Scontro Renzi-calcio su chi deve pagare gli straordinari alla Polizia

Scontro Renzi-calcio su chi deve pagare gli straordinari alla Polizia SONDAGGIO

matteo renzi in tribuna al franchi

01 ottobre alle 19:00

Chi deve pagare gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi? I club, secondo il Premier Matteo Renzi, che su Twitter, facendo riferimento ai contenuti del decreto stadi in votazione alla Camera, scrive: “Gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini“.

LA SERIE A E’ CONTRARIA – Di diverso parere il presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beretta, che aRadio 24 spiega: “Il provvedimento così come è ci preoccupa molto, per la sua realtà e per il precedente che rischia di costituire. Le società di calcio sono contribuenti significativi come tutti gli altri e penso che non sia facile stabilire cosa è ordinario e cosa straordinario, perché dipende dai modelli organizzativi. Poi questa cosa è dedicata al calcio o agli eventi sportivi come è scritto nel testo dell’emendamento. Penso che ci siano tante cose su cui è necessario fare chiarezza. Spiace trovarsi questa sorpresa senza un minimo confronto e credo che questo sia un rammarico legittimo”.

Il costo degli straordinari, ogni anno, è di 25 milioni di euro, come ricorda l’agenzia Agi: “Sono il fatturato di molte società di calcio e bisognerebbe avere chiaro il quadro e molte di queste società hanno bilanci in tensione – commenta ancora Beretta -. Con questa operazione rischiamo di scaricare oneri su realtà anche importanti che poi sono chiamate a competere all’estero, a fare una serie di attività. Ricordo che tutta la sicurezza all’interno degli stadi, che sono pubblici, è pagata dalle società direttamente con gli steward. Credo che si stia cercando di addossare un peso su alcune realtà che già ne sopportano una parte significativa. Se andiamo a guardare numeri e cose sarà più facile capire di che grandezza stiamo parlando, poi abbiamo massimo rispetto del legislatore”.

PARLA TAVECCHIO – Sul sito della Figc, un comunicato riassume il pensiero del presidente Carlo Tavecchio sulla vicenda. IL COMUNICATO – La FIGC condivide le parole e le preoccupazioni del presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta  riguardo l’emendamento al decreto stadi approvato dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera, con il quale si intende introdurre un contributo dei club (in percentuale sugli incassi da botteghino) per il pagamento dei costi della sicurezza in occasione degli eventi sportivi. Come già affermato dal presidente Carlo Tavecchio in occasione dell’audizione in commissione lo scorso 16 settembre, il mondo del calcio è consapevole delle ragioni e delle esigenze delle Forze dell’Ordine, con le quali da tempo si sta lavorando in maniera congiunta e proficua, ma chiede un confronto urgente affinché si sgombri il campo da inutili demagogie. “Occorre fare chiarezza su competenze e risorse disponibili – afferma Tavecchio – quindi analizzare con attenzione il contributo già fornito all’Erario direttamente dalle Società ed indirettamente anche attraverso i giochi e le scommesse sportive, al fine di verificare l’intera filiera dei ricavi collegati al gioco del calcio, rispetto alle risorse di cui beneficia. Sono convinto che attraverso una discussione preventiva e approfondita, di concerto con il CONI, si potranno trovare soluzioni condivise”. La Federcalcio rappresenta l’interlocutore imprescindibile per l’approfondimento di tematiche così importanti e si è già attivata nelle sedi competenti perché si avvii sull’argomento un dialogo proficuo.

INTERVIENE ANCHE MALAGO’ – Giovanni Malagò, presidente del Coni, commenta, come si legge su Gazzetta.it: “Il presidente della Lega Serie A Beretta è preoccupato? Lo capisco, ha ragione. Come tutte le questioni giuste o sbagliate che siano, se sono fatte in corso d’opera, se tu hai un tuo bilancio e dalla mattina alla sera ti dicono che hai una spesa supplementare che, per altro ancora non ho capito come si quantifica, è chiaro che non va bene. Servirebbe un’analisi generale per “ridisegnare un vero rapporto con tutto il sistema calcio” valutando “quelli che sono i benefici e gli introiti che ha il pubblico rispetto ai costi che ha”.

I Comuni sono pronti, scatta la Tasi. Da ottobre s’inizia a pagare

I Comuni sono pronti, scatta la Tasi. Da ottobre s’inizia a pagare

Deliberata la gran parte delle aliquote. Ecco come e quanto si versa

di MATTEO PALO

Roma, 19 settembre 2014 – Il mosaico della Tasi è, ormai, a un passo dal completamento. A mezzanotte di ieri, infatti, il ministero del Tesoro ha decretato lo stop alla pubblicazione, da parte dei sindaci, delle delibere che contengono le aliquote della nuova tassa sui servizi indivisibili, come l’illuminazione pubblica e la manutenzione delle strade. Gli enti locali hanno dovuto rispettare due termini: l’invio entro lo scorso 10 settembre e la pubblicazione ieri. Hanno risposto alla chiamata 5.220 amministrazioni, secondo i dati provvisori, che si sommano a quelle arrivate al traguardo già a maggio: in totale siamo a oltre 7mila. Tra queste, adesso, compaiono tutte le più importanti città italiane. A questo punto, ne mancano all’appello circa 650.

Partiamo dal funzionamento concreto dalla tassa. Il nuovo tributo ha un’aliquota che varia da un minimo dell’un per mille fino a un massimo del 3,3 per mille. Il limite, però, può essere raggiunto soltanto a condizione che una quota pari allo 0,8 per mille venga collegata alle detrazioni a favore delle categorie meno abbienti. Il modo in cui si sono comportate le amministrazioni viene sintetizzato da Guido Castelli, sindaco di Ascoli e responsabile finanza locale per l’Anci: «Secondo le nostre prime verifiche, i Comuni italiani si stanno orientando sul 2,5-2,6 per mille, che poi sono le aliquote che consentono di ripristinare le entrate venute meno con la cancellazione dell’Imu». Per le seconde case e per gli immobili di lusso, la Tasi si sommerà alla vecchia imposta municipale sugli immobili. E proprio questo fa temere che, alla fine, gli italiani verseranno molto più che con la vecchia Imu: secondo il servizio politiche territoriali della Uil, una famiglia su due pagherà più di due anni fa.

Il quadro delle delibere è piuttosto complesso. Il primo termine per fissare la propria aliquota era stabilito al 23 maggio scorso: allora si erano mossi 2.178 Comuni, fissando la data per l’acconto al 16 giugno. In questo secondo round se ne sono aggiunti all’elenco altri 5.220. Tra questi ci sono quasi tutti i capoluoghi di provincia, con la sola eccezione di Crotone: tra i più importanti vanno citati Roma, Bari, Catania, Verona, Padova, Palermo, Siena, Perugia, Trieste, Pescara, L’Aquila, Campobasso, Reggio Calabria, Firenze e Milano. In queste città il prossimo 16 ottobre i cittadini dovranno versare un acconto pari al 50% della Tasi complessiva per il 2014. Saranno chiamati al prelievo non solo i proprietari, ma anche gli inquilini, che pagheranno una quota variabile tra il 10 e il 30%, a seconda dei casi. Restano fuori, a questo punto, circa 650 amministrazioni. In queste città la tassa andrà pagata d’ufficio con l’aliquota base dell’uno per mille entro il prossimo 16 dicembre.

Sciopero forze dell’ordine, Renzi: no ai ricatti. Alfano: richieste legittime, toni eccessivi

Sciopero forze dell’ordine, Renzi: no ai ricatti. Alfano: richieste legittime, toni eccessivi

I funzionari di polizia: “noi ci mobiliteremo ma i cittadini stiano sicuri: continueremo a tutelarli. I poliziotti continueranno a stare nelle sale di intercettazione e a combattere i delinquenti”

Roma, 5 settembre 2014 – L’annuncio dello sciopero delle forze dell’ordine – all’interno della mobilitazione della P.A. contro il blocco dei salari – è stato un fulmine a ciel sereno, che ha scosso la politica. E mentre Renzi accetta di incontrare gli agenti ma avverte: “Niente ricatti”, il ministro dell’interno Alfano sembra tendere la mano alle forze dell’ordine.

ALFANO – “Le richieste sono legittime ma espresse in toni e modi francamente eccessivi”. Lo ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano in riferimento allo sciopero generale annunciato dai sindacati delle forze di polizia e dei Cocer interforze.

LUPI – “C’è sensibilità da parte del governo sul tema della specificità delle forze dell’ordine, ma non è con la minaccia dello sciopero che si ottiene questo riconoscimento” ha detto da parte sua il ministro delle Infrastrutture e trasporti Maurizio Lupi.

BOLDRINI – “Mi auguro che ci sia un margine di negoziato per poter venire incontro a queste richieste“, commenta la presidente della Camera, Laura Boldrini. “Mi rendo conto della frustrazione di chi sta sulla strada e rischia la vita – ha osservato -, mi rendo conto che sia molto peculiare il lavoro che viene fatto dalle forze di polizia: è tutta la nostra sicurezza che dipende da questo e mi auguro, pertanto – ha ribadito – che ci sia un margine di negoziato per poter venire incontro a queste richieste”.

APPELLI –  Uno sciopero delle forze dell’ordine contro la proroga del blocco degli stipendi “sarebbe un fatto gravissimo, sarebbe la prima volta e spero che Renzi e Alfano non si intestino questo record negativo”, ha affermato l’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni, secondo il quale “quando ci sono venti di guerra nel mondo e l’invasione degli immigrati bisogna dare risorse alle forze dell’ordine per garantire la sicurezza”. “Alfano – ha concluso – faccia il ministro dell’Interno e garantisca le forze dell’ordine“.

Appello anche del vicesegretario Udc Antonio De Poli: “Dal Governo ci aspettiamo un atteggiamento di responsabilità e un segnale di attenzione nei confronti delle forze dell’ordine. In un momento di difficoltà non si può far pagare il prezzo a chi opera quotidianamente per la sicurezza del Paese. Bisogna – prosegue – scongiurare lo sciopero e ci auguriamo che gli annunci che abbiamo sentito in queste ore non si traducano in realtà visto che rischiano di creare una situazione di grande preoccupazione e di allarme tra i cittadini”.

CITTADINI SICURI – “Le nostre azioni sono tutte nell’ambito della legalità della legge, noi ci mobiliteremo ma i cittadini stiano sicuri: continueremo a tutelarli con le volanti, le manifestazioni continueranno a essere presidiate: su questo non c’e’ nessun problema. I poliziotti continueranno a stare nelle sale di intercettazione e a combattere i delinquenti”, assicura Enzo Marco Letizia dell’Associazione nazionale Funzionari di Polizia, intervenendo ad Agorà Estate, su Rai3. “I servizi burocratici sono un’altra vicenda e, soprattutto, quelli che saranno liberi dal servizio in permesso sindacale, quelli che si metteranno in ferie, si scenderà in piazza per manifestare quello che ci sta capitando, quello che sta capitando al Paese – ha proseguito Letizia – il Paese sta correndo rischi serissimi anche con delle politiche poco accorte sulla repressione penale in tema di sicurezza”.

Malta, l’ultimo paradiso fiscale Ue rischia deriva.

Malta, l’ultimo paradiso fiscale Ue rischia deriva. E vende passaporti a ricchi russi

Le aliquote sulle società, ferme al 5% per i non residenti, continuano ad attirare capitali stranieri. Tanto che il sistema bancario dell’isola vale ormai otto volte il Pil. Il pericolo è quello di diventare la terra promessa per il riciclo di capitali di oscura origine. Sempre più tesi i rapporti con Bruxelles

Malta

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Da destinazione prediletta per vacanze studio estive a terra promessa dell’offshore made in Ue. È il destino dell’isola di Malta, fino a pochi anni fa nota soltanto come meta turistica, vero e proprio Eldorado per chi volesse imparare l’inglese godendosi il mare. Dal 2004, però, il volto di Malta sta velocemente cambiando: una vera e propria trasformazione capillare dell’economia che dopo il crack di Cipro ha reso l’isola l’ultimo paradiso fiscale all’interno dell’Unione Europea. “Chi è venuto ad aprire un’attività qui dieci anni fa ha fatto i soldi”, spiega Marcello, uno dei tanti siciliani che in due ore di catamarano da Pozzallo ha raggiunto l’isola per mettere radici. “Qui gira tutto intorno al turismo e al gioco d’azzardo on line”. Sull’onda di una presenza turistica che ormai sfiora i due milioni di visite l’anno, infatti, i maltesi hanno provato ad aprire la loro economia: al mare di Paradise bay e di Comino, alle case museo di Mdina, ai locali notturni di Saint Julian e Sliema, il piccolo isolotto in mezzo al Mediterraneo ha ormai affiancato decine di sportelli bancari. Che dal 2004, anno dell’entrata nell’Unione Europea, hanno visto l’arrivo di massa degli investitori stranieri. Merito delle imposte, tra le più esigue dell’Ue al pari soltanto del Lussemburgo: le aliquote sulle società sono al 35%, e si riducono appena al 5% per i non residenti, mentre non esistono tasse di successione o patrimoniale.

Il sistema bancario vale 8 volte il Pil – “Qui apri la tua attività in un giorno, puoi iniziare a lavorare in attesa di tutte le autorizzazioni e paghi il 18% secco di tasse se sei residente: nessun imposta per la musica dal vivo, somministrazioni o altro”, racconta Valerio che gestisce un bistrot a La Valletta, la capitale. Sull’onda della sempre florida azienda dei casinò (a Malta hanno sede legale molte società di gioco d’azzardo on line) ecco quindi che il sistema bancario maltese si è gonfiato in pochi anni fino a diventare otto volte più grande del Pil, che nel 2013 non raggiungeva gli 8 miliardi di dollari. Una cifra enorme che un anno fa aveva catalizzato l’attenzione del francese Le Monde. “Malta è il prossimo detonatore di una crisi Europea?” si chiedeva il quotidiano d’oltralpe. “Ha delle somiglianze inquietanti con Cipro”, continuava il giornale riportando l’analisi dell’economista Alan Lemangnen. Come dire che la prima banca che salta sull’isola trascina nel baratro le altre. E toccherebbe poi all’Ue provare a salvare l’enorme sistema bancario locale.

L’aliquota al 5% che attira i non residenti – “Paragonare Malta a Cipro è un inutile allarmismo: le nostre banche hanno una minore attività internazionale”, replicava il governatore della Banca Centrale maltese Joseph Bonnici. E anche negli ultimi dodici mesi gli investimenti stranieri in terra maltese non si sono fermati, soprattutto da parte dei non residenti, affascinati da quell’aliquota ferma al 5%. Anche in quel campo però potrebbero presto arrivare novità. “Dal mio punto di vista sconsiglio gli strumenti societari che non corrispondano ad una reale operatività della struttura: i paesi d’origine si stanno muovendo a livello europeo”, dice a ilfattoquotidiano.it il tributarista Nicola Galleani. I capitali esteri in terra maltese però continuano ad arrivare. E per cercare di aprire l’economia agli investitori stranieri il governo locale ha nei mesi scorsi cercato d’incidere anche sul tema dei diritti civili: nell’aprile scorso è stata approvata una legge che autorizza le unioni tra persone dello stesso sesso e riconosce le adozioni per le coppie omosessuali. Una misura che ha scatenato un aspro dibattito in Parlamento, dato che Malta è un paese profondamente cattolico dove ancora oggi è illegale qualsiasi forma di aborto: un caso unico all’interno dell’Ue.

Passaporti in vendita per i ricchi – Ma al di là delle incongruenze su questi temi e dello spauracchio di finire come Cipro, il vero pericolo per le finanze maltesi è un altro: diventare la terra promessa per il riciclo di capitali di oscura origine, provenienti soprattutto dalla Russia. Un rischio a cui l’isola al centro del Mediterraneo presta il fianco: risale al febbraio scorso, infatti, la trovata del Governo maltese di mettere in vendita 1.800 passaporti al prezzo di 650mila euro. Un’idea che ha sollevato i malumori ai piani alti di Bruxelles, dato che Malta avrebbe fatto cassa vendendo passaporti europei (con tutti i privilegi annessi) a facoltosi quanto sconosciuti personaggi esteri, attirati dalla favorevole condizione fiscale di un’isola all’interno dell’Unione Europea. Unico requisito per potere acquistare la cittadinanza, l’investimento di 500mila euro in bond maltesi e immobili sull’isola: come dire che per diventare europei basta essere ricchi.

E gli immigrati vanno in prigione (con i fondi Ue) – Un particolare che ha ulteriormente infiammato i rapporti tra La Valletta e Bruxelles, dato che in passato sono stati molteplici le bacchettate che l’Ue ha riservato a Malta, per la questione dei respingimenti in mare delle imbarcazioni di migranti provenienti dall’Africa. E mentre da una parte il governo maltese si appresta a vendere passaporti a peso d’oro, dall’altra costruisce nuovi penitenziari con i fondi arrivati dall’Unione Europea per l’accoglienza dei migranti. Sull’isola infatti il reato d’immigrazione clandestina è punito con un anno di detenzione.

Forlì, pescivendolo dichiara 900 euro al mese. Ma ha una Ferrari e un suv

Forlì, pescivendolo dichiara 900 euro al mese. Ma ha una Ferrari e un suv

La Guardia di Finanza contesta a un commerciante un’evasione da 210mila euro tra Iva e imposte. Alle fiamme gialle ha detto: “La fuoriserie? Non la uso perché costa troppo”

Ferrari 360 Modena

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La compagnia di Forlì della Guardia di Finanza ha chiuso una verifica fiscale nei confronti di un commerciante di prodotti ittici contestandogli di aver evaso 210mila euro tra Iva e imposte. L’uomo dichiarava redditi annui per circa 10mila euro, cioè meno di 900 euro al mese, ma era intestatario di una Ferrari 360 Modena del valore di 90mila euro e di un Suv Mercedes ML320. Coi finanzieri ha sostenuto di utilizzare molto raramente la vettura, per gli elevati costi di gestione. L’imprenditore, tra le altre cose, era da tempo sotto il controllo dei finanzieri, visto che più di una volta aveva“dimenticato” di fare lo scontrino dopo aver venduto della merce, incappando nella relativa sanzione.

Durante la verifica i militari hanno ricostruito le attività del magazzino merci e l’applicazione della percentuale di ricarico (ricavata dai prezzi di acquisto e di vendita dei prodotti), oltre ad una serie di controlli incrociati nei confronti di fornitori e clienti del commerciante. Intersecando i dati quindi la Finanza è riuscita a contestare al commerciante per il 2011, 2012 e 2013 una evasione di 198mila euro di imposte dirette e 12mila di Iva. Non riconosciuti inoltre 2mila euro di costi che l’imprenditore aveva indebitamente portato in dichiarazione. Quando sono entrati nel garage dove erano custodite le vetture, il commerciante ha appunto spiegato che la Ferrari la utilizzava “molto raramente” causa gli elevati costi di gestione. Pochi giorni prima della chiusura della verifica l’imprenditore, spiega la Gdf, ha deciso di vendere la fuoriserie.

PROPOSTA DI LEGGE PER CREARE IL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA CIVILE

PROPOSTA DI LEGGE PER CREARE IL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA CIVILE

 

di Redazione

 

È stato depositato oggi presso la Corte di Cassazione il titolo della Legge di Iniziativa popolare su cui poggerà la campagna per la “Difesa Civile non armata e nonviolenta”. La raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare inizierà il 2 ottobre, in occasione della Giornata Internazionale della Nonviolenza. Il testo della proposta di legge sottolinea come si vogliano rafforzare percorsi concreti di pace, anche attraverso l’opzione fiscale che permetterà di scegliere quale modello di difesa sostenere. L’iniziativa popolare prevede un testo legislativo volto alla “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta”. Le reti promotrici sono: Tavolo Interventi Civili di Pace, Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile, Forum Nazionale Servizio Civile, Campagna Sbilanciamoci, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo.

L’obiettivo è quello della costituzione di un Dipartimento che organizzi un modello di difesa civile utilizzando varie componenti oggi esistenti fra cui il Servizio civile, i Corpi civili di pace, la Protezione Civile oltre ad un ipotizzato Istituto di ricerca su Pace e Disarmo. «Si tratta di dare finalmente concretezza a ciò che prefiguravano i Costituenti con il ripudio della guerra e che già oggi è previsto dalla legge e confermato dalla Corte Costituzionale – dicono i promotori – la possibilità di assolvere all’obbligo costituzionale dell’articolo 52 con una struttura di Difesa civile alternativa a quella prettamente militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l’opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi». «Dotarsi di strumenti di difesa civile e nonviolenta significa dare finalmente piena attuazione all’articolo 11 della nostra Costituzione assumendo come priorità il ripudio della guerra, la promozione attiva della pace e la garanzia dei diritti umani fondamentali», ha chiarito Grazia Naletto, portavoce di Sbilanciamoci.

«È una scelta chiara e di fondo, che pensa che il finanziamento di cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra lasci il nostro Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono rendendolo invece minaccioso agli occhi del mondo».

«Per costruire concretamente la pace non bastano belle idee ed intenzioni ma occorrono strutture e persone che possano impegnarsi quotidianamente in tal senso. In tale prospettiva si iscrive la nostra richiesta: chiediamo che il nostro Paese diventi pioniere nella creazione ed istituzionalizzazione di percorsi alternativi e più efficaci di realizzazione di obiettivi di Pace. Con la partecipazione diretta, anche fiscale, di tutte le cittadine e i cittadini italiani», spiega Francesco Vignarca, coordinatore Rete Italiana per il Disarmo.

«La proposta di istituire un Sistema nazionale di Difesa Civile, che affianchi quello militare, recepisce non soltanto il chiaro dettato costituzionale che pone in capo ad ogni cittadino il dovere di contribuire alla difesa della Patria, ma anche gli sforzi profusi in questi anni dal legislatore che, attraverso l’istituzione del Servizio Civile Nazionale e dei Corpi Civili di Pace, ha gettato le basi culturali e organizzative sulle quali costruire questo sistema», aggiunge Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum Nazionale Servizio Civile. «Dalla tutela dell’ambiente alla protezione civile, dalla promozione culturale alla tutela dei diritti dei più deboli, il Sistema di Difesa Civile della Patria promuoverà l’insieme delle azioni e delle attività che le istituzioni, i cittadini e le loro organizzazioni potranno mettere in campo per contrastare le piaghe del disagio, dell’esclusione sociale e del degrado. Questa è la difesa della Patria di cui c’è oggi bisogno».

Nel testo di Legge di Iniziativa popolare viene previsto un finanziamento della nuova “Difesa civile” sostanziato attraverso l’introduzione di una “opzione fiscale”, cioè della possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare una certa quota alla difesa non armata, togliendola dai finanziamenti militari e per la armi.

Il sindaco: un patto con la moda. Mercoledì incontro per il rilancio

Il sindaco: un patto con la moda.
Mercoledì incontro per il rilancio

Nessuna tregua nella polemica tra il Comune e i titolari del marchio. I due stilisti continuano con la serrata a pochi giorni dal tavolo con la Camera della Moda che punta a rilanciare le sfilate in programma a settembre

di ALESSIA GALLIONE

Le porte di Palazzo Marino si apriranno mercoledì. E sarà la prima volta, per la giunta arancione. Tutti lì, i rappresentanti del nuovo board della Camera della Moda – a cominciare dai big come Patrizio Bertelli di Prada, Diego Della Valle e Angela Missoni che hanno deciso di entrare nella ‘cabina di regia’ – attorno a un tavolo convocato da Giuliano Pisapia per sancire il patto tra Comune e stilisti. Una riunione operativa per il piano di rilancio della sfilate di settembre: era stata programmata da tempo, eppure si carica di nuove attese e significati in mezzo alle polemiche tra Piazza Scala e Dolce e Gabbana. E non solo perché loro, che non fanno parte della Camera della Moda, non ci saranno. Il caso non è finito. E, adesso, anche il sindaco replica con fermezza a quella serrata per «indignazione». E quelle di Giuliano Pisapia sono parole destinate a far discutere. Una difesa decisa della città: «Basta – dice – gli indignati siamo noi. Dolce e Gabbana dovrebbero chiedere scusa a Milano». 

Avrebbe voluto tenere un profilo basso, Pisapia. Con quel comunicato dettato a caldo per bollare come «improvvida» la battuta di Franco D’Alfonso, ma anche per descrivere come eccessiva la reazione di Stefano Gabbana che, via Twitter, aveva accusato: «Comune, fate schifo». Era solo l’inizio. È 

 

di fronte alle vetrine chiuse, però, allo «sdegno» – l’assessore aveva affermato che il Comune non avrebbe dovuto concedere spazi agli evasori fiscali come Dolce e Gabbana – che Palazzo Marino ha deciso di fare quadrato. E ribaltare il tavolo. Anche gli stilisti, però, non si fermano. Loro, ha attaccato Gabbana, non hanno mai chiesto nessuno spazio a Palazzo Marino. Di più: ribadisce di essere disposto a restituire, «molto volentieri», l’Ambrogino d’oro. Allora, quella benemerenza, fu dedicata a Milano. Oggi, infuriano le polemiche. 

Il blitz degli animalisti in via Spiga Il falso allarme bomba in corso Venezia

Da una parte lo scontro. Con D’Alfonso che, sul suo profilo Facebook riaperto per l’occasione ha parlato di «operazione di marketing per conquistare le prime pagine dei giornali». Dall’altra, la tela che l’assessore Cristina Tajani sta intessendo con il mondo delle passerelle. A partire da quel rilancio di settembre, e da una settimana delle sfilate che si aprirà con un gala alla Scala. È a questo che si riferisce, quando dice: «Nel mondo della moda c’è chi ha capito che è il momento di fare sistema, di fare squadra anche in ragione di una concorrenza internazionale inedita, e chi invece preferisce giocare una partita solitaria». 

Ogni riferimento a D&G sembra voluto. Anche per loro, però, c’è un invito: «Ovviamente le porte sono sempre aperte e vorremmo che anche Dolce e Gabbana fossero dei nostri». Ma il centrodestra è partito all’attacco. Daniela Santanchè ha bollato la giunta Pisapia come un «soviet». L’ex ministro Mariastella Gelmini ha definito «stupefacente che un marchio importante, ambasciatore del made in Italy, trovi nelle istituzioni cittadine degli interlocutori così inadeguati». Tajani ribatte: «Evitiamo strumentalizzazioni».

(21 luglio 2013)

 

Cambiano le rendite: ecco il nuovo catasto

Cambiano le rendite: ecco il nuovo catasto

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Argomenti: Fisco | Daniele Capezzone | Consiglio di Stato | Confedilizia | Senato | Lazio

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Cambiano le rendite: ecco il nuovo catasto - I capisaldi della riforma

Il nuovo Catasto sta diventando una priorità, visto che l’autonomia fiscale degli enti locali e in particolare l’Imu dipendono strettamente dai valori attribuiti agli immobili. Il comitato ristretto presieduto da Daniele Capezzone, che sta elaborando il nuovo testo base della delega fiscale, ha completato l’esame della parte dedicata al Catasto. Apportando alcune importanti modifiche al testo da cui era partita, cioè quello passato alla commmissione Finanze del Senato sul finire della scorsa legislatura.

In sostanza resta l’impianto di fondo, cioè la nascita di due diversi dati, un valore patrimoniale e una rendita catastale, determinabili attraverso un algoritmo basato su funzioni statistiche, ma spunta di nuovo il “federalismo catastale” tramontato tre anni fa.

 
 

Nella “vecchia” delega tutto il lavoro avrebbe dovuto essere scaricato sull’ex agenzia del Territorio ma c’erano delle perplessità come sarebbe stato possibile effettuare una ricognizione su 60 milioni di unità immobiliari, anche potendo utilizzare professionisti esterni ma con un budget molto risicato di circa 500mila euro. Del resto si tratta un’opera impegnativa: cancellare i “vani”, la categorie e le classi (ridotte a poche unità) e sostituire il sistema con i metri quadrati. Si tratterà, anzitutto di «definire gli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento» (volendo ci sono già le microzone, che erano state individuate proprio a questo scopo). Poi si procederà a individuare due valori, approssimati alle medie dell’ultimo triennio: quello patrimoniale e la rendita (si veda l’articolo qui sotto).

L’aiuto dovrebbe venire dai Comuni, che dovrebbero comunicare gli aspetti presenti nell’algoritmo che verrà utilizzato per calcolare il «valore patrimoniale» degli immobili di categoria A, B e C che gli uffici del Territorio si trovano nell’impossibilità di verificare. Come l’affaccio, allo stato di manutenzione, all’esposizione, che in un progetto edilizio sono facilmente riscontrabili ma in una mappa catastale no.

Forse anche per questo nel nuovo testo base elaborato dal comitato ristretto si è deciso di ridare corpo alle funzioni catastali dei Comuni, un progetto complesso partito con il Dpcm del 14 giugno 2007, che dava concretezza al progetto del passaggio ai Comuni delle funzioni catastali (legge 296/2006). Nel marzo 2008 già 5.068 Comuni avevano scelto, con delibera, quali e quante funzioni assumere e 2.374 erano stati già considerati “pronti” mentre altri 481 avevano deciso di affidarsi completamente all’ex agenzia del Territorio, che gestisce centralmente il Catasto. Le delibere di altri 2.213 Comuni erano invece state respinte al mittente per irregolarità. Proprio quando già si stavano già individuando i dipendenti del Territorio da trasferire ai Comuni, un ricorso al Tar Lazio di Confedilizia aveva bloccato il 3 giugno 2008 il Dpcm. La decisione era stata cassata dal Consiglio di stato e rinviata al Tar Lazio, che alla fine aveva emesso una sentenza (4312/2010) che comunque confermava l’annullamento dell’articolo 3, comma 4 del Dpcm del 14 giugno 2007, per cui il governo avrebbe dovuto emanare un nuovo Dpcm per meglio precisare le specifiche attività di esercizio delle funzioni dei comuni: «soprattutto per impedire forme di accertamento catastale del tutto arbitrarie».

Ora, comunque, nella delega fiscale l’intenzione è di tornare in qualche modo sulla questione, (si veda «Il Sole 24 Ore» del 19 luglio), ridando corpo all’ipotesi del decentramento per facilitare la fornitura dei dati necessari per la revisione delle rendite e valorizzando le esperienze positive sin qui realizzate, soprattutto in Comuni come Torino e Genova. Qui, tra l’altro, i controlli sulle mancate comunicazioni di variazioni al Catasto per immobili ritrutturati (che avrebbero dovuto passare di categoria e quindi aumentare la base imponibile) avevano già dato ottimi frutti.

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114%) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati. Per la Cgia di Mestre il debito della Pa nei confronti delle imprese è di circa 120 miliardi.
A darne conto è il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, che ha stimato questo importo dopo aver letto i risultati emersi da un’indagine campionaria presentata nel marzo scorso dalla Banca d’Italia in un’audizione parlamentare.
Secondo i ricercatori di via Nazionale, il debito della pubblica amministrazione è pari a 91 miliardi di euro. Una cifra che, ormai, viene presa come riferimento da tutti gli osservatori ogni qual volta si dimensiona l’ammontare complessivo dei crediti che le aziende vantano nei confronti del settore pubblico
“Si tratta di una foto scattata il 31-12-2011, ovvero più di un anno e mezzo fa – spiega Bortolussi – nella quale non sono comprese le aziende con meno di 20 addetti che sono il 98% del totale delle imprese italiane.
Nella ricerca, inoltre, non sono state coinvolte le imprese che operano nella sanità e dei servizi sociali dove, storicamente, si annidano i ritardi di pagamento più eclatanti. Alla luce di questi elementi, riteniamo che l’ammontare dei debiti scaduti stimato dalla Banca d’Italia sia sottodimensionato di circa 30 mld”.
Sia chiaro, rileva la Cgia, non è in discussione il rigore scientifico dell’indagine realizzata dalla Banca d’ Italia: nelle note metodologiche i ricercatori di via Nazionale hanno messo in evidenza tutti i limiti della ricerca. Chi dovrebbe preoccuparsi a dimensionare il debito dovrebbe essere lo Stato che, invece, si è dato tempo fino a settembre per calcolarlo.
Per Bortolussi “sarebbe ingeneroso prendersela con chi ci governa. Il mancato pagamento dei debiti è un problema che parte da lontano. Anzi, dobbiamo ringraziare il Governo Monti e quello di Letta per aver messo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica questa anomalia tutta italiana. Tuttavia, bisogna accelerare i tempi di pagamento, altrimenti con soli 20 mld di euro a disposizione annui, questi 120 mld di debito saranno onorati non prima del 2018″.
Se si analizzano gli effetti economici dei mancati pagamenti, si scopre che dall’inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15.000 imprese. I risultati a cui è giunta la Cgia nascono da alcune osservazioni realizzate da Intrum Justitia secondo la quale, il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti.
Tenendo presente che l’Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pa e le imprese nonché nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012.
Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti nel lustro preso in esame, la Cgia stima che 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti. Per Bortolussi “oltre ai ritardi nei pagamenti, hanno concorso sicuramente alla chiusura di queste attività anche gli effetti nefasti della crisi , come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito che ha caratterizzato l’azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese”.
Pur continuando ad essere il peggior pagatore d’Europa, in questi primi mesi del 2013 lo Stato italiano e le sue Autonomie locali hanno ridotto di 10 giorni i tempi di pagamento verso i propri fornitori. Se nel 2012 le fatture venivano saldate mediamente dopo 180 giorni, quest’anno, stando all’elaborazione Cgia su dati di Intrum Justitia, i fornitori devono attendere 10 giorni in meno, cioè 170.
Solo la Grecia, che nella graduatoria generale è al penultimo posto, ha fatto meglio di noi: per l’ anno in corso ha accorciato i tempi di pagamento di 15 giorni. “Vuoi per gli effetti della nuova legge nazionale entrata in vigore dal primo gennaio di quest’anno che ha recepito la Direttiva europea contro i ritardi dei pagamenti, vuoi perché nel Paese si è diffusa una certa sensibilità nei confronti di questo problema – conclude Bortolussi – sta di fatto che la Pa italiana paga i propri fornitori con maggiore celerità. Questa è un’inversione di tendenza importante, ma non ancora sufficiente, visto che rimaniamo fanalino di coda a livello europeo. Se in questo ambito le Pa di Grecia e di Cipro continuano ad essere più efficienti della nostra, vuol dire che il lavoro da fare è ancora molto”.

Quando e come registrare un contratto di affitto?

Quando e come registrare un contratto di affitto?

 

 

registrare contratto di affittoRegistrare un contratto di affitto è un obbligo a cui gli interessati, locatore e conduttore, devono provvedere per evitare che il loro rapporto sia considerato come “in nero”. Esso è annoverato infatti come obbligo di legge, e al suo adempimento dovrai procedere entro 30 giorni dalla conclusione del contratto di locazione. L’unica esclusione a tale regola si ha nel caso in cui la stessa locazione abbia una durata inferiore a trenta giorni. In questo articolo ti spiegheremo come procedere alla registrazione del contratto, e quali documenti dovrai necessariamente presentare.

Il costo della registrazione

Registrare un contratto di affitto comporta un costo, essendo un’operazione che impegna i pubblici uffici addetti. Dal momento che l’operazione di registrazione interessa ambo le parti in causa, la spesa relativa sarà equamente suddivisa, al 50%, tra locatore e conduttore, salvo che questi non stipulino patto contrario. Tale spesa è, per gli immobili urbani, pari al 2% del canone annuo moltiplicato per il numero delle annualità totali. Nella eventualità in cui il tuo contratto di locazione avesse durata pluriennale, potrete decidere di versare l’ammontare totale in un’unica soluzione; in questo caso, oltretutto, potreste godere di uno sconto sulla spesa totale, pari alla metà del tasso di interesse legale moltiplicato per le annualità del contratto. Dovrete poi versare l’imposta così calcolata presso qualsiasi riscossore, ufficio postale o banca, ricorrendo al modello F23, prima di procedere alla registrazione del contratto. Una copia della quietanza di pagamento dovrà essere consegnata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente entro 30 giorni dalla data del contratto, insieme con la richiesta di registrazione compilata sull’apposito modulo.
Se doveste risolvere il contratto prima del tempo, e aveste nel frattempo versato l’importo per l’intera durata del contratto di locazione, il pagante ha diritto al rimborso delle annualità non godute.

La registrazione telematica

Il legislatore italiano, conscio delle problematiche e delle tempistiche legate alla procedura per registrare il contratto di affitto, è intervenuto con legge 44/2012, riconoscendo agli interessati come te la possibilità di procedere alla registrazione per via telematica. A tal fine, dovrai procurarti i software Iris e Siria, che l’Agenzia delle Entrate mette gratuitamente a disposizione sul proprio sito internet; la procedura non è eccessivamente complessa, ma, data l’estensione dell’obbligo di registrazione telematica ai possessori di 10 o più unità immobiliari, che fino ad ora erano forse abituati alla registrazione cartacea, potrai rivolgerti al tuo commercialista, oppure al CAF di zona. Il drastico calo a 10 unità, che nel regime precedente erano invece 100, è stata anche pensata al fine di sopprimere il problema sociale del contratto sociale. I due software appena richiamati possono però essere utilizzati per registrare i soli contratti di affitto che abbiano riguardo a massimo tre affittuari in unico immobile, e a condizione che i contraenti siano persone fisiche. In caso di registrazione telematica, ti elenchiamo ciò che ti sarà necessario per completare la procedura:

  • Originale e fotocopia del contratto di locazione che deve essere registrato
  • Software Iris, Siria (entrambi sia in locale o via web), Contratti di Locazione o Locazioni Web

La registrazione cartacea

Più complessa diviene la procedura per l’ipotesi di registrazione cartacea, essendo necessaria la presentazione di più documenti. Questa, in realtà, è una scelta cui potresti ricorrere nel caso in cui preferissi avere l’assistenza diretta di un dipendente competente dell’Agenzia delle Entrate: ti consigliamo allora di premunirti dei documenti che ti elencheremo, in modo da evitare di dover tornare una volta ulteriore, con tutto ciò che ne consegue in termini di tempo ed energie perse. Entro 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto di affitto (o della sua decorrenza, se precedente), dovrai recarti presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente per registrare il contratto di affitto. La legge elenca precisamente i documenti necessari perché tu possa promuovere correttamente domanda di registrazione del contratto di affitto. Innanzitutto, dovrai compilare due documenti:

  • Il modello 69, che potrai ritirare presso lo stesso ufficio
  • La quietanza di pagamento delle imposte secondo il modello F23 che prima abbiamo richiamato

Al dipendente dell’Agenzia dovrai presentare, insieme a tali modelli opportunamente compilati, anche altri documenti, che dorai procurarti da solo:

  • Il contratto di locazione che deve essere registrato, almeno in duplice copia con firme originali
  • Il numero necessario di marche da bollo del valore di 14,62 euro ciascuno, e precisamente una per ogni quattro pagine composte di cento righi, salvo non si scelga la cedolare secca. Le marche da bollo devono essere applicate a entrambe le copie del contratto che consegnerai all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate

A questo punto dovrai calcolare e pagare il 2% del canone annuo, moltiplicato per il numero totale delle annualità, così come ti abbiamo accennato nel primo paragrafo. Della registrazione del contratto di affitto, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate ti rilascerà una ricevuta. A questo punto l’intera procedura è completa, e potrai avere la certezza di essere in regola con il sistema di legge, sia con riguardo agli aspetti pubblicitari, sia a quelli fiscali.