IL MOSE ERA SOLO UN MAGNA MAGNA

IL MOSE ERA SOLO UN MAGNA MAGNA

 

di Marco Cedolin

 

Quando sei anni fa parlavo della truffa del Mose, durante le conferenze di presentazione del mio libro “Grandi Opere”, ribadendo che si trattava di un’opera inutile e devastante, che avrebbe fagocitato quasi 5 miliardi di euro sottratti ai contribuenti italiani, per l’unico scopo d’ingrassare la mafia del tondino e del cemento ed il bestiario politico ad essa compiacente, percepivo spesso un velo d’incredulità. Il cemento porta lavoro, mi veniva fatto notare, e non si può sempre dire no alle opere che segnano il progresso della nostra nazione.

A guardare i giornali di oggi, il Mose, più che portare lavoro e progresso, sembra avere generato tutta una serie di rubalizi e profitti illeciti (quelli che avevamo ampiamente previsto) che hanno già condotto all’arresto del sindaco di Venezia Orsini (PD) ed alla richiesta di custodia cautelare per l’ex ministro e governatore del Veneto Galan (PdL)…..

I provvedimenti in questione rientrano nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Procura di Venezia, sul malaffare che ha fatto di contorno (o sarebbe meglio dire da perno) al sistema Mose e che ha già messo in manette 35 persone e prodotto un centinaio d’indagati. Si tratta di uomini politici, imprenditori e perfino di un generale, tutti coinvolti nel magna magna riguardante i miliardi di denaro pubblico, gettati nel buco nero di questa enorme ed inutile infrastruttura.

Come sempre accade in questi casi, l’inchiesta è partita solamente ora che i miliardi stanziati per il Mose sono spariti interamente, e riguarderà in larga misura importi marginali, senza intaccare troppo in profondità il sistema mafioso che è stata l’unica vera (l’acqua alta era poco più che un pretesto) base fondante dell’opera. Ancora qualche altro arresto e qualche altra indagine, poi tutto cadrà nel dimenticatoio e solamente l’obbrobrio di cemento resterà a testimoniare questa ennesima truffa, condotta nel nome del lavoro e del progresso.

Concordia, viaggio senza intoppi

Concordia, viaggio senza intoppi: il team di ingegneri festeggia. Ora inizia lo smantellamento della nave

di 27 luglio 2014Commenti (5)

My24
  • ascolta questa pagina

«Una grande impresa sembra sempre impossibile, ma poi si arriva in fondo con l’impresa realizzata». L’ammiraglio Stefano Tortora, comandante logistico della Marina militare, che ha seguito fin dall’inizio l’operazione di recupero di Concordia, cita Nelson Mandela per testimoniare la grande soddisfazione che l’arrivo del relitto a Genova, e il suo ormeggio alla diga foranea di Prà, ha infuso in tutti gli attori dell’operazione. Anche l’ultima battaglia della nave, quella contro il vento che questa mattina, durante le ultime fasi dell’avvicinamento al porto di Genova, soffiava con un’intensità tra i 22 e i 25 nodi, è stata vinta. E ad assicurarsi la vittoria è stato un team che, lo ha ricordato Nick Sloane, il salvage master di Concordia, ha avuto la caratteristica di giocare sempre unito. Una caratteristica che è divenuta anche la sua forza.

Alle 17 di ieri, subito dopo che erano stati messi in posizione tutti cavi d’ormeggio del relitto, in modo da assicurarlo alla diga foranea, Sloane, insieme agli altri protagonisti del rigalleggiamento, tra i quali il prefetto Franco Gabrielli, il responsabile del progetto per Costa Crociere, Franco Porcellacchia, l’ammiraglio Tortora e il comandante Gianluca D’Agostino, responsabile a bordo per la sicurezza del trasferimento di Concordia, hanno potuto finalmente tirare un sospiro di sollievo e parlare in libertà di un’impresa destinata a essere ricordata nella storia della marineria.

«È stata un’esperienza meravigliosa – ha detto Sloane – e la squadra che l’ha portata a termine è stata potentissima. Uno degli elementi che hanno segnato il successo dell’impresa è stata proprio la continuità con cui questa squadra è rimasta unita dall’inizio alla fine dell’operazione. Ora questo capitolo della vicenda si è chiuso. Da questo momento sarà compito della Saipem – San Giorgio (il consorzio che ha vinto la gara per lo smaltimento della nave, ndr) aprirne un altro». Dalle 15,40, di oggi, infatti è stato firmato l’atto di consegna della proprietà della nave che è passata da Costa Crociere al consorzio temporaneo d’impresa Saipem – San Giorgio.

