Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat

Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come Paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’Unità, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande Paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla  – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.

Pubblicità

Nella loro diversa pesantezza e dimensione, tutti e tre gli eventi hanno un loro aspetto non chiaro (e anzi, misterioso) e stupisce che così tanta parte dei media italiani si prestino a celebrare due degli eventi e a ignorare il terzo.

Nonostante la memoria corta di un mondo su cui piovono Twitter e hashtag come la cenere dopo Hiroshima, credo che si ricorderà la fine del Senato. Perché non se ne conosce la ragione; perché c’erano cose ben più urgenti da fare; perché ha sradicato in modo rozzo e violento i molti legami, ascendenze e conseguenze nellaCostituzione; perché, come ha detto bene, chiaro e al momento giusto, il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani, questa legge porta due firme: quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi. Lo testimonia un’immagine destinata a restare come quelle dei Marines di Iwo Jima: Maria Rosaria Rossi, di casa Berlusconi, abbraccia Maria Elena Boschi, di casa Renzi, con il furore femminile di poche grandi occasioni della vita. La commenta bene, in un desolato e bellissimo testo, su Il Corriere della Sera (7 agosto) Corrado Stajano: “Perché, ci si chiede, discutere della legge fondamentale della Repubblica in modo così affannoso e dilettantesco, con il ritmo di una tappa a cronometro su pista, tra minacce e blandizie?”. Nell’entusiasmo del momento si erano persino dimenticati che Giorgio Napolitano, a un certo momento, avrebbe dovuto diventare senatore a vita. E la Finocchiaro è dovuta correre indietro a inserire un’eccezione per ex presidenti della Repubblica, che restano d’ora in poi i soli senatori a vita. Ma dove? Nel festoso suk di portatori di interessi nominati dalle Regioni.

Intanto Renzi ha chiuso l’Unità. Ma quando mai?, ti direbbero al Nazareno, se ti accogliessero e non temessero che qualcuno gli guardi le carte sul tavolo. L’Unità, ti direbbero, ha finito la corsa, punto e basta. Svelto com’è, Renzi non ha neanche perduto tempo a verificare se e come l’organo del Partito Democratico svolge il suo ruolo. Sì, qualche volta avrà notato con la coda dell’occhio, che non era tutto scritto da lui, che non c’entrava, neppure dopo anni di Ds e poi di Pd remissivo e sempre pronto a qualche pacificazione, con la nuova vita insieme, lui e Berlusconi, Berlusconi e lui.>

Non tutti cambiano radicalmente in una o due assemblee, come i membri di direzione del suo partito. Dopo tutto quel giornale ha mai aperto con grande foto del sorriso fisso sulla non realtà della Boschi o della incompetente e dannosa gentilezza della Madia? Diciamo la verità: il giornale stava nei ranghi ma non lo aveva ancora portato in trionfo. E poi, a certe scadenze, veniva fuori con certi ricordi e immagini e voci di cui non senti il bisogno, mentre condividi questa nuova Italia rinnovata e pacificata con Berlusconi. Intanto se i competenti del mondo fanno notare le tue disattenzioni economiche e il rischio grave dell’Italia, sei già circondato di “grandi giornali” italiani detti indipendenti che si occupano di non dirlo. Infine deve avere notato che nessuno, anche tra i più miti redattori dell’Unità, era mai stato boy scout. Renzi ha imparato solo la prima parte del celebre motto: “Tutti per uno”. È svelto, e passa subito alla conclusione: chiudere, e farla finita, come gli dice Verdini da un pezzo, con la paccottiglia comunista.

La Fiat, che era l’immagine dell’Italia industriale nel mondo e il punto di riferimento per l’industria italiana (se lo fa la Fiat, come fa la Fiat…) si è sfilata con agilità dalle tasse (paga a Londra), dai legami con l’Italia (ha sede amministrativa e legale in Olanda) e dalla produzione (che ha luogo alla periferia di Detroit). Di fronte a un evento di tale enormità i politici non c’erano, non al Parlamento di una o due Camere, non al governo. Renzi lavorava a cambiare verso, a cambiare l’Italia, a forgiare le riforme che tracciano qualche solco ma non si sa per dove.

Anche perché gli hanno portato a Palazzo Chigi tre immensi gipponi, che sarebbero destinati alla produzione italiana (famosa nel mondo per la Cinquecento, ricordate?). Ma la produzione italiana non esiste. Piani, progetti e investimenti sono stati tenuti fermi. E gli operai della Fiat, noti nel mondo per il loro lavoro, ora sopravvivono in buon numero con la cassa integrazione di questa Repubblica, mentre la Casa Tudor-Marchionne paga al governo inglese. Renzi? Per lui va bene. Il Paese gli sembra più fresco, più giovane. Senza Fiat, senza Unità, senza Senato, lui ci ha riportati come bambini al mattino di una giornata che ci promette bellissima. Se righiamo dritto, senza ostruzionismi e senza menarla sulla Costituzione.

Italiane rapite in Siria, assessore Varese: “Partite per farsi selfie coi ribelli”

Italiane rapite in Siria, assessore Varese: “Partite per farsi selfie coi ribelli”

Il sottosegretario Pistelli ricorda che “la Farnesina si è mossa fin dal primo giorno” del sequestro di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Il componente della giunta varesina Stefano Clerici su Facebook: “Due sprovvedute. Da bambine è bene che non si giochi alle ‘piccole umanitarie’, ma con le barbie. Il riscatto? lo farei eventualmente pagare ai loro ancor più sprovveduti genitori”

Italiane rapite in Siria, assessore Varese: “Partite per farsi selfie coi ribelli”

Più informazioni su: .

“Da prima che la notizia fosse nota che noi siamo sulle tracce, alla caccia del gruppo che ha preso le due ragazze”. Il vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, dai microfoni di SkyTg24 interviene sul sequestro in Siria di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due volontarie rapite nei giorni scorsi ad Aleppo. Pistelli assicura che ”la Farnesina si è mossa fin dal primo giorno, cioè sei giorni prima che la notizia fosse nota al grande pubblico” ma sottolinea anche che nella gestione del caso servono “discrezione e silenzio”.

