Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come Paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’Unità, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande Paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla  – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.

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Nella loro diversa pesantezza e dimensione, tutti e tre gli eventi hanno un loro aspetto non chiaro (e anzi, misterioso) e stupisce che così tanta parte dei media italiani si prestino a celebrare due degli eventi e a ignorare il terzo.

Nonostante la memoria corta di un mondo su cui piovono Twitter e hashtag come la cenere dopo Hiroshima, credo che si ricorderà la fine del Senato. Perché non se ne conosce la ragione; perché c’erano cose ben più urgenti da fare; perché ha sradicato in modo rozzo e violento i molti legami, ascendenze e conseguenze nellaCostituzione; perché, come ha detto bene, chiaro e al momento giusto, il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani, questa legge porta due firme: quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi. Lo testimonia un’immagine destinata a restare come quelle dei Marines di Iwo Jima: Maria Rosaria Rossi, di casa Berlusconi, abbraccia Maria Elena Boschi, di casa Renzi, con il furore femminile di poche grandi occasioni della vita. La commenta bene, in un desolato e bellissimo testo, su Il Corriere della Sera (7 agosto) Corrado Stajano: “Perché, ci si chiede, discutere della legge fondamentale della Repubblica in modo così affannoso e dilettantesco, con il ritmo di una tappa a cronometro su pista, tra minacce e blandizie?”. Nell’entusiasmo del momento si erano persino dimenticati che Giorgio Napolitano, a un certo momento, avrebbe dovuto diventare senatore a vita. E la Finocchiaro è dovuta correre indietro a inserire un’eccezione per ex presidenti della Repubblica, che restano d’ora in poi i soli senatori a vita. Ma dove? Nel festoso suk di portatori di interessi nominati dalle Regioni.

Intanto Renzi ha chiuso l’Unità. Ma quando mai?, ti direbbero al Nazareno, se ti accogliessero e non temessero che qualcuno gli guardi le carte sul tavolo. L’Unità, ti direbbero, ha finito la corsa, punto e basta. Svelto com’è, Renzi non ha neanche perduto tempo a verificare se e come l’organo del Partito Democratico svolge il suo ruolo. Sì, qualche volta avrà notato con la coda dell’occhio, che non era tutto scritto da lui, che non c’entrava, neppure dopo anni di Ds e poi di Pd remissivo e sempre pronto a qualche pacificazione, con la nuova vita insieme, lui e Berlusconi, Berlusconi e lui.>

Non tutti cambiano radicalmente in una o due assemblee, come i membri di direzione del suo partito. Dopo tutto quel giornale ha mai aperto con grande foto del sorriso fisso sulla non realtà della Boschi o della incompetente e dannosa gentilezza della Madia? Diciamo la verità: il giornale stava nei ranghi ma non lo aveva ancora portato in trionfo. E poi, a certe scadenze, veniva fuori con certi ricordi e immagini e voci di cui non senti il bisogno, mentre condividi questa nuova Italia rinnovata e pacificata con Berlusconi. Intanto se i competenti del mondo fanno notare le tue disattenzioni economiche e il rischio grave dell’Italia, sei già circondato di “grandi giornali” italiani detti indipendenti che si occupano di non dirlo. Infine deve avere notato che nessuno, anche tra i più miti redattori dell’Unità, era mai stato boy scout. Renzi ha imparato solo la prima parte del celebre motto: “Tutti per uno”. È svelto, e passa subito alla conclusione: chiudere, e farla finita, come gli dice Verdini da un pezzo, con la paccottiglia comunista.

La Fiat, che era l’immagine dell’Italia industriale nel mondo e il punto di riferimento per l’industria italiana (se lo fa la Fiat, come fa la Fiat…) si è sfilata con agilità dalle tasse (paga a Londra), dai legami con l’Italia (ha sede amministrativa e legale in Olanda) e dalla produzione (che ha luogo alla periferia di Detroit). Di fronte a un evento di tale enormità i politici non c’erano, non al Parlamento di una o due Camere, non al governo. Renzi lavorava a cambiare verso, a cambiare l’Italia, a forgiare le riforme che tracciano qualche solco ma non si sa per dove.

