre e solo colpito in Africa, causando negli ultimi quarant’anni centinaia di morti (oltre 200 solo nel ’76 e e di nuovo nel ’95 e nel 2000). Le nazioni che sono state colpite con maggiore frequenza sono il Congo, il Sudan, il Gabon, l’Uganda.

Meriam a Roma.

Meriam a Roma. Renzi: “Un giorno di festa”. Il Papa la riceve: “Grazie per l’eroismo”

Commenti

Meriam Yehya Ibrahim, la giovane sudanese di religione cristiana condannata a morte per apostasia e adulterio, è in Italia dopo aver lasciato il Sudan

L’arrivo di Meriam in Italia
L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (1 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (2 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (3 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (4 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (5 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (6 / 11)

L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (7 / 11)

Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all'arrivo di Meriem in Italia  (Lapresse)Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all’arrivo di Meriem in Italia (Lapresse) (8 / 11)

Il ministro Federica Mogherini con il figlio di Meriem (Lapresse)Il ministro Federica Mogherini con il figlio di Meriem (Lapresse) (9 / 11)

 Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all'arrivo di Meriem in Italia  (Lapresse)Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all’arrivo di Meriem in Italia (Lapresse) (10 / 11)

Il premier Matteo Renzi e il mnistro degli esteri Federica Mogherini (Ansa)Il premier Matteo Renzi e il mnistro degli esteri Federica Mogherini (Ansa) (11 / 11)

Roma, 24 luglio 2014 – Meriam Yehya Ibrahim, la giovane cristiana che era stata condannata a morte per apostasia, ha lasciato il Sudan ed è arrivata in Italia. Ad attenderla, all’aeroporto militare di Ciampino, il presidente del consiglio Renzi, la moglie Agnese, e il ministro degli Esteri Federica Mogherini.

Anche oggi siamo felici“, ha detto il premier. “Vi dirà tutto il viceministro Pistelli che ha curato questa operazione. Oggi è soltanto un giorno di festa”.

“Meriam e i due figli stanno bene sono in ottima forma”, ha annunciato il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli all’aeroporto di Fiumicino dopo aver accolto la 27enne sudanese. E anche dal Papa giungono parole di conforto e sostegno: il Santo Padre, informato dal Presidente del Consiglio della liberazione di Meriam, ha “espresso i suoi sentimenti di gratitudine al Paese e di felicità per la positiva conclusione di questa vicenda”. Lo ha detto il viceministro Pistelli, che ha aggiunto: “Credo che Meriam e i due figli avranno degli incontri importanti nei prossimi giorni e poi si trasferiranno negli Stati Uniti”.
Si rallegra anche il ministro degli Esteri Federica Mogherini: “E’ una grande gioia: abbiamo seguito il caso fin da prima che fosse resa nota la condanna e grazie al grande lavoro fatto da tanti, oggi possiamo accogliere Meriam a Roma. Ora Meriam ha bisogno di tranquillità con la sua famiglia”.

Ventisette anni, sudanese di religione cristiana, lo scorso maggio era stata condannata a cento frustate e poi all’impiccagione, per apostasia e adulterio. Quando fu condannata era incinta di otto mesi. Una corte di appello aveva in seguito cancellato la sentenza e il 23 giugno era stata scarcerata. Il giorno successivo, però, la donna era stata fermata nuovamente all’aeroporto di Kartoum insieme al marito e ai due figli, una dei quali nata in carcere, mentre tentava di lasciare il Paese. Di nuovo rilasciata, si era rifugiata con la famiglia presso l‘ambasciata Usa della città.

L’INCONTRO CON IL PAPA – Meriam ha incontrato Papa Francesco a casa Santa Marta. Ad annunciarlo era stata la presidente dell’ong Italians for Darfur con un tweet: “Meriam coronera’ il suo sogno e vedra’ il Papa. Glielo avevo promesso quando ci siano incontrare. Grazie a lapopistelli e @matteorenzi”. L’incontro è durato circa mezz’ora. Il Papa, ricevendola in un clima di “grande serenità” l’ha ringraziata per la sua “testimonianza di fede”,  la sua “costanza”, il suo eroismo. Lo riferisce il portavoce padre Federico Lombardi, che ha aggiunto come il Pontefice abbia detto personalmente il suo ‘grazie’ alla giovane sudanese cristiana. “Il Papa”, ha detto padre Lombardi, “è stato molto tenero con lei e con il marito, in carrozzella, e l’ha ringraziata per la sua testimonianza.

 

RENZI A STRASBURGO – Il caso di Meriam era stato citato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in occasione del suo discorso di inaugurazione del semestre europeo a Strasburgo. Parlando di Meriam e delle ragazze nigeriane sequestrate dagli islamisti di Boko-Haram, Renzi aveva sottolineato: “Se non c’è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa”.

QUESTA COOPERAZIONE È UN AFFARE

QUESTA COOPERAZIONE È UN AFFARE

 

di Alex Zanotelli

 

Fonte: nigrizia.it

 

In questi giorni è in discussione alla Camera, in seconda lettura, il disegno di legge “Disciplina generale sulla cooperazione per lo sviluppo”, approvata dal Senato il 25 giugno con 201 voti favorevoli (PD, Scelta Civica, Nuovo Centro Destra, 5 Stelle e FI-PdL), 15 astenuti (Lega e Misto-SEL) e nessun voto contrario.

È chiaro che il governo Renzi vuole affrettare l’approvazione di questo disegno di legge (sono quasi trent’anni che attendiamo una legge quadro sulla cooperazione!). Tutto questo, nella quasi totale assenza di dibattito pubblico, soprattutto da parte degli organismi di volontariato e del mondo missionario.

Eppure il mondo del volontariato italiano e missionario è stato testimone e ha toccato con mano le malefatte della cooperazione italiana, dagli anni Ottanta ad oggi. Dal disastro della cooperazione socialista di Craxi in Somalia (fornivamo cibo ed armi per seppellire i nostri rifiuti tossici in quel Paese), a quella democristiana di Andreotti in Etiopia (la politica delle dighe con le conseguenti deportazioni di intere popolazioni). Dalla legge 73 del 1985 che stanziava 1.900 miliardi di lire per la lotta alla fame nel mondo (servita a sfamare i partiti italiani), alla malacooperazione del Ministero degli Esteri, con quell’incredibile intreccio tra affari e politica, che porterà poi a Tangentopoli (Nigrizia è stata la prima a denunciarlo con forza!). E poi con l’arrivo del berlusconismo, la cooperazione è stata trasformata in un cinico business, che perdura tuttora, gestita dal Ministero degli Affari Esteri (la nostra politica estera è funzionale agli affari delle nostre imprese).

Penso di poter riassumere le quaranta pagine della nuova legge quadro del governo Renzi con la stessa parola: business-affari. Nell’ultima legge-quadro sulla cooperazione, la 49 del 1987, il soggetto principale era il volontariato, nell’odierno disegno di legge il soggetto è diventato l’impresa. Questa legge fotografa bene l’ideologia portante del governo Renzi.

Eppure in questo Paese pullulano migliaia di gruppi, di associazioni, di botteghe del commercio equo e solidale, di reti di finanza etica, di centri missionari che fanno cooperazione con tanti soggetti nel sud del mondo. Quando il governo italiano prenderà seriamente questa straordinaria ricchezza, dandole voce e permettendole di incidere sulle politiche della cooperazione? È incredibile che questa legge-quadro non prenda in considerazione tutto questo.

Quand’è che i nostri governi comprenderanno che la cooperazione, da governo a governo, non fa altro che arricchire le élites del sud del mondo? Arriverà il giorno in cui il nostro mondo politico comincerà a capire i profondi cambiamenti avvenuti in questi ultimi trent’anni? Cambiamenti che domandano un altro tipo di cooperazione e di politica estera?

È possibile che in una legge del 2014, si usi ancora il linguaggio eufemistico e razzista di “Paesi in via di sviluppo”? Com’è possibile ancora parlare di “sviluppo sostenibile” davanti a una crisi ecologica spaventosa che ci attanaglia? La problematica ambientale è totalmente assente da questo disegno di legge.

È possibile che i nostri legislatori non vedano le difficoltà del continente a noi più vicino, l’Africa, da dove arrivano sulle nostre coste, i naufraghi dello “sviluppo”? In una legge-quadro per la cooperazione, l’Africa non dovrebbe oggi essere una priorità?

Ma è grave che il governo italiano si limiti a parlare di cooperazione, senza stanziare i fondi per tali politiche. L’Italia infatti è maglia nera rispetto agli impegni presi in sede ONU, con un budget dell’0,1% del PIL a fronte di un promesso 0,7%, il che rende il nostro Paese non affidabile in chiave internazionale. Siamo, per esempio, in forte debito con il Fondo di lotta all’AIDS, tubercolosi e malaria.

Dove trovare tali risorse in questo momento di crisi? Semplice. Meno armi (l’assurdità degli F-35 che ci costeranno 15 miliardi di euro) e più impegno nella lotta contro l’impoverimento. Per questo chiediamo al governo Renzi di ritirare e di riscrivere questo disegno di legge che è uno schiaffo sia alla dignità del popolo italiano che alla dignità dei tre miliardi di impoveriti nel mondo.

Ve lo chiede un povero missionario che ha vissuto sulla sua pelle, il dramma di chi vive nei bassifondi della vita e della storia, un credente in Dio che vuole vita piena per tutti i suoi figli/e.

 

Per aderire all’appello, cliccare qui.