Le piste aperte – Intanto gli inquirenti lasciano tutte le piste aperte e non escludono anche l’ipotesi che le due giovani siano state cedute ad altre organizzazioni per gestire una trattativa ed ottenere un riscatto. Le due cooperanti sarebbero state rapite nel villaggio di El Ismo, a ovest di Aleppo, da uomini armati dalla casa di quello che viene indicato come il “capo del Consiglio rivoluzionario” locale, presso il quale erano ospitate. Una zona, quella del nord del Siria, dove ribelli, jihadistiislamici e bande di criminali comuni si contendono il territorio, e dove il business dei ricatti è la principale fonte di sostentamento di molti gruppi estremisti.

Pubblicità

In questo scenario caotico, il primo obiettivo è di individuare chi gestisce materialmente il sequestro delle due cooperanti nella fase attuale, che intenzioni abbia, e trovare un canale di collegamento affidabile per intavolare una trattativa, fanno sapere fonti vicine all’inchiesta, specificando tuttavia che “è ancora troppo presto e tutti gli scenari sono aperti”. Sulla base delle esperienze passate, viene ritenuta “concreta” l’ipotesi che Vanessa e Greta possano passare da un gruppo ad un altro, anche se “non ci sono evidenze certe”.

Le famiglie – Nei paesi d’origine delle due ragazze, appena ventenni, cresce l’attesa e la preoccupazione. A Gavirate, piccolo comune della provincia di Varese, la famiglia di Greta Ramelli resta chiusa. A parenti e conoscenti è stata data la consegna del silenzio non solo per favorire l’opera della Farnesina, ma anche perchè la famigliaRamelli ha chiesto così, in maniera ancor più diretta dopo l’arrivo dei giornalisti davanti alle finestre di casa. E la comunità partecipa all’apprensione della famiglia ma senza organizzare iniziative di solidarietà per il momento, ha spiegato il sindaco Silvana Alberio, sottolineando che c’è già “tanto clamore mediatico”. A Brembate, nel Bergamasco, il padre di Vanessa MarzulloSalvatore, ha raccontato in un’intervista che la figlia aveva deciso di partire – per la terza volta verso la Siria – contro la volontà dei familiari, perché “convinta che per aiutare i bambini siriani dovesse andare da loro”. Il signor Marzullo anche ieri era a Roma per incontrare i funzionari della Farnesina (che ha visto “molto attenti” al caso). In attesa, ha spiegato, che arrivi la tanto sospirata “buona notizia”.

La polemica dell’assessore di Varese: “No a riscatto a spese nostre per due sprovvedute” – Mentre la Farnesina lavora per rintracciare la due ragazze rapite, è l’assessore alla tutela ambientale del Comune di Varese Stefano Clerici (Pdl) a sollevare la polemica su un eventuale riscatto a spese dei contribuenti per riportare a casa Vanessa a Greta, che lui definisce “due sprovvedute” (leggi). Sempre su facebook, nel 2012 Clerici – che nella foto del profilo ha la bandiera siriana – si era espresso a favore del dittatore Bashar al-Assad, postando una sua immagine con lo status “Tieni duro presidente”. Nel 2011, tra l’altro, da assessore aveva inaugurato i giardini a Varese dedicati al teorico del fascismo Giovanni Gentile. “Ora mi chiedo – scrive Clerici commentando il rapimento delle cooperanti ad Aleppo – per le due sprovvedute (sarò diplomatico) partite per farsi i selfie tra i ribelli siriani è giusto che si mobiliti la diplomazia internazionale? Si, per carità. Ma che addirittura si ipotizzi il pagamento di un riscatto a spese nostre? Io lo farei eventualmente pagare ai loro ancor più sprovveduti genitori”.

Poi aggiunge: “Umanamente mi dispiace, per carità, ma con la guerra non si scherza e da bambine è bene che non si giochi alle ‘piccole umanitarie’, ma con le barbie. Perché se parti con l’incosciente presunzione di risolvere un problema e poi, paradossalmente, il problema diventi tu, non può essere la collettività a pagarne il prezzo. Ora speriamo solo che tornino sane e salve a casa, che imparino la lezione e che tacciano, perché l’idea che due ragazzine siano in mano a dei terroristi islamici senza alcuno scrupolo mi fa gelare il sangue nelle vene”. Parole accompagnate dal link a un articolo dal titolo “Le stronzette di Aleppo” (leggi). Il pezzo è tratto dalla rivista online Effedieffe, stesso nome della casa editrice diretta da Maurizio Blondet che firma l’articolo. Si definisce di “orientamento cattolico, senza cedimenti o concessioni alle derive vaticanosecondiste“.

Nell’articolo Blondet scrive che le due ragazze – “sempre teneramente abbracciate (inseparabili, lacrimano i giornali), forse per fare intendere di essere un po’ lesbiche (è di moda)” – “nella loro ultima telefonata chiedevano altri fondi. Pericolo per le loro faccine angeliche, o le loro tenerissime vagine? No, erano sicure: avevano capito una volta per tutte che i cattivi erano quelli di Assad, e loro stavano coi buoni, i ribelli. E i buoni garantivano per loro. Si sentivano protette. Nell’ultima telefonata hanno detto che avevano l’intenzione di restare lì”. E prosegue: “Un Paese serio le abbandonerebbe ai buoni, visto che l’hanno voluto impicciandosi di una guerra non loro di cui non capiscono niente […] Invece la Farnesina s’è subito attivata, il che significa una cosa: a noi contribuenti toccherà pagare il riscatto che i loro amici, tagliagole e criminali, ossia buoni, chiederanno. E siccome le sciagure non vengono mai sole, queste due torneranno vegete, saranno ricevute al Quirinale, i media verseranno fiumi di tenerezza, e pontificheranno da ogni video su interventi umanitari, politiche di assistenza, Siria e buoni e cattivi di cui hanno capito tutto una volta per tutte. Insomma, avremmo due altre Boldrini“.

Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Bufera in Lombardia per il decreto che “regala” 90 giorni in più di ammortizzatori a chi viene dalle regioni meridionali. E nella scuola è caos per le cattedre occupate dai fuori sede

 – Dom, 10/08/2014 – 08:32

Milano – Peggio di fomentare la guerra tra poveri (soprattutto in tempo di crisi), c’è solo fomentare la guerra tra poveri seminando in aggiunta discriminazione e quindi inevitabile zizzania tra gente del Nord e gente del Sud.

Un’impresa riuscita al governo se è vero che essere «meridionali» vale tre mesi in più di mobilità in deroga, oppure un posto in cima alle graduatorie per diventare insegnante di ruolo. Non al Sud, ma nel ben più accogliente Nord e scalzando gli insegnanti locali fino a quel momento pronti a salire in cattedra. Attoniti di fronte all’assalto dato da campani e siciliani con il trasferimento chiesto in extremis nelle graduatorie dei precari nelle regioni della «Padania». Non trastulli sociologici, ma mesi di stipendio per chi oggi non solo non arriva a fine mese, ma con questa disoccupazione record il mese non ha nemmeno modo di cominciarlo.

C’è subbuglio, in Lombardia, dopo il decreto dei ministeri del Lavoro e dell’Economia per i «nuovi criteri per l’erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga». Parla di cassa integrazione e di mobilità e stabilisce che per «i lavoratori che hanno già utilizzato la mobilità in deroga per periodi pari o superiori a 3 anni, il periodo massimo concedibile sarà di 5 mesi, che diventano 8 mesi nelle aree del Mezzogiorno». Non solo. «Per i lavoratori che hanno utilizzato la mobilità in deroga per periodi inferiori ai 3 anni» i mesi saranno 7, ma «diventano 10 nelle aree del Mezzogiorno». Tre mesi in più se sei meridionale. Un beneficio che ha mandato in bestia tanti. Perché non solo chi lavora al Sud è ancora una volta privilegiato (e assistito), ma lo è anche se lavorando al Nord con tanto di domicilio, ha mantenuto la sua originaria residenza. Molti, in Lombardia, i casi di operai della stessa fabbrica con diverso trattamento: 7 mesi agli uni, 10 agli altri.

E non si fermano anche le polemiche per l’assalto sudista alle graduatorie della scuola. Perché su 33.380 immissioni in ruolo (28.781 docenti e 4.599 non docenti) in gran parte nelle regioni settentrionali, ben poche andranno agli insegnanti lì residenti. Perché, a differenza del passato, è stato possibile cambiare graduatoria e le 29mila cattedre andranno metà ai vincitori di concorso e metà alle graduatorie provinciali a esaurimento. Tolto dall’allora ministro Carrozza il vincolo dei 5 anni nella provincia di prima nomina in ruolo, ora ridotto a tre, internet ha fatto il resto con siti per capire su quale provincia puntare. A Torino la maestra elementare che era prima è finita al numero 69, superata da sessantotto colleghi in arrivo da altra regione. E delle 129 cattedre su cui puntavano i precari storici, 108 saranno assegnate a nuovi arrivati. Metà sono siciliani. A Milano nella scuola primaria tutti i posti fino al 237 sono occupati da insegnanti che arrivano da fuori. In provincia di Lucca, dieci degli undici immessi in ruolo saranno siciliani, calabresi e campani. A Bergamo tutti i 5 posti vanno a maestri del Sud. Difficile stupirsi se il segretario della Lega Matteo Salvini chiede «concorsi pubblici regionali». A Pavia una maestra precaria da 17 anni era finalmente ventesima e a un passo dalla cattedra, ora è trentanovesima. Una cinquantenne ha perso trenta posizioni e si è rassegnata ad andare in pensione da precaria. A Torino assegnate agli insegnanti del Sud l’84 per cento delle cattedre, nella scuola primaria di Milano il 98. Tante piccole storie, ma di grande ingiustizia.

SPALMA INCENTIVI, DENUNCIA DI ASSORINNOVABILI ALLA COMMISSIONE UE

SPALMA INCENTIVI, DENUNCIA DI ASSORINNOVABILI ALLA COMMISSIONE UE

 

In vista della definitiva approvazione del provvedimento da parte del Senato, l’associazione ha deciso di chiedere alla Commissione Europea l’apertura di una procedura di infrazione ai danni dell’Italia

“A seguito dell’approvazione del Decreto Competitività da parte della Camera, rimangono al Parlamento e al governo margini sempre più esigui per evitare la fuga dall’Italia degli investitori esteri e le migliaia di contenziosi che esporranno il nostro Paese a pesanti risarcimenti e bruttissime figure”. Così assoRinnovabili, a proposito della recente approvazione alla Camera del provvedimento spalma incentivi.

In vista della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (con l’ultima approvazione del Senato che avverrà nei prossimi giorni), l’associazione ha deciso, insieme a una cinquantina di grandi operatori fotovoltaici, di scrivere alla Commissione Europea chiedendo l’apertura di una procedura di infrazione contro lo Stato Italiano per violazione della Direttiva 2009/28/CE che aveva fissato i target europei per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Non appena la norma entrerà in vigore, assoRinnovabili coordinerà poi i ricorsi degli operatori, sia nazionali sia esteri (le adesioni sono già molto numerose), “ingiustamente penalizzati da un provvedimento che modifica unilateralmente e retroattivamente i contratti sottoscritti con il GSE”.

Due i filoni già attivati: il primo, a cui parteciperanno gli operatori italiani, mira ad ottenere la dichiarazione di incostituzionalità dello spalma incentivi, come già segnalato dal presidente emerito della Corte Costituzionale Prof. Valerio Onida; il secondo, riservato invece agli investitori esteri, dimostrerà che è stato violato il Trattato sulla Carta dell’Energia che tutela gli investimenti nei Paesi aderenti (tra cui l’Italia).

“Auspichiamo ancora che il governo metta riparo all’errore strategico insito nel provvedimento spalma incentivi – ha dichiarato Agostino Re Rebaudengo, presidente di assoRinnovabili –. Se ciò non avverrà, ricorreremo in tutte le sedi possibili e rappresenteremo tutte le parti coinvolte e danneggiate da questa norma, miope e controproducente. La recente sentenza della Corte Costituzionale bulgara, che ha annullato una tassa retroattiva del 20% sui ricavi degli impianti fotovoltaici ed eolici, dimostra che la certezza del diritto non può essere stravolta: siamo sicuri che anche la Corte Costituzionale italiana giungerà alle medesime conclusioni”.

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

1944-2014. La lettera, inedita, che il nipote di Heinrich Schendel, uno degli 8 componenti della 16esima divisione Reichsführer SS, ha spedito a Enrico Pieri, uno dei pochi sopravvissuti all’eccidio nazista del 1944, di cui ricorre il 70esimo il 12 agosto. “La voglio conoscere, ma non avevo il coraggio di scrivere. Quando ho letto i racconti dei testimoni mi è venuto da piangere. Il fatto che gli assassini potevano vivere solo con la menzogna e l’inganno di se stessi, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

Più informazioni su: .