Anche perché gli hanno portato a Palazzo Chigi tre immensi gipponi, che sarebbero destinati alla produzione italiana (famosa nel mondo per la Cinquecento, ricordate?). Ma la produzione italiana non esiste. Piani, progetti e investimenti sono stati tenuti fermi. E gli operai della Fiat, noti nel mondo per il loro lavoro, ora sopravvivono in buon numero con la cassa integrazione di questa Repubblica, mentre la Casa Tudor-Marchionne paga al governo inglese. Renzi? Per lui va bene. Il Paese gli sembra più fresco, più giovane. Senza Fiat, senza Unità, senza Senato, lui ci ha riportati come bambini al mattino di una giornata che ci promette bellissima. Se righiamo dritto, senza ostruzionismi e senza menarla sulla Costituzione.

Per lavoratori LinkedIn batte Facebook

Per lavoratori LinkedIn batte Facebook

Google solo settima

LinkedIn regina della Silicon Valley batte colossi come Facebook, Google e Apple, affermandosi come la migliore societa’ americana per lavorare. A incoronare il social network e’ 24/7 Wall St, sulla base dei dati di Glassdoor.com, sito che consente ai dipendenti di lasciare i propri pareri sulle loro aziende. Facebook conquista il secondo post, mentre Google si piazza al settimo. Apple e’ solo quattordicesima. La cultura che vige in ufficio e l’equilibrio che il posto di lavoro concede con la vita privata sono i due elementi discriminanti per promuovere o bocciare l’azienda di cui si e’ dipendenti.

Le opportunita’ di formazione e di sviluppo di carriera sono un altro fattore decisivo per i dipendenti, insieme ai benefit offerti. La top ten e’ dominata da societa’ tecnologiche, i cui dipendenti sono piu’ propensi a rilasciare commenti positivi rispetto ai lavoratori di altri settori. Delle 75 migliori societa’ per cui lavorare, i punteggi in media piu’ alti (4.0 su un massimo di 5) sono stati ottenuti solo da 12 societa’, di cui quattro tecnologiche e tre di consulenza. Dalla classifica emerge come essere leader di mercato aiuta le aziende a ottenere pareri piu’ positivi, cosi’ come avere successo da un punto di vista finanziario.

Apple, Intel, Procter & Gamble e Walt Dinsey sono fra quelle che hanno ricevuto i pareri piu’ positivi dai propri dipendenti su Glassdoor.com e sono fra le aziende maggiori al mondo per capitalizzazione di mercato. Molte delle societa’ migliori per lavorare sono quelle che hanno la migliore reputazione fra il pubblico: American Express, Facebook, Google e Sap sono fra le migliori per lavorare e fra quelle con il valore del marchio piu’ elevato. Le aziende che ricevono i migliori commenti da parte dei dipendenti sono quelle in cui l’amministratore delegato e’ piu’ apprezzato. Fra le 75 migliori societa’ per lavorare, 38 hanno amministratori delegati con un rating del 90% o superiore, e solo 10 ad hanno un rating sotto l’80%.

Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Bufera in Lombardia per il decreto che “regala” 90 giorni in più di ammortizzatori a chi viene dalle regioni meridionali. E nella scuola è caos per le cattedre occupate dai fuori sede

 – Dom, 10/08/2014 – 08:32

Milano – Peggio di fomentare la guerra tra poveri (soprattutto in tempo di crisi), c’è solo fomentare la guerra tra poveri seminando in aggiunta discriminazione e quindi inevitabile zizzania tra gente del Nord e gente del Sud.

Un’impresa riuscita al governo se è vero che essere «meridionali» vale tre mesi in più di mobilità in deroga, oppure un posto in cima alle graduatorie per diventare insegnante di ruolo. Non al Sud, ma nel ben più accogliente Nord e scalzando gli insegnanti locali fino a quel momento pronti a salire in cattedra. Attoniti di fronte all’assalto dato da campani e siciliani con il trasferimento chiesto in extremis nelle graduatorie dei precari nelle regioni della «Padania». Non trastulli sociologici, ma mesi di stipendio per chi oggi non solo non arriva a fine mese, ma con questa disoccupazione record il mese non ha nemmeno modo di cominciarlo.

