Ansia da public speaking: cinque consigli per superarla

Ansia da public speaking: cinque consigli per superarla

Parlare in pubblico può rappresentare un vero e proprio „blocco” per molte èersone. Ecco cinque consigli della psicoterapeuta Rosa Riccio, del Centro di psicoterapia Corvetto di Milano.

a cura di Silvia Sperandio

Parlare in pubblico, che ansia!

Parlare in pubblico, che ansia!

a cura di 14 maggio 2014Commenti (1)

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Argomenti: Qualità dei prodotti e servizi | Rosa Riccio

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Cosa penseranno di me? Come mi giudicheranno? E che succede se sbaglio? Sono solo alcune domande che si affacciano alla mente quando, per qualche motivo, dobbiamo parlare di fronte a più persone. Parlare in pubblico può rappresentare un vero e proprio “blocco” per molti: donne e uomini, giovani e anziani…

L’ansia interessa molti: dallo studente universitario al manager 
«Riunioni, meeting, presentazioni: oggi più che mai nel nostro lavoro di psicoterapeuti ci capita di incontrare utenti che incontrano grosse difficoltà quando devono esporsi in pubblico», conferma Rosa Riccio, psicoterapeuta dello Studio Psicologico Corvetto di Milano. «Spesso si tratta di persone che non hanno mai avuto bisogno dell’aiuto di uno psicoterapeuta per affrontare i propri problemi, ma, a un certo punto, hanno la sensazione di scontrarsi con un ostacolo più grande».

Una cosa dunque è certa: esporsi in pubblico, sia davanti a una folta platea, che di fronte a un gruppo più ristretto, costituisce una situazione di stress. Certo, è una questione di intensità. In genere, lo stress è minore per chi è avvezzo al public speaking, mentre cresce per i neofiti.

A volte, spiega l’esperta, le persone sono preoccupate all’idea di parlare in pubblico semplicemente perché non sono abituate a farlo.
Così come le prime volte che guidiamo un’automobile siamo un pò più in tensione e abbiamo paura che qualcosa possa andare storto, ma poi man mano che acquisiamo destrezza cominciamo anche a provare piacere nel guidare…
Allo stesso modo, chi è costretto per ragioni lavorative a presentare, discutere, rendicontare davanti ad altri può inizialmente provare quell’ansia tipica di tutti coloro che si confrontano con qualcosa di nuovo. Poi, quando l’attività del parlare in pubblico diventa costante, probabilmente il livello di ansia diventerà più sopportabile.
Del resto, anche un attore prima di salire sul palco si sente molto agitato ma quell’agitazione non gli impedisce di riuscire a recitare.

Ansia anticipatoria, ecco il problema
Altre volte, invece, l’ansia sembra non andare via nemmeno con la “pratica”. In questi casi, il più delle volte, si innescano i meccanismi tipici di quella che comunemente viene definita ansia da “prestazione” o ansia anticipatoria.
«L’ansia che proviamo prima di una prestazione di per sé non è affatto negativa, è una reazione psicofisiologica che ci permette di incanalare nella giusta direzione le nostre energie fisiche e mentali – spiega Rosa Riccio -. Con un’intensità contenuta, l’ansia ci è dunque utile prima di una prestazione proprio per far andar bene le cose».
Quando oltrepassa una certa soglia, invece, l’ansia peggiora la qualità della nostra prestazione e in definitiva ci fa stare male: è ovvio che si tratti di una soglia molto soggettiva.

I “pensieri – tipo” associati al public speaking
L’ansia che più spesso si associa al parlare in pubblico si può tradurre in pensieri come questi: “Il mio discorso non sarà perfettamente comprensibile, gli altri non capiranno o si disinteresseranno, diventerò tutto rosso e gli altri si accorgeranno che sono in ansia, gesticolerò troppo e gli altri penseranno che non sono un bravo comunicatore, si faranno una brutta opinione di me, questa prestazione negativa condizionerà la mia carriera, ecc”.

Temere il giudizio degli altri, ecco la paura principale
Parlare in pubblico è di per sé ansiogeno proprio in quanto rappresenta una situazione nella quale siamo più esposti al giudizio degli altri.
Il problema insorge, in particolare, quando abbiamo davanti un pubblico numeroso e costituito da persone poco conosciute. Non abbiamo certezza che gli altri si formeranno di noi un’immagine positiva, e in questo caso, come sempre accade, a giocare un ruolo importantissimo saranno due elementi: da un lato le aspettative (positive o negative) che abbiamo nei confronti degli altri (e del loro giudizio), e dall’altro, soprattutto, l’idea che abbiamo di noi stessi come persone capaci (o incapaci) e competenti (o incompetenti).

Non facciamoci condizionare da noi stessi
In altre parole, quando non abbiamo molti elementi per prevedere come gli altri ci giudicheranno, ci rifacciamo a quelli che sono i nostri consueti schemi mentali.
Se, nonostante i successi, i risultati positivi che ho ottenuto nella mia vita e i riconoscimenti che ho avuto, io non sono perfettamente soddisfatto di me, ma mi vedo come una persona non del tutto adeguata, probabilmente mi aspetterò che gli altri prima o poi se ne accorgano e dunque potrei fare più fatica ad affrontare le occasioni di public speaking.

Non solo: se l’idea che ho di me non è del tutto soddisfacente, farò molta più fatica a digerire l’insuccesso rappresentato da un’esposizione in pubblico non perfettamente riuscita e (ecco il circolo vizioso) la volta successiva sarò ancora più in ansia.
«Nel lavoro terapeutico con le persone che hanno difficoltà a parlare in pubblico – spiega la psicoterapeuta Rosa Riccio – è dunque centrale approfondire gli schemi e le credenze che i pazienti hanno su sè stessi e sugli altri, comprendere a fondo qual è l’origine di questi schemi così da “disimpararli” e “impararne” di nuovi. Altrettanto centrale è trovare dei modi per gestire la paura del pubblico prima, durante e dopo».

Quanto sarà la pensione dei precari?

Quanto sarà la pensione dei precari?

Altro che sussidio da fame: il pericolo è che molti rischiano di non riceverlo affatto

 

Chi teme che i precari rischino di trovarsi con una pensione da fame sbaglia: il pericolo più concreto è che molti non la ricevano affatto. E’ una situazione allarmante quella che si trovano a vivere – a loro insaputa – i lavoratori parasubordinati, gli impiegati a termine, quelli che non hanno mai visto un contratto che non porti una data di scadenza. 

Poco importa se hanno sempre lavorato: gli eterni precari pagano contributi, in poche parole, affinché l’Inps possa a sua volta dare pensione a chi la maturerà. E non è detto che i parasubordinati ci rientrino. Resta così un’incognita sapere, con esattezza, quanto potrà percepire di pensione un precario. Anche perché non è possibile simulare sul sito dell’istituto di previdenza quale dovrebbe essere la sua pensione; cosa che possono invece fare i lavoratori dipendenti.

Il motivo lo spiegò con una dichiarazione choc il presidente nazionale Antonio Mastrapasqua: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Qualcuno, però, ha provato a stimare la cifra. I risultati sono sconfortanti, al punto da far sembrare la cosiddetta “minima” quasi un privilegio. In uno studio del Cerp di Torino (Center for Research on Pensions and Welfare Politics) si parla infatti di una pensione, di un uomo con un’età di pensionamento di 65 anni, che ha iniziato a lavorare a 25 anni, pari a 8.314 euro lordi all’anno.

Alle stesse condizioni una donna non supera i 5.300 euro lordi annui: poco più di 400 euro al mese. Rigorosamente lordi. Stando sempre alla ricerca del Cerp, una donna che ha studiato e non ha trovato subito un posto di lavoro, ma da precaria è sempre stata impiegata da 30 anni (è l’età presa come riferimento), anche se ha 35 anni di attività alle spalle otterrà una pensione di 4.695 euro l’anno, pari a 391,25 euro lordi al mese. I dati sono estremamente variabili visto che la situazione economica può cambiare le carte in tavola e nel tempo i numeri potrebbero ulteriormente assottigliarsi.

La situazione resta confusa, visto che l’Inps non fornisce dati certi. Di sicuro, però, c’è il pericolo di restare, in alcuni casi, anche senza pensione. Se il precario ha alle spalle lunghi periodi di disoccupazione alternati a contratti saltuari, e versa contributi in modo non continuativo, la pensione sarà ridotta all’osso.

Incide non poco il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima, infatti, l’importo della pensione era calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti è calcolato solo sulla base dei contributi effettivamente versati. Che per un lavoratore subordinato sono ben pochi. I collaboratori a progetto, inoltre, sono tenuti a versare direttamente i propri contributi in rapporto al fatturato. Dove vanno a finire? Nel Fondo Gestione Separata dell’Inps, in cui confluiscono i contributi di tutti i titolari di partite Iva non iscritti a particolari albi professionali.

Nel grande salvadanaio vengono raccolti ogni anno la bellezza di 8 miliardi di euro. Ma ad attingere non saranno i precari, gli atipici e i subordinati in genere per la loro pensione di domani. Quei soldi servono infatti a tenere i conti a posto e a pagare i pensionati di oggi. Scendiamo nel dettaglio: simulando la situazione di un lavoratore da sempre precario, che due anni fa ha maturato l’età per la pensione, i dati sono inquietanti.