Email

“Lei non mi conosce e non so se ha voglia di leggere la mia lettera. Mi chiamo Andreas Schenkel, ho 42 anni e sono un nipote di Heinrich Schendel, uno degli assassini di Sant’Anna”. La Storia ha un modo misterioso di fare le presentazioni. Quella della famiglia di un soldato delle SS con Enrico Pieri, superstite di Sant’Anna di Stazzema, arriva solo oggi, 70 anni dopo la strage nazifascista che lo ha lasciato solo al mondo, a 10 anni, con il terrore nel cuore. Arriva sotto forma di una lettera di due pagine scritte al computer in times new roman e spedite dal nipote di uno dei tedeschi che il12 agosto del 1944 giunsero nel paesino versiliese all’alba, accompagnati da fascisti locali.  A Sant’Anna le SS scaricarono le mitragliatrici su 560 persone indifese, squartarono la pancia a donne incinte. Nei forni, accesi per cuocere il pane, chiusero bambini ancora vivi. Altri, i più piccoli, furono lanciati in aria per un tiro al bersaglio. Un eccidio programmato al dettaglio, per terrorizzare la popolazione e isolare i partigiani.

Pubblicità

Enrico Pieri quel giorno sopravvisse a tutta la famiglia, nascondendosi in un sottoscala. Oggi ha 80 anni e ha ricevuto una lettera, che affida a ilfattoquotidiano.it perché venga pubblicata. A scriverla è Andreas Schendel. Suo zio Heinrich, fratello maggiore di suo padre, era uno degli otto componenti della 16esima divisione corazzata “Reichsführer SS” (il grado più alto tra le Schutz Staffeln) ancora vivi quando, nel 2005, il tribunale militare di La Spezia li ha condannati all’ergastolo, che nessuno ha scontato.

“Mio zio Heinrich è morto un anno fa a 91 anni” fa sapere Andreas. Ma in tutto questo tempo nessuno, nella famiglia Schendel, ha mai voluto parlare di Sant’Anna. “Mia nonna si è suicidata dopo la fine della guerra. Suo figlio Heinrich ha lasciato la famiglia e ha rotto ogni contatto. Ciò che era successo allora ha prodotto una famiglia diuomini soli e infelici. Dopo i funerali di mio zio – continua l’uomo – mio padre ha parlato con i familiari di Heinrich e tutti negavano quello che era successo. Il fatto che gli assassini e le loro famiglie potevano continuare a vivere soltanto con la menzogna e l’inganno di se stessi e che gli assassini non hanno vissuto bene, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia. Ma sono delle questioni molto difficili… e mi chiedo cosa ne pensa Lei…”.

Andreas Schendel ha scoperto per caso la verità da grande, solo sei anni fa. “Da allora – confessa al sopravvissuto – sento il bisogno di scriverle e di parlarle”. Il giovane Schendel aveva scritto a Pieri molte altre lettere, ma questa è la prima che ha avuto il coraggio di spedire, dopo essere stato ossessionato da ricordi di fatti che non ha mai vissuto, quelli del 12 agosto 1944 a Sant’Anna. “Ho letto il racconto dei testimoni dell’eccidio e mi è venuto da piangere. Nella mia mente sono impresse delle immagini incancellabili ormai da anni. Purtroppo non ho nessuno in famiglia che vorrebbe parlarne”.

Schendel confida anche alcuni presagi, vere e proprie visioni di morte, che lo hanno inseguito durante l’infanzia e che, da adulto, ha creduto di ricollegare a Sant’Anna. “Fin da bambino ho avvertito istintivamente molte cose. Sono cresciuto in campagna e spesso giocavo nel bosco, giocavo alla guerra, e mi sembrava che lì fossero nascosti tanti cadaveri di donne e bambini e che io in qualche modo ne fossi responsabile. Non capivo quelle mie fantasie, fino a quando non sono venuto a sapere di Sant’Anna”. Suggestioni misteriose che il nipote del carnefice definisce “fantasie tremende e inspiegabili”, dettate da un intreccio di destini e silenzi familiari che adesso è più che mai deciso a rompere. “Io ho la fortuna di appartenere a quella piccola parte della famiglia che ama la vita – scrive Schendel – e forse per questo ho la forza di confrontarmi con il passato”.

Andreas vorrebbe visitare Sant’Anna con suo padre, il fratello minore di Heinrich Schendel. Conclude la lettera ringraziando Pieri per averlo “guarito” con il suo impegno a favore della memoria e augura a lui e alla sua nuova famiglia ogni bene. “Gli ho risposto. Gli ho scritto una lettera. Il perdono? No, quello non lo posso dare. Ma lui non ha nessuna colpa. Gli ho scritto che venga a Sant’Anna se vuole rendersi conto di cosa è successo” dice Pieri a ilfattoquotidiano.it. E della madre dell’assassino, che dopo la guerra si è tolta la vita, non si stupisce più di tanto. “Penso che non fosse l’unica ad avere dei rimorsi. Lui dice che la sua famiglia ha pagato. Uno che ha commesso dei delitti, che ha ammazzato dei bambini, qualche rimorso ce lo dovrà pur avere, tranquillo non sta, a meno che non sia un criminale di professione. Però non tutti vanno dietro agli ordini, c’è chi ha rinunciato a sparare”. “Purtroppo – conclude – sono stati pochi”.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste.

P.A., via ‘quota 96’ e pensioni d’ufficio riviste. Renzi lavora a intervento più ampio

Un emendamento del governo al dl P.A. rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio ed elimina il tetto di 68 anni per professori e medici. Ok di Renzi, verso una nuova misura

Roma, 4 agosto 2014 – Governo, via la ‘quota 96’ e pensionamenti d’ufficio rivisti. La commissione Affari Costituzionali del Senato ha dato l’ok al testo del decreto legge sulla Pubblica amministrazione, inserendo 4 modifiche rispetto al provvedimento uscito dalla Camera. Si tratta degli emendamenti del governo, tra cui la cancellazione della quota 96, la norma che liberava 4 mila pensionamenti nella scuola.

Il ministro della P.A. Marianna Madia aveva annunciato questa mattina uno degli emendamenti proposti, che riguarda la revisione dei limiti di età per il pensionamento d’ufficio, e la conseguente eliminazione del tetto dei 68 anni previsto per professori universitari e medici. A chi le aveva domandato se la fiducia sul decreto P.A. fosse ormai scontata, il ministro aveva risposto: “Dobbiamo correre e, a questo punto, visto che è stata messa alla Camera, mi sembra ragionevole“. Il ministro ha specificato che una delle modifiche riguarda la cosiddetta ‘quota 96’, che sblocca 4 mila pensionamenti nella scuola, un’altra i benefici previsti per le vittime del terrorismo. Una terza rivede i limiti di età per il pensionamento d’ufficio ed elimina quindi il tetto dei 68 anni per i professori universitari e i primari. Non mutano infine le soglie per tutti gli altri dipendenti pubblici: 62 anni e 65 per i medici.

Non ha tardato ad arrivare l’attacco al governo da parte di Sel per gli emendamenti annunciati al dl P.A.: “Non si gioca sulla pelle delle persone. I quota 96 – afferma il capogruppo alla Camera Arturo Scotto – hanno già vissuto un’ingiustizia dalla riforma Fornero che li ha penalizzati e lasciati senza pensione pur avendo i requisiti, e ora il governo Renzi prima li illude alla Camera e poi li disillude al Senato”. Il capogruppo poi rincara la dose: “Una scelta inaccettabile, l’ennesimo sopruso e un’ulteriore beffa, che rinvia di nuovo una decisione attesa da migliaia di lavoratori della scuola e che impedisce il ricambio generazionale in due settori professionali importanti. Ma Renzi non doveva cambiare verso?”.

Giusto togliere dal dl P.A. la ‘quota 96′, che sbloccava 4mila pensionamenti nella scuola, non c’entrava nulla con la ratio e l’idea della norma. E’ il parere del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, riguardo la decisione dell’esecutivo annunciata dal ministro Madia. Il premier oggi ha visto il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Sulla scuola il presidente del Consiglio e il ministro stanno preparando, si apprende, un intervento a fine agosto, assai più ampio come platea del perimetro dei 4mila pensionamenti. Il Capo dell’esecutivo oggi ha incontrato anche gli altri ministri Franceschini e Boschi.

IL COMMENTO DELLA CGIL SUL DL P.A.:”Sarebbe molto grave se non si provvedesse a risolvere il problema dei ‘quota 96’ e gli altri temi su cui era intervenuta la Camera”. Lo ha detto la segretaria confederale della Cgil, Gianna Fracassi, a margine di una conferenza stampa in corso d’Italia. “La Cgil – ricorda la sindacalista – è in campo con una vertenza unitaria per chiedere di cambiare la riforma Fornero”. Rispetto agli emendamenti annunciati dal governo, Fracassi osserva che “si torna indietro rispetto a quanto definito alla Camera e questo è sbagliato. Sono sbagliati tutti gli emendamenti che determinano un peggioramento delle condizioni dei lavoratori”. Nello specifico, su ‘quota 96’ “bisogna correggere un errore tecnico. Siamo preoccupati – conclude Fracassi – se in una settimana il governo torna indietro. Auspichiamo una soluzione in tempi brevi”.

I QUOTA 96 – Sono circa 4 mila gli insegnanti che non sono potuti andare in pensione nonostante i requisiti (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni di età e 36 di contributi) a causa della riforma Fornero. Nell’applicazione di questa normativa non è stata infatti considerata una delle peculiarità del settore scuola, ovvero che la data di pensionamento è necessariamente legata alla conclusione dell’anno scolastico. La cosiddetta ‘quota 96’ era stata duramente attaccata da Carlo Cottarelli, commissario alla spendig review, che aveva criticato la decisione dei tagli alle tasse a fronte delle richieste della politica di dirottare le risorse altrove. I rilievi della Ragioneria di Stato, tuttavia, hanno evidenziato la norma tra quelle in difetto di copertura.

PENSIONAMENTO D’UFFICIO – Inoltre un emendamento del governo rivede i limiti d’età per il pensionamento d’ufficio, eliminando il tetto dei 68 anni inserito per professori universitari e medici.

Tavecchio che avanza

Tavecchio che avanza: largo ai giovani e alla bella Hawaiana

Più informazioni su: .

Da unico frutto dell’amor a frutto del peccato. Continua la polemica dopo la gaffe razzista diTavecchio, la scivolata sulla buccia di banana del candidato alla presidenza della Figc ha creato un caso politico riportato anche dalla stampa internazionale. “Clamoroso autogol, ma rispettiamo l’autonomia della Federcalcio” così il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Da una parte Partito Democratico e Sel che chiedono un passo indietro – “Il caso non dovrebbe nemmeno essere in discussione: la sua candidatura semplicemente non può essere presa in considerazione” dice la vice segretaria dei Democratici, Debora Serracchiani – dall’altra Forza Italia  – Daniela Santanchè: “Alla sinistra è andato di traverso il brivido patriottico di Tavecchio” –  e Lega Nord – “Renzi occuperà di diritto anche la poltrona di Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio. Da domani banane vietate per legge in tutti i negozi” ironizza Matteo Salvini – che considerano la polemica esagerata.

Carlo Tavecchio intanto prova a rimediare alle dichiarazioni fuori luogo – “Qui fanno i titolari quelli che prima mangiavano le banane” – e si difende:
“Se qualcuno ha interpretato il mio intervento come offensivo, me ne scuso. Tra l’altro la mia vita è improntata all’impegno sociale, al rispetto delle persone, tutte, e al volontariato, in particolare in Africa”. Immediata la risposta dell’ex ministro dell’integrazione Cecile Kyenge: “Atteggiamento paternalistico nei confronti di chi si pensa inferiore e da civilizzare”.

“Accetto tutte le critiche – aggiunge Tavecchio – ma non l’accusa di razzista perché la mia vita testimonia l’esatto contrario. Nel mio discorso in maniera impropria, e per questo mi scuso ancora una volta, mi riferivo al fatto che sono a favore dell’integrazione, ma al contempo rinnovo la necessità di scoraggiare l’utilizzo di calciatori che non migliorano la qualità del nostro campionato. Come scritto nel mio programma elettorale, se sarò eletto Presidente della Figc, la federazione condurrà una politica fattiva contro ogni discriminazione”.

La partita politica è appena cominciata. A fare da arbitro non ci sarà né l’Uomo Del Monte né Dani Alves ma la Fifa, che ha chiesto alla Figc di aprire un’indagine sulle parole razziste pronunciate dal favorito nella corsa per la poltrona lasciata vuota da Abete. Dopo il plebiscito in assemblea di Lega per il Tavecchio che avanza ora qualche club di serie A comincia a prendere le distanze dal candidato classe 1943 e dalla Repubblica delle Banane, almeno a parole, in attesa delle elezioni previste per il prossimo 11 agosto.

Adesso largo ai giovani, alla bella Hawaiana e all’unico frutto dell’amor. Si spera. Ma occhio a non scivolare.

SANZIONI E AEREI DI LINEA

SANZIONI E AEREI DI LINEA

 

di Paul Craig Roberts

 

Fonte: http://www.paulcraigroberts.org

Link: http://www.paulcraigroberts.org/2014/07/17/sanctions-airliners-paul-craig-roberts/

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PG

 

Le sanzioni non avranno alcun effetto sulle imprese russe. Le aziende russe possono ottenere, dalla Cina, dalla Francia o dalla Germania, più prestiti bancari di quanti ne necessitino.

Le tre caratteristiche che definiscono Washington – l’arroganza, la superbia e la corruzione – ne fanno un allievo lento. Le persone arroganti che sguazzano nella tracotanza sono incapaci di imparare. Quando incontrano resistenza rispondono con tangenti, minacce e coercizione. La diplomazia richiede capacità di apprendimento, ma Washington ha lasciato perdere la diplomazia anni fa e si basa sul [solo] uso della forza.

Di conseguenza, con le sue sanzioni Washington sta minando il proprio potere e la propria influenza. Le sanzioni stanno incoraggiando i Paesi a ritirarsi dal sistema di pagamenti in dollari che è il fondamento del potere statunitense. Christian Noyer, governatore della Banca di Francia e membro del Consiglio Direttivo della BCE, ha detto che le sanzioni di Washington stanno portando le imprese e i Paesi fuori del sistema dei pagamenti in dollari. L’enorme somma [quasi 9 miliardi di dollari, ovvero più del doppio dell’utile netto di esercizio 2013 del gruppo BNP – NdT] estorta alla banca francese BNP Paribas per aver fatto affari con Paesi messi all’indice da Washington rende evidenti gli accresciuti rischi legali che derivano dall’utilizzo del dollaro, quando Washington detta le regole.

L’attacco di Washington alla sponda francese è stata l’occasione per molti di ricordare le numerose sanzioni del passato e meditare sulle future sanzioni, come quelle che si profilano per la tedesca Commerzbank. Un mossa atta a diversificare le valute utilizzate nel commercio internazionale è inevitabile. Noyer ha sottolineato che il commercio tra l’Europa e la Cina non ha bisogno di usare il dollaro e può essere interamente sostenuto da euro o renminbi [la valuta cinese – NdT].

Il fenomeno delle norme statunitensi che si espandono globalmente a tutte le operazioni in dollari sta accelerando la traiettoria di allontanamento dal sistema di pagamento in dollari. Alcuni Paesi hanno già predisposto accordi bilaterali con i partner commerciali per commerciare nelle proprie valute. I BRICS stanno stabilendo nuovi metodi di pagamento indipendenti dal dollaro e stanno creando il proprio Fondo Monetario Internazionale per finanziare gli squilibri commerciali.

Il cambio del dollaro dipende dal suo ruolo nel sistema dei pagamenti internazionali. Se questo ruolo viene meno, analoga sorte toccherà alla domanda di dollari e alla quotazione del dollaro rispetto alle altre valute. L’inflazione penetrerà nell’economia americana attraverso i prezzi delle importazioni, e gli americani, già sotto forte pressione, sperimenteranno un’ulteriore compressione dei loro standard di vita.

Nel XXI secolo si è assistita a una crescente diffidenza verso Washington. Le bugie statunitensi, come le “armi di distruzione di massa” irachene, “l’uso di armi chimiche da parte di Assad” e “le armi nucleari iraniane” sono [ormai] riconosciute come menzogne dagli altri governi. Le bugie sono stati utilizzate da Washington per distruggere alcuni Paesi e minacciare di distruzione gli altri, mantenendo il mondo in costante agitazione. Washington non offre alcun vantaggio atto a compensare le turbolenze che Washington stessa infligge al resto del mondo. L’amicizia con Washington richiede il rispetto delle sue richieste, e i governi stanno valutando come tale amicizia non valga la pena se messa a confronto con l’elevato prezzo da pagare.

Lo scandalo dello spionaggio NSA e il rifiuto di Washington di chiedere scusa e desistere [dal continuare – NdT] hanno approfondito la diffidenza verso Washington da parte dei suoi stessi alleati. Sondaggi globali mostrano come ci siano Paesi che considerano gli Stati Uniti come la più grande minaccia per la pace. Il popolo americano stesso non ha fiducia nel proprio governo. I sondaggi mostrano che una grande maggioranza degli americani crede che i politici, i media sempre pronti a prostituirsi [sacrificando la verità], e i gruppi di interesse privato, come Wall Street e il complesso militare / legato alla sicurezza, manipolino il sistema per i propri fini, il tutto a spese del popolo americano.

L’impero di Washington sta cominciando a mostrare crepe, una circostanza porterà ad azioni disperate da parte di Washington. Oggi (17 luglio) ho sentito un servizio della BBC sulla National Public Radio in merito a un aereo di linea malese, abbattuto in Ucraina. La notizia avrebbe potuto essere [data] onesta[mente], ma aveva tutta l’aria di una macchinazione ordita dalla Russia e dai “separatisti” ucraini. Mentre la BBC sollecitava pareri [ancor] più di parte, la trasmissione si è conclusa con un report, proveniente da social media, riguardante il fatto che i separatisti avessero abbattuto l’aereo di linea con un sistema d’arma russo.

Nessuno, all’interno del programma, si è chiesto cosa i separatisti avessero da guadagnare dall’abbattimento di un aereo di linea. La discussione verteva, invece, sulla possibilità, una volta accertata la responsabilità russa, che ciò avrebbe forzato l’UE ad approvare sanzioni americane contro la Russia ancora più severe. La BBC stava seguendo il copione di Washington, dirigendo la storia esattamente dove Washington voleva che andasse.

La sensazione che si tratti di un’operazione di Washington c’è tutta. Tutti i guerrafondai erano pronti al momento giusto. Il vicepresidente americano Joe Biden ha dichiarato che l’aereo era “saltato dal cielo” e che “non era un incidente”. Come fa una persona senza un preciso ordine del giorno a fare delle dichiarazioni con una tale sicurezza prima di avere tutte le informazioni? Chiaramente, Biden non sottintendeva affatto che fosse stata Kiev a far esplodere in cielo l’aereo di linea. Egli si era portato avanti nonostante non fosse stata dimostrata la colpevolezza della Russia [si sottintende che la dava comunque per assodata – NdT]. In effetti, il modus operandi di Washington, sarà di accumulare le censure alla Russia fino al punto di rendere non più necessarie le prove.

Il senatore John McCain si è buttato sulla supposizione che vi fossero cittadini statunitensi a bordo dell’aereo al fine di appellarsi ad azioni punitive contro la Russia prima che la lista dei passeggeri e la causa del disastro fossero note.

“L’indagine” è condotta dal regime di Kiev, ovvero da un regime fantoccio imposto da Washington. Penso che si sappiano già a quali conclusioni si arriverà.

Ci sono alte probabilità che si stia per avere ulteriori prove falsificate, come ad esempio quelle artefatte presentate dal segretario di Stato americano Colin Powell alle Nazioni Unite al fine di “provare” l’esistenza di inesistenti “armi di distruzione di massa” in mano agli iracheni. Washington è riuscita in ciò con così tanti inganni, bugie e crimini da ritenere di poter sempre avere successo in azioni del genere.

Nel momento in cui scrivo, non si hanno informazioni attendibili sull’aereo di linea, ma la domanda sorge spontanea (come si chiedevano sempre gli antichi Romani): “Cui prodest?” Non c’è alcun motivo plausibile per l’abbattimento dell’aereo di linea da parte dei separatisti, ma Washington sì che ha avuto un movente contro la Russia e, forse, ne ha avuti anche due. Tra le indiscrezioni e le voci ce n’è una che afferma come l’aereo presidenziale di Putin abbia volato lungo una rotta simile all’aereo malese, a soli 37 minuti di distanza da quest’ultimo. Questa indiscrezione ha portato a speculare sul fatto che Washington abbia deciso di liberarsi di Putin e abbia confuso l’aereo di linea malese con il jet di Putin. Russia Today riferisce che i due aerei hanno un aspetto simile.

Prima di dire [che la tecnologia militare] di Washington sia troppo sofisticata per confondere un aereo di linea con l’aereo presidenziale russo, si ricordi che quando Washington abbatté un aereo di linea iraniano nello spazio aereo dell’Iran, la Marina statunitense affermò di pensare che i 290 civili che aveva assassinato fossero a bordo di un jet da combattimento iraniano, un caccia F-14 Tomcat prodotto in USA e un autentico pilastro della Marina degli Stati Uniti stessa. Se la Marina a stelle e strisce non sa distinguere tra il suo cavallo di battaglia nel campo dei jet fighter e un aereo di linea iraniano, chiaramente gli Stati Uniti possono confondere i due aeromobili che l’articolo di Russia Today mostra apparire come assai simili.

Durante l’intero servizio della BBC con la Russia nel mirino, nessuno ha menzionato l’aereo passeggeri iraniano che gli Stati Uniti “hanno fatto saltare giù dal cielo”. Nessuno ha imposto sanzioni a Washington.

Qualunque sia l’esito dell’incidente accaduto all’aereo malese, mostra come la politica morbida di Putin nei confronti dell’intervento duro di Washington in corso in Ucraina, rappresenti un pericolo. La decisione di Putin di rispondere con la diplomazia invece che con mezzi militari alle provocazioni di Washington in Ucraina ha dato a Putin una mano vincente, come dimostra l’opposizione alle sanzioni di Obama da parte dell’UE e dello stesso mondo del business degli Stati Uniti. Tuttavia, non ponendo fine in modo energico e rapido al conflitto sponsorizzato da Washington in Ucraina, Putin ha lasciato la porta aperta alle subdole macchinazioni in cui Washington eccelle.

Se Putin avesse accettato le rivendicazioni al ricongiungimento con la Madre Russia provenienti dagli ex territori russi orientali e meridionali dell’Ucraina, l’imbroglio ucraino sarebbe finito mesi fa e la Russia non starebbe correndo il rischio di essere nel mirino [della autodefinitasi “comunità internazionale” – NdT].

Putin non ha ottenuto il beneficio completo di essersi rifiutato di inviare truppe in ex territori russi, perché la posizione ufficiale di Washington è che le truppe russe [già] operano in Ucraina. Quando i fatti non supportano l’ordine del giorno di Washington, quest’ultima li scarta. I media degli Stati Uniti accusano Putin di essere l’autore della violenza in Ucraina. È l’accusa di Washington, non qualche fatto noto, che è la base per le sanzioni.

Poiché non vi è nessun atto troppo vile da scoraggiare Washington dall’intraprenderlo, Putin e la Russia potrebbero diventare vittime di una subdola macchinazione.

La Russia sembra ipnotizzata dall’Occidente e motivata ad essere inclusa in esso. Questo desiderio di accettazione fa gioco a Washington. La Russia non ha bisogno dell’Occidente, ma l’Europa ha bisogno della Russia. Una delle opzioni per la Russia è mirare a fare i propri interessi e aspettare che sia l’Europa a corteggiarla.

Il governo russo non dovrebbe dimenticare che l’atteggiamento di Washington verso la Russia si rifà alla dottrina Wolfowitz, che recita: “Il nostro primo obiettivo è quello di prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica sia altrove, che rappresenti una minaccia simile a quella posta in passato dall’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante alla base della nuova strategia di difesa regionale e richiede che ci sforziamo di prevenire che qualsiasi potenza ostile possa dominare una regione le cui risorse potrebbero, sotto un controllo consolidato, essere sufficienti a generare una potenza globale”.

