Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

1944-2014. La lettera, inedita, che il nipote di Heinrich Schendel, uno degli 8 componenti della 16esima divisione Reichsführer SS, ha spedito a Enrico Pieri, uno dei pochi sopravvissuti all’eccidio nazista del 1944, di cui ricorre il 70esimo il 12 agosto. “La voglio conoscere, ma non avevo il coraggio di scrivere. Quando ho letto i racconti dei testimoni mi è venuto da piangere. Il fatto che gli assassini potevano vivere solo con la menzogna e l’inganno di se stessi, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

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“Lei non mi conosce e non so se ha voglia di leggere la mia lettera. Mi chiamo Andreas Schenkel, ho 42 anni e sono un nipote di Heinrich Schendel, uno degli assassini di Sant’Anna”. La Storia ha un modo misterioso di fare le presentazioni. Quella della famiglia di un soldato delle SS con Enrico Pieri, superstite di Sant’Anna di Stazzema, arriva solo oggi, 70 anni dopo la strage nazifascista che lo ha lasciato solo al mondo, a 10 anni, con il terrore nel cuore. Arriva sotto forma di una lettera di due pagine scritte al computer in times new roman e spedite dal nipote di uno dei tedeschi che il12 agosto del 1944 giunsero nel paesino versiliese all’alba, accompagnati da fascisti locali.  A Sant’Anna le SS scaricarono le mitragliatrici su 560 persone indifese, squartarono la pancia a donne incinte. Nei forni, accesi per cuocere il pane, chiusero bambini ancora vivi. Altri, i più piccoli, furono lanciati in aria per un tiro al bersaglio. Un eccidio programmato al dettaglio, per terrorizzare la popolazione e isolare i partigiani.

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Enrico Pieri quel giorno sopravvisse a tutta la famiglia, nascondendosi in un sottoscala. Oggi ha 80 anni e ha ricevuto una lettera, che affida a ilfattoquotidiano.it perché venga pubblicata. A scriverla è Andreas Schendel. Suo zio Heinrich, fratello maggiore di suo padre, era uno degli otto componenti della 16esima divisione corazzata “Reichsführer SS” (il grado più alto tra le Schutz Staffeln) ancora vivi quando, nel 2005, il tribunale militare di La Spezia li ha condannati all’ergastolo, che nessuno ha scontato.

“Mio zio Heinrich è morto un anno fa a 91 anni” fa sapere Andreas. Ma in tutto questo tempo nessuno, nella famiglia Schendel, ha mai voluto parlare di Sant’Anna. “Mia nonna si è suicidata dopo la fine della guerra. Suo figlio Heinrich ha lasciato la famiglia e ha rotto ogni contatto. Ciò che era successo allora ha prodotto una famiglia diuomini soli e infelici. Dopo i funerali di mio zio – continua l’uomo – mio padre ha parlato con i familiari di Heinrich e tutti negavano quello che era successo. Il fatto che gli assassini e le loro famiglie potevano continuare a vivere soltanto con la menzogna e l’inganno di se stessi e che gli assassini non hanno vissuto bene, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia. Ma sono delle questioni molto difficili… e mi chiedo cosa ne pensa Lei…”.

Andreas Schendel ha scoperto per caso la verità da grande, solo sei anni fa. “Da allora – confessa al sopravvissuto – sento il bisogno di scriverle e di parlarle”. Il giovane Schendel aveva scritto a Pieri molte altre lettere, ma questa è la prima che ha avuto il coraggio di spedire, dopo essere stato ossessionato da ricordi di fatti che non ha mai vissuto, quelli del 12 agosto 1944 a Sant’Anna. “Ho letto il racconto dei testimoni dell’eccidio e mi è venuto da piangere. Nella mia mente sono impresse delle immagini incancellabili ormai da anni. Purtroppo non ho nessuno in famiglia che vorrebbe parlarne”.