È toccato, invece, a Porcellacchia ricordare come, al di là del risultato ottenuto, ci siano stati anche giorni difficili, in cui sembrava che il progetto potesse subire uno stop. «C’è stato un momento – ha spiegato l’ingegnere – in cui non eravamo sicuri che il progetto di portare a Genova Concordia, nel quale noi credevamo fermamente, fosse accettato. E abbiamo creduto di non avere tutto l’appoggio che, invece, poi abbiamo avuto. Comunque i risultati di quel progetto li abbiamo visti oggi».
Porcellacchia ha aggiunto che «il viaggio verso Genova è andato benissimo. Addirittura, la velocità della nave era superiore a quella calcolata. Allora ho detto a Nick Sloane di rallentare un pochino per rispettare il programma di marcia che avevamo fissato».

E se l’ingegnere afferma di essersi convinto della bontà del piano messo a punto nelle prime fasi, quando con la nave ancora era arenata di fronte al Giglio, e sono state sistemati i due galleggianti di prua, l’ammiraglio Tortora ha spiegato che, nel suo caso, a convincerlo del fatto che si fosse sulla strada giusta è stata la tecnologia messa a disposizione; «in primo luogo – ha detto – da un’industria italiana, la Fagioli, con i suoi strandjack (martinetti idraulici per tendere i cavi che sono stati indispensabili per mettere in sicurezza la Concordia, ndr), in grado di regolare al millimetro la capacità di tiro. E poi i Rov (i robot sottomarini, ndr) che hanno consentito di avere una visione straordinaria dei fondali. Certo ci sono stati anche momenti difficili. Come quando pensavo che, durante parbuckling (l’operazione di raddrizzamento della nave, ndr), il relitto potesse cedere. Ora, comunque, alle imprese genovesi spetta un compito che giudico non molto più semplice di quelli fin qui eseguiti. Quello di demolire la scafo nel rispetto dell’ambiente e mantenendo la dignità della nave».

Da parte sua, Gabrielli ha ricordato, tra l’altro, che «la soddisfazione per l’operazione riuscita non sarà piena fino a quando il corpo dell’ultima vittima (quello del cameriere Russel Rebello, ndr) non sarà recuperato. Questa vicenda si fonda su una tragedia. E la nostra legittima soddisfazione sarà sempre contemperata dalla sobrietà di questa consapevolezza».

AMBIENTE: GESTIRE BOSCHI E FORESTE CON IL TELERILEVAMENTO LASER

AMBIENTE: GESTIRE BOSCHI E FORESTE CON IL TELERILEVAMENTO LASER

 

di Matteo Ludovisi

 

Il patrimonio boschivo e forestale in Italia si può gestire efficacemente attraverso l’utilizzo di una tecnologia di rilevamento laser.

Si tratta della tecnologia LIDaR, (Laser Imaging Detection and Raging), ossia una tecnica di telerilevamento già collaudata da diversi anni, che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser, oltre a determinare la concentrazione di specie chimiche nell’atmosfera.

Come per il radar (che al posto della luce utilizza onde radio) la distanza dell’oggetto nel LIDaR è determinata misurando il tempo trascorso fra l’emissione dell’impulso laser e la ricezione del segnale retrodiffuso.

Il laser utilizzato da LIDaR è ovviamente un fascio coerente di luce ad una ben precisa lunghezza d’onda, che viene inviato verso il sistema da osservare.

L’utilizzo della tecnologia LIDaR a supporto della gestione del patrimonio forestale italiano (attualmente impiegato solo in alcune Regioni), offre ad esempio la possibilità di localizzare in modo automatico ogni singolo albero all’interno di una determinata foresta, di misurarne l’altezza e anche l’area occupata della chioma. Partendo da queste informazioni, integrabili con ortofoto di precisione, e con l’esecuzione di appositi rilievi sul campo, è possibile realizzare mappe molto precise di distribuzione degli alberi ma soprattutto dei volumi legnosi nella foresta, presupposto necessario della pianificazione boschiva. Ma non solo. Con la tecnologia LIDaR è possibile spingere il rilevamento oltre le chiome e raggiungere il suolo per ricostruire modelli tridimensionali del terreno con un grado di risoluzione che si avvicina ai 50 centimetri. La descrizione precisa delle condizioni topografiche fornisce, tra l’altro, informazioni sulle possibilità di accesso al materiale legnoso.

La tecnologia LIDaR può quindi rivelarsi molto utile nella gestione del patrimonio boschivo e forestale. Per esempio fornendo una valutazione molto accurata della quantità di legname (la cosiddetta provvigione legnosa) presenti in una determinata zona. Infine, questa tecnica di telerilevamento è un ottimo esempio di come l’hi-tech possa essere un valido alleato della silvicoltura e dell’agricoltura moderne, migliorando la qualità del lavoro e dei risultati senza controindicazioni ambientali. Per maggiori informazioni è possibile consultare questo sito.