Andiamo a chiudere i diplomifici

Andiamo a chiudere i diplomifici

di Marco Lodoli

Tempo d’esami, tempo di valutazioni: e tra poco non soltanto i nostri studenti saranno giudicati, ma anche le scuole, i presidi, gli insegnanti. La tendenza è questa, dolorosa ma a quanto pare necessaria. In tutta Europa, proprio per garantire una buona offerta formativa ai ragazzi, per rassicurare i genitori, per essere davvero efficienti e non buttare al vento tanti anni di studio, si cerca di capire se le scuole sono all’altezza o se battono la fiacca.
Sarà una rivoluzione non facile da digerire, perché ogni insegnante crede giustamente di dare il meglio di sé e non tollera sguardi indiscreti nel registro e nella sua programmazione, perché i dirigenti scolastici sono già oberati di impegni e certo non faranno salti di gioia all’arrivo degli ispettori ministeriali. Però la linea è questa, bisognerà abituarsi a rendere conto del proprio operato. C’è però un aspetto di tutta la faccenda che fatico a digerire.
Perché le scuole pubbliche devono essere sistemate sul piatto della bilancia, esaminate con scrupolo intransigente, mentre continuano a proliferare, senza che nessuno dica niente, senza alcun controllo, i diplomifici? I cartelloni della mia città ora sono invasi dalla pubblicità di scuole fantasma che garantiscono il recupero degli anni perduti: due anni in uno, tre anni in uno, quattro anni in uno, non c’è problema. Basta pagare. Anche io, da giovane, per sbarcare il lunario ho insegnato per un poco in una di queste fabbriche di diplomi.
Sul registro avevo l’elenco degli studenti, trenta, trentacinque nomi per classe, ma in realtà sui banchi trovavo solo una decina di ragazzi sbadiglianti, sfaticati, somarissimi figli di papà che si sentivano sicuri della promozione visto che qualcuno lasciava ogni mese un assegno in segreteria. Gli altri stavano in altre città, si affacciavano ogni morte di papa, tanto per dimostrare la loro esistenza in vita. Queste scuole sono semplicemente uno scandalo, andrebbero chiuse per sempre, senza pietà, e invece continuano ad arricchirsi producendo ignoranza e ingiustizia.
Non sono le scuole private cattoliche, che conservano sempre una qualche decenza e a volte sono persino di buon livello: sono piccole imprese a delinquere, teatrini vergognosi dove si recita la farsa dello studio fasullo e dei voti regalati, anzi comprati. E allora, se davvero si vuole allineare la scuola italiana agli standard europei, se si vuole ficcare il naso nel lavoro di insegnanti e presidi, io pretendo che la stessa severità venga applicata a questi luoghi – non meritano nemmeno l’appellativo di scuole – dove si mercifica il presente e il futuro. Facciamo piazza pulita di questi indegni mercatini, e poi pensiamo al resto.

24 giugno 2014

QUESTA COOPERAZIONE È UN AFFARE

QUESTA COOPERAZIONE È UN AFFARE

 

di Alex Zanotelli

 

Fonte: nigrizia.it

 

In questi giorni è in discussione alla Camera, in seconda lettura, il disegno di legge “Disciplina generale sulla cooperazione per lo sviluppo”, approvata dal Senato il 25 giugno con 201 voti favorevoli (PD, Scelta Civica, Nuovo Centro Destra, 5 Stelle e FI-PdL), 15 astenuti (Lega e Misto-SEL) e nessun voto contrario.

È chiaro che il governo Renzi vuole affrettare l’approvazione di questo disegno di legge (sono quasi trent’anni che attendiamo una legge quadro sulla cooperazione!). Tutto questo, nella quasi totale assenza di dibattito pubblico, soprattutto da parte degli organismi di volontariato e del mondo missionario.

Eppure il mondo del volontariato italiano e missionario è stato testimone e ha toccato con mano le malefatte della cooperazione italiana, dagli anni Ottanta ad oggi. Dal disastro della cooperazione socialista di Craxi in Somalia (fornivamo cibo ed armi per seppellire i nostri rifiuti tossici in quel Paese), a quella democristiana di Andreotti in Etiopia (la politica delle dighe con le conseguenti deportazioni di intere popolazioni). Dalla legge 73 del 1985 che stanziava 1.900 miliardi di lire per la lotta alla fame nel mondo (servita a sfamare i partiti italiani), alla malacooperazione del Ministero degli Esteri, con quell’incredibile intreccio tra affari e politica, che porterà poi a Tangentopoli (Nigrizia è stata la prima a denunciarlo con forza!). E poi con l’arrivo del berlusconismo, la cooperazione è stata trasformata in un cinico business, che perdura tuttora, gestita dal Ministero degli Affari Esteri (la nostra politica estera è funzionale agli affari delle nostre imprese).

Penso di poter riassumere le quaranta pagine della nuova legge quadro del governo Renzi con la stessa parola: business-affari. Nell’ultima legge-quadro sulla cooperazione, la 49 del 1987, il soggetto principale era il volontariato, nell’odierno disegno di legge il soggetto è diventato l’impresa. Questa legge fotografa bene l’ideologia portante del governo Renzi.

Eppure in questo Paese pullulano migliaia di gruppi, di associazioni, di botteghe del commercio equo e solidale, di reti di finanza etica, di centri missionari che fanno cooperazione con tanti soggetti nel sud del mondo. Quando il governo italiano prenderà seriamente questa straordinaria ricchezza, dandole voce e permettendole di incidere sulle politiche della cooperazione? È incredibile che questa legge-quadro non prenda in considerazione tutto questo.

Quand’è che i nostri governi comprenderanno che la cooperazione, da governo a governo, non fa altro che arricchire le élites del sud del mondo? Arriverà il giorno in cui il nostro mondo politico comincerà a capire i profondi cambiamenti avvenuti in questi ultimi trent’anni? Cambiamenti che domandano un altro tipo di cooperazione e di politica estera?

È possibile che in una legge del 2014, si usi ancora il linguaggio eufemistico e razzista di “Paesi in via di sviluppo”? Com’è possibile ancora parlare di “sviluppo sostenibile” davanti a una crisi ecologica spaventosa che ci attanaglia? La problematica ambientale è totalmente assente da questo disegno di legge.

È possibile che i nostri legislatori non vedano le difficoltà del continente a noi più vicino, l’Africa, da dove arrivano sulle nostre coste, i naufraghi dello “sviluppo”? In una legge-quadro per la cooperazione, l’Africa non dovrebbe oggi essere una priorità?

Ma è grave che il governo italiano si limiti a parlare di cooperazione, senza stanziare i fondi per tali politiche. L’Italia infatti è maglia nera rispetto agli impegni presi in sede ONU, con un budget dell’0,1% del PIL a fronte di un promesso 0,7%, il che rende il nostro Paese non affidabile in chiave internazionale. Siamo, per esempio, in forte debito con il Fondo di lotta all’AIDS, tubercolosi e malaria.

Dove trovare tali risorse in questo momento di crisi? Semplice. Meno armi (l’assurdità degli F-35 che ci costeranno 15 miliardi di euro) e più impegno nella lotta contro l’impoverimento. Per questo chiediamo al governo Renzi di ritirare e di riscrivere questo disegno di legge che è uno schiaffo sia alla dignità del popolo italiano che alla dignità dei tre miliardi di impoveriti nel mondo.

Ve lo chiede un povero missionario che ha vissuto sulla sua pelle, il dramma di chi vive nei bassifondi della vita e della storia, un credente in Dio che vuole vita piena per tutti i suoi figli/e.

 

Per aderire all’appello, cliccare qui.