C’è subbuglio, in Lombardia, dopo il decreto dei ministeri del Lavoro e dell’Economia per i «nuovi criteri per l’erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga». Parla di cassa integrazione e di mobilità e stabilisce che per «i lavoratori che hanno già utilizzato la mobilità in deroga per periodi pari o superiori a 3 anni, il periodo massimo concedibile sarà di 5 mesi, che diventano 8 mesi nelle aree del Mezzogiorno». Non solo. «Per i lavoratori che hanno utilizzato la mobilità in deroga per periodi inferiori ai 3 anni» i mesi saranno 7, ma «diventano 10 nelle aree del Mezzogiorno». Tre mesi in più se sei meridionale. Un beneficio che ha mandato in bestia tanti. Perché non solo chi lavora al Sud è ancora una volta privilegiato (e assistito), ma lo è anche se lavorando al Nord con tanto di domicilio, ha mantenuto la sua originaria residenza. Molti, in Lombardia, i casi di operai della stessa fabbrica con diverso trattamento: 7 mesi agli uni, 10 agli altri.

E non si fermano anche le polemiche per l’assalto sudista alle graduatorie della scuola. Perché su 33.380 immissioni in ruolo (28.781 docenti e 4.599 non docenti) in gran parte nelle regioni settentrionali, ben poche andranno agli insegnanti lì residenti. Perché, a differenza del passato, è stato possibile cambiare graduatoria e le 29mila cattedre andranno metà ai vincitori di concorso e metà alle graduatorie provinciali a esaurimento. Tolto dall’allora ministro Carrozza il vincolo dei 5 anni nella provincia di prima nomina in ruolo, ora ridotto a tre, internet ha fatto il resto con siti per capire su quale provincia puntare. A Torino la maestra elementare che era prima è finita al numero 69, superata da sessantotto colleghi in arrivo da altra regione. E delle 129 cattedre su cui puntavano i precari storici, 108 saranno assegnate a nuovi arrivati. Metà sono siciliani. A Milano nella scuola primaria tutti i posti fino al 237 sono occupati da insegnanti che arrivano da fuori. In provincia di Lucca, dieci degli undici immessi in ruolo saranno siciliani, calabresi e campani. A Bergamo tutti i 5 posti vanno a maestri del Sud. Difficile stupirsi se il segretario della Lega Matteo Salvini chiede «concorsi pubblici regionali». A Pavia una maestra precaria da 17 anni era finalmente ventesima e a un passo dalla cattedra, ora è trentanovesima. Una cinquantenne ha perso trenta posizioni e si è rassegnata ad andare in pensione da precaria. A Torino assegnate agli insegnanti del Sud l’84 per cento delle cattedre, nella scuola primaria di Milano il 98. Tante piccole storie, ma di grande ingiustizia.

SPALMA INCENTIVI, DENUNCIA DI ASSORINNOVABILI ALLA COMMISSIONE UE

SPALMA INCENTIVI, DENUNCIA DI ASSORINNOVABILI ALLA COMMISSIONE UE

 

In vista della definitiva approvazione del provvedimento da parte del Senato, l’associazione ha deciso di chiedere alla Commissione Europea l’apertura di una procedura di infrazione ai danni dell’Italia

“A seguito dell’approvazione del Decreto Competitività da parte della Camera, rimangono al Parlamento e al governo margini sempre più esigui per evitare la fuga dall’Italia degli investitori esteri e le migliaia di contenziosi che esporranno il nostro Paese a pesanti risarcimenti e bruttissime figure”. Così assoRinnovabili, a proposito della recente approvazione alla Camera del provvedimento spalma incentivi.

In vista della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (con l’ultima approvazione del Senato che avverrà nei prossimi giorni), l’associazione ha deciso, insieme a una cinquantina di grandi operatori fotovoltaici, di scrivere alla Commissione Europea chiedendo l’apertura di una procedura di infrazione contro lo Stato Italiano per violazione della Direttiva 2009/28/CE che aveva fissato i target europei per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Non appena la norma entrerà in vigore, assoRinnovabili coordinerà poi i ricorsi degli operatori, sia nazionali sia esteri (le adesioni sono già molto numerose), “ingiustamente penalizzati da un provvedimento che modifica unilateralmente e retroattivamente i contratti sottoscritti con il GSE”.

Due i filoni già attivati: il primo, a cui parteciperanno gli operatori italiani, mira ad ottenere la dichiarazione di incostituzionalità dello spalma incentivi, come già segnalato dal presidente emerito della Corte Costituzionale Prof. Valerio Onida; il secondo, riservato invece agli investitori esteri, dimostrerà che è stato violato il Trattato sulla Carta dell’Energia che tutela gli investimenti nei Paesi aderenti (tra cui l’Italia).

