Ucraina, è cessate il fuoco tra Kiev e ribelli.

Ucraina, è cessate il fuoco tra Kiev e ribelli. La Nato crea task-force di intervento rapido. Obama: “E’ ora di agire insieme contro Isis”

La decisione del Gruppo di contatto per la crisi ucraina che si è riunito a Minsk. Kerry: “Ampia coalizione contro Is”. Obama: “Al cessate il fuoco seguano i fatti”

Newport, 5 settembre 2014 – Raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco bilaterale tra Kiev e i ribelli filorussi. La tregua, annunciata da Minsk, dove si è riunito oggi il Gruppo di contatto per la crisi ucraina, è entrata in vigore alle 18 (le 17 in Italia). L’accordo è stato poi confermato dal presidente ucraino Poroshenko: “Un protocollo preliminare all’accordo di cessate il fuoco è stato firmato a Minsk”, ha scritto sul profilo Twitter. E il premier Renzi dal vertice Nato ha affermato che “bisogna verificare la concretezza dei passi in avanti”.

In agenda alla riunione di Minsk, non solo la tregua (l’impegno di entrambe le parti a fermare “le operazioni offensive” e, per le truppe governative, a ritirarsi da gran parte delle regioni industriali orientali di Donetsk e Lugansk), ma anche lo scambio di prigionieri, secondo la formula “tutti per tutti”, e la supervisione internazionale del processo nell’ambito di un piano di pace per tappe che potrebbe uscire dalla riunione.

VERTICE NATO – E a Newport, nella ‘due giorni’ al vertice della Nato, i leader dell’Alleanza Atlantica hanno riaffermato con forza il pieno sostegno all’Ucraina. La Nato comunque, ha annunciato il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, ha già approvato il piano di rafforzamento delle difese dell’Alleanza nell’Europa orientale in risposta all’intervento russo in Ucraina. Piano che include la creazione dell’annunciata “punta di lancio” dell’Alleanza, una forza di reazione rapida con equipaggiamenti pre-posizionati e nei Paesi dell’Est in modo che possano rapidamente rinforzati nel caso di una crisi. Il nuovo piano di risposta dell’Alleanza (Rap) include le spearhead, una forza di intervento immediato che avrà cinque basi-deposito nei paesi baltici, Polonia e Romania e che sarà “molto reattiva” e “avrà una presenza continua” nell’est europeo. Il Regno Unito ha già annunciato che parteciperà con 3.500 soldati a questa forza. L’obiettivo della nuova struttura è rassicurare i Paesi membri della Nato che una volta appartenevano al blocco sovietico, specialmente i Paesi baltici, Lituania, Estonia e Lettonia oltre la Polonia.
RENZI –  “Il meccanismo delle sanzioni in Europa è abbastanza complicato: il comitato degli ambasciatori si è riunito e ha predisposto un ‘pacchetto sanzioni’. Ma questo pacchetto non entra in vigore subito perchè ha bisogno di 72 ore per gli stati membri. C’è lo spazio, un lasso di tempo in cui le sanzioni sono preparate, predisposte”, ha detto il premier dal vertice Nato. “Credo che in questo momento la questione politica sia nelle mani della Russia. Voglio sperare che Putin abbia il desiderio di porre realmente fine alle polemiche e ai violenti scontri”. Renzi ha inoltre precisato che “se la tregua non terrò, le sanzioni decise dall’Ue saranno applicate”. Quanto alla situazione in Iraq, Renzi ha annunciato che “l’Italia è parte della coalizione internazionale contro lo stato islamico.
OBAMA – “Al cessate il fuoco devono seguire i fatti”, ha sottolineato Obama, precisando che se la Russia continuerà ad alimentare le tensioni ci saranno nuove sanzioni.  Allo stesso tempo il presidente americano ritiene che se la tregua dovesse reggere le sanzioni contro la Russia potrebbero essere revocate, considerando anche il fatto che ci vorrà del tempo affinchè l’intesa dispieghi tutti i suoi effetti.
FRONTE ISIS  – E gli Usa stanno convincendo gli alleati della Nato a formare “una coalizione” la più vasta possibile per combattere la minaccia degli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is) in Iraq. Il tutto “ovviamente con una linea rossa (red line) invalicabile per tutti noi: escludere l’impegno di truppe di terra”, ha detto il segretario di Stato John Kerry a margine del summit Nato in Galles a Newport. “Dobbiamo attaccarli (Is) in modo da impedire loro di conquistare altro terreno, e rafforzare le forze di sicurezza irachene e gli altri nella regione (curdi in primis, ndr) che sono pronti a combattere contro di loro, ma senza impiegare le nostre truppe di terra”. E sull’Isis è intervenuto anche Obama: “E’ una grave minaccia per tutti e nella Nato c’è una grande convinzione che è l’ora di agire per indebolirlo e distruggerlo”.

Totò Riina shock: “Ogni sei mesi Berlusconi ci pagava 250 milioni di lire”

Totò Riina shock: “Ogni sei mesi Berlusconi ci pagava 250 milioni di lire”

Kikapress

Scritto da Yahoo! Notizie | Kikapress – 19 ore fa

Il boss di Cosa Nostra Totò RiinaIl boss di Cosa Nostra Totò Riina(KIKA) – Sono rivelazioni a dir poco inquietanti quelle che l’ex capo di Cosa Nostra Totò Riina pronuncia tra le mura del carcere milanese di Opera. Per la prima volta, il boss mafioso rivela come andarono le cose in quel ‘patto di protezione’ che la Cassazione ha accertato definitivamente, ordinando l’arresto dell’ex senatore Marcello Dell’Utri.

Durante la consueta passeggiata pomeridiana, parlando con il compagno d’aria Alberto Lorusso, Riina confessa: “A noialtri ci dava 250 milioni di lire ogni sei mesi. A chi si riferisce? All’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che negli anni Settanta cercava ‘protezione’ proprio dalla mafia. Riina parla anche del boss Tanino Cinà, l’uomo che in quegli anni suggerì a Dell’Utri di inviare Vittorio Mangano come stalliere ad Arcore, proprio per esaudire i desideri dell’ex premier.

 

L'ex presidente del Consiglio Silvio BerlusconiL’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

Il boss dei boss è un fiume in piena: “Noi su Berlusconi abbiamo un diritto, sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo. Anche se poi precisa: “Non lo ammazziamo però, perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto”.

E non è finita qua, perché prima di fare rientro in cella, i due ne hanno anche per il ministro dell’Interno Angelino Alfano: “Disgraziato”, dice Riina. “Il più cattivo ministro di sempre, si sta impegnando per i sequestri di bene”, gli fa eco Lorusso.