Schendel confida anche alcuni presagi, vere e proprie visioni di morte, che lo hanno inseguito durante l’infanzia e che, da adulto, ha creduto di ricollegare a Sant’Anna. “Fin da bambino ho avvertito istintivamente molte cose. Sono cresciuto in campagna e spesso giocavo nel bosco, giocavo alla guerra, e mi sembrava che lì fossero nascosti tanti cadaveri di donne e bambini e che io in qualche modo ne fossi responsabile. Non capivo quelle mie fantasie, fino a quando non sono venuto a sapere di Sant’Anna”. Suggestioni misteriose che il nipote del carnefice definisce “fantasie tremende e inspiegabili”, dettate da un intreccio di destini e silenzi familiari che adesso è più che mai deciso a rompere. “Io ho la fortuna di appartenere a quella piccola parte della famiglia che ama la vita – scrive Schendel – e forse per questo ho la forza di confrontarmi con il passato”.

Andreas vorrebbe visitare Sant’Anna con suo padre, il fratello minore di Heinrich Schendel. Conclude la lettera ringraziando Pieri per averlo “guarito” con il suo impegno a favore della memoria e augura a lui e alla sua nuova famiglia ogni bene. “Gli ho risposto. Gli ho scritto una lettera. Il perdono? No, quello non lo posso dare. Ma lui non ha nessuna colpa. Gli ho scritto che venga a Sant’Anna se vuole rendersi conto di cosa è successo” dice Pieri a ilfattoquotidiano.it. E della madre dell’assassino, che dopo la guerra si è tolta la vita, non si stupisce più di tanto. “Penso che non fosse l’unica ad avere dei rimorsi. Lui dice che la sua famiglia ha pagato. Uno che ha commesso dei delitti, che ha ammazzato dei bambini, qualche rimorso ce lo dovrà pur avere, tranquillo non sta, a meno che non sia un criminale di professione. Però non tutti vanno dietro agli ordini, c’è chi ha rinunciato a sparare”. “Purtroppo – conclude – sono stati pochi”.

2 Giugno, una celebrazione nel segno dell’austerità

2 Giugno, una celebrazione nel segno dell’austerità

Con l’omaggio del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alla tomba del Milite Ignoto al Vittoriano, sono cominciate le celebrazioni per la Festa nazionale della Repubblica, che avranno il loro momento centrale a partire dalle 10, con la parata militare in via dei Fori Imperiali. “Le Forze armate al servizio del Paese” è il tema della rassegna di quest’anno. Napolitano è giunto all’Altare della Patria accompagnato dal ministro della Difesa Mario Mauro e dal capo di Stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli.
Sulle scale del Vittoriano, a ricevere il capo dello Stato, erano presenti tra gli altri, il presidente del Senato, Piero Grasso, quello della Camera, Laura Boldrini, il presidente del Consiglio, Enrico Letta, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Regione Nicola Zingaretti. La banda dell’Esercito ha quindi intonato l’Inno nazionale. Dopo l’alzabandiera solenne e la deposizione di una corona d’alloro sul sacello del Milite Ignoto, Napolitano ha lasciato Piazza Venezia per passare in rassegna le truppe. Alla parata hanno partecipato in circa 3.300, tra militari e civili, mentre non ci saranno cavalli, aerei e neppure le Frecce Tricolori. Anche i mezzi saranno ridotti all’osso, in un’ottica di sobrietà e di austerity. Un’edizione che ricalca grosso modo quella dell’anno scorso, quando motivi economici imposero di dimezzare i numeri della parata 2011.
Come già successo il 25 aprile il presidente della Repubblica è rimasto alla base della scalea del Vittoriano, insieme alle altre autorità: solo i corazzieri sono saliti al sacello del milite ignoto per deporre la corona. E’ quella che viene definita deposizione della corona “in forma staticà e che, secondo quanto si è appreso, verrà adottata d’ora in avanti.
Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, tra gli applausi della gente, ha raggiunto via del Fori Imperiali a bordo della Flaminia presidenziale scoperta, scortato dai corazzieri in motocicletta posto sul palco presidenziale dove sono presenti le massime autorità dello Stato. A rendergli gli onori un reparto di corazzieri che, anche per questa edizione della parata segnata dall’austerity, sono a piedi e non a cavallo. I costi sono stati stimati in un milione e mezzo di euro, contro i 2 milioni del 2012 e i 4 milioni e 400 mila del 2011.
Nel pomeriggio, dalle 15 alle 19, in concomitanza con l’apertura al pubblico dei Giardini del Quirinale, ci sarà un concerto dei complessi bandistici della Guardia di Finanza, dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Aeronautica Militare, della Marina Militare e dell’Esercito. Passando all’altro fronte, quello antimilitarista, l’appuntamento è dalle 11.00 in Piazza Mignanelli, vicino a Piazza di Spagna, con un presidio-evento in cui le reti promotrici della “Festa della Repubblica che ripudia la guerra” (Rete Italiana per il Disarmo, Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, Forum Nazionale per il Servizio Civile, Tavolo Interventi Civili di Pace e Campagna Sbilanciamoci) premieranno alcuni cittadini come “Testimoni di Pace”: donne e uomini del Servizio Civile, della Cooperazione allo sviluppo, della sanità e istruzione, del mondo del lavoro, della lotta alla criminalità organizzata, dell’informazione e un rappresentante degli stranieri senza cittadinanza.
Uno speciale attestato verrà rilasciato alla memoria di Daniele Ghillani, giovane volontario in Servizio Civile all’estero morto in Brasile. Il contro-programma prevede anche, nel pomeriggio, una visita del presidente della Camera Laura Boldrini a un centro di Servizio Civile a Roma, “Salesiani per il Sociale”, dove la terza carica dello Stato incontrerà alle 14.30 i referenti delle reti promotrici della “Festa della Repubblica che ripudia la guerra” oltre che giovani che hanno scelto la strada del Servizio civile. Mobilitazioni antimilitariste sono previste anche in altre città, come Bologna e Firenze: nel capoluogo toscano la Festa della Repubblica sarà l’occasione per consegnare il riconoscimento della cittadinanza ai tre senegalesi feriti nell’agguato a sfondo razzista del 13 dicembre 2011 nel capoluogo toscano, costato la vita a due loro connazionali.