Secondo quanto riportato dal blog “Informazioni per tutti”, un 66enne che ha versato contributi per 25 anni (valutando una media di retribuzione annua di 12mila euro) andrà a prendere poco più di 300 euro lordi mensili. Il calcolo è presto fatto: 12mila euro (x 26%, percentuale attuale contributiva) fa  3.120 euro. Questa somma, moltiplicata per 25 anni, dà un totale di 78mila euro che, x 5,432%, fanno 4.237 euro lordi annui (cifra arrotondata in eccesso). I 4.237 euro in questione, divisi per 13 mensilità, portano appunto al raggiungimento di 326 euro lordi mensili di pensione. Che sia una miseria, dopo 25 anni di contributi pagati regolarmente, è dire poco.

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114%) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati. Per la Cgia di Mestre il debito della Pa nei confronti delle imprese è di circa 120 miliardi.
A darne conto è il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, che ha stimato questo importo dopo aver letto i risultati emersi da un’indagine campionaria presentata nel marzo scorso dalla Banca d’Italia in un’audizione parlamentare.
Secondo i ricercatori di via Nazionale, il debito della pubblica amministrazione è pari a 91 miliardi di euro. Una cifra che, ormai, viene presa come riferimento da tutti gli osservatori ogni qual volta si dimensiona l’ammontare complessivo dei crediti che le aziende vantano nei confronti del settore pubblico
“Si tratta di una foto scattata il 31-12-2011, ovvero più di un anno e mezzo fa – spiega Bortolussi – nella quale non sono comprese le aziende con meno di 20 addetti che sono il 98% del totale delle imprese italiane.
Nella ricerca, inoltre, non sono state coinvolte le imprese che operano nella sanità e dei servizi sociali dove, storicamente, si annidano i ritardi di pagamento più eclatanti. Alla luce di questi elementi, riteniamo che l’ammontare dei debiti scaduti stimato dalla Banca d’Italia sia sottodimensionato di circa 30 mld”.
Sia chiaro, rileva la Cgia, non è in discussione il rigore scientifico dell’indagine realizzata dalla Banca d’ Italia: nelle note metodologiche i ricercatori di via Nazionale hanno messo in evidenza tutti i limiti della ricerca. Chi dovrebbe preoccuparsi a dimensionare il debito dovrebbe essere lo Stato che, invece, si è dato tempo fino a settembre per calcolarlo.
Per Bortolussi “sarebbe ingeneroso prendersela con chi ci governa. Il mancato pagamento dei debiti è un problema che parte da lontano. Anzi, dobbiamo ringraziare il Governo Monti e quello di Letta per aver messo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica questa anomalia tutta italiana. Tuttavia, bisogna accelerare i tempi di pagamento, altrimenti con soli 20 mld di euro a disposizione annui, questi 120 mld di debito saranno onorati non prima del 2018″.
Se si analizzano gli effetti economici dei mancati pagamenti, si scopre che dall’inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15.000 imprese. I risultati a cui è giunta la Cgia nascono da alcune osservazioni realizzate da Intrum Justitia secondo la quale, il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti.
Tenendo presente che l’Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pa e le imprese nonché nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012.
Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti nel lustro preso in esame, la Cgia stima che 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti. Per Bortolussi “oltre ai ritardi nei pagamenti, hanno concorso sicuramente alla chiusura di queste attività anche gli effetti nefasti della crisi , come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito che ha caratterizzato l’azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese”.
Pur continuando ad essere il peggior pagatore d’Europa, in questi primi mesi del 2013 lo Stato italiano e le sue Autonomie locali hanno ridotto di 10 giorni i tempi di pagamento verso i propri fornitori. Se nel 2012 le fatture venivano saldate mediamente dopo 180 giorni, quest’anno, stando all’elaborazione Cgia su dati di Intrum Justitia, i fornitori devono attendere 10 giorni in meno, cioè 170.
Solo la Grecia, che nella graduatoria generale è al penultimo posto, ha fatto meglio di noi: per l’ anno in corso ha accorciato i tempi di pagamento di 15 giorni. “Vuoi per gli effetti della nuova legge nazionale entrata in vigore dal primo gennaio di quest’anno che ha recepito la Direttiva europea contro i ritardi dei pagamenti, vuoi perché nel Paese si è diffusa una certa sensibilità nei confronti di questo problema – conclude Bortolussi – sta di fatto che la Pa italiana paga i propri fornitori con maggiore celerità. Questa è un’inversione di tendenza importante, ma non ancora sufficiente, visto che rimaniamo fanalino di coda a livello europeo. Se in questo ambito le Pa di Grecia e di Cipro continuano ad essere più efficienti della nostra, vuol dire che il lavoro da fare è ancora molto”.

Fondi pensione, da inizio 2013 i mercati premiano i previdenti

Fondi pensione, da inizio 2013 i mercati premiano i previdenti

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Argomenti: Previdenza complementare | Milano Assicurazioni | Borsa Valori

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Fondi pensione, da inizio 2013 i mercati premiano i prudenti - Tutto sulla previdenza integrativa

Osservare i rendimenti dei fondi pensione di uno o due trimestri è un po’ come il calcio d’agosto: conta davvero poco ai fini del risultato finale delle grandi competizioni di stagione. Eppure possono fornire indicazioni utili di periodo per, se è il caso, aggiustare il tiro sul percorso di lungo termine. Le prime indicazioni che arrivano sulle performance dei fondi pensione da inizio 2013 registrano un rendimento medio dell’1,6% mentre tra i fondi di categoria si stima una crescita vicina all’1,4%, leggermente sopra le stime sul tasso di rivalutazione del Tfr, vicino all’1,3%. Ma al di là delle media è interessante notare quali comparti sono andati meglio in questo breve periodo.

Il rischio batte la prudenza 
L’andamento dei mercati finanziari ha premiato soprattutto le linee azionarie, cresciute tra gli aperti del 4,9% con punte del 9,5% per Arca, davanti a UniCredit (+9,2%); ci sono anche risultati meno soddisfacenti in questa sezione con i +0,6% di Fondiaria e Milano Assicurazioni. Complessivamente un risultato confortante, quello ottenuto dai gestori dei fondi pensione, visto che include la sensibile frenata del mercato azionario internazionale registrata a fine giugno. I comparti più prudenti dei fondi pensione aperti hanno fatto registrare andamenti molto più piatti, con la maggioranza in territorio negativo: in testa c’è Arca con il +1,3% mentre in coda troviamo Toro con -1,74%. Segno che la “prudenza” ha pagato poco o, per meglio dire, l’andamento del mercato obbligazionario è stato meno positivo almeno rispetto allo scorso anno, quando il rally dei titoli di Stato europei – italiani in particolare – si è tradotto in rialzi a doppia cifra per i fondi pensione che nei BTp, in particolare, investono una porzione considerevole del proprio portafoglio.

 
 

Il medio termine e il “money weighted” 
Più sfaccettati i risultati a medio termine: se a uno e tre anni i fondi pensione aperti registrano rendimenti medi superiori rispettivamente al 7 e all’11%, a partire dal 2007 le performance sono ancor più a macchia di leopardo: l’esplosione della crisi ha messo a dura prova le gestioni, sia quelle a maggior componente azionaria che quelle più esposte ai bond, con un rendimento medio che si attesta in ogni caso vicino a un +11%. Da segnalare tuttavia che queste performance sono analizzate secondo il criterio del “time weighted“, basato cioè sulla differenza nel tempo dei valori quota del fondo. Se invece si utilizza la modalità “money weighted” i risultati sono differenti: confrontando quanto versato periodicamente con quanto ammonta il saldo complessivo di periodo, chi ha destinato Tfr e contributi volontari alla previdenza complementare ottiene un rendimento ben superiore, analogamente a quanto accade in un piano di accumulo di capitale (Pac). Solo nel 2008 il confronto sarebbe stato premiante la rivalutazione del trattamente di fine rapporto rispetto alla performance dei fondi pensione, mentre in ogni altra fase le pensioni di scorta hanno ottenuto risultati superiori di chi ha versato il proprio Tfr allo Stato (se attivo in aziende con almeno 50 addetti) o al proprio datore di lavoro. Da ricordare che se si destina oltre al Tfr un contributo volontario anche minimo, il datore di lavoro versa periodicamente nella sua posizione una quota definita dal contratto nazionale di lavoro, mediamente l’1,5%.

I big dei negoziali 
Il trend positivo di questa prima metà del 2013 è confermato anche dai primi risultati relativi ai fondi pensione di categoria più importanti: per Fonchim (chimici) il comparto bilanciato Stabilità, cui sono iscritti oltre 135mila lavoratori, da inizio anno si registra un +1,33%; il comparto Crescita, con una componente azionaria maggiore, sale del 3,6% mentre il Garantito è invariato. Risultati positivi anche per Cometa (metalmeccanici) il comparto Monetario Plus, cui sono iscritti 180mila “previdenti”, sale dello 0,5% mentre il Reddito – 170mila iscritti – segna un +0,15%; meglio le altre due linee: il comparto garantito Sicurezza sale dell’1,3% mentre il Crescita – dove le azioni possono raggiungere la metà del portafoglio – registra un +2,4%. Da ricordare che azioni e obbligazioni governative europee sono gli ingredienti quasi esclusivi del portafoglio degli strumenti previdenziali di secondo pilastro. Una revisione dei criteri e limiti di investimenti è alle porte: prossimamente i fondi pensione potranno investire entro limiti determinati anche in paesi emergenti, in fondi coperti (hedge) e in strumenti immobiliari. L’obiettivo di rendere più ampio l'”universo investibile” è quello di diversificare meglio i portafogli, riducendo di conseguenza il rischio e rendendo le gestioni più stabili.

Saviano: “Sole le mafie puntano sui giovani”

Saviano: “Sole le mafie puntano sui giovani”

Di  | il 4 luglio 2013 | Lascia un commento

 

“Le uniche organizzazioni che in Italia puntano sui giovani sono le mafie”. Lo ha dettoRoberto Saviano nella serata di chiusura del ‘Festival Letterature’, ieri sera alla Basilica di Massenzio
parlando di “storie di informazione indipendente”.

Alla serata era presente il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e l’assessore alla Cultura,Flavia Barca.

“La cultura è per noi al primo posto. Il comune investirà di più” ha detto Marino, ricordando che solo in questa edizione del festival sono state 20 mila le persone che hanno partecipato alla manifestazione. Nel suo lungo intervento accompagnato dalla colonna sonora dal vivo degli Almamegretta, Saviano parlando delle mafie e degli investimenti immobiliari ha fatto riferimento a “un’intercettazione telefonica della soubrette Michela Cerea che parlava con un imprenditore legato alla ‘ndrangheta nella quale si faceva riferimento al segretario di Daniela Santanche’ e da cui si è saputo che lei avrebbe avuto un ministero a settembre”.

Uno dei motivi per cui Roma è una delle città più care per gli immobili è perché le organizzazioni investono qui” ha sottolineato Saviano. La serata si è aperta con una “riflessione imposta dalla cronaca” ha detto l’autore di ‘Gomorra’, facendo riferimento a una dichiarazione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, secondo la quale la maggiore incidenza dei tumori in alcune zone della Campania dipenderebbe anche “dagli stili di vita dei campani”.

“Forse voleva dire altro di una terra che soffre” ha sottolineato Saviano, snocciolando una serie di dati sui rifiuti tossici. “Questi dati non sono stili di vita ma veleni” ha concluso. Poi ha ammesso che “discutere di informazione indipendente è complicatissimo”.

Ha preferito raccontare “cosa significa affrontare il meccanismo dei poteri criminali” ribadendo, come ha fatto più volte, che “non è mai pericoloso chi racconta ma chi legge”. Poi ha precisato che il modo in cui vengono “determinate le politiche dei media importanti non è l’omertà ma la trascuratezza”.

E infine nell’affollatissima Basilica di Massenzio, dove molti sono rimasti in piedi, ha invitato al coraggio che significa “credere ancora in cosa si vuole realizzare. Una cosa davvero fondamentale in questo momento”.

La cultura produce ricchezza, ecco i dati

La cultura produce ricchezza, ecco i dati

Di  | il 6 luglio 2013 | Lascia un commento

 

Ogni euro prodotto da un museo o da un sito archeologico si traduce in altri due euro di ricchezza per il territorio. L’artigianato artistico e le altre industrie creative ne generano ulteriori 2,1. La produzione di un audiovisivo, di un libro o una rappresentazione teatrale altri 1,2. Quindi, investire in cultura conviene.

Lo dimostrano le elaborazioni contenute in ‘Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi‘, il Rapporto realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche, presentato oggi a Macerata.

L’analisi evidenzia che i 4 comparti del sistema produttivo culturale hanno differenti ricadute in termini economici sui territori, che moltiplicano la capacità di generare ricchezza del settore in sé in quanto attivano un circuito virtuoso di produzione di beni e servizi anche in comparti non prettamente culturali. Primo tra tutti il turismo, ma anche commercio, trasporti, attività immobiliari, marketing o pubblicità.

La media dei 4 settori è 1,7 (per ogni euro di valore aggiunto che l’intero sistema produttivo culturale realizza, se ne generano altri 1,7 in prodotti e servizi di varia natura), ma il ‘moltiplicatore’ è compreso tra un massimo del 2,1 generato dalle industrie creative a un minimo dell’1,2 derivante dalle performing art e dalle industrie culturali.

Esattamente a 2, invece, ammonta quello prodotto dalla gestione del patrimonio storico- culturale. In termini monetari, gli 80,8 miliardi di euro di valore aggiunto realizzati da tutti i comparti produttivi che si occupano di cultura (inclusa la componente pubblica e quella non profit) nel 2012 sono riusciti ad attivare quasi 133,4 miliardi di euro, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di 214,2 miliardi di euro, equivalenti al 15,3% del Pil prodotto dall’intera economia italiana.

Statali, al via i primi 7.800 esuberi.

Statali, al via i primi 7.800 esuberi. Entro fine mese la sorte del personale in eccesso

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Statali, al via i primi 7.800 esuberi. Entro fine mese la sorte del personale in eccesso

Manca poco, poi anche la Pubblica amministrazione italiana dovrà prendere provvedimenti per gestire i primi «esuberi» da austerity. Entro fine mese, i ministeri e gli altri rami della Pa centrale dovranno infatti decidere la sorte delle circa 7.800 «eccedenze» (7.400 dipendenti, il resto dirigenti) che hanno individuato nei propri organici dopo il monitoraggio delle forze in campo imposto dalla spending review. Nelle bozze del decreto «Iva-lavoro» era spuntata una proroga, tolta però dal testo finale.

La geografia degli esuberi

 
 

Una fetta importante delle «eccedenze» (3.314) si concentra nell’Inps, che dopo la fusione con Inpdap (l’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici) ed Enpals (spettacolo e sport) ha dovuto rivedere a fondo la propria organizzazione. Un’altra quota quasi equivalente di esuberi (3.236) è invece sparsa nei vari ministeri, e il resto del personale «in eccesso» è stato individuato negli enti pubblici non economici (Aci, Istat e così via) o negli enti di ricerca: una piccola parte aggiuntiva, che chiude il quadro, è invece nei ruoli dell’Enac, l’ente nazionale dell’aviazione civile.

Le misure

L’uscita forzata dagli uffici è solo l’extrema ratio prevista dal decreto del luglio 2012 sulla revisione di spesa, cioè il provvedimento del Governo Monti che ha dato il via all’intera procedura. Prima di tutto, le amministrazioni devono individuare i dipendenti che raggiungerebbero i requisiti previdenziali pre-riforma Fornero entro la fine dell’anno, perché per loro è stata prevista una corsia preferenziale verso il pensionamento. Per gli altri, invece, andranno messi in campo progetti di mobilità, per destinare alle amministrazioni che ne hanno bisogno il personale in «eccesso» negli uffici in cui si trova oggi. L’incrocio di domanda e offerta non è semplice, come mostra il fatto che la mobilità è prevista da molti anni nell’ordinamento del pubblico impiego ma non ha mai avuto successo: questa volta, però, lo spostamento non è volontario. L’alternativa prevista dalla legge è infatti rappresentata da una “mobilità” più dura, che riserva all’interessato l’80% dello stipendio tabellare (escluse quindi le voci aggiuntive, con un taglio effettivo che a seconda dei casi può arrivare anche al 50% dello stipendio) per due anni, entro i quali l’interessato dovrebbe trovare un posto di lavoro in un’altra amministrazione: trascorsi i due anni, la legge prevede nei fatti il licenziamento.

La gestione

Proprio la delicatezza del tema, insieme all’esigenza di trovare un accordo con i sindacati per gestire tutte le eccedenze nel modo più “indolore” possibile, avevano spinto il Governo a ipotizzare un rinvio del termine di fine luglio, ma l’idea non è arrivata al traguardo. Anche per questa ragione, il ministro della Funzione pubblica Gianpiero D’Alia ha deciso di accelerare: «Stiamo lavorando con i sindacati per trovare criteri condivisi – ha spiegato al Messaggero – ma poi bisogna decidere».

Sul territorio

E fuori da Inps e ministeri? Anche le pubbliche amministrazioni territoriali, Regioni, Province e Comuni, hanno nei propri organici la loro quota di «esuberi». O, meglio, l’avrebbero, se i parametri fissati 12 mesi fa per individuare le «eccedenze» fossero stati applicati. Per gli enti locali, per esempio, la legge riserva le stesse misure previste per gli statali «di troppo» quando il Comune o la Provincia supera del 40% il rapporto medio fra dipendenti e popolazione registrato nella stessa fascia demografica. Peccato, però, che nessuno si sia messo a calcolare le medie delle diverse classi dimensionali di enti, e che di conseguenza la norma giaccia in «Gazzetta Ufficiale» senza alcun seguito.

Riorganizzazione ferma

E dire che la Pa territoriale ha forse bisogno di una revisione ancor più radicale di quella imposta a ministeri e dintorni. Le Province, per esempio, vivono da mesi in un limbo che le sta privando progressivamente di organi politici e risorse, trasformandole in scheletri vuoti senza la possibilità di programmare alcunché. Il limbo potrebbe finire martedì, quando la Corte costituzionale è chiamata a valutare la legittimità della “riforma” avviata dal Governo Monti e poi interrotta, ma anche se la Consulta ridesse vita a tutte le Province non cancellerebbe il fatto che tra gli enti il livello di personale è molto eterogeneo, e meriterebbe una rivisitazione.

Ancor peggio va nei 5.700 Comuni italiani che non arrivano fino a 5mila abitanti, e che dovrebbero in questi mesi mettere insieme le proprie funzioni in Unioni a cui affidare la gestione dei servizi fondamentali. Nei primi mesi dell’anno i sindaci avrebbero dovuto avviare il processo con alcune funzioni, per arrivare entro la fine dell’anno alla condivisione totale in Unioni di almeno 10mila abitanti (con soglie un po’ più basse in montagna): ma senza una riorganizzazione del personale, i risparmi legati alla gestione associata rischiano di rimanere quasi tutti sulla carta.

“Lavoro è democrazia” Dopo 10 anni Cgil, Cisl e Uil insieme in piazza a Roma

“Lavoro è democrazia”
Dopo 10 anni Cgil, Cisl e Uil
insieme in piazza a Roma

 

In oltre 100mila sono arrivati nella Capitale, anche con 1.400 pullman e voli aerei e navi ‘speciali’. Angeletti: “Invece di pensare a chi staccherà la spina del governo, tra Pdl e Pd, senza alternative saranno i cortei dei disoccupati a staccare la spina”. Camusso: “Basta chiacchere, fatti”. Bonanni: “Letta sia coraggioso, no bizantismi”

 
Un momento della manifestazione nazionale indetta dai sindacati Cgil, Cisl e Uil 'Lavoro è democrazia' (Ansa)

Un momento della manifestazione nazionale indetta dai sindacati Cgil, Cisl e Uil ‘Lavoro è democrazia’ (Ansa)

 

Roma, 22 giugno 2013  – Due cortei e comizi finali a piazza San Giovanni. E’ la giornata della protesta unitaria a Roma, dopo 10 anni, dei tre sindacati insieme: Cgil, Cisl e Uil. Oltre 100 mila persone in marcia per il lavoro e per un fisco più equo, arrivate nella Capitale anche con 1.400 pullman e voli aerei e navi ‘speciali’ per partecipare alla manifestazione ‘Lavoro è democrazia’. I partecipanti si sono già raccolti a piazza della Repubblica e a piazzale dei Partigiani, per poi percorrere due tragitti distinti e incontrarsi, alla fine, alle 11.30 circa, a piazza di Porta San Giovanni, dove è stato allestito il palco per gli interventi finali, che dovrebbero durare fino alle 13.30.

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Ci saranno i tre segretari generali, Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) per chiedere provvedimenti “urgenti e indispensabili” al Governo.

Per i sindacati non c’è più tempo da perdere, “bisogna frenare la caduta libera dell’economia del nostro Paese” rivedendo immediatamente questioni come gli investimenti, la redistribuzione del reddito e la ripresa dei consumi. Disagi annunciati per la viabilità nelle zone interessate dai cortei, con anche sgomberi dei veicoli lungo i percorsi, strade chiuse e numerose modifiche al tpl già scattate.

ANCHE GLI OPERAI INDESIT: ‘1.424 VOLTE NO’ – Ci sono anche 250 operai degli stabilimenti Indesit Company di Albacina e Melano, partiti da Fabriano con 4 pullman, alla manifestazione unitaria per il lavoro indetta oggi da Cgil, Cisl e Uil a Roma. Sfilano dietro uno striscione con lo slogan della vertenza Indesit: ‘1.425 volte no: la storia siamo noi’. Il richiamo è al piano di ristrutturazione del gruppo elettrodomestico, che ha annunciato 1.425 esuberi nei siti italiani, e la chiusura delle fabbriche di Melano e Teverola (Caserta).

UIL, ANGELETTI: I DISOCCUPATI STACHERANNO LA SPINA  – “Invece di pensare a chi staccherà la spina del governo, tra Pdl e Pd, senza alternative saranno i cortei dei disoccupati a staccare la spina” (VIDEO)”. Lo ha dichiarato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, in piazza Esedra per la manifestazione unitaria dei sindacati confederali.

Il pacchetto lavoro che il Governo si accinge a mettere in campo per far ripartire l’occupazione “da quanto è emerso non sembra gran cosa, così non serve a niente”. “Non mi sembra che sia una cosa che possa avere uno straccio di efficacia – ha aggiunto – ma l’ennesima fuga dalla realtà”.

CAMUSSO: BASTA ANNUNCI, FATTI – Non vanno bene i continui annunci se non si traducono in una scelta che dia un segno di cambiamento” (VIDEO). Lo ha affermato il leader della Cgil, Susanna Camusso, parlando del pacchetto lavoro all’esame del Governo durante la manifestazione unitaria che si sta svolgendo a Roma.

Camusso ha poi ricordato che “abbiamo visto tante occasioni per dire che sul tema del lavoro si possono fare cose anche importanti, che non hanno bisogno di risorse”. Secondo il numero uno della Cgil “il problema è invece se si continua a fare una vecchia discussione sul tema della flessibilità, anche se è ormai dimostrato che non è utile a far ripartire l’economia. Oggi facciamo una manifestazione, vedremo quali risposte arriveranno”.

BONANNI: LETTA SIA CORAGGIOSO, BASTA BIZANTISMI – Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, sollecita il presidente del Consiglio Enrico Letta e il suo esecutivo a indicare una “strada coraggiosa” per dare risposte immediate all’emergenza occupazionale. “Il Governo Letta – ha detto Bonanni nel corso della manifestazione unitaria sul lavoro – deve fare proposte. Vedo che è attraversato da discussioni al suo interno. Noi diciamo basta ai bizantinismi: abbia coraggio e si raccordi con lavori e pensionati. Indichi una strada coraggiosa al paese”.

Bonanni ha poi sottolineato che oggi Cgil, Cisl e Uil sono in piazza “per incentivare la classe dirigente più volenterosa ad andare avanti” perché “altrimenti è un massacro”.

Il numero uno della Cisl ha confermato che “nelle prossime ore” ci sarà un incontro con il Governo e, dunque, prima che il pacchetto lavoro vada all’esame del Cdm. Bonanni ha inoltre sollecitato una “scossa” dei poteri centrale e locali perché ormai “siamo al dunque: bisogna smettere di perdere tempo e avere coraggio di fare cose nuove. A partire dalla vicenda fiscale per dimezzare le tasse sul lavoro e pensioni e sulle imprese che investono perché questo significa rafforzare i consumi e dare una mano all’occupazione”.

EPIFANI, PD A FIANCO DEI SINDACATI  – “Il Pd è al fianco di quest’azione unitaria dei lavoratori, dopo dieci anni, con rispetto e condivisione dell’obiettivo di mettere il lavoro al primo punto e anche per il ruolo dei sindacati in una crisi come questa”. Lo ha detto il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, durante la manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil. “È una giornata importante – ha aggiunto – per questo ho voluto esserci”.

“Stiamo vivendo la più grossa crisi d’Italia e il sindacato in questa fase – osserva Epifani – ha un ruolo fondamentale quale che sia l’opinione che si ha in generale sul sindacato. Il sindacato deve governare una fase difficilissima e bisogna sostenere questa sua funzione di governo dei problemi sociali”.

“Il lavoro si crea con gli investimenti, non certo con le chiacchiere”.  “Il lavoro – osserva – si crea con gli investimenti, favorendo gli investimenti su infrastrutture ed edilizia, favorendo l’occupazione dei giovani riducendo le tasse e i contributi sui giovani ma stabilizzando i loro rapporti di lavoro”.

“Io penso che si debba parlare di lavoro e di occupazione. Far cadere il Governo in una fase così drammatica sarebbe da irresponsabili”.

Camera vuota per l’informativa sul capitano italiano morto in Afghanistan

 
Camera vuota per l’informativa sul capitano italiano morto in Afghanistan

Il ministro Mauro: “Aula vuota, che amarezza”


 

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Il ministro della Difesa Mario Mauro ha aperto la sua informativa sulla morte del capitano La Rosa, caduto in un agguato in Afghanistan, criticando la scarsa presenza di parlamentari alla Camera: “Provo un’amarezza profonda, a fronte della gravità di quanto accaduto, nel vedere questa Aula vuota”.

Mauro ha proseguito: “Credo che sia a un fatto come questo che siamo chiamati a guardare se vogliamo comprendere il nostro compito e il senso della nostra missione”.

Intanto è stato arrestato il presunto attentatore dell’attacco di sabato scorso a Farah in Afghanistan e di quello di ieri nella stessa area che non ha provocato vittime italiane. L’uomo, di circa 20 anni, si chiama Walick Ahmad e ha reso “piena confessione assumendosi tutta la responsabilità” dei due atti. I fatti, ha aggiunto il ministro, dovranno comunque essere accertati dalla magistratura.