Marchionne: “L’Italia sembra incapace di reagire, ma abbiamo fiducia nel governo Renzi”

Marchionne: “L’Italia sembra incapace di reagire, ma abbiamo fiducia nel governo Renzi”

L’amministratore delegato di Fiat-Crysler al Meeting di Rimini. “Il premier ha un compito arduo, ma vada avanti. Dobbiamo smettere di aspettare il miracolo, il futuro dipende da noi”

Rimini, 30 agosto 2014 – L’Italia vive oggi “una recessione prolungata in condizioni che non sono più in grado di garantire un paese competitivo”. Lo ha detto l’ad di Fiat Sergio Marchionne, intervenendo al Meeting Cl di Rimini, secondo cui però il nostro paese “non sembra capace di reagire”. “Saranno almeno 10 anni che dico che abbiamo bisogno di riforme e trasformazioni strutturali” per recuperare “il livello competitivo del Paese”, ha avvertito Marchionne.
Per Fiat “guardare un Paese immobile e incapace di avviare un anche piccolo cambiamento è qualcosa di inconcepibile”, ha spiegato l’a.d. aggiungendo di riporre “la massima fiducia nel governo, anche se fino ad ora chi ha guidato il Paese si è scontrato con un muro di gomma”. “Il presidente Renzi – ha sottolineato –  ha di fronte un ruolo arduo e ingrato. Appare coraggioso e determinato a fare le riforme e io l’ho incoraggiato a proseguire l’intento riformatore senza curarsi degli attacchi”.
Abbiamo passato vent’anni a far finta di fare riforme sociali. Non abbiamo neppure approfittato dell’adesione all’euro, con cui potevamo finanziare le riforme – ha proseguito sempre Marchionne -. Abbiamo solo alimentato una dialettica distruttiva che ha indebolito le istituzioni, così gli investitori non arrivano, i salari si erodono e il tenore di vita cala”. “Quando dico noi, dico tutti. Destra e sinistra, e imprenditori”, ha puntualizzato.
Dobbiamo smettere di aspettare il miracolo, se le riforme fossero davvero varate saremmo i primi a salutarli con gioia ma noi non possiamo riporre tutte le speranza nell’attesa”, ha proseguito l’amministratore delegato di Fiat-Crysler Sergio, sferzando poi i giovani di Cl. “A chi si è iscrittto alla scuola della rassegnazione dico che il futuro non dipende da nessun altro se non da noi. Non aspettate che ve lo dica qualcuno o che vi arrivi una direttiva sulla scrivania. Invece di combattere le inefficienze della democrazia, pensate a un modello nuovo, costruitevi un percorso ma iniziate oggi, iniziate subito, accettate la sfida dell’ignoto”.
E ancora: “Le speranze per il futuro dell’Italia sono in mano alla gente che fa e che decide di reagire, di impegnarsi e mettersi in gioco. Questa è l’esperienza della Fiat- ha sottolineato Marchionne- Decidendo la fusione con la Crysler ci siamo giocati tutto e io in particolare la mia carriera. Abbiamo deciso di assumerci il rischio facendo scelte coraggiose. Ribadiamo anche che non chiudiamo nessuno stabilimento in Italia“. Ma la Fiat oggi per Marchionne “è solo uno degli esempi di quello che si può fare se ognuno di noi fa la propria parte: si può invertire la rotta, quando la voglia di impegnarci vince sulle scelte facili”. “Non è per fare i presuntuosi”, ha detto, ma “per dimostrare che anche in situazioni disperate, anche quando la concorrenza ti considera morto, ti puoi rialzare”. Nel Paese serve una svolta, avverte più volte: “La realtà è che dobbiamo guardare avanti, che non possiamo più aspettare, il Paese sta prendendo una brutta impennata”.
Non sopporto più gente con gelati, barchette e cavolate. Voglio essere orgoglioso di essere italiano, di poter dire che siamo veramente bravi come gli altri perché lo siamo”, ha detto ancora Marchionne rispondendo a margine del suo intervento in merito alla vicenda della copertina dell’Econimist che ritrae il premier Matteo Renzi con un cono gelato in mano ed anche all’ironica risposta del premier stesso di ieri nel cortile di Palazzo Chigi, quando si è fatto fotografare con un vero cono gelato in mano (FOTO). Marchionne ha premesso: “La gente che si impegna a fare le cose, di qualsiasi colore sia, la appoggio. Sono i benvenuti”. “Non possiamo aspettare più. Il sistema ha bisogno di azione e bisogna muoversi – ha ammonito -. Ho preso la Fiat come esempio: non possiamo piùaspettare che vengano modificate le regole, che la gente ci segua, che troviamo accordi, che troviamo soluzioni per tutte le poltrone disponibili. A me non interessa un cavolo”.

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

Silvio Stricchi, ingegnere senese, con i suoi 243.600 euro supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici dei 240mila euro, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Capo dello Stato che guadagna 239.181 euro lordi all’anno

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Prende come e più di un presidente. Anzi, del Presidente. In tempi di polemiche sui tetti agli stipendi dei manager pubblici, in provincia di Ferrara si segnala il caso del direttore dell’Acquedotto del Delta. Silvio Stricchi, ingegnere senese di 58 anni trapiantato da giovane nella città estense, guadagna 243.600 euro e supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici di 240mila, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Presidente della Repubblica. Che guadagna 239.181 euro lordi all’anno. Non arriverà certo agli oltre 2,2 milioni di Massimo Sarmi(ad e dg di Poste Italiane), ma tra gli incarichi apicali di aziende a partecipazione pubblica non quotate Stricchi può dire la sua.

Il manager è direttore generale del Cadf, al secolo il Consorzio Acque Delta Ferrarese (Cadf), “L’Acquedotto del Delta”, con sede a Codigoro, che gestisce il servizio idrico integrato per 15 comuni del Ferrarese. Il consorzio è formato da Berra, Codigoro, Copparo, Fiscaglia, Formignana, Goro, Jolanda di Savoia, Lagosanto, Mesola, Ostellato, Ro e Tresigallo. Tutti comuni a guida centrosinistra cui si aggiunge l’ara avis di Comacchio, amministrazione condotta da una giunta Cinque Stelle.

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A condurre dal 15 ottobre 1997 ad oggi il Cadf è questo ingegnere plurititolato, con un passato costellato di vari incarichi in aziende pubbliche e non. Scorrendo il suo cursus honorum si leggono voci come ingegnere capo del Comune di Argenta, capo servizio viabilità e traffico del Comune di Ferrara, consulente tecnico e gestionale di Ferrara Tua (azienda comunale che gestisce la sosta nel capoluogo estense), direttore generale di Delta Reti S.p.A, coordinatore con funzioni tecniche e gestionali della società Delta Web S.p.A.. Aziende pubbliche anche queste ultime due. Fino allo scorso mese è stato anche consigliere di amministrazione di Area, azienda partecipata di Copparo che gestisce i rifiuti in una dozzina di comuni. Qui ha percepito nell’ultimo anno 21.394,8 euro.

