Che disastro se le generazioni si ignorano

Che disastro se le generazioni si ignorano

di Marco Lodoli

Dopo decenni di piazze virtuali, talk show debordanti, dibattiti infiniti nei salottini televisivi, forse è il caso di ritornare a parlare e ad ascoltare veramente. Uno dei problemi più vistosi del nostro paese sta proprio nell’incomunicabilità tra generazioni diverse.
Era bello e giusto ascoltare da bambini i racconti dei più vecchi e poi, giunti all’adolescenza, litigare con i padri su questioni decisive, su quella che una volta si chiamava visione della vita. C’era un confronto acceso, spesso uno scontro: i figli portavano una nuova concezione del mondo, la difendevano a oltranza, cercando gli argomenti più forti, e i padri ribadivano le loro idee, e così circolava una bella elettricità che inevitabilmente accendeva luci impreviste. Stridevano tra loro, le generazioni, si opponevano su trincee invisibili, provavano in ogni modo a far valere le proprie ragioni.
Del resto è sempre stato così: chi arriva dopo manifesta tutta la sua insoddisfazione per lo stato delle cose, e una cena in famiglia diventava una tenzone dialettica, uno scambio intenso di parole e sentimenti. Se non avessi discusso a lungo con mio padre, sempre su temi generali, assoluti direi, forse non sarei riuscito a chiarirmi i pensieri. Oggi mi sembra che questa fisiologica dialettica tra le età sia svanita, oggi le generazioni vivono dentro le loro riserve indiane, ignorandosi totalmente. Non si litiga più, si è indifferenti.
Ogni gruppo ha i suoi riti, i suoi miti, i suoi abiti da indossare, le sue abitudini e i suoi prodotti da consumare, i ventenni se ne sbattono dei cinquantenni, i cinquantenni non provano nemmeno a capire i ventenni e il silenzio dilaga. Ogni generazione è autosufficiente, procede velocemente facendo clan e dimenticando gli altri. I più vecchi parlano tra loro ricordando gli anni Settanta, De André, il mondiale di Paolo Rossi, i più giovani ascoltano i rapper e navigano sui loro siti Internet. I valichi si sono chiusi, nonni, padri, figli, nipoti si chiudono nelle loro stanze senza più uscire allo scoperto, senza più fare piazza.
Ogni comunità ha bisogno di conservare una memoria del passato e di aprirsi fiduciosa al futuro, di mescolare il mazzo di carte e distribuirle continuamente, ma ormai il fastidio prevale sulla curiosità, il mutismo sulla parola da dare e ricevere. Il tramonto e l’alba dovrebbero intrecciare le loro luci, perché il giorno sia vivo e sempre inclinato verso il giorno seguente. Se non ricominciamo a confrontarci con passione, tutto inaridirà nella logica della separazione distratta.
Non dobbiamo rimanere con i soliti quattro amici a rimbalzarci le solite opinioni, a scambiarci i soliti giochetti, le stesse preoccupazioni: dobbiamo immaginarci come una comunità viva, in cui il prima e il poi, come vene e arterie, fanno girare il sangue dell’esistenza. Ignorarsi significa solo impaludarsi nella melma delle sicurezze immobili.