“Auspichiamo ancora che il governo metta riparo all’errore strategico insito nel provvedimento spalma incentivi – ha dichiarato Agostino Re Rebaudengo, presidente di assoRinnovabili –. Se ciò non avverrà, ricorreremo in tutte le sedi possibili e rappresenteremo tutte le parti coinvolte e danneggiate da questa norma, miope e controproducente. La recente sentenza della Corte Costituzionale bulgara, che ha annullato una tassa retroattiva del 20% sui ricavi degli impianti fotovoltaici ed eolici, dimostra che la certezza del diritto non può essere stravolta: siamo sicuri che anche la Corte Costituzionale italiana giungerà alle medesime conclusioni”.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste. Renzi lavora a intervento più ampio

Un emendamento del governo al dl P.A. rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio ed elimina il tetto di 68 anni per professori e medici. Ok di Renzi, verso una nuova misura

Roma, 4 agosto 2014 – Governo, via la ‘quota 96’ e pensionamenti d’ufficio rivisti. La commissione Affari Costituzionali del Senato ha dato l’ok al testo del decreto legge sulla Pubblica amministrazione, inserendo 4 modifiche rispetto al provvedimento uscito dalla Camera. Si tratta degli emendamenti del governo, tra cui la cancellazione della quota 96, la norma che liberava 4 mila pensionamenti nella scuola.

Il ministro della P.A. Marianna Madia aveva annunciato questa mattina uno degli emendamenti proposti, che riguarda la revisione dei limiti di età per il pensionamento d’ufficio, e la conseguente eliminazione del tetto dei 68 anni previsto per professori universitari e medici. A chi le aveva domandato se la fiducia sul decreto P.A. fosse ormai scontata, il ministro aveva risposto: “Dobbiamo correre e, a questo punto, visto che è stata messa alla Camera, mi sembra ragionevole“. Il ministro ha specificato che una delle modifiche riguarda la cosiddetta ‘quota 96’, che sblocca 4 mila pensionamenti nella scuola, un’altra i benefici previsti per le vittime del terrorismo. Una terza rivede i limiti di età per il pensionamento d’ufficio ed elimina quindi il tetto dei 68 anni per i professori universitari e i primari. Non mutano infine le soglie per tutti gli altri dipendenti pubblici: 62 anni e 65 per i medici.

Non ha tardato ad arrivare l’attacco al governo da parte di Sel per gli emendamenti annunciati al dl P.A.: “Non si gioca sulla pelle delle persone. I quota 96 – afferma il capogruppo alla Camera Arturo Scotto – hanno già vissuto un’ingiustizia dalla riforma Fornero che li ha penalizzati e lasciati senza pensione pur avendo i requisiti, e ora il governo Renzi prima li illude alla Camera e poi li disillude al Senato”. Il capogruppo poi rincara la dose: “Una scelta inaccettabile, l’ennesimo sopruso e un’ulteriore beffa, che rinvia di nuovo una decisione attesa da migliaia di lavoratori della scuola e che impedisce il ricambio generazionale in due settori professionali importanti. Ma Renzi non doveva cambiare verso?”.

Giusto togliere dal dl P.A. la ‘quota 96′, che sbloccava 4mila pensionamenti nella scuola, non c’entrava nulla con la ratio e l’idea della norma. E’ il parere del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, riguardo la decisione dell’esecutivo annunciata dal ministro Madia. Il premier oggi ha visto il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Sulla scuola il presidente del Consiglio e il ministro stanno preparando, si apprende, un intervento a fine agosto, assai più ampio come platea del perimetro dei 4mila pensionamenti. Il Capo dell’esecutivo oggi ha incontrato anche gli altri ministri Franceschini e Boschi.

IL COMMENTO DELLA CGIL SUL DL P.A.:”Sarebbe molto grave se non si provvedesse a risolvere il problema dei ‘quota 96’ e gli altri temi su cui era intervenuta la Camera”. Lo ha detto la segretaria confederale della Cgil, Gianna Fracassi, a margine di una conferenza stampa in corso d’Italia. “La Cgil – ricorda la sindacalista – è in campo con una vertenza unitaria per chiedere di cambiare la riforma Fornero”. Rispetto agli emendamenti annunciati dal governo, Fracassi osserva che “si torna indietro rispetto a quanto definito alla Camera e questo è sbagliato. Sono sbagliati tutti gli emendamenti che determinano un peggioramento delle condizioni dei lavoratori”. Nello specifico, su ‘quota 96’ “bisogna correggere un errore tecnico. Siamo preoccupati – conclude Fracassi – se in una settimana il governo torna indietro. Auspichiamo una soluzione in tempi brevi”.

I QUOTA 96 – Sono circa 4 mila gli insegnanti che non sono potuti andare in pensione nonostante i requisiti (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni di età e 36 di contributi) a causa della riforma Fornero. Nell’applicazione di questa normativa non è stata infatti considerata una delle peculiarità del settore scuola, ovvero che la data di pensionamento è necessariamente legata alla conclusione dell’anno scolastico. La cosiddetta ‘quota 96’ era stata duramente attaccata da Carlo Cottarelli, commissario alla spendig review, che aveva criticato la decisione dei tagli alle tasse a fronte delle richieste della politica di dirottare le risorse altrove. I rilievi della Ragioneria di Stato, tuttavia, hanno evidenziato la norma tra quelle in difetto di copertura.

PENSIONAMENTO D’UFFICIO – Inoltre un emendamento del governo rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio, eliminando il tetto dei 68 anni inserito per professori universitari e medici.

Statali, spuntano i trasferimenti facili. E la pensione forzata scatta da 62 anni

Statali, spuntano i trasferimenti facili. E la pensione forzata scatta da 62 anni

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Il governo accelera sul turnover dei dirigenti. Mobilità, Cgil all’attacco

di MATTEO PALO

Roma, 28 luglio 2014 – La staffetta generazionale diventa più semplice e viene rafforzata. È questo il senso della modifica più importante arrivata con il primo passaggio parlamentare del decreto legge di riforma della pubblica amministrazione. Anche i dirigenti della Pa — da oggi il decreto approda alla Camera per la discussione generale — potranno essere pensionati prima, con quattro anni di anticipo rispetto a quanto prevede la legge Fornero. E non si tratta dell’unica novità a una delle riforme chiave del governo Renzi. Tutte innovazioni che, secondo il ministro Marianna Madia, seguono due direttrici: cambiamento ed equità. La commissione Affari costituzionali della Camera ha deciso, come oggi accade per i dipendenti, il pensionamento d’ufficio per i dirigenti a partire dai 62 anni. La decisione di andare oltre dovrà essere motivata “con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi”. In linea generale non sarà possibile raggiungere i 66 anni per il pensionamento di vecchiaia. Le uniche eccezioni sono per medici e professori universitari (asticella a 65). Oltre ai magistrati, che vengono completamente esclusi. Sul fronte della pubblica istruzione viene reintrodotta per circa 4mila insegnanti la cosiddetta ‘quota 96’, la somma di età anagrafica e contributiva: potranno chiedere la pensione all’Inps subito dopo la conversione del provvedimento in legge. Il costo per lo Stato di questa misura sarà di circa 100 milioni di euro, da pagare attraverso tagli alla spesa.

Aggiustamenti anche alle norme sulla mobilità. Il trasferimento di un dipendente pubblico da un ufficio all’altro potrà avvenire senza che siano fornite spiegazioni. Sembra proprio questa la conseguenza di un emendamento al dl Pa, che cancella quanto previsto dal codice civile, secondo cui in casi di spostamento da un’unità produttiva a un’altra è necessario mettere sul tavolo “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. Ora invece il passaggio non dovrà essere giustificato e potrà quindi scattare in qualsiasi situazione, purché non venga superato il limite di distanza fissato a 50 chilometri. Altri emendamenti, approvati in settimana, hanno invece ammorbidito le previsioni, ridando voce ai sindacati per la definizione dei criteri di mobilità e salvando i genitori con figli piccoli o sotto legge 104. La Cgil è critica, parla di “una mobilità assolutamente discrezionale, senza quelle necessarie motivazioni, organizzative e tecniche”.