A quest’obolo Stricchi può sommare i guadagni che riceve dal Cadf: 198.600 euro come dirigente (assunto a tempo indeterminato), cui vanno aggiunti 45.000 come direttore generale. Per un totale di 243.600 euro (esclusi i 20mila di Area). Napolitano è già distaccato. Ma fino allo scorso novembre il manager poteva contare anche sull’incarico di direttore generale di Delta Reti (proprietaria delle reti idriche, avviata poi alla fusione con Cadf), con uno stipendio da 30mila euro. Poco male, visto che due mesi dopo, il 21 novembre 2013, il cda da lui presieduto ha deliberato un aggiornamento del compenso che copre la dolorosa perdita. Prima percepiva dal consorzio un più che appagante 183.631,6 come dirigente e 30.000 come dg. Ecco recuperati per intero, con un lieve arrotondamento per eccesso, i 30.000 di Delta Reti.

Pil, la Germania frena: -0,2%. E la Francia si ferma. Bce: “Riforme”

Pil, la Germania frena: -0,2%. E la Francia si ferma. Bce: “Riforme”

L’economia francese ferma per il secondo trimestre consecutivo, quella tedesca arretra per la prima volta dal 2012. Appello di Parigi all’Ue: “Ora più flessibilità”

Roma, 14 agosto 2014 – Non solo per l’Italia, va male anche per Francia e Germania. I dati del Pil nel secondo trimestre 2014 in Francia, diffusi questa mattina dall’istituto di statistica francese Insee, segnano che l’economia francese è ferma per il secondo trimestre consecutivo, a fronte di un atteso +0,1%. Il dato invariato rispetto al trimestre precedente segue la crescita zero già registrata nel primo trimestre dell’anno rispetto all’ultimo trimestre del 2013.

GERMANIA – I dati sono ancora più funesti per la Germania, dove il Pil scende dello 0,2% nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente. Il dato è peggiore delle attese che indicavano una possibile flessione del -0,1%. La crescita del primo trimestre rispetto all’ultimo del 2013 è stata rivista dal +0,8 al +0,7%. Con il dato di oggi l’economia tedesca arretra per la prima volta dal 2012.

APPELLO ALL’UE – Sulla scia dei dati che mostrano un’economia stagnante, il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, taglia le previsioni di crescita di fine anno, portandole “intorno allo 0,50%” dall’iniziale +1%, e sollecita risposte dall’Europa, dal rafforzamento dell’azione della Bce ad un adattamento delle regole di budget alla situazione economica, quindi maggiore flessibilità rispetto ai vincoli che gravano sui conti pubblici. “La crescita è caduta in Europa e in Francia”, scrive Sapin a Le Monde. “Con una crescita zero nel secondo trimestre – aggiunge il ministro – che estende la stagnazione dei primi tre mesi, il paese rallenta e non raggiungeremo l’obiettivo dell’1% previsto tre mesi fa”. “Quest’anno la crescita della Francia – dice ancora – sarà intorno allo 0,50% e niente ci autorizza a prevedere, al momento, una crescita di molto superiore all’1% nel 2015”. Sapin inoltre rialza al 4% le previsioni del deficit di quest’anno. In precedenza Parigi aveva stimato un deficit al 3,8% e si era impegnata ad abbassarlo al 3%.

Il governo francese chiede quindi che l’Europa agisca “con fermezza e chiarezza adattando le sue decisioni alle circostanze profondamente particolari ed eccezionali”. E in particolare chiede di “adattare il ritmo di riduzione del disavanzo pubblico all’attuale situazione economica”. Alla Bce, che comunque “ha preso buone decisioni”, la Francia chiede oggi un intervento più deciso per far fronte al rischio deflazione e per riportare il cambio dell’euro a “un livello più favorevole”, Sul fronte interno, il ministro delle Finanze francese indica che il Governo andrà avanti con le riforme, che taglierà ancora la spesa pubblica per 50 miliardi, e che non ricorrerà a un aumento delle tasse per riequilibrare i conti pubblici.

EUROZONA – Secondo quanto rivelano le stime di Eurostat, l’economia dell’Eurozona a 18 paesi resta ferma nel secondo trimestre rispetto ai precedenti tre mesi e sale dello 0,76% su base annua. Le previsioni degli analisti erano di una crescita trimestrale dello 0,1%. Nell’Unione europea a 28 paesi il Pil cresce dello 0,2% trimestrale e dell’1,2% annuale. Cala ancora a il tasso d’inflazione annuale nell’Ue-18: 0,4% a luglio, contro lo 0,5% di giugno. Si tratta del tasso più basso dall’ottobre 2009. A luglio 2013 era a 1,6%. Il tasso di inflazione mensile a luglio è stato di -0,7%, il tasso annuale era a 0,6%, contro lo 0,7% di giugno. L’anno precedente era a 1,7%, mentre il tasso di inflazione mensile è stato del -0,5% a luglio. Italia invariata. “Ci troviamo davanti ad un quadro misto e come abbiamo sempre sottolineato che la natura della ripresa è fragile. I dati devono essere considerati in un quadro economico di medio termine ed è importante attuare le riforme”, sottolinea l’Ue. “L’attuale aggiustamento nell’Eurozona è una storia di profondo cambiamento strutturale. Ci sono fondamenta sane perché la ripresa vada avanti. Sviluppi di situazioni all’estero possono accrescere l’incertezza, ma le nostra fondamenta restano intatte”, aggiunge un portavoce della Commissione sui risultati del Pil dell’Eurozona.

LA RICETTA BCE – La ricetta della Bce per l’Eurozona è quella di dare più slancio alle riforme strutturali per promuovere gli investimenti privati e creare posti di lavoro, procedendo però in linea con il Patto di Stabilità e di crescita e senza vanificare i progressi conseguiti nei conti pubblici. “Per quanto riguarda le finanze pubbliche – si legge nell’ultimo bollettino dell’Eurotower – in anni recenti un complessivo risanamento ha contribuito alla riduzione degli squilibri di bilancio. Importanti riforme strutturali hanno potenziato la competitività e la capacità di aggiustamento dei mercati nazionali del lavoro e dei beni e servizi. E’ ora necessario che questi sforzi acquisiscano slancio per incrementare il potenziale di crescita dell’area dell’euro. Le riforme strutturali dovrebbero mirare innanzitutto a promuovere gli investimenti privati e la creazione di posti di lavoro”.

“Al fine di ripristinare finanze pubbliche sane – prosegue il bollettino della Bce – i paesi dell’area dell’euro dovrebbero procedere in linea con il Patto di stabilità e crescita senza vanificare i progressi conseguiti nel riequilibrio dei conti pubblici. Il risanamento di bilancio va impostato in modo da favorire l’espansione economica. La piena e coerente applicazione dell’attuale quadro di sorveglianza macroeconomica e dei conti pubblici dell’area dell’euro è indispensabile per ridurre gli elevati rapporti debito/PIL, aumentare la crescita potenziale e rafforzare la capacità di tenuta dell’area agli choc”.

E Renzi in tour al Sud ha commentato: “Ho visto in questi giorni scenari inquietanti sull’Italia per aver fatto -0,2% di Pil. Stamattina vedo che anche la Germania fa -0,2. Io farei a cambio volentieri in termini di dimensioni economiche, ma non è la percentuale dello ‘zero virgola’ che fa la differenza, ma è il clima di rassegnazione nell’opinione pubblica, di chi pensa, a cominciare dalle classe dirigenti, che tanto non cambierà mai”.