ACQUA POTABILE, L’ITALIA È UN COLABRODO

 

ACQUA POTABILE, L’ITALIA È UN COLABRODO

 

di Andrea Ballocchi

 

L’Italia è un colabrodo. O, più precisamente, lo sono le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile da cui si disperde quasi il 40% (37,4%) del contenuto. Lo segnala l’ISTAT attraverso il “Censimento delle acque per uso civile”, appena pubblicato. La ricerca fa riferimento ai dati 2012 e certifica un peggioramento delle cose rispetto a quattro anni prima quando le dispersioni di rete erano del 32,1%.

Ma partiamo dall’inizio, ossia dal volume complessivo di acqua prelevata per uso potabile, che è pari a 9,5 miliardi di metri cubi, (+3,8% rispetto al 2008). Un terzo dell’acqua prelevata esce dai trattamenti di potabilizzazione (totale 2,9 miliardi di metri cubi annui).

L’acqua, a questo punto viene immessa nelle reti comunali di distribuzione: il volume è pari a 8,4 miliardi di metri cubi, 385 litri al giorno per abitante (+2,6% rispetto al 2008), mentre quello che è effettivamente erogato agli utenti è di 5,2 miliardi di metri cubi (241 litri per abitante), 12 litri al giorno in meno rispetto all’ultimo dato censito nel 2008. Ecco le dispersioni: 3,1 miliardi di metri cubi “svaniti”.

Non tutte le regioni “perdono” nello stesso modo: la Valle d’Aosta segnala un 20% circa di perdite, con Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e – leggermente di più – Lombardia. Dall’altro lato della lavagna, la Sardegna è quella che fa registrare il primato peggiore con il 50% circa di perdite. Ciò che si evidenzia nel rapporto è però lo scadimento generale rispetto al 2008: «le dispersioni regionali di rete mostrano situazioni di maggiore criticità nelle Isole e nel Centro-Sud, con le eccezioni di Abruzzo e Puglia, che negli ultimi anni hanno sanato alcune situazioni di forte dispersione. Seppur con livelli più bassi, anche nelle regioni del Nord si registra un generale peggioramento della dispersione di rete, ad eccezione della Valle d’Aosta».

In tema di acqua potabile, pochi giorni prima dell’uscita del report ISTAT la Commissione Europea ha pubblicato sul proprio sito web una consultazione pubblica per chiedere ai cittadini europei come si potrebbe migliorare la fornitura di acqua potabile in Europa per garantire che ognuno dei cittadini abbia accesso a un’acqua pulita, sicura e a prezzi contenuti. Alla consultazione si può partecipare fino al 15 settembre 2014.

PROPOSTA DI LEGGE PER CREARE IL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA CIVILE

PROPOSTA DI LEGGE PER CREARE IL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA CIVILE

 

di Redazione

 

È stato depositato oggi presso la Corte di Cassazione il titolo della Legge di Iniziativa popolare su cui poggerà la campagna per la “Difesa Civile non armata e nonviolenta”. La raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare inizierà il 2 ottobre, in occasione della Giornata Internazionale della Nonviolenza. Il testo della proposta di legge sottolinea come si vogliano rafforzare percorsi concreti di pace, anche attraverso l’opzione fiscale che permetterà di scegliere quale modello di difesa sostenere. L’iniziativa popolare prevede un testo legislativo volto alla “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta”. Le reti promotrici sono: Tavolo Interventi Civili di Pace, Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile, Forum Nazionale Servizio Civile, Campagna Sbilanciamoci, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo.

L’obiettivo è quello della costituzione di un Dipartimento che organizzi un modello di difesa civile utilizzando varie componenti oggi esistenti fra cui il Servizio civile, i Corpi civili di pace, la Protezione Civile oltre ad un ipotizzato Istituto di ricerca su Pace e Disarmo. «Si tratta di dare finalmente concretezza a ciò che prefiguravano i Costituenti con il ripudio della guerra e che già oggi è previsto dalla legge e confermato dalla Corte Costituzionale – dicono i promotori – la possibilità di assolvere all’obbligo costituzionale dell’articolo 52 con una struttura di Difesa civile alternativa a quella prettamente militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l’opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi». «Dotarsi di strumenti di difesa civile e nonviolenta significa dare finalmente piena attuazione all’articolo 11 della nostra Costituzione assumendo come priorità il ripudio della guerra, la promozione attiva della pace e la garanzia dei diritti umani fondamentali», ha chiarito Grazia Naletto, portavoce di Sbilanciamoci.

«È una scelta chiara e di fondo, che pensa che il finanziamento di cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra lasci il nostro Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono rendendolo invece minaccioso agli occhi del mondo».

«Per costruire concretamente la pace non bastano belle idee ed intenzioni ma occorrono strutture e persone che possano impegnarsi quotidianamente in tal senso. In tale prospettiva si iscrive la nostra richiesta: chiediamo che il nostro Paese diventi pioniere nella creazione ed istituzionalizzazione di percorsi alternativi e più efficaci di realizzazione di obiettivi di Pace. Con la partecipazione diretta, anche fiscale, di tutte le cittadine e i cittadini italiani», spiega Francesco Vignarca, coordinatore Rete Italiana per il Disarmo.

«La proposta di istituire un Sistema nazionale di Difesa Civile, che affianchi quello militare, recepisce non soltanto il chiaro dettato costituzionale che pone in capo ad ogni cittadino il dovere di contribuire alla difesa della Patria, ma anche gli sforzi profusi in questi anni dal legislatore che, attraverso l’istituzione del Servizio Civile Nazionale e dei Corpi Civili di Pace, ha gettato le basi culturali e organizzative sulle quali costruire questo sistema», aggiunge Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum Nazionale Servizio Civile. «Dalla tutela dell’ambiente alla protezione civile, dalla promozione culturale alla tutela dei diritti dei più deboli, il Sistema di Difesa Civile della Patria promuoverà l’insieme delle azioni e delle attività che le istituzioni, i cittadini e le loro organizzazioni potranno mettere in campo per contrastare le piaghe del disagio, dell’esclusione sociale e del degrado. Questa è la difesa della Patria di cui c’è oggi bisogno».

Nel testo di Legge di Iniziativa popolare viene previsto un finanziamento della nuova “Difesa civile” sostanziato attraverso l’introduzione di una “opzione fiscale”, cioè della possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare una certa quota alla difesa non armata, togliendola dai finanziamenti militari e per la armi.

IL CEMENTO SELVAGGIO SOFFOCA L’ITALIA: I DATI ISPRA

IL CEMENTO SELVAGGIO SOFFOCA L’ITALIA: I DATI ISPRA

 

di Silvana Santo

 

Ogni secondo che passa, in Italia vengono cementificati mediamente 7 nuovi metri quadri di suolo, a un ritmo che dura ormai da 50 anni a questa parte. È uno dei dati più allarmanti tra quelli contenuti nell’Annuario dei dati ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che ogni anno fotografa la situazione ambientale del nostro Paese.

Dal secondo dopoguerra a oggi, il consumo di suolo ha raggiunto livelli sempre più preoccupanti: 8 metri quadri al secondo allo stato attuale, 7 metri quadri se si considera la media dell’ultimo mezzo secolo. In pratica, spiega l’ISPRA, ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una superficie pari alla somma di quelle dei comuni di Milano e Firenze.

Un problema, quello della cementificazione selvaggia, che si porta dietro numerose altre conseguenze sul piano ambientale, dal dissesto idrogeologico alla perdita di patrimonio forestale. Tanto che al momento sono circa 6 milioni gli italiani che vivono in aree soggette a pericolo di alluvioni, un rischio enfatizzato tra l’altro dall’aumento di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico.

Anche i polmoni verdi del Paese sono sempre più minacciati dal crescente consumo di suolo, ma negli ultimi 25 anni questo fenomeno è stato in una certa misura bilanciato dalla perdita progressiva di terreni agricoli. Se nel 1985, infatti, il coefficiente di boscosità nazionale era del 28,8%, nel 2010 era risalito al 36% nel 2010, proprio a causa dell’espansione delle foreste sulle aree abbandonate dall’agricoltura.

Se la cementificazione preoccupa sempre di più, la qualità dell’aria non è da meno. In generale, l’ISPRA non rileva particolari variazioni sul fronte dell’inquinamento atmosferico, ma lancia ancora una volta l’allarme polveri sottili: il valore limite giornaliero del Pm10 risulta infatti superato nel 48% delle stazioni di monitoraggio.

Grave, inoltre, la situazione dell’ozono, che negli strati più bassi dell’atmosfera è inquinante e nocivo per la salute umana: il 92% delle stazioni mostrano un mancato rispetto dell’obiettivo a lungo termine per questo inquinante, mentre una centralina su 5 registra livelli troppo alti di biossido di azoto.

Aggiunge l’ISPRA: “Un altro inquinante preoccupante per le accertate proprietà cancerogene è il benzo(a)pirene, i cui livelli superano il valore obiettivo nel 20% dei casi”.

Cala, invece, probabilmente per effetto della crisi, la produzione nazionale di rifiuti: poco meno di 30 milioni di tonnellate nel 2012, pari al 4,5% in meno rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda il dato pro capite, siamo passati dai 528 kg per abitante del 2011 al 504 dell’anno successivo. La raccolta differenziata ha raggiunto, sempre nel 2012, una percentuale del 39,9%.

Italia divisa a metà, invece, sul fronte delle bonifiche dei siti contaminati, che procedono con maggiore celerità nelle regioni del centro-nord. In totale, sul territorio nazionale sono presenti ancora 1.749 aree da bonificare, a fronte delle 4.837 di partenza.

 

Per quanto riguarda infine lo stato di conservazione della biodiversità, risulta ad alto rischio di estinzione più del 40% delle specie di pesci che vivono in Italia, oltre a circa il 28% di uccelli e il 15% delle specie di mammiferi. Nonostante questo, ricorda l’ISPRA, l’Italia resta il Paese europeo con il più alto numero di specie animali (oltre 58.000); le piante sono circa 6.700, il 15,6% delle quali endemiche, cioè presenti solo sul territorio della penisola.

Bankitalia: “Gli effetti della crisi? I furti sono aumentati del 6%”

Bankitalia: “Gli effetti della crisi?
I furti sono aumentati del 6%”

 

Confedilizia: “Per la prima volta gli investimenti finanziari degli italiani hanno superato quelli immobiliari”

 
Furti, un ladro in azione (Ravaglia)

Furti, un ladro in azione (Ravaglia)

 

Roma, 13 luglio 2013  – In tempi di crisi economica si moltiplicano gli allarmi, su vari fronti. E così, mentre i debiti della Pubblica amministrazione secondo la Cgia di Mestre hanno fatto chiudere 15mila imprese, e mentre i saldi estivi non decollano perché la gente fa fatica a riempire il carrello della spesa, Bankitalia segnala un preoccupante aumento di furti.

Articoli correlati

Segui le notizie su Facebook Condividi

Il dato emerge dallo studio pubblicato sul sito della Banca d’Italia, ‘L’impatto della crisi economica sulle attività criminali’ e segnala una “diffusa preoccupazione circa la possibilità che la crisi economica stia determinando una crescita delle attività criminali nel nostro Paese”. I risultati mostrano che la “crisi economica ha effettivamente avuto un impatto significativo su alcune tipologie specifiche di attività criminose, quali i reati che non richiedono particolari abilità criminali, come i furti. Le stime indicano che una riduzione dell’attività economica del 10% a livello locale causerebbe un aumento dei furti pari a circa il 6%”.

L’impatto della crisi “su altre categorie di reati per cui appaiono necessarie maggiori competenze criminali, come ad esempio le rapine, è invece negativo”. Non vi sarebbe, inoltre, afferma lo studio alcun legame tra l’andamento dell’attività economica e la diffusione di alcuni reati di tipo non strettamente economico, quali gli omicidi, i crimini violenti e i crimini di natura sessuale.

Il legame tra crisi e criminalità è meno evidente nelle quattro regioni maggiormente caratterizzate da una presenza piu’ radicata della criminalità organizzata (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia). Tale risultato, spiega la banca d’Italia, “potrebbe indicare che, in queste zone, la criminalità organizzata detenga il ‘monopolio’ dell’attività illegale, per cui risulterebbe difficoltoso per un individuo improvvisare un’attività criminosa a seguito delle sopravvenute difficoltà economiche, rispetto ad altre parti del Paese dove il controllo del territorio è meno capillare”.

F35, Gioacchino Alfano: “Acquisteremo gli F35”. Giampiero Scanu: “La decisione compete al Parlamento”

F35, Gioacchino Alfano: “Acquisteremo gli F35”. Giampiero Scanu: “La decisione compete al Parlamento”

di Paolo Salvatore Orrù
”Abbiamo deciso di effettuare un’indagine conoscitiva, ma non ci sarà alcuna sospensione della produzione degli F35”. A dirlo è Gioacchino Alfano, sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa, che ha anche voluto sottolineare come ci sia in tal senso “una mozione condivisa anche da Pd e di Scelta Civica”. L’esponente del Pdl ha infine sostenuto che il suo gruppo “vuole mantenere fede agli impegni assunti a livello internazionale”.
Più complesse le argomentazioni di Giampiero Scanu, capogruppo del Pd in Commissione Difesa: ”Non si è parlato di sospensione del programma, si è dibattuto sull’opportunità di sospendere l’acquisto o anche la sottoscrizione dell’acquisto di altri cacciabombardieri”. Il Parlamento, ha chiarito l’esponete del Partito Democratico, attiverà una indagine conoscitiva nell’ambito delle proprie commissioni di merito, una fase che “durerà fino a tutto gennaio”. Il PD, in buona sostanza, vuol decidere solo dopo dicembre, quando il Consiglio d’Europa sarà chiamata a scegliere “quale deve essere il suo modello difesa”, dichiara Scanu.
Un rinvio che permetterà al Parlamento italiano di decidere solo dopo le conclusioni del Consiglio d’Europa. “Il lavoro delle nostre commissioni sarà finalizzato alla predisposizione di uno studio che muova da tutti gli elementi nazionali e internazionali, per farne poi discendere altre valutazioni sul tipo di armi che si attagliano al nostro modello di difesa e sull’entità della spesa”, sostiene ancora Scanu. La questione non è di poco conto, all’Italia urge ridisegnare il modello di difesa, ma nello stesso tempo ha bisogno di risorse per dare un lavoro ai disoccupati. E la coperta è corta. “I problemi delle Forza Armate sono una priorità ma occorre poter valutare se è meglio rammodernare l’Esercito, l’Aeronautica, la Marina oppure rafforzare un po’ l’uno e un po’ l’altro”. Tutto questo, “finalmente”, sarà deciso dal Parlamento che avrà la facoltà cimentarsi per la prima volta in quest’attività: negli ultimi 20  anni la procedura era una prerogativa esclusiva del Governo.
“Il Parlamento poteva esprimere solo un parere non vincolante”, spiega Scanu. E questo voleva dire che il più delle volte il Governo assumeva delle decisioni “anche in presenza di un parere contrario da parte del Parlamento”. Con la riforma non sarà più così: “Abbiamo immesso nel circuito decisionale democratico la “parlamentarizzazione” di questa procedura, sostiene Scanu. Il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, Pasquale Preziosa, già da qualche tempo si dice preoccupato per l’evolversi della vicenda F35. In una recente intervista ha posto in evidenza la vetustà dei Tornado e la necessità di riarmare l’arma aerea, soprattutto perché l’Italia è da tempo chiamata a fare il “gendarme” in tutte le aree calde del Mediterraneo. 

Il governo proverà a leggere la realtà mondiale: gli Usa si sono posizionati nelle aree più a rischio del Pacifico, mentre all’Italia è richiesta la presenza nel Mediterraneo allargato. “Gli F35 sono bombardieri da utilizzare per scontri ad alta intensità, macchine proprie per una forza di grandi dimensioni non di uno Stato come il nostro che, viceversa, vuole costruire anche sul versante della difesa gli Stati Uniti d’Europa”. Per Scanu,la quadratura del cerchio si può ottenere costruendo una Difesa europea: “Non possono esserci 27 Stati e 27 modi diversi di agire in Europa”. Si deve trovare una sintesi: “Ci sarebbero risparmi straordinari e una ottimizzazione dei servizi resi”, conclude il capo gruppo in Commissione Difesa del Partito Democratico. 

Gli Usa spiavano anche Italia. L’Ue furiosa con Stati Uniti

Gli Usa spiavano anche Italia. L’Ue furiosa con Stati Uniti

Non solo l’Italia era pienamente “un obiettivo” della gigantesca operazione americana di spionaggio messa in piedi dalla Nsa, ma gli 007 Usa erano arrivati a piazzare anche delle cimici nell’ambasciata italiana a Washington. Le ultime clamorose rivelazioni sono state pubblicate sul sito del Guardian, che cita documenti fatti filtrare da Edward Snowden, l’ex analista dell’agenzia americana e talpa del Datagate.
Nel giorno in cui l’Europa, infuriata per le notizie sul sistematico spionaggio delle sue istituzioni, ha minacciato di far saltare i negoziati di libero scambio con gli Stati Uniti se tutto fosse confermato, si svela anche l’attenzione molto particolare che l’intelligence americana riservava – e probabilmente continua a riservare – al nostro Paese. E’ stato prima lo Spiegel, sempre con documenti targati Snowden, a rivelare come la Nsa – attraverso il programma Boundless Informant – spiava sistematicamente le comunicazioni anche in Italia e Francia, seppur in dimensioni ridotte rispetto alla Germania: in un grafico pubblicato sul settimanale tedesco, si può osservare la curva delle intercettazioni dei metadati telefonici dall’Italia, che tra il 10 e il 19 dicembre 2012 si aggiravano costantemente intorno ai 4 milioni al giorno, per poi calare rapidamente fino ad arrivare a zero il 25 dicembre.
Intanto è gelo tra Europa e Stati Uniti per lo scandalo Datagate. E a rischio ora finiscono addirittura le trattative tra le due sponde dell’Atlantico per costruire l’area di libero commercio più grande del mondo. Dovevano iniziare presto, ma “non si possono cominciare” se c’é “anche il minimo dubbio” che gli Usa hanno spiato e forse continuano a spiare la Ue (ma anche la Germania e, forse, la Bce), minaccia la vicepresidente della Commissione, Viviane Reding. Mentre da Berlino fanno notare che lo spionaggio “si fa tra nemici” e tutto questo fa ripiombare il Continente in un “clima da guerra fredda”.
Dopo la lettura sullo Spiegel dei documenti fatti filtrare da Edward Snowden, Bruxelles, Berlino e Parigi hanno chiesto “immediate spiegazioni” a Washington. Ma in Europa sembra difficile giustificare con le esigenze dell’antiterrorismo l’infiltrazione nelle reti informatiche delle istituzioni comunitarie, la registrazione di milioni di telefonate e l’aver messo nel mirino non solo gli uffici Ue in America e a Bruxelles ma anche in maniera massiccia la città di Francoforte, sede della Banca Centrale Europea e della Bundesbank, oltre che dei maggiori istituti di credito tedeschi.
E mentre nei palazzi europei monta la furia, da Washington arriva solo un imbarazzato silenzio. I servizi segreti italiani invece smentiscono seccamente l’altra rivelazione fatta – ma poi ritirata – dal ‘Guardian’, secondo la quale l’Italia, assieme ad una serie di altri paesi europei, avrebbe collaborato attivamente con gli Usa, fornendo dati personali. “Falsità” veicolate da “un personaggio inaffidabile”, le definiscono fonti dell’intelligence italiana. Che precisano come la collaborazione con gli Usa sia sì aumentata dopo l’11 settembre 2001, ma “riguarda la difesa del nostro Paese da azioni terroristiche e dei nostri contingenti all’estero, non certo la raccolta e la condivisione di banche dati personali, che peraltro è anche vietata dalla nostra legge”.
Il Servizio diplomatico Ue ha ”preso contatto con le autorita’ statunitensi a Washington e a Bruxelles per avere chiarimenti urgenti sulla veridicità dei fatti” di spionaggio rivelati dallo ‘Spiegel’. Lo dichiara la responsabile della diplomazia Ue, Catherine Ashton, precisando che ”gli Usa daranno risposte al piu’ presto possibile”.

La capitale delle mafie è Roma

La capitale delle mafie è Roma

Di  | il 14 giugno 2013 | 1 Commento

 

Negli ultimi 20 anni il fenomeno mafioso non si è solo trasformato ma è stato capace di evolversi. In un Paese talvolta arretrato come il nostro, le mafie rappresentano la punta più avanzata della modernità: investono nelle energie rinnovabili, nelle nuove droghe, nel gioco d’azzardo e le slot machine, nei compro oro che spuntano come i funghi nelle nostre città.

I clan non stanno a guardare, sono capaci di cogliere i passaggi di fase politica, di adattarsi ad un sistema economico in continua espansione e sono un caso nazionale come hanno dimostrato – la cosiddetta trattativa, l’inchiesta “Infinito”, il voto di scambio aMilano, gli ultimi comuni sciolti per mafia in Liguria, il caso del pentito Nino Lo Giudiceche avvelena gli uffici giudiziari a Reggio Calabria.

Quest’ultima, capitale della ‘ndrangheta. Avvolta per anni da inquietante silenzio: siamo dovuti passare dall’omicidio Fortugno nel 2005, dalla strage di Duisburg nel 2007, dalla rivolta nelle campagne di Rosarno nel 2010 fino al necessario scioglimento del consiglio comunale di Reggio affinché si accendessero i riflettori sulla Calabria. E intanto la ‘ndrangheta s’è presa pezzi interi di economia, di società e di territorio del nord Italia (nonostante il grottesco tentativo di minimizzare da parte della Lega) ed è diventata la più grande organizzazione mafiosa mondiale; gestendo enormi capitali e divenendo leader globale del narcotraffico.

E non è un caso se sempre da Reggio Calabria a Roma sia arrivato Giuseppe Pignatone, procuratore della capitale da più di un anno. Roma oggi è una città di mafie alla stregua di Palermo, Napoli, Reggio Calabria e Milano. Ma a Roma in pochi, tra le istituzioni, la politica, gli intellettuali e la cosiddetta società civile, sembrano disposti ad ammetterlo.

Nel 1991 Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Parlamentare antimafia, aveva già denunciato il fenomeno nella Capitale. A 22 anni da quella denuncia i numeri sulle mafie a Roma parlano chiaro, nonostante ci sia ancora un forte deficit investigativo e di conoscenze.

La Guardia di Finanza nel 2011 ha sequestrato beni di provenienza mafiosa per miliardi di euro. 209 gli immobili confiscati nello stesso anno e che fanno piazzare Roma al quarto posto in Italia. Sempre nella Capitale succede che le cliniche private e le comunità terapeutiche con specialisti e medici complici vengano spesso utilizzate come vie di fuga dalla carcerazione o che “rispettabili” professionisti della finanza investano capitali sporchi con speculazioni di difficile decifrazione.

Sul fronte giudiziario invece il 16 novembre 2012 rappresenta una data storica: per la prima volta un gruppo criminale operante nel Lazio (nativo a Casal di Principe) viene condannato al 416 bis. A testimonianza non della non presenza dei clan, ma del ritardo del sistema giudiziario nel suo complesso. Tanto che spesso chi è mafioso per un tribunale napoletano non lo è per quello romano.

La Capitale è attraversata da fiumi di droga. Soprattutto cocaina. È la ‘ndrangheta insieme alla camorra a fare da “cartello” con le organizzazioni criminali internazionali, sudamericane e messicane soprattutto. Le organizzazioni autoctone invece fanno il resto. Ed anche a Roma esiste il controllo del territorio: locali notturni, ristoranti, mercati rionali. Con l’usura, soprattutto. E anche se non viene denunciato il pizzo, pure il racket delle estorsioni è da tempo una triste realtà. Succede ad Ostia agli stabilimenti balneari, avviene alla Borghesiana, ai pub di San Lorenzo vicino Termini. Ed anche nel salotto buono della città, come a piazza Bologna dove da vent’anni c’è chi paga regolarmente “per stare tranquillo”.

Non sono “bande criminali locali” a dare vita a tutto questo come hanno sostenuto finora gli amministratori della Capitale. Qui si consuma la sintesi perfetta tra narcotraffico, usura, politica, finanza, malasanità, professionisti, imprenditori, palazzinari e pezzi di istituzioni corrotte. Un vero e proprio sistema di potere che ha nella clientela, nella corruzione e nel riciclaggio lo snodo centrale.

A Roma c’è bisogno di un grosso sforzo per rendere rapida ed efficace la macchina burocratica che porta all’assegnazione dei beni confiscati alle mafie per uso sociale. Secondo un dossier curato da varie associazioni (tra cui Legambiente, Libera, daSud e Action), meno di un terzo dei beni confiscati sono effettivamente riutilizzati per scopi sociali o istituzionali. Il paradosso è rappresentato dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati, che fino al 2012 ha pagato un affitto di 295mila euro l’anno per un immobile in via dei Prefetti. Soldi che potrebbero essere risparmiati se solo i locali di via Ezio al civico 12/14, confiscati alla camorra nel ’96 e ora occupati abusivamente, venissero liberati da un centro benessere, un’agenzia di assicurazioni e un’abitazione privata. Attività che nulla hanno a che vedere con i “fini sociali” che impone la Legge Rognoni-La Torre.

Anche in questo senso la commissione può svolgere un lavoro importante.

Lo dobbiamo a tutte le cittadine e i cittadini, e a tutte le vittime innocenti delle mafie, ai tanti familiari che non hanno avuto verità e giustizia nelle aule dei tribunali e che sono stati sottoposti alla congiura del silenzio e della vergogna. A tutte quelle donne della mia terra che pentendosi hanno messo in difficoltà le ‘ndrine (penso al coraggio di Lea Garofalo e di sua figlia Denise, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce) o quelle che si sono messe in gioco diventando sindache di territori complessi, come Isola Capo Rizzuto, Rosarno, Monasterace.

Governo e parlamento, insieme alla commissione che andiamo a costituire, dovranno tenere conto di tutto questo. E attenzione alle commissioni di saggi e consulenti, di cui abbiamo sentito parlare in queste settimane: va bene il contributo di tutti, anche di magistrati importanti come Cantone e Gratteri, però sia la politica ad assumersi fino in fondo la responsabilità del cambiamento. Non deleghiamo ancora una volta il nostro compito alla magistratura, al giornalismo, all’associazionismo facendo un danno diretto a questi soggetti, sovraesponendoli ad un’attenzione mediatica eccessiva che sposta lo sguardo dai contenuti del loro lavoro a loro stessi che lo agiscono.

Collaboriamo insieme, senza rilasciare patenti e certificazioni, rinnovando anche qui un mondo rimasto ingessato in alcuni schemi, avendo anche l’onestà intellettuale di dividerci, è auspicabile l’unità ma questo deve avvenire senza rinunce e omissioni. Non esistono verità condivise, esiste solo la verità.