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Non emerge certo una fotografia positiva dell’Italia nel rapporto annuale 2014 dell’Istat. L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all`8% delle famiglie. L’Ente statistico sottolinea che la grave deprivazione, dopo l`aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%.
Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d`Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.
A questo proposito il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato. Dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. In quasi sette casi su 10 l`incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro, con l`incidenza di ex-occupati che arriva al 53,5% (dal 43,7% del 2008). Dal 2008 al 2013 l`occupazione è diminuita di 984 mila unità (-973 mila uomini e -11 mila donne), con una flessione del 4,2% e un calo più forte nell`ultimo anno (-478 mila occupati).
Se si considera l’insieme di disoccupati e forze lavoro potenziali, ammontano a oltre 1 milione le persone con almeno 50 anni che vorrebbero lavorare. Tra gli over50 crescono sia gli occupati (1 milione 70 mila unità in più, +19,1%) sia coloro che vorrebbero lavorare e non trovano il lavoro (+261 mila disoccupati e +172 mila forze di lavoro potenziali, rispettivamente +147% e +33,4%), mentre diminuiscono gli inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare (-448 mila, -4,1%).
Il tasso di occupazione scende al 55,6% (dal 58,7% del 2008). Nel Mezzogiorno il calo è più forte(-583 mila unità, -9%), con il tasso di occupazione pari al 42%, a fronte del 64,2% del Nord e del 59,9% del Centro. Il calo dell`occupazione nei cinque anni è quasi esclusivamente maschile (-6,9% a fronte di -0,1% per le donne); tuttavia nel 2013 torna a calare anche l`occupazione femminile (-128 mila unità, pari a -1,4% rispetto al 2012). Il tasso di occupazione degli stranieri si riduce di 9 punti, attestandosi al 58,1%; per gli uomini il tasso è al 67,9%, per le donne al 49,3% (rispettivamente -14 e -3,4 punti), nonostante la crescita, tra il 2008 e il 2013, degli stranieri occupati (+246 mila unità tra gli uomini e +359 mila tra le donne).
Inoltre, prosegue l’Istituto di statistica, cresce la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (45,1% nel 2008). Si riducono gli ingressi nell`occupazione dalla disoccupazione: se nel periodo pre-crisi (2007-2008) su 100 disoccupati 33 avevano trovato un lavoro un anno dopo, nel periodo 2012-13 questi scendono a 24. Per ogni disoccupato, c`è almeno un`altra persona che vorrebbe lavorare. Nel 2013 il totale delle forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro, arriva a 3 milioni 205 mila, con un incremento di 417 mila unità.
Complessivamente, nel 2013 sono 6,3 milioni gli individui potenzialmente impiegabili. Aumentano anche gli scoraggiati, che tra le forze di lavoro potenziali sono 1 milione 427 mila individui. I giovani sono i più colpiti dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. Il tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all`attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%).
Cala la spesa per consumi. Molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno (la propensione al risparmio è scesa dal 15,5% del 2007 al 12% del 2011) hanno ridotto i propri livelli di consumo nel 2012 per mantenere i loro standard. La contrazione dei livelli di consumo si è verificata nonostante l`ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (pari all`11,5%) e il crescente ricorso all`indebitamento (nel 2012, le famiglie indebitate superano quota 7%).
Giù anche la spesa sanitaria – Nel 2012, la spesa sanitaria pubblica inoltre è pari a circa 111 miliardi di euro, inferiore di circa l’1% rispetto al 2011 e dell’1,5% in confronto al 2010. Durante la crisi, dal 2008 al 2011, le prestazioni a carico del settore pubblico si sono ridotte, compensate da quelle del settore privato a carico dei cittadini. Infatti, il valore della produzione pubblica (valutata a prezzi 2005) è rimasto invariato, mentre quello del settore privato è cresciuto dell’1,7%.
Tiene in Italia l’occupazione femminile, specie a fronte del forte calo di quella maschile, tanto che crescono le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata; ma in tempi di crisi è sempre più difficile lavorare ed essere madri, specie per le straniere. Spesso le madri lavoratrici, soprattutto le neo madri, si affidano ai nonni, anche se cresce il ricorso al nido, per lo più privato.
In Italia – inoltre – si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli, le donne fanno pochi figli e sempre più tardi, a 31 anni in media il primo figlio. Anche le donne straniere in età feconda sta rapidamente “invecchiando”.

Il prestito vitalizio ipotecario cambia volto per diventare conveniente ai proprietari

Il prestito vitalizio ipotecario cambia volto per diventare conveniente ai proprietari

di 9 luglio 2014Commenti (6)

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Sino a oggi i costi e le regole di legge hanno reso improponibile sul mercato italiano l'”home equity loan” anglosassone, cioè il “mutuo inverso” grazie al quale chi possiede una casa può darla in garanzia alle banche e ottenerne un prestito. Ora però la Camera sta iniziando a discutere la proposta di legge (firmatari i deputati Marco Causi e Antonio Misiani del PD, relatore in Commissione Finanze l’onorevole Paolo Petrini del PD), costituita da un unico articolo per integrare e modificare la disciplina del prestito vitalizio ipotecario (articolo 11-quaterdecies, comma 12, del decreto – legge n. 203 del 2005). Le nuove norme, se passeranno (ma l’iter è ancora lungo), risolveranno molti dei punti critici che hanno impedito lo sviluppo anche in Italia del mercato di questi contratti. La proposta di legge si basa sulle elaborazioni condotte dai firmatari sulle richieste per superare le criticità su questo fronte presentate dall’Abi e da altre associazioni dei consumatori durante l’audizione del 13 settembre 2013 alle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera.

Cos’è e come funziona il prestito vitalizio ipotecario
È un contratto tra i proprietari di una casa con più di 65 anni e una banca o una finanziaria con il quale il proprietario ottiene un finanziamento che viene garantito dall’ipoteca iscritta sulla casa a favore della banca o finanziaria. Il finanziamento erogato è pari a una parte del valore di mercato della casa, stabilito con una perizia, e può essere speso per le esigenze dei proprietari (consumi o spese rilevanti, integrazione del proprio reddito) senza che i proprietari debbano lasciare l’abitazione. I proprietari possono decidere di chiudere quando vogliono il contratto, pagando alla banca il capitale ricevuto più gli interessi, oppure di lasciare decidere agli eredi: dopo il loro decesso, questi si troverebbero a poter scegliere se cedere la casa al finanziatore, che escuterebbe l’ipoteca, o rimborsare il prestito ottenuto, con gli interessi maturati nel periodo.

In cos’è diverso dalla nuda proprietà
Rispetto alla vendita della nuda proprietà (il proprietario vende a un terzo la proprietà della casa e si riserva l’usufrutto, cioè il diritto di abitarci, sino alla propria morte; dopodiché l’acquirente ne otterrà il possesso), il prestito vitalizio ipotecario offrirebbe al mutuatario (si tratta infatti di un “mutuo inverso”) il vantaggio di non perdere la proprietà dell’immobile e, quindi, di non impedire agli eredi di recuperare l’immobile dato in garanzia, lasciando a questi ultimi la scelta di rimborsare il credito della banca (capitale più interessi) estinguendo l’ipoteca iscritta sull’immobile all’atto della firma del prestito vitalizio.