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Non emerge certo una fotografia positiva dell’Italia nel rapporto annuale 2014 dell’Istat. L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all`8% delle famiglie. L’Ente statistico sottolinea che la grave deprivazione, dopo l`aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%.
Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d`Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.
A questo proposito il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato. Dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. In quasi sette casi su 10 l`incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro, con l`incidenza di ex-occupati che arriva al 53,5% (dal 43,7% del 2008). Dal 2008 al 2013 l`occupazione è diminuita di 984 mila unità (-973 mila uomini e -11 mila donne), con una flessione del 4,2% e un calo più forte nell`ultimo anno (-478 mila occupati).
Se si considera l’insieme di disoccupati e forze lavoro potenziali, ammontano a oltre 1 milione le persone con almeno 50 anni che vorrebbero lavorare. Tra gli over50 crescono sia gli occupati (1 milione 70 mila unità in più, +19,1%) sia coloro che vorrebbero lavorare e non trovano il lavoro (+261 mila disoccupati e +172 mila forze di lavoro potenziali, rispettivamente +147% e +33,4%), mentre diminuiscono gli inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare (-448 mila, -4,1%).
Il tasso di occupazione scende al 55,6% (dal 58,7% del 2008). Nel Mezzogiorno il calo è più forte(-583 mila unità, -9%), con il tasso di occupazione pari al 42%, a fronte del 64,2% del Nord e del 59,9% del Centro. Il calo dell`occupazione nei cinque anni è quasi esclusivamente maschile (-6,9% a fronte di -0,1% per le donne); tuttavia nel 2013 torna a calare anche l`occupazione femminile (-128 mila unità, pari a -1,4% rispetto al 2012). Il tasso di occupazione degli stranieri si riduce di 9 punti, attestandosi al 58,1%; per gli uomini il tasso è al 67,9%, per le donne al 49,3% (rispettivamente -14 e -3,4 punti), nonostante la crescita, tra il 2008 e il 2013, degli stranieri occupati (+246 mila unità tra gli uomini e +359 mila tra le donne).
Inoltre, prosegue l’Istituto di statistica, cresce la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (45,1% nel 2008). Si riducono gli ingressi nell`occupazione dalla disoccupazione: se nel periodo pre-crisi (2007-2008) su 100 disoccupati 33 avevano trovato un lavoro un anno dopo, nel periodo 2012-13 questi scendono a 24. Per ogni disoccupato, c`è almeno un`altra persona che vorrebbe lavorare. Nel 2013 il totale delle forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro, arriva a 3 milioni 205 mila, con un incremento di 417 mila unità.
Complessivamente, nel 2013 sono 6,3 milioni gli individui potenzialmente impiegabili. Aumentano anche gli scoraggiati, che tra le forze di lavoro potenziali sono 1 milione 427 mila individui. I giovani sono i più colpiti dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. Il tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all`attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%).
Cala la spesa per consumi. Molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno (la propensione al risparmio è scesa dal 15,5% del 2007 al 12% del 2011) hanno ridotto i propri livelli di consumo nel 2012 per mantenere i loro standard. La contrazione dei livelli di consumo si è verificata nonostante l`ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (pari all`11,5%) e il crescente ricorso all`indebitamento (nel 2012, le famiglie indebitate superano quota 7%).
Giù anche la spesa sanitaria – Nel 2012, la spesa sanitaria pubblica inoltre è pari a circa 111 miliardi di euro, inferiore di circa l’1% rispetto al 2011 e dell’1,5% in confronto al 2010. Durante la crisi, dal 2008 al 2011, le prestazioni a carico del settore pubblico si sono ridotte, compensate da quelle del settore privato a carico dei cittadini. Infatti, il valore della produzione pubblica (valutata a prezzi 2005) è rimasto invariato, mentre quello del settore privato è cresciuto dell’1,7%.
Tiene in Italia l’occupazione femminile, specie a fronte del forte calo di quella maschile, tanto che crescono le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata; ma in tempi di crisi è sempre più difficile lavorare ed essere madri, specie per le straniere. Spesso le madri lavoratrici, soprattutto le neo madri, si affidano ai nonni, anche se cresce il ricorso al nido, per lo più privato.
In Italia – inoltre – si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli, le donne fanno pochi figli e sempre più tardi, a 31 anni in media il primo figlio. Anche le donne straniere in età feconda sta rapidamente “invecchiando”.

IL KILLER È L’AMIANTO MA A GENOVA PROCESSANO GLI OPERAI

IL KILLER È L’AMIANTO MA A GENOVA PROCESSANO GLI OPERAI

 

da Genova, Ludovica Schiaroli

 

La classe operaia non va più in paradiso, va direttamente all’inferno e prima passa anche dal tribunale. Accade a Genova dove dal 2004 è stata aperta un’indagine a carico di un gruppo di ex operai Ilva e Ansaldo accusati di truffa ai danni dell’INPS: avrebbero dichiarato di avere lavorato a contatto con amianto per ottenere i benefici pensionistici consistenti nell’andare in pensione anticipatamente (10 anni di amianto davano la possibilità di anticipare di 5 la pensione).

Ad oggi sono circa un migliaio i lavoratori indagati e a metà luglio è iniziato l’iter giudiziario per i primi 30 che devono rispondere di presunta percezione indebita di pensione speciale. L’indagine vede coinvolti operai, capireparto e sindacalisti, tutti accusati di avere falsificato curricula all’insaputa della direzione aziendale. Questo è quanto dichiara Ilva che tramite il suo ufficio legale ha depositato un documento dove disconosce i curricula degli ex lavoratori che ha anche provveduto a querelare.

Tra gli indagati ci sono anche tre funzionari e alcuni dirigenti dell’INAIL regionale che sono quelli che hanno firmato le certificazioni e concesso i benefici, i nuovi dirigenti adducendo il principio di “autotutela” hanno revocato centinaia di certificazioni di esposizione all’amianto, precedentemente riconosciute. “Il risultato – dichiara Antonio Perziano della Camera del Lavoro di Genova – è che ci sono circa 700 lavoratori che non possono usufruire dei propri diritti di prendere la pensione”.

“La settimana scorsa abbiamo sepolto un nostro compagno dell’Ansaldo morto per mesotelioma e oggi ci troviamo qui, dopo una vita in fabbrica, con una accusa pendente per falso a doverci difendere in tribunale per avere dichiarato che nelle nostre fabbriche l’amianto c’era”. A parlare è Livio Verdi, ex operaio Ansaldo anche lui accusato di falso e percezione indebita di pensione speciale, incontrato davanti al Tribunale di Genova dove insieme ad altri è venuto per dare solidarietà ai compagni sotto processo.

Eppure secondo il RENAM, il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, in Liguria dal 1998 al 2010 i morti per tumori dovuti all’amianto sono 2.500, tra Ansaldo, Ilva, Stoppani e altre fabbriche minori. Si tratta peraltro di numeri monitorati per difetto perché i dati del RENAM si fermano al 2010. Ad oggi si registrano circa 180 nuovi casi ogni anno, decisamente in aumento da un quinquennio a questa parte. “Di questi morti non si occupa nessuno e invece si processano i vivi”, dice Giancarlo Bonifai, uno degli avvocati della difesa che la settimana scorsa ha presentato un esposto in Procura sull’amianto killer per “omicidio colposo e lesioni colpose” per chiedere che siano fatte indagini sulle malattie e sulle morti che si sono verificate negli ultimi anni negli stabilimenti Ansaldo e Ilva-Italsider di Genova. “Pensiamo ci siano state omissioni nell’approntare i necessari presidi sanitari e infortunistici che avrebbero potuto evitare, o quantomeno diminuire, le malattie e le morti”, aggiungono i sindacati.

“La cosa che più ci fa arrabbiare è che la Procura calcola l’esposizione all’amianto con una formula matematica che deve risultare 0,1 e il consulente dice che se risulti esposto a 0,098 particelle allora non hai diritto all’amianto, ma come fanno ora a sapere quanta polvere di amianto girava alla Fiumara, e nelle altre fabbriche?”, aggiunge Livio Verdi. In effetti Genova è un caso unico. Nelle fabbriche di Novi e Taranto i lavoratori vanno in pensione e a chi risulta essere stato esposto viene concesso “il beneficio amianto”, solo a Genova accade che gli operai vengano portati in tribunale dove oltre la pena di non sapere se si ammaleranno di mesotelioma devono anche subire l’iter processuale e tutto quello che ne consegue.

Sul versante politico la situazione è ferma ad un paio di settimana fa quando gli operai per un momento si erano illusi di potere incontrare il ministro Poletti in visita a Genova. La visita fu poi annullata in tutta fretta il giorno prima per “impegni in Parlamento”, o più probabilmente per gli annunciati cortei di altre aziende in crisi: Esaote, Ilva, Ansalso, Piaggio. Niente ministro per gli operai genovesi, che qualche giorno dopo a Roma riuscirono però ad incontrare il capo di gabinetto che dopo le solite chiacchiere di circostanza li ha rimandati a casa con un pugno di mosche in mano.

La battaglia però non è finita e oggi una cinquantina di ex lavoratori con a capo Antonio Perziano della Camera del Lavoro di Genova sono entrati negli uffici dell’INAIL di Genova hanno occupato la stanza del direttore e chiesto un appuntamento con il direttore generale INAIL Lucibello. L’occupazione è durata tutta la mattina, fino a che dopo un lungo braccio di ferro non è stato fissato l’incontro per la prossima settimana.

“Noi non molliamo, vogliamo giustizia e vogliamo quello che ci aspetta”, dice Livio Verdi.

Istat, raddoppiano in 5 anni gli italiani che lasciano il Paese. Calano le nascite

Istat, raddoppiano in 5 anni gli italiani che lasciano il Paese. Calano le nascite

Nascite in calo in Italia nel 2013 per il quinto anno consecutivo. Toccato il minimo storico di 514mila nuovi nati. E’ la fotografia fornita dall’Istat attraverso gli indicatori demografici del nostro Paese. Circa l’80% dei nuovi nati proviene da donne italiane, il 20% da donne straniere. Il numero medio di figli per donna scende da 1,42 nel 2012 a 1,39 nel 2013.
Raddoppiato il numero degli italiani che lasciano il Paese – Le immigrazioni dall’estero sono scese nel 2013 a 307 mila, pari a un tasso del 5,1 per mille, contro le oltre 350 mila del 2012 (5,9 per mille). Aumentano, invece, le emigrazioni, circa 126 mila (2,1 per mille), contro i 106 mila dell’anno precedente (1,8 per mille). Il saldo migratorio con l’estero è di 182 mila unità, per un tasso del 3 per mille (4,1 nel 2012). E’ quanto emerge dal Report “indicatori demografici” dell’Istat. Nel periodo 2008-2013, tra coloro che abbandonano il Paese per una destinazione estera raddoppia sia il numero di residenti stranieri (da 22 a 44 mila), che il numero di italiani (da 40 a 82 mila).
Destinazione preferita il Regno Unito – Nel 2013 la destinazione estera favorita dagli italiani è il Regno Unito, con circa 13 mila trasferimenti, segue la Germania con 11 mila 600. Gli stranieri, invece, emigrano prevalentemente in Romania, oltre 10 mila trasferimenti nel 2013 (+21% sul 2012) e Albania, oltre 2 mila trasferimenti (+23%). Calano gli ingressi dei cittadini stranieri, 279 mila nel 2013 contro i 321 mila del 2012. I rimpatri di italiani sono 28 mila.
Meno matrimoni con rito religioso – La celebrazione del matrimonio con rito religioso perde ulteriore terreno nei confronti del rito civile. Tra il 2008 e il 2013 la quota di sposi che sceglie il primo passa infatti dal 63% al 57%, mentre la quota di coloro che optano per il secondo cresce dal 37% al 43%. Lo segnala l’Istat nel report degli indicatori demografici del nostro Paese. Complessivamente nel 2013 si sono celebrati meno
26 giugno 2014

Privilegi delle Camere, Renzi alle opposizioni: “Ma dove vive chi contesta la norma sul tetto di 240 mila euro?

Privilegi delle Camere, Renzi alle opposizioni: “Ma dove vive chi contesta la norma sul tetto di 240 mila euro?

“Non mi stupiscono i privilegiati che contestano la norma sul tetto di 240 mila di euro, mi stupiscono le opposizioni che si schierano con loro. Ma dove vivono”. Lo scrive su twitter il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, commentando la polemica sul tetto degli stipendi imposto ai dipendenti delle Camere che godono di retribuzioni di tutto rispetto.

I tetti retributivi massimi – Gli Uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama, riuniti in contemporanea, hanno fissato quello massimo, relativo ai Consiglieri Parlamentari, in 240mila euro all’anno al netto della contribuzione previdenziale (l’8,8% della retribuzione).

La protesta dei dipendenti – Un lungo e polemico applauso, con annessi coretti di numerosi dipendenti di Montecitorio, ha salutato l’uscita dei componenti dell’ufficio di presidenza della Camera. La polemica ha scatenato la reazione della presidente della Camera Laura Boldrini: “Fuori Montecitorio c’è ”il Paese reale”, nel giorno in cui una protesta di lavoratori chiedeva il finanziamento della cassaintegrazione.

Quirinale, ridotti costi di altri 4 milioni di euro – Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato un decreto che riduce ulteriormente i costi del Quirinale. Il provvedimento permette al Tesoro la restituzione di quattro milioni di euro per l’anno in corso. Lo rende noto un comunicato del Quirinale.

25 luglio 2014