Napolitano a Stazzema insieme al tedesco Gauck: “Ultimo atto da presidente”

Napolitano a Stazzema
insieme al tedesco Gauck:
“Ultimo atto da presidente”

69° anniversario dell’eccidio
delle Fosse Ardeatine

Il Capo dello Stato si è recato prima al mausoleo, poi a Sant’Anna di Stazzema. Presenti anche i presidenti di Camera e Senato. “Formazione del governo? Non si può che essere fiduciosi”

 
L'abbraccio tra Napolitano e Gauck, Capi di Stato di Italia e Germania a Sant'Anna di Stazzema per ricordare l'eccidio nazista (Foto Umicini)

L’abbraccio tra Napolitano e Gauck, Capi di Stato di Italia e Germania a Sant’Anna di Stazzema per ricordare l’eccidio nazista (Foto Umicini)

Roma, 24 marzo 2013 – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha reso omaggio al Mausoleo nel 69° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Presenti anche il presidente della Repubblica Federale tedesca, Joachim Gauck, e i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come rappresaglia in seguito all’attentato di via Rasella compiuto contro le truppe germaniche avvenuto il giorno precedente.

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Si sente il bisogno di “unità e di piena adesione all’interesse generale del Paese e di continuità delle istituzioni repubblicane”, ha detto il presidente della Repubblica a margine della celebrazione.

Poi la cerimonia a Sant’Anna di Stazzema, nel ricordo dell’eccidio nazista, quando i tedeschi trucidarono 560 persone tra cui molti bambini il 12 agosto 1944. Il presidente si commuove ricordando il massacro del ghetto ebraico di Varsavia. E chiude parlando del suo settennato ormai alla fine: “Sono contento che proprio questa intensa cerimonia sia l’ultima mia uscita pubblica del mio settennato. Porterò come memoria preziosa e come lascito l’esempio che lei mi dà di nobiltà d’animo e amicizia, presidente Gauck”.

Non si può essere altro che fiduciosi, bisogna essere fiduciosi per forza”, ha detto poi Napolitano, a chi gli chiedeva se è fiducioso per una soluzione della formazione del governo.

Napolitano a Stazzema insieme al tedesco Gauck: “Ultimo atto da presidente”

Napolitano a Stazzema
insieme al tedesco Gauck:
“Ultimo atto da presidente”

69° anniversario dell’eccidio
delle Fosse Ardeatine

Il Capo dello Stato si è recato prima al mausoleo, poi a Sant’Anna di Stazzema. Presenti anche i presidenti di Camera e Senato. “Formazione del governo? Non si può che essere fiduciosi”

 
L'abbraccio tra Napolitano e Gauck, Capi di Stato di Italia e Germania a Sant'Anna di Stazzema per ricordare l'eccidio nazista (Foto Umicini)

L’abbraccio tra Napolitano e Gauck, Capi di Stato di Italia e Germania a Sant’Anna di Stazzema per ricordare l’eccidio nazista (Foto Umicini)

Roma, 24 marzo 2013 – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha reso omaggio al Mausoleo nel 69° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Presenti anche il presidente della Repubblica Federale tedesca, Joachim Gauck, e i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come rappresaglia in seguito all’attentato di via Rasella compiuto contro le truppe germaniche avvenuto il giorno precedente.