Studio italiano individua l’origine dell’Alzeheimer

Studio italiano individua l’origine dell’Alzeheimer

E’ stato un gruppo di ricerca italiano l’origine delle formazioni tossiche nel cervello che causano la malattia di Alzheimer. Si tratta di uno studio coordinato da Antonino Cattaneo (Scuola Normale Superiore di Pisa) e svolto in collaborazione con Giovanni Meli (EBRI, Roma) e Roberta Ghidoni (IRCCS Fatebenefratelli, Brescia) svolto presso l’Istituto di ricerca sul cervello fondato dalla Accademica dei Lincei Rita Levi Montalcini. La ricerca ha consentito di individuare, su cellule di criceto, il sito intracellulare dove cominciano a formarsi gli oligomeri del peptide Abeta che danno inizio alla patologia. La ricerca è pubblicata su Nature Communications.
Scoperta origine formazioni tossiche – Gli oligomeri di Abeta sono specie molecolari tossiche coinvolte in maniera cruciale negli eventi precoci della malattia di Alzheimer. Prima di questo studio non si conosceva molto sulla loro formazione intracellulare a causa della mancanza di metodi selettivi, per il loro riconoscimento a livello molecolare. “Lo studio – spiega il Prof. Cattaneo – ha la doppia valenza di aver stabilito gli oligomeri intracellulari di Abeta come target nel trattamento dell’Alzheimer e consente di prospettare una strategia sperimentale dal forte potenziale terapeutico”. Su questa base, sarà possibile in futuro colpire precocemente le strutture patologiche, nel luogo dove si formano, prima che vengano trasportate fuori dalla cellula, attraverso sonde molecolari mirate, una sorta di “magic bullet” (proiettile magico) che colpisce con alta selettività solo le formazioni tossiche.
Scoperta dona speranza per il futuro – In questo studio i ricercatori hanno utilizzato un’evoluzione dell’approccio degli anticorpi intracellulari, precedentemente sviluppato nei laboratori del Prof. Cattaneo, e basato sull’espressione di anticorpi ricombinanti in cellule vive per ottenere una un’interferenza selettiva dell’antigene riconosciuto dentro la cellula. Il “magic bullet” è, per l’appunto, un nuovo anticorpo intracellulare conformazionale, ovvero selettivo per certi stati conformazionali di Abeta oligomeri, sviluppato dal gruppo di ricerca. “Questo approccio – aggiungono gli autori dello studio – è risultato efficace e selettivo nel colpire specifiche conformazioni subcellulari di oligomeri di A?, stabilendo cosi il nuovo concetto di ‘Conformational-Selective Interference’ (CSI). Indirizzando al reticolo endoplasmatico l’anticorpo intracellulare conformazionale, il gruppo di ricerca ha così dimostrato per la prima volta che A?, prodotta naturalmente dalle cellule vive, forma oligomeri patologici, assumendo conformazioni critiche proprio dentro il reticolo endoplasmatico”.
23 luglio 2014

Quanto sarà la pensione dei precari?

Quanto sarà la pensione dei precari?

Altro che sussidio da fame: il pericolo è che molti rischiano di non riceverlo affatto

 

Chi teme che i precari rischino di trovarsi con una pensione da fame sbaglia: il pericolo più concreto è che molti non la ricevano affatto. E’ una situazione allarmante quella che si trovano a vivere – a loro insaputa – i lavoratori parasubordinati, gli impiegati a termine, quelli che non hanno mai visto un contratto che non porti una data di scadenza. 

Poco importa se hanno sempre lavorato: gli eterni precari pagano contributi, in poche parole, affinché l’Inps possa a sua volta dare pensione a chi la maturerà. E non è detto che i parasubordinati ci rientrino. Resta così un’incognita sapere, con esattezza, quanto potrà percepire di pensione un precario. Anche perché non è possibile simulare sul sito dell’istituto di previdenza quale dovrebbe essere la sua pensione; cosa che possono invece fare i lavoratori dipendenti.

Il motivo lo spiegò con una dichiarazione choc il presidente nazionale Antonio Mastrapasqua: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Qualcuno, però, ha provato a stimare la cifra. I risultati sono sconfortanti, al punto da far sembrare la cosiddetta “minima” quasi un privilegio. In uno studio del Cerp di Torino (Center for Research on Pensions and Welfare Politics) si parla infatti di una pensione, di un uomo con un’età di pensionamento di 65 anni, che ha iniziato a lavorare a 25 anni, pari a 8.314 euro lordi all’anno.

Alle stesse condizioni una donna non supera i 5.300 euro lordi annui: poco più di 400 euro al mese. Rigorosamente lordi. Stando sempre alla ricerca del Cerp, una donna che ha studiato e non ha trovato subito un posto di lavoro, ma da precaria è sempre stata impiegata da 30 anni (è l’età presa come riferimento), anche se ha 35 anni di attività alle spalle otterrà una pensione di 4.695 euro l’anno, pari a 391,25 euro lordi al mese. I dati sono estremamente variabili visto che la situazione economica può cambiare le carte in tavola e nel tempo i numeri potrebbero ulteriormente assottigliarsi.

La situazione resta confusa, visto che l’Inps non fornisce dati certi. Di sicuro, però, c’è il pericolo di restare, in alcuni casi, anche senza pensione. Se il precario ha alle spalle lunghi periodi di disoccupazione alternati a contratti saltuari, e versa contributi in modo non continuativo, la pensione sarà ridotta all’osso.

Incide non poco il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima, infatti, l’importo della pensione era calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti è calcolato solo sulla base dei contributi effettivamente versati. Che per un lavoratore subordinato sono ben pochi. I collaboratori a progetto, inoltre, sono tenuti a versare direttamente i propri contributi in rapporto al fatturato. Dove vanno a finire? Nel Fondo Gestione Separata dell’Inps, in cui confluiscono i contributi di tutti i titolari di partite Iva non iscritti a particolari albi professionali.

Nel grande salvadanaio vengono raccolti ogni anno la bellezza di 8 miliardi di euro. Ma ad attingere non saranno i precari, gli atipici e i subordinati in genere per la loro pensione di domani. Quei soldi servono infatti a tenere i conti a posto e a pagare i pensionati di oggi. Scendiamo nel dettaglio: simulando la situazione di un lavoratore da sempre precario, che due anni fa ha maturato l’età per la pensione, i dati sono inquietanti.

Secondo quanto riportato dal blog “Informazioni per tutti”, un 66enne che ha versato contributi per 25 anni (valutando una media di retribuzione annua di 12mila euro) andrà a prendere poco più di 300 euro lordi mensili. Il calcolo è presto fatto: 12mila euro (x 26%, percentuale attuale contributiva) fa  3.120 euro. Questa somma, moltiplicata per 25 anni, dà un totale di 78mila euro che, x 5,432%, fanno 4.237 euro lordi annui (cifra arrotondata in eccesso). I 4.237 euro in questione, divisi per 13 mensilità, portano appunto al raggiungimento di 326 euro lordi mensili di pensione. Che sia una miseria, dopo 25 anni di contributi pagati regolarmente, è dire poco.

Italia secondo paese al mondo per longevità ma solo 30° per felicità

Italia secondo paese al mondo per longevità ma solo 30° per felicità

IN QUESTO ARTICOLO

Argomenti: Demografia | Italia | Ocse | Oscar Wilde |Messico | Index

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Italia secondo paese al mondo per la longevità ma è solo 30esima per la felicità - Gli Stati dove la gente è più contenta

Tra le pieghe dell’ultimo rapporto “Better Life Index” dell’Ocse(il nuovo indice per misurare il benessere dei singoli Stati) ci sono un paio di dati che fanno riflettere. Il “Better Life”, introdotto due anni fa, si basa su 11 gruppi di parametri, che comprendono tra gli altri la grandezza dell’abitazione, il reddito, le relazioni sociali, ambiente, la sanità e la sicurezza.

Il primo dato che salta all’occhio è questo: l’Italia, assieme al Giappone, è il secondo paese per aspettativa di vita dopo la Svizzera: 83 anni, contro una media Ocse di 80. In teoria, il fatto di vivere a lungo dovrebbe rendere più felici. Non a caso la Confederazione elevetica, prima per longevità, è prima anche nella classifica sulla “life satisfaction”, ossia la valutazione da parte dei cittadini del proprio livello di soddisfazione.

 
 

L’Italia invece, nella classifica della soddisfazione dei suoi abitanti, è agli ultimi posti tra i Paesi Ocse: in 30esima posizione, dopo Messico, Cile, Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Polonia. Precediamo la Federazione Russa, che pure avrebbe le sue ragioni per essere poco felice: è nel gruppo di coda per diversi parametri come la sicurezza, le entrate economiche e il livello di democrazia; e si ritrova addirittura ultima sulla salute.

Al contrario l’Italia sugli altri indicatori, come il denaro (che pure non dà la felicità), non è in condizioni così disastrose: le entrate medie nette per famiglia sono superiori alla media Ocse, e nel gruppo di parametri su redditi e ricchezza delle famiglie figuriamo nella posizione numero 12 (su 36). Eppure alla domanda “quanto sei felice” sprofondiamo verso il basso.

Mentre il Messico, che pure è agli ultimi posti in quasi tutti gli indicatori del “Better Life Index 2013” (in particolare sicurezza, scuola, redditi, sicurezza del lavoro e senso di comunità), si piazza solo al decimo nella speciale classifica sulla soddisfazione. Per quanto sia catastrofico il loro sistema scolastico, forse i messicani sembrano aver studiato alla lettera Oscar Wilde: la felicità non è avere quello che si desidera, ma avere quello che si ha.

Arriva il nuovo riccometro Stretta sui redditi fantasma

Arriva il nuovo riccometro
Stretta sui redditi fantasma

 

L’Isee serve a misurare la condizione economica delle famiglie e a godere di servizi sociali agevolati. CONSULTA LA GUIDA

di Matteo Palo

 
Famiglia (foto Radaelli)

Famiglia (foto Radaelli)

 

di Matteo Palo
Roma, 15 giugno 2013 – SI SCRIVE indicatore della situazione economica equivalente (Isee), ma si legge ‘riccometro’. La nuova versione dello strumento che serve a godere di servizi sociali agevolati, dopo una falsa partenza, è pronta a fare il suo esordio ufficiale. Con l’approvazione della Conferenza unificata tra Governo, Regioni e Comuni il nuovo strumento è, ormai, lanciato verso la piena funzionalità. Per i furbetti del welfare, che godono di prestazioni pubbliche a prezzi d’occasione, è iniziato il conto alla rovescia. L’Isee era, di fatto, stato già revisionato dal governo Monti. Qualche perplessità in capo alle Regioni, ora superata, lo aveva rallentato. Adesso, dopo il passaggio in Conferenza, sarà portato in Consiglio dei ministri, per poi essere approvato dal Parlamento e arrivare al traguardo: il tutto, si spera, entro la fine dell’anno.

LO STRUMENTO serve a misurare la condizione economica delle famiglie, dando ai cittadini meno ricchi la possibilità di godere di prestazioni sociali agevolate. Viene usato, ad esempio, per determinare il livello di tasse universitarie che gli studenti devono pagare. O per regolamentare l’accesso agli asili nido. O, ancora, per avere bonus sulle bollette telefoniche e su quelle elettriche.

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L’Isee – questa è la sua caratteristica – non considera solo i dati relativi al reddito ma un ventaglio di elementi parecchio più ampio, che comprende le proprietà mobiliari e immobiliari. Andando a scandagliare la situazione del cittadino in modo molto più approfondito rispetto al passato. Auto di lusso, barche e moto di grossa cilindrata faranno perdere molti punti. Nel patrimonio immobiliare sarà calcolato il valore conteggiato ai fini Imu e saranno incluse le proprietà detenute all’estero. Nel patrimonio mobiliare, invece, sarà contata una grandissima varietà di elementi: titoli di Stato, obbligazioni, quote in fondi di investimento, certificati di deposito, azioni, conti correnti bancari.

LA STRETTA in arrivo, poi, consisterà anche in una revisione di alcuni parametri per smascherare più facilmente gli abusi. Come nel caso della determinazione dei nuclei familiari. I coniugi con diversa residenza saranno considerati nuclei distinti solo dopo aver ottenuto una pronuncia di separazione giudiziale. O, ancora, non basterà più dire di non avere un conto in banca per tirare fuori dal calcolo i risparmi. Verranno, poi, introdotte una serie di franchigie, generalmente più basse delle vecchie. I redditi dei dipendenti potranno godere di una franchigia massima di 3mila euro, mentre per le pensioni ci si fermerà a mille. Per i beni mobili si scende da 15mila a 6mila euro. Per chi vive in affitto ci sarà uno sconto di 7mila euro, mentre altri 5mila euro spetteranno a chi assiste un disabile grave.

Rispetto al passato, poi, l’Isee potrebbe avere una portata più ampia. Secondo fonti di governo, infatti, sarebbe allo studio l’ipotesi di usare il riccometro per determinare l’effettiva ricchezza delle famiglie ai fini del pagamento dell’Imu. Un modo per essere più precisi nell’aggredire solo i patrimoni di chi può davvero permetterselo.

VISITE MEDICHE GRATIS A MILANO, COSÌ SI COMBATTE LA CRISI

VISITE MEDICHE GRATIS A MILANO, COSÌ SI COMBATTE LA CRISI

 

Medici di quartiere, gratis. Senza fare file, chiedere impegnative, infilarsi nel tunnel delle liste d’attesa degli ospedali pubblici, e senza pagare profumati onorari in qualche clinica privata per le visite mediche. Una prova concreta e molto utile di solidarietà si sta sperimentando a Milano, nel centralissimo quartiere di Brera, dove un gruppo di medici specialisti residenti della zona si è messo a disposizione dei cittadini per offrire visite mediche e consulti senza alcuna ricompensa.

Ciascuno di loro ha messo a disposizione della collettività una giornata al mese, ed è possibile prenotare la propria visita rivolgendosi alla farmacia Antica Brera in via dei Fiori Oscuri. “All’inizio siamo stati guardati con stupore, quasi nessuno voleva credere che un gruppo di medici mettesse a disposizione il proprio tempo e il proprio lavoro per gli altri. Poi hanno capito che facevamo sul serio, e adesso siamo sommersi dalle richieste per le visite mediche. Occuparsi degli altri è possibile, anche con i gesti più semplici…”, racconta Alessandra Piona, allergologa, residente a Brera e una delle promotrici dell’iniziativa “Medico di quartiere gratis“. L’iniziativa di Brera si aggiunge al programma del Comune di Milano, in collaborazione con i Lions, che andrà avanti fino al 7 giugno, per ottenere esami medici gratuiti attraverso la rete delle farmacie comunali. L’elenco delle farmacie inserite nel programma si può consultare sul sito www.farmaciapertutti.it.

 

I test di Milano rappresentano segnali concreti del welfare dal basso, quello che nasce sul territorio e si dedica alle comunità della zona. Un welfare alimentato dall’azione dei cittadini, da un piccolo sforzo di solidarietà, che si integra alla mano pubblica i cui fondi disponibili sono sempre più scarsi. Speriamo che l’esempio di Brera venga imitato da altri quartieri e da altre città.

LE 7 REGOLE PER VIVERE PIÙ A LUNGO

LE 7 REGOLE PER VIVERE PIÙ A LUNGO

 

di Francesca Mancuso

 

Per vivere più a lungo e rimanere in salute non serve molto. Bastano poche semplici regole per assicurarsi una vita sana e duratura. Lo dicono gli scienziati americani dell’American Institute for Cancer Research, che hanno stilato una breve classifica dei gesti che possono garantirci di vivere meglio e più a lungo.

Lo studio ha monitorato le diete e tassi di malattia di quasi 380.000 persone per un periodo di 13 anni in 9 Paesi europei. Dall’esame dei risultati è emerso che coloro che avevano seguito meglio i sette consigli sullo stile di vita semplice dell’AICR, avevano ridotto il loro rischio di morte legato a malattie come il cancro, le patologie cardiocircolatorie e quelle respiratorie, del 34%, rispetto a coloro che non avevano seguito le raccomandazioni.

Molte le conosciamo già, ma ecco quali sono le 7 regole d’oro per vivere meglio e più a lungo:

1. Rimanere magri il più possibile senza però cadere nell’eccesso di diventare sottopeso

2. Muoversi almeno 30 minuti al giorno

3. Limitare il consumo di cibi ipercalorici ed evitare le bevande zuccherate

4. Seguire una dieta a base vegetale che include una varietà di verdure, frutta, cereali integrali e legumi

5. Limitare l’assunzione di carne rossa (manzo, maiale, agnello) ed evitare insaccati e salumi (prosciutto, salumi, pancetta, salsiccia). In ogni caso, se proprio non si riesce a fare a meno della carne è meglio non superare la dose di 500 g di peso cotto alla settimana

6. Se si consuma alcol, è bene limitarsi a bere un drink al giorno per le donne e due per gli uomini.

7. Dedicata alle mamme, è bene allattare il proprio bambino per i primi sei mesi.

Da notare che le raccomandazioni connesse all’alimentazione per evitare il sovrappeso e l’obesità hanno abbassato del 22% il rischio di morte, mentre seguire una dieta a base di vegetali lo abbasserebbe del 21%.

Regole chiare, risultati certi. Lo assicura il Direttore di Ricerca dell’AICR, Susan Higginbotham, che ha accolto con favore i nuovi risultati dello studio: “Seguendo i consigli sullo stile di vita di AICR si potrebbe ridurre l’incidenza a livello mondiale dei casi di cancro di circa un terzo”. Con tanto di prove. Basterebbe seguirle per salvare milioni di vite da cancro e altre malattie croniche in tutto il mondo.

Omicidio preterintenzionale per le due ragazzine di Udine

Omicidio preterintenzionale per le due ragazzine di Udine

 

 

Omicidio preterintenzionale per le due quindicenni di Udine che hanno confessato di aver ucciso, strangolandolo, un pensionato di 67 anni, Mirco Sacher, per difendersi da una violenza sessuale. Il Gip del tribunale dei minori di Trieste ha creduto dunque alla loro versione, la prima fornita ai Carabinieri. E’ caduta l’ipotesi di omicidio volontario e furto aggravato  (l’auto e il telefonino del pensionato). Le due ragazzine, che si sono avvalse della facoltà di non rispondere, non andranno in carcere ma subiranno la misura cautelare di due mesi ciascuna in due distinte comunità protette. L’omicidio è stato commesso e confessato dalle due quindicenni domenica scorsa: hanno raccontato di aver chiesto un passaggio al pensionato che non era uno sconosciuto (anzi, per una delle due, era quasi un nonno acquisito) e che le avrebbe portate sulla sua Punto su una strada di campagna dove l’uomo avrebbe tentato una violenza, come dimostrerebbero alcuni graffi sul seno di una delle due. La reazione delle due ragazzine è stata decisa e il pensionato – il cui corpo è stato trovato dai carabinieri con i calzoni abbassati – avrebbe avuto la peggio nella colluttazione seguita al tentativo di violenza. Lasciato a terra il corpo dell’uomo, le due quindicenni avrebbero preso l’auto e con questa si sarebbero dirette verso Pordenone percorrendo un tratto di autostrada. Qui avrebbero contattato due amici – ai quali avrebbero detto di essersi sentite conme le protagonista di un famoso vidogame – raccontando l’accaduto. Sono stati questi due ragazzi a convincerle poi a costituirsi ai carabinieri. Che Sacher non fosse affatto uno sconosciuto per le due ragazzine lo dimostra un filmato girato da una telecamera fissa di una gelateria di Udine, ale 10,30 del mattino di domenica. L’uomo, il pensionato, indossa jeans e un giaccone; la prima ragazza, capelli rossi, corporatura un po’ forte, non alta, veste una giacca blu con cappuccio imbottito di finta pelliccia, legging grigi a grossi disegni bianchi e scarpe da ginnastica. La telecamera la inquadra da dietro. L’altra giovane, capelli corti, indossa un giubbetto di pelle.