Alfano: “Stop a Mare Nostrum, da ottobre ai migranti dovrà pensare l’Ue”

Alfano: “Stop a Mare Nostrum, da ottobre ai migranti dovrà pensare l’Ue”

Ora tocca all’Ue, l’Italia da sola non può fare tutto in termini di accoglienza dei migranti. Lo ha ribadito in conferenza al Viminale il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il quale: “L’operazione Mare Nostrum non deve fare il secondo compleanno perché nata a termine. Da ottobre deve subentrare Frontex e l’Europa. Se così non fosse il governo italiano dovrà assumere decisioni in materia. Sul fronte dell’immigrazione l’Italia si è dimostrata ancora una volta campione del mondo di accoglienza”.
Primo consuntivo – Nella conferenza stampa al termine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, il ministro ha ricordato che “dall’avvio dell’operazione Mare Nostrum, lo scorso 18 ottobre, sono state salvate oltre 70mila persone e non sappiamo quanti di loro sarebbero morti senza la nostra missione. Siamo orgogliosi di aver salvato vite”. La linea, ha aggiunto, “è accogliere chi fugge da guerre e persecuzioni e far rispettare le leggi in Italia. Queste due cose vanno di pari passo”. Alfano ha poi ribadito che “la responsabilità della frontiera del Mediterraneo deve essere europea, i migranti non vogliono venire in Italia ma in Europa e quindi Frontex deve subentrare a Mare nostrum”.
Lavoro: accelerare con le riforme – “Nessun ultimatum, anzi occorre rallentare le polemiche e accelerare le soluzioni” sull’articolo 18: “Il giochino di minacciare la crisi per ottenere di più puzza di naftalina” ha aggiunto Alfano tornando sulle misure per il lavoro. Non importa, chiarisce, andare oltre il 29 agosto (in agenda il Cdm sullo Sblocca Italia): “Non casca il mondo in quella data”, tanto più che “il 2 settembre la commissione Lavoro, presieduta da Sacconi, comincerà appunto a lavorare sul nuovo Statuto dei lavoratori. Noi apriamo a Renzi i varchi, gli diamo la spinta per inserire la sua capacità innovativa e superare le resistenze di parte della sinistra, del suo mondo”. Gli altri obiettivi del Nuovo Centro Destra, dice Alfano sono “il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione: 15 miliardi da immettere nell’economia”, “la semplificazione fiscale, soprattutto a beneficio dei piccoli imprenditori: pagamento in base agli incassi e non alla fatturazione” e “la contrattazione aziendale anziché quella collettiva”. Alfano smentisce poi le voci di rimpasto in autunno e i dissapori con il premier: “Il governo non è un monocolore Pd e non mi pare che Renzi lo gestisca come tale”. “Oggi mi pare che il governo sia ancora in luna di miele”. Sul rapporto con Forza Italia puntualizza: “Siamo noi la start up per un nuovo centro destra, quello vecchio non c’è più”. Quindi la previsione: “A settembre si manifesterà un’area di oltre 80 parlamentari che sosterrà la riforma costituzionale e il governo”, mentre in FI “vedo solo leggerissime torsioni sul busto. Non succede e non succederà nulla da quelle parti”.

Che cosa penso dell’articolo 18

Che cosa penso dell’articolo 18 (e non solo). L’analisi di Alessandra Servidori

16 – 08 – 2014Fernando Pineda

Che cosa penso dell'articolo 18 (e non solo). L'analisi di Alessandra Servidori

Ecco la conversazione con Alessandra Servidori, docente di politiche del welfare pubblico e privato, su articolo 18 e non solo.

Che ne pensa del dibattito sull’articolo 18? È davvero una priorità? È ormai solo un totem come dice Renzi che intende modificare l’intero impianto dello Statuto dei lavoratori?

Sicuramente tutta la materia del lavoro è una priorità ma andiamo per ordine: non sia usata la clessidra agosiana come si fece per il famoso art. 8 del decreto 138/2011 poi nella manovra economica convertito dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148 che scatenò reazioni feroci e ci fece perdere tempo prezioso per una riforma equilibrata del lavoro.

Che successe all’epoca?

Le opposizioni in quell’agosto caldissimo gridarono al sovvertimento dell’ordine delle fonti del diritto, attentato ai diritti dei lavoratori, proposero il referendum contro il famigerato l’art. 8, appelli contro tale norma etc., ma  la stessa lettera di Trichet e Draghi al Primo Ministro Italiano di quell’estate ancora oggi dopo tre anni attualissima, era chiara nel chiedere tale cambiamenti come necessari.

Di quali cambiamenti parla?

Ricordo testualmente in tale lettera:

a) “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena
liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.
L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si
muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.

E allora?

Bene, l’art. 8 del D.L. n. 138/2011 ha dato una svolta fondamentale al sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità, ha riconosciuto un maggior potere alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale statuisce che i contratti collettivi di lavoro, aziendali o territoriali, sottoscritti da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario. Sono inoltre espressamente disciplinabili dalla contrattazione aziendale e territoriale le materie inerenti: “a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Il comma 3 dello stesso art. 8 ha stabilito che le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.
Inoltre in data 21 settembre 2011, Confindustria e sindacati firmarono, in via definitiva, l’Accordo Interconfederale di quel giugno su contratti e rappresentanza, diventando così lo stesso pienamente operativo.

Ma perché allora ripensare a tutto di nuovo?

Andiamo avanti, altroché! E sicuramente con equilibrio affrontiamo così anche lo Statuto dei lavori – attenzione, non lo Statuto dei lavoratori – che si porta dietro necessariamente anche la modifica dell’innominabile 18: sbagliato cercare soluzioni triennali già superate dai contratti e apprendistato. Il problema non si pone in relazione alla prima fase lavorativa ma per l’intero arco di vita nel quale può sempre prodursi la rottura del necessario rapporto di fiducia Sono sicura che in Commissione Lavoro del Senato con Sacconi si troverà la soluzione condivisa e magari in settembre quando si riprendono i lavori

Il prof Tiraboschi a Formiche.net ha detto che la situazione economica e politica è cambiata rispetto al 2001 quando c’era le basi per poter intervenire con incisività, e comunque ora Renzi ha già vinto la partita con i sindacati anche su articolo 18. Che ne pensa?

Renzi purtroppo per ora non ha vinto ancora la partita con i sindacati e nemmeno con la Confindustria filo/sindacale. Con la sua irruenza ha però messo in pista la questione che è assolutamente diversa però al 2001. Voglio ricordare che in quell’anno l’Unione europea registrò nel 2000 una crescita economica del 3,5% circa e sono stati creati 2,5 milioni di posti di lavoro, oltre due terzi dei quali occupati da donne. La disoccupazione è scesa al livello minimo dal 1991. Gli sforzi di riforma nell’Unione stavano dando risultati e l’allargamento poteva creare nuove opportunità di crescita e occupazione tanto nei paesi candidati quanto negli Stati membri. Da noi con Marco Biagi che lavorò all’applicazione del “Libro bianco” in un momento assai delicato per la situazione politica ed economica per il nostro Paese, per l’Europa e per il mondo intero. Il quadro di riferimento era caratterizzato, da un lato dagli obbiettivi individuati con il vertice di Lisbona che avevano fissato al 70% il tasso di occupazione per i paesi UE al 2010, dall’altro dai problemi strutturali del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da un ridotto tasso di occupazione, da un divario di genere in termini occupazionali e da squilibri territoriali. Già dall’estate del 2001, il Governo ha tentato di individuare una strategia efficace per riallineare un tasso di occupazione che, nel 2000, in Italia era ancora al 53,3% rispetto ad una media europea del 63,3%, che ancora oggi, si colloca fra le ultime posizioni.

Veniamo al dunque. Qual è la sua conclusione?

È apparso subito evidente, quanto sarebbe stato difficile sviluppare fra le parti un confronto di merito e non soltanto ideologico sulle riforme. Ciò nonostante, seppure a fatica e sacrificando alcuni non trascurabili parti del progetto originario, un primo significativo passo è stato fatto perché Biagi assassinato dalle Br il 19 maggio 2002 ci lasciò una traccia della Sua legge che fu poi promulgata nel 2003 che disegnava una prima strategia d’interventi coerenti, volti soprattutto allo sviluppo di una società attiva e di un lavoro di migliore qualità, ove le regole che presiedono all’organizzazione dei rapporti e del mercato del lavoro possono dare maggiori opportunità di occupazione e risultano più moderne e adatte alle esigenze dei lavoratori e delle imprese. Si trattava, ovviamente di un insieme di deleghe, che enunciavano i principi ispiratori dell’azione del Governo nella predisposizione dei decreti attuativi dai quali doveva risultare il quadro completo delle riforme e delle nuove regole. Il nuovo mercato del lavoro prevedeva di essere costruito premiando i soggetti che più efficacemente realizzano l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Un mercato del lavoro dinamico cioè, per cui la flessibilità non sia vissuta come la generalizzazione del precariato, ordinando con aspetti di maggiore rilevanza della normativa il collocamento e le nuove forme di rapporto di lavoro. Ecco appunto ne parliamo dal 2001: possibile balbettare ancora oggi? Troviamo l’accordo anche con le parti sociali ragionevoli e andiamo avanti anche magari uniformando il nostro diritto del lavoro alle norme comunitarie che hanno prodotto maggiore efficienza e produttività del mercato, costituiti da un mercato del lavoro flessibile, uno schema generoso di un’ampia diffusione delle politiche attive, con relazioni industriali vigorose e lavoratrici e lavoratori che accedono ai sistemi di disoccupazione e successivamente rientrano nell’attività o in un lasso di tempo molto breve o, nel più lungo periodo, dopo essere passati attraverso schemi di attivazione che ne incrementino skills e occupabilità.

Pensa davvero che abolendo l’articolo 18 aumenti l’occupazione? E le modifiche introdotte da Fornero non hanno avuto gli effetti sperati con prevedendo l’intervento del giudice per stabilire il risarcimento?

Allora, le aziende “interessate” dall’articolo 18 sono solo il 2,4% del totale, a essere tutelati da questo provvedimento sono il 57,6% dei lavoratori dipendenti occupati nel settore privato dell’industria e dei servizi. Su poco meno di 4.426.000 imprese presenti in Italia, solo 105.500 circa hanno più di 15 addetti. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, invece, su oltre 11 milioni di operai e impiegati presenti in Italia, quasi 6.507.000 lavorano alle dipendenze di aziende con più di 15 dipendenti: soglia oltre la quale si applica l’articolo 18. Ecco di cosa stiamo parlando, ma sicuramente una riforma non può non prendere in considerazione anche la maggiore possibilità delle aziende a recedere dal rapporto di lavoro con una persona che non soddisfa e risponde in termini di reciprocità.peraltro rimangono comunque ferme le tutele antidiscriminatorie .Io sono convinta che l’aumento dei posti di lavoro si ottenga privilegiando le politiche legate alla domanda, dunque rilanciamo gli investimenti, mettiamo in atto il JOBS ACT di Poletti, diamo vita ad un vero e proprio Piano di dismissione e privatizzazione statali per essere in grado di creare le condizioni per rilanciare l’occupazione e riprendere il sentiero di crescita. La Ministra Fornero ha fatto molto e in condizioni disperate ma il ricorso al giudice per il risarcimento non poteva essere la soluzione poiché il giudice risolve prima il problema reintegrando. Questa è la “delirante verità della giustizia italiana”.

Perché si invocano sempre nuove norme quando invece queste materie possono essere appannaggio delle parti sociali e delle relazioni industriali?

Il nostro Paese è conservatore e le parti sociali non studiano i processi e l’evoluzione economica e sociale e le varie soluzioni da adottare: prima di tutto dovremmo essere più attenti all’impatto di una norma su altri profili oltre a quello strettamente giuridico. Ci aiuterebbe sicuramente a contestualizzare le norme valutandone l’impatto sociale ed economico. Non è semplicemente la riforma legislativa che cambia il mondo del lavoro, ma che è necessario un cambio di mentalità, delle persone. Per questo è utile valutare anche complessi organizzativi ed economia di un paese per fare le norme e dunque le prassi informali che poi conducono a buone relazioni industriali tra le parti sociali . Ma questo balzo culturale l’Italia delle ”OOSS” ancora nostalgica della concertazione e dei rituali dei tavoloni e tavolini non è pronta economicamente e socialmente a farlo e a cambiare. Ci sono bravi maestri e maestre pronte comunque a dare una mano a settembre e anche dopo a fare da nave scuola ai giovani esploratori. La presunzione della completezza non è mai stata una buona strategia d’azione.

Renzi: l’articolo 18 è un totem ideologico, è giusto riscrivere lo Statuto dei lavoratori.

Renzi: l’articolo 18 è un totem ideologico, è giusto riscrivere lo Statuto dei lavoratori. Mai più soldi pubblici ad Alitalia

di 14 agosto 2014

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Argomenti: Governo | Matteo Renzi | Angelino Alfano |Roma (squadra) | Federcalcio | Rai Tre | Juventus |Champions league | Napoli (squadra)

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«È giusto riscrivere lo statuto dei lavoratori? Sì, lo riscriviamo. E riscrivendolo pensiamo alla ragazza di 25 anni che non può aspettare un bambino perché non ha le garanzie minime. Non parliamo solo dell’articolo 18 che riguarda una discussione tra destra e sinistra. Parliamo di come dare lavoro alle nuove generazioni». Lo ha detto il premier Matteo Renzi, nell’intervista a Millennium in onda questa sera su Raitre. «Oggi l’articolo 18 è assolutamente solo un simbolo, un totem ideologico – ha dichiarato Renzi – proprio per questo trovo inutile stare adesso a discutere se abolirlo o meno. Serve solo ad alimentare il dibattito agostano tra gli addetti ai lavori». Passerà Ferragosto a Palazzo Chigi: «è un buon segno, è il segno che ci sono molti cantieri da far partire e che l’Italia può ritrovare slancio e speranza contro tutti questi profeti del pessimismo: i gufi, gli sciacalli, gli avvoltoi. Ormai potremo farne uno zoo».

Smentisco una nuova manovra
Una nuova manovra? «Lo rismentisco. Noi l’abbiamo già fatta la manovra e abbiamo abbassato le tasse», ha detto il premier. «Nella manovra del prossimo anno ci dovranno essere 16 miliardi di riduzione della spesa per stare dentro il 3%, che noi vogliamo rispettare. Per arrivare a questa cifra di solito lo Stato alza le tasse, ma questo meccanismo non si può continuare». Renzi ha detto che il Paese ha più o meno «ha 800 miliardi di spesa pubblica, 16 miliardi sono il 2%, cioè come 20 euro per una famiglia che guadagna mille euro, il 2% si trova agevolmente, ma il punto è capire dove mettiamo i soldi, perchè su alcune voci come la scuola e gli insegnanti bisogna mettere più soldi, bisogna scommettere. Su questo ci sarà una sorpresa a settembre».

Bonus 80 euro: esiste la possibilità di estenderlo
Gli 80 euro potranno essere estesi? «Non lo so, vediamo. Esiste la possibilità di estenderli. Ribadisco: sicuramente lo manteniamo per chi ce l’ha, vediamo se possiamo estenderlo», ha dichiarato Matteo Renzi.

Mai più soldi pubblici ad Alitalia: serve il coraggio di far fallire i carrozzoni
«È del tutto doveroso» non dare mai più soldi pubblici ad Alitalia. «Ne abbiamo messi talmente tanti di soldi pubblici che sarebbe inaccettabile», ha spiegato il premier Matteo Renzi. Ad Alitalia, ha detto Renzi, «è mancata una capacità di guida manageriale forte».
A chi gli chiede se sia stato «sbagliato dare soldi pubblici» alla compagnia di bandiera, Renzi risponde: «Sì. In alcuni casi bisogna avere il coraggio di far fallire alcune aziende che sono dei carrozzoni. Ma bisogna anche far pagare i manager che hanno buttato via i soldi, invece di dargli i premi di produzione. Le regole ci sono già. Basterebbe applicarle. Il problema è che molto spesso, in Italia, si è preferito far finta di niente».

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come Paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’Unità, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande Paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla  – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.

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Nella loro diversa pesantezza e dimensione, tutti e tre gli eventi hanno un loro aspetto non chiaro (e anzi, misterioso) e stupisce che così tanta parte dei media italiani si prestino a celebrare due degli eventi e a ignorare il terzo.

Nonostante la memoria corta di un mondo su cui piovono Twitter e hashtag come la cenere dopo Hiroshima, credo che si ricorderà la fine del Senato. Perché non se ne conosce la ragione; perché c’erano cose ben più urgenti da fare; perché ha sradicato in modo rozzo e violento i molti legami, ascendenze e conseguenze nellaCostituzione; perché, come ha detto bene, chiaro e al momento giusto, il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani, questa legge porta due firme: quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi. Lo testimonia un’immagine destinata a restare come quelle dei Marines di Iwo Jima: Maria Rosaria Rossi, di casa Berlusconi, abbraccia Maria Elena Boschi, di casa Renzi, con il furore femminile di poche grandi occasioni della vita. La commenta bene, in un desolato e bellissimo testo, su Il Corriere della Sera (7 agosto) Corrado Stajano: “Perché, ci si chiede, discutere della legge fondamentale della Repubblica in modo così affannoso e dilettantesco, con il ritmo di una tappa a cronometro su pista, tra minacce e blandizie?”. Nell’entusiasmo del momento si erano persino dimenticati che Giorgio Napolitano, a un certo momento, avrebbe dovuto diventare senatore a vita. E la Finocchiaro è dovuta correre indietro a inserire un’eccezione per ex presidenti della Repubblica, che restano d’ora in poi i soli senatori a vita. Ma dove? Nel festoso suk di portatori di interessi nominati dalle Regioni.

Intanto Renzi ha chiuso l’Unità. Ma quando mai?, ti direbbero al Nazareno, se ti accogliessero e non temessero che qualcuno gli guardi le carte sul tavolo. L’Unità, ti direbbero, ha finito la corsa, punto e basta. Svelto com’è, Renzi non ha neanche perduto tempo a verificare se e come l’organo del Partito Democratico svolge il suo ruolo. Sì, qualche volta avrà notato con la coda dell’occhio, che non era tutto scritto da lui, che non c’entrava, neppure dopo anni di Ds e poi di Pd remissivo e sempre pronto a qualche pacificazione, con la nuova vita insieme, lui e Berlusconi, Berlusconi e lui.>

Non tutti cambiano radicalmente in una o due assemblee, come i membri di direzione del suo partito. Dopo tutto quel giornale ha mai aperto con grande foto del sorriso fisso sulla non realtà della Boschi o della incompetente e dannosa gentilezza della Madia? Diciamo la verità: il giornale stava nei ranghi ma non lo aveva ancora portato in trionfo. E poi, a certe scadenze, veniva fuori con certi ricordi e immagini e voci di cui non senti il bisogno, mentre condividi questa nuova Italia rinnovata e pacificata con Berlusconi. Intanto se i competenti del mondo fanno notare le tue disattenzioni economiche e il rischio grave dell’Italia, sei già circondato di “grandi giornali” italiani detti indipendenti che si occupano di non dirlo. Infine deve avere notato che nessuno, anche tra i più miti redattori dell’Unità, era mai stato boy scout. Renzi ha imparato solo la prima parte del celebre motto: “Tutti per uno”. È svelto, e passa subito alla conclusione: chiudere, e farla finita, come gli dice Verdini da un pezzo, con la paccottiglia comunista.

La Fiat, che era l’immagine dell’Italia industriale nel mondo e il punto di riferimento per l’industria italiana (se lo fa la Fiat, come fa la Fiat…) si è sfilata con agilità dalle tasse (paga a Londra), dai legami con l’Italia (ha sede amministrativa e legale in Olanda) e dalla produzione (che ha luogo alla periferia di Detroit). Di fronte a un evento di tale enormità i politici non c’erano, non al Parlamento di una o due Camere, non al governo. Renzi lavorava a cambiare verso, a cambiare l’Italia, a forgiare le riforme che tracciano qualche solco ma non si sa per dove.

Anche perché gli hanno portato a Palazzo Chigi tre immensi gipponi, che sarebbero destinati alla produzione italiana (famosa nel mondo per la Cinquecento, ricordate?). Ma la produzione italiana non esiste. Piani, progetti e investimenti sono stati tenuti fermi. E gli operai della Fiat, noti nel mondo per il loro lavoro, ora sopravvivono in buon numero con la cassa integrazione di questa Repubblica, mentre la Casa Tudor-Marchionne paga al governo inglese. Renzi? Per lui va bene. Il Paese gli sembra più fresco, più giovane. Senza Fiat, senza Unità, senza Senato, lui ci ha riportati come bambini al mattino di una giornata che ci promette bellissima. Se righiamo dritto, senza ostruzionismi e senza menarla sulla Costituzione.

BILDERBERG 2014, SEGRETEZZA E MECCANISMO DI DOMINIO DEL CAPITALE

BILDERBERG 2014, SEGRETEZZA E MECCANISMO DI DOMINIO DEL CAPITALE

 

di Domenico Moro

 

da Greenreport 29 giugno 2014

 

Quest’anno il consueto incontro del Gruppo Bilderberg si è tenuto a Copenaghen tra il 29 maggio e il 1° giugno. In Italia rispetto all’anno scorso, almeno tra i mass media, è stata data meno attenzione all’evento, forse perché, a differenza di Monti e di Letta, Renzi non è mai stato ospite né dirigente del Bilderberg. È un peccato, perché l’influenza del Bilderberg sui governi europei va ben al di là della partecipazione diretta di loro esponenti e anche quest’anno il Bilderberg si rivela essere un consesso all’altezza della sua fama, riunendo una fetta importante dell’“élite del potere”, come direbbe Wright Mills. Una élite che, però, è internazionale e non solamente statunitense come quella studiata dal sociologo USA negli anni ’50. Quest’anno si riscontra una più massiccia presenza di scandinavi e la rappresentanza italiana è un po’ più piccola, ma sempre di altissimo livello: Mario Monti, Franco Bernabé, John Elkan e Monica Maggioni.

Il Bilderberg è l’organizzazione più famosa del capitale occidentale e transatlantico. Essendo il corrispettivo della NATO sul piano economico e politico, il Bilderberg riunisce alcune tra le più importanti personalità di USA, Canada, Europa occidentale e Turchia.

Del resto, nasce nel 1954 per contrastare la diffusione del comunismo dopo la fine della seconda guerra mondiale e per rafforzare l’integrazione economica e politica tra Europa occidentale e USA, su cui doveva fondarsi la ricostruzione del mercato mondiale capitalistico. Col tempo e nonostante il dissolvimento dell’URSS il suo ruolo di luogo di incontro delle élite occidentali si è rafforzato (come ha fatto la NATO), a causa dei processi di integrazione e mondializzazione del capitalismo, sempre però nell’ottica di mantenere l’egemonia dell’asse atlantico, basato sull’alleanza USA-Europa occidentale.

Anche quest’anno, come sempre, i contenuti delle discussioni sono stati secretati, per permettere agli intervenuti di esprimersi senza remore, almeno a detta del sito ufficiale del Bilderberg. Quello che sappiamo è che sono stati discussi temi centrali per la vita di milioni di persone: la sostenibilità della ripresa economica, il futuro della democrazia e la decadenza del ceto medio, i prossimi passi che l’Europa deve intraprendere, la nuova architettura del Medio Oriente, l’Ucraina, la possibilità di rispettare la privacy, la condivisione delle informazioni dell’intelligence, chi pagherà per l’incremento demografico, ecc. Ad essere grave non è solo la segretezza della discussione, ma che al rispetto di tale segretezza siano tenuti politici di vertice, capi di partito e membri dei parlamenti, ministri dei governi, dirigenti delle banche centrali e della BCE e membri della Commissione Europea. Lascia quantomeno interdetti che uomini con responsabilità pubbliche enormi incontrino uomini a capo di imperi finanziari e industriali privati, senza che chi li ha eletti possa essere informato né delle conclusioni e né degli indirizzi che risultano dalle loro discussioni su temi di grande centralità.

Si tratta di una preoccupazione tutt’altro che oziosa, perché gli indirizzi emersi nel corso delle discussioni del Bilderberg spesso hanno trovato attuazione nella pratica, come dimostrano i rapporti di alcuni incontri del passato che sono stati decrittati da Wikileaks e di cui ho pubblicato ampie sintesi in italiano nella seconda edizione del mio “Il Gruppo Bilderberg. L’élite del potere mondiale”. Ad esempio, nella conferenza di Buxton nel 1958 si affermava:

“Uno dei maggiori problemi con i quali la Comunità Economica Europea si confronta è quello del coordinamento delle politiche monetarie. Come uno dei partecipanti ha puntualizzato, l’integrazione dei Sei richiede il coordinamento in tutti i campi delle politiche economiche. (…) Qui sta, ad ogni modo, la più grande debolezza del Trattato. La politica monetaria è strettamente legata ai bilanci nazionali e la disciplina di bilancio è notoriamente difficile da raggiungere. I ministri delle finanze sono di solito più ragionevoli e potrebbero occasionalmente accettare pressioni esterne ma è molto più difficile convincere i parlamenti nazionali. Lo speaker dubita che a lungo termine il problema potrebbe essere risolto con successo senza un appropriato meccanismo istituzionale. Questo punto è trattato da un altro partecipante che guarda ad una valuta comune come ad una soluzione definitiva”.

Oltre al riferimento alla possibilità di esercitare “pressioni esterne” sui ministri delle finanze e a termini ora divenuti di uso comune come “disciplina di bilancio” e “coordinamento delle politiche di bilancio”, impressiona il fatto che già nel 1958 si delineava quella strategia di integrazione economica e valutaria che ha trovato piena attuazione nell’Europa attuale. Infatti la definizione di nuovi meccanismi istituzionali, legati alla UE e all’euro, è oggi evidente strumento per piegare i parlamenti nazionali alla disciplina di bilancio e a quanto ne consegue, cioè alla riduzione della spesa sociale, alle privatizzazioni, ecc. Un altro esempio si riscontra a Bad Aachen nel 1980, dove è anticipato il principio di autonomia della Banca centrale, che troverà applicazione appena un anno dopo nel divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, voluto dal governatore Ciampi e dal ministro Andreatta (presente all’incontro di Princeton nel 1978), e soprattutto nello statuto della BCE (i cui due ultimi presidenti, Trichet e Draghi, spesso hanno partecipato al Bilderberg), per definizione indipendente da qualsiasi controllo democratico: “Il maggior onere di una politica economica diretta verso la stabilità ricadrà sulla politica monetaria, che richiederà un più alto grado di autonomia per le banche centrali in altri Paesi europei”.

Ma le tematiche che risultano dai rapporti di Wikileaks non riguardano soltanto le linee di politica economica. Attraverso i rapporti del Bilderberg è possibile ripercorrere i punti salienti della storia dei rapporti tra le potenze europee e tra queste e gli USA, specie riguardo all’unità europea e all’approccio dell’imperialismo occidentale nei confronti dei Paesi del terzo mondo (in particolare quelli ricchi di materie prime energetiche). Infatti, nei rapporti si evidenzia molto chiaramente l’interesse USA a favorire l’unità europea in modo da avere il sostegno di un unico e affidabile interlocutore. A Saltsjöbaden nel 1962 e più ancora nel 1963 a Cannes, gli USA insistono affinché nel processo di unificazione europea sia compresa la Gran Bretagna, con cui hanno sempre avuto una “relazione speciale”, e siano mandati a vuoto i tentativi del presidente francese De Gaulle di realizzare una Europa “terza forza” tra USA e URSS, anche sul piano delle armi nucleari. Queste testimonianze di una serrata dialettica interna dimostrano insieme l’esistenza di rivalità tra le potenze imperialistiche occidentali e la natura del Bilderberg come camera di compensazione di tali contraddizioni.

La segretezza tipica del Bilderberg è tesa a nascondere che l’origine delle linee politiche strategiche nasce al di fuori degli organismi eletti, ufficialmente e formalmente deputati a prendere decisioni pubbliche, ma non impedisce che i concetti discussi all’interno del Bilderberg trovino diffusione fra la cosiddetta opinione pubblica. Infatti, la presenza di giornalisti opinion maker e di proprietari di grandi gruppi del settore dei mass media serve allo scopo di preparare il terreno fra l’opinione pubblica all’accettazione di certe linee strategiche. Non a caso quello dei mass media è uno dei settori di attività più rappresentati nel Bilderberg. Su 136 partecipanti a Copenaghen, troviamo 13 appartenenti al settore, tra cui Monica Maggioni, direttore di Rainews24, e rappresentanti di network televisivi importanti e di testate giornalistiche come Le Monde, El País, Financial Times, The Economist, ecc.

A parte i media, il nucleo decisivo del meccanismo di definizione e di implementazione di linee politiche coerenti con gli interessi del capitale transnazionale risiede nella integrazione tra mondo economico e politico, mediata dal mondo accademico. Infatti, a Copenaghen troviamo 58 esponenti del mondo economico, di cui 35 di imprese non finanziarie e 23 di banche, assicurazioni e fondi d’investimento, 32 politici e 29 esponenti di università e think tank (i pensatoi finanziati dalle corporation). Tra gli esponenti del mondo economico troviamo i capi di alcune delle più importanti imprese transnazionali dei settori più strategici dall’energia alla manifattura a internet, come FIAT, Airbus, Alcoa, Google, Microsoft, BP, Royal Dutch Shell, Novartis, ecc. e di fondi d’investimento e banche globali come Deutsche Bank, Goldman Sachs, ABN-AMRO Bank. Tra i politici ci sono esponenti importanti di quasi tutti i governi dei Paesi partecipanti, come il ministro del Tesoro britannico, i ministri degli Esteri spagnolo e svedese, il ministro degli Affari Economici danese, il segretario di Stato francese al Commercio Estero, oltre a politici sovranazionali, come Rasmussen, segretario generale della NATO, Viviane Reding, commissario europeo alla Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, e il turco Ahmet Üzümcü, direttore generale dell’Organizzazione per il controllo delle armi chimiche. A metà strada tra politica e finanza troviamo anche esponenti delle banche centrali, come il presidente della banca centrale greca, il governatore della banca centrale canadese, un membro del consiglio d’amministrazione della BCE e il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde.

Una particolare menzione va fatta quest’anno alla presenza di ben quattro importanti personalità provenienti dal settore militare e dell’intelligence, a riprova della connessione tra vertici dell’economia e apparati di sicurezza dello Stato. Si tratta degli statunitensi Philippe Breedlove, capo militare della NATO, David Petreus, già capo della truppe USA in Medio Oriente ed ex direttore della CIA, e Keith B. Alexander, già a capo dello US Cyber Command (il settore del Pentagono addetto alla guerra elettronica) e della National Security Agency (l’agenzia che coordina tutti i servizi di intelligence USA), e del britannico John Sawers, capo dell’MI6, il celeberrimo servizio segreto di Sua Maestà. A questi si aggiunge Alex Karp, presente anche all’edizione del 2013 e fondatore e amministratore delegato di Palantir, una società finanziata dalla CIA che sviluppa software per l’intelligence. Petreus è oggi un dirigente di KKR, un fondo d’investimento USA diretto da Henry Kravis (una vecchia conoscenza del Bilderberg), e si è incontrato di recente al Four Season di Firenze con diversi esponenti del governo Renzi, in particolare con Fabrizio Pagani, ex direttore dell’OCSE e ora capo della segreteria tecnica del ministro del Tesoro Padoan, per contro del quale sta seguendo la partita delle privatizzazioni. Una dimostrazione del legame esistente tra i governi italiani, supportati e diretti dal PD, con il capitale transnazionale, come dimostra anche la presenza al Bilderberg di Letta nel 2012 e Monti prima e dopo il suo incarico di premier.

Pure da menzionare è la presenza di due cinesi, unici non occidentali presenti all’incontro e probabilmente invitati a discutere sullo scenario economico e politico cinese, uno dei temi in agenda. Si tratta del professore di economia dell’Università di Pechino Huang Yiping e del ministro Liu He. Liu He, che ha ottenuto un master ad Harward, dirige l’ufficio degli affari economici e finanziari della Repubblica Popolare Cinese ed è vicedirettore della Commissione per lo sviluppo e le riforme. Questa non è la prima volta al Bilderberg per dei cinesi né per un politico cinese, visto che il viceministro degli Esteri cinese, Fu Ying, era stato presente a due degli ultimi incontri. Si tratta di una dimostrazione del rapporto che esiste tra alcuni esponenti dell’élite cinese ed il capitale transnazionale occidentale, nonostante la conflittualità esistente tra Cina e USA.

Il Bilderberg non è una setta segreta, agente di una congiura internazionale, come certa vulgata complottistica pretenderebbe. Il Bilderberg è qualcosa di più serio: è una tipica organizzazione del capitale nella sua fase transnazionale, insieme ad altre organizzazioni, come l’Aspen Institute e la Commissione Trilaterale. Obiettivo dei democratici europei dovrebbe essere l’analisi scientifica di queste organizzazioni, attraverso la spiegazione del loro ruolo nei meccanismi di costruzione del consenso e di implementazione dei principi del neoliberismo, dalla deregolamentazione del mercato del lavoro alle privatizzazioni all’abbattimento del welfare state, ecc. La connessione diretta, in queste sedi di confronto e discussione, con chi fa informazione e chi opera nelle riproduzione delle idee e soprattutto con qualificati esponenti governativi e di organismi sovranazionali permette a imprese e banche globali di avere una influenza diretta sulla elaborazione delle politiche degli Stati occidentali. Al di sopra della corruzione dei politici che giornalmente trova spazio sui mass media, c’è un’altra corruzione, più nascosta ma con effetti molto più pesanti sulla vita dei cittadini europei, quella del processo di definizione e controllo delle decisioni generali, che vengono subordinate agli interessi particolari di una ristrettissima minoranza.