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Si sente il bisogno di “unità e di piena adesione all’interesse generale del Paese e di continuità delle istituzioni repubblicane”, ha detto il presidente della Repubblica a margine della celebrazione.

Poi la cerimonia a Sant’Anna di Stazzema, nel ricordo dell’eccidio nazista, quando i tedeschi trucidarono 560 persone tra cui molti bambini il 12 agosto 1944. Il presidente si commuove ricordando il massacro del ghetto ebraico di Varsavia. E chiude parlando del suo settennato ormai alla fine: “Sono contento che proprio questa intensa cerimonia sia l’ultima mia uscita pubblica del mio settennato. Porterò come memoria preziosa e come lascito l’esempio che lei mi dà di nobiltà d’animo e amicizia, presidente Gauck”.

Non si può essere altro che fiduciosi, bisogna essere fiduciosi per forza”, ha detto poi Napolitano, a chi gli chiedeva se è fiducioso per una soluzione della formazione del governo.

IL VATICANO COMPRA IMMOBILI CON SOLDI DI MUSSOLINI

IL VATICANO COMPRA IMMOBILI CON SOLDI DI MUSSOLINI

 

di Franco Fracassi

 

I pochi turisti di passaggio a Londra potrebbero mai immaginare che i locali di Bulgari, i gioiellieri di alto livello di New Bond Street, abbiano qualcosa a che fare con il Papa. E nemmeno transitando alla vicina sede della ricca banca d’investimento Altium Capital, all’angolo di St. James Square e Pall Mall. Questi palazzi, che si trovano in uno dei quartieri più costosi di Londra, fanno parte di un sorprendente impero segreto immobili commerciali di proprietà del Vaticano. Lo rivela il quotidiano britannico Guardian.

Dietro una struttura dissimulata di società offshore, il portafoglio internazionale della Chiesa è stato costruito nel corso degli anni, partendo con il denaro contante elargito da Benito Mussolini in cambio del riconoscimento pontificio del regime fascista nel 1929.

Da allora il valore del dono di Mussolini è cresciuto fino ad arrivare alla cifra di 800 milioni di euro. Nel 2006, al culmine della recente bolla immobiliare, il Vaticano ha speso 20 milioni di euro di tali fondi per acquistare il 30 di St. James Square. Altre proprietà del Regno Unito sono al 168 di New Bond Street e nella città di Coventry. Oggi la Chiesa possiede anche palazzi di appartamenti e di uffici a Parigi e in Svizzera.

La cosa più sorprendente è che, per fare questi acquisti, il Vaticano ha aperto una serie di società di comodo in paradisi fiscali. Forse per nascondere la provenienza fascista di quei soldi?

Per esempio, la palazzina di uffici a St. James Square è stata acquistata dalla società Grolux Investments Ltd, che detiene anche le altre proprietà del Regno Unito. Nel registro del catasto non c’è traccia dei reali proprietari dell’impresa immobiliare, nessuna menzione per il Vaticano.

Il Guardian ha cercato di contattare due importanti azionisti della Grolux, due grandi banchieri: l’amministratore delegato della Barclays Bank, John Varley, e l’ex amministratore della Lopold Joseph Merchant Bank, Robin Herbert. Nessuno dei due ha voluto rispondere alle domande del quotidiano.

Ha risposto, invece, il presidente della Grolux, John Jenkins. Anche se in modo lapidario: l’azienda è proprietà di un trust, che per motivi di riservatezza non può essere rivelato. «Non sono autorizzato dal mio cliente di fornire le informazioni che chiedete».

I reporter del Guardian hanno, quindi, cercato negli archivi del registro delle società. È emerso che la Grolux ha ereditato il suo intero portafoglio da due società (britanniche) decedute nel 1999: Grolux Estates Ltd e Cheylesmore. A loro volta, le azioni di queste erano detenute da una società con sede presso la banca d’affari JP Morgan, a New York. Questa era a sua volta controllata dalla svizzera Profima SA.

Il passo successivo è stato quello di scartabellare negli Archivi storici nazionali a Kew. Sorpresa! La Profima SA, in qualità di società del Vaticano, veniva accusata di «impegnarsi in attività contrarie agli interessi degli Alleati». In particolare veniva accusato uno dei faccendieri del Vaticano, Bernardino Nogara, di aiutare il governo di Mussolini e il III Reich.

Così veniva definito Nogara dai servizi segreti di Sua Maestà nel 1945: «Nogara, un avvocato romano, è l’agente finanziario del Vaticano attraverso la Profima SA di Losanna, la holding svizzera che cura determinati interessi del Vaticano. L’uomo ombra della Chiesa si è adoperato per far sparire i beni di società francesi appartenenti a nazisti o a collaborazionisti del regime di Petain». E in una nota di due anni prima: «Nogara ha il compito di riciclare il denaro sporco delle dittature fasciste per conto del Vaticano. Manipola le finanze vaticane per fini politici estranei ai valori della Chiesa cattolica».

Secondo lo storico di Cambridge John Pollard, il denaro di Mussolini e dei fascisti è servito «al papato per essere finalmente sicuro che non sarebbe mai stato povero».

Fu Nogara a fondare nel 1931 la Groupement Financier Luxembourgeois, trasformatasi in Grolux. La società aveva il compito di detenere proprietà immobiliari in Europa utilizzando fondi di provenienza non ortodossa. Con lo scoppio della guerra la Grolux venne spostata nella neutrale Svizzera.

Sempre secondo il “Guardian”, il denaro di Mussolini e dei fascisti d’Europa è oggi gestito da un funzionario papale a Roma, Paolo Mennini, nei fatti vero e proprio banchiere del Papa. Mennini è a capo di un’unità speciale all’interno del Vaticano: la APSA o Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede Apostolica. Secondo quanto emerso da un’audizione dello stesso Mennini al Consiglio d’Europa, le attività speciali dell’APSA ammontano a una cifra superiore agli 800 milioni di euro.

La necessità di mantenere segreti i soldi di Mussolini in tempo di guerra è comprensibile, lo è di meno dopo la fine del conflitto mondiale. È ancora meno chiaro come possa ancora sopravvivere un segreto del genere nel 2013 e come possa il Vaticano aver ristrutturato nel 1999 l’architettura finanziaria che gestiva quel denaro senza sentire il bisogno di un qualche pentimento o di destinazione dei soldi ad attività benefiche, invece che a investimenti immobiliari. Il nunzio apostolico a Londra si è rifiutato di rispondere a queste ultime domande inviategli ufficialmente dal Guardian.

Le leggende del volo: dai fratelli Lumière ai velivoli civili

Le leggende del volo: dai fratelli Lumière ai velivoli civili


Amelia Earhart

Amelia Earhart, la prima pilota donna ad attraversare l’Atlantico

Da sempre la conquista dell’ariaha rappresentato per l’uomo una sfida tanto audace quanto affascinante; l’incapacità di volare è sempre stata un cruccio della specie umana, che volendo sfidare la natura ed essendo impossibilitata a librarsi in aria come i volatili, ha cercato di sfidare le leggi gravitazionali con l’ausilio di mezzi meccanici.

Il desiderio di volare ha radici molto antiche e profonde, una grande quantità di miti e leggende si legano proprio a questo argomento, basti pensare al mito di Icaro, che per cercare di scappare dal labirinto del Minotauro, si fece costruire un paio di ali di cera, ma preso dall’ebbrezza del volo, si avvicinò troppo al sole facendo sciogliere le ali.

Oggi grazie alle nuove tecnologie, e alle scoperte effettuate, l’uomo è in grado di arrivare fino ai confini della stratosfera con una semplice capsula e una tuta (come ha fatto l’austriaco Felix Baumgartner di recente) o semplicemente volare comodamente su un aereo sospesi a più di 10.000 metri di altezza.

Anche grazie alla televisione e al cinema è possibile andare alla scoperta dei cieli e vivere l’ebbrezza del volo: attraverso i documentari ciò è ancor più emozionante e realistico. Una delle ultime uscite che possono essere utili in questo senso, è Leggende del Volo 3D, un documentario in 3D appunto, uscito lo scorso 24 ottobre e distribuito da Universal Pictures, che ripercorrendo cento anni di storia dell’aviazione, vi farà anche scoprire le più importanti scoperte e tecnologie, le avventure e gli sbagli dell’aviazione dagli albori a oggi.

Nel 1783 il francese Jean-François Pilatre de Rozier fu il protagonista del primo volo umano della storia; il 21 novembre 1783, viaggiò per ben 12 chilometri per un volo complessivo di 25 minuti a bordo di un pallone ad aria calda, raggiungendo un’altezza di 1000 metri.

Nel 1785, sempre un francese, Jean-Pierre Blanchard, trasvolò per la prima volta il canale della Manica in compagnia dell’americano John Jeffries. Blanchard è considerato un vero pioniere in quanto eseguì la prima ascensione in pallone del Nord America, partendo da Philadelfia. Purtroppo però la sua passione per il volo gli costò la vita: nel 1808 cadde dal suo pallone durante un volo in Olanda, rimase ferito e morì poco tempo dopo nella sua Parigi.

La storia dell’aviazione moderna si può dire che sia iniziata grazie a due fratelli statunitensi:Wilbur e Orville Wright, due ingegneri e inventori, considerati i primi ad aver fatto volare con successo una macchina motorizzata più pesante dell’aria con una persona a bordo (era il 1903). Un anno più tardi, fu l’Italiano Aldo Corazza a eseguire un’operazione del genere.

Nel 1909, avvenne un evento molto importante per l’aviazione mondiale: Louis Blériotpilotò per la prima volta un monoplano attraverso il Canale de La Manica, impiegando in totale 36 minuti e viaggiando a 64 km/h.

Tra i pionieri dell’aria, figura anche una donna: Amelia Earhart, nel 1929 fu la prima donna ad attraversare l’Atlantico, a bordo di un velivolo chiamato “Friendship” (amicizia). Qualche anno più tardi, nel 1931, stabilì il record mondiale di altitudine, raggiungendo i 5.613 metri di altezza in volo.

Nel 1927 l’aviatore americano Charles Lindbergh, compì la prima traversata aerea dell’Oceano Atlantico in solitario e senza effettuare scali. Partì alle 7.52 del 20 maggio da New York e arrivò a Parigi il giorno seguente alle ore 22.00, dopo 38 ore e 8 minuti di volo. Grazie a questa impresa, entrò per sempre nella storia dell’aviazione mondiale ricevendo riconoscimenti a livello internazione, compresa la Legion D’Onore concessagli dal governo francese. Lindbergh non è solo famoso per questa grande impresa; purtroppo viene ricordato anche per il rapimento e uccisione del figlio Charles, che fu tra i primi casi di rapimento minorile a ottenere risonanza internazionale.

Ma una delle personalità che si ricordano più facilmente, anche grazie all’apporto del cinema contemporaneo che qualche anno fa gli ha dedicato un film con Leonardo Di Caprio, èHoward Hughes, che fu un imprenditore, regista, produttore cinematografico e aviatore americano, famoso per aver ideato, progettato e costruito diversi aeroplani importanti. Fu uno degli uomini più ricchi e potenti dell’America degli anni ’30 e 40, tanto da avere la fortuna di stringere legami amorosi con importanti e bellissime attrici come Bette Davis, Ava Gardner e Katharine Hepburn.

Il vero punto di svolta si ebbe dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’aviazione cambiò radicalmente da bellica a civile, fino a diventare il mezzo di locomozione più usato nel mondo e tra il più sicuro
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Morte Enrico Mattei, un mistero lungo 50 anni

 

Morte Enrico Mattei, un mistero lungo 50 ann

 

Enrico Mattei

Un imprenditore, un dirigente pubblico, un politico. Ma soprattutto un innovatore. Fu tutto questo e molto di più Enrico Mattei, uno dei protagonisti assoluti del boom economico dell’Italia del secondo dopoguerra. In un’esistenza lunga 56 anni fu protagonista di diverse vite. Operaio, partigiano, deputato della Democrazia Cristiana, commissario liquidatore dell’Agip, presidente dell’Eni. Di Mattei si è parlato tanto in vita, ma ancora più rumore ha fatto la sua tragica morte. Era la sera del 27 ottobre 1962, esattamente 50 anni fa, quando l’aereo su cui si era imbarcato a Catania cadde nei pressi di Bascapè, vicino Pavia, poco prima dell’atterraggio previsto nello scalo di Linate a Milano. Incidente o attentato sono stati per anni alternative imperscrutabili di uno dei misteri dell’attualità italiana. Le recenti verità giudiziarie hanno avvalorato la tesi dell’omicidio, anzi dell’attentato. Nell’aereo si è certificato che venne inserita una bomba stimata in 150 grammi di tritolo. Ma non sono bastati cinque decenni per chiarire totalmente i responsabili e gli interessi che hanno portato alla morte di Mattei.

Enrico MatteiErano in tanti a poter volere la scomparsa del dirigente italiano. Innanzitutto le cosiddette sette sorelle del petrolio, Standard Oil of New Jersey successivamente trasformatasi in Esso e poi ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Anglo-Persian Oil Company, poi divenuta in British Petroleum (BP), Standard Oil of New York, diventata in seguito Mobil e fusa con la Exxon, Texaco, unitasi alla Chevron per diventare ChevronTexaco, Standard Oil of California (Socal), poi Chevron, Gulf Oil, in buona parte confluita nella Chevron. Ma anche la Cia, i servizi segreti americani, in quel periodo di piena ‘Guerra fredda’, non vedeva di buon occhio i rapporti commerciali tra Mattei e l’Urss. Tanti nemici per un uomo potente, che era riuscito a rompere l’oligopolio del mercato petrolifero per abbassare i costi energetici per l’Italia e facilitare, in questo modo, lo sviluppo industriale.
Un progetto ambizioso, fondato sull’intuizione che i paesi arabi, in un quadro di profondi cambiamenti geopolitici dovuto anche alla decolonizzazione, avrebbero assunto il controllo delle riserve di oro nero. Questa convinzione, poi rivelatasi indovinata, spinse Mattei a cercare contatti diretti con i governi dei paesi emergenti e a firmare contratti di partnership di grande importanza. Nonostante il campo minato, il presidente dell’Eni stava realizzando il suo intento. Anche grazie ad un’attenta strategia di consenso, costruita a più livelli. Basti pensare che fu Mattei il vero artefice della nascita nel 1956 del quotidiano “Il Giorno”, uno strumento, capace di notevoli novità nel linguaggio giornalistico, a cui delegare la comunicazione del gruppo del cane a sei zampe.

Enrico Mattei era dotato di un’intelligenza e di un fiuto per gli affari al di sopra del comune. Di strada ne aveva fatta tanta da quando il 29 aprile del 1906 era nato ad Acqualanda, un piccolo paese delle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino. La sua era una famiglia modesta. Il padre Antonio, sottoufficiale dei Carabinieri, spinse il figlio Enrico, dopo la licenza elementare e gli studi alla Regia Scuola Tecnica di Vasto, a lavorare in una fabbrica di letti metallici. Divenuto ragioniere, il giovane Mattei, intraprese la carriera dirigenziale in una piccola azienda in cui era entrato quale operaio, si trasferì poi a Milano, dove inizialmente svolse l’attività di agente di commercio  nel settore chimico e delle vernici. Ma lo spirito imprenditoriale non tardò a farsi sentire. Così, mentre non disdegnava contatti politici con il regime fascista e il mondo dell’area democristiana, a trent’anni avviò una propria attività nel settore chimico, fino a divenire fornitore delle Forze Armate.

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Foto famose: la linguaccia di Albert Einstein

Foto famose: la linguaccia di Albert Einstein

 

 

La stampa della famosa foto di Einstein, autografata dallo scienziato (AP)

1951, Albert Einstein festeggia i suoi 72 anni e al termine della festa si rifiuta di mettersi in posa per la foto ricordo davanti ai fotografi, sbeffeggiandoli con una linguaccia. Il fotografo Arthur Sasse riesce però a immortalare la buffa espressione dello scienziato premio Nobel e la foto passa alla storia. Questa è la storia dell’immagine più famosa del fisico, diventata iconica e rappresentativa di uno dei geni (per alcuni il più grande) del secolo scorso. Pare poi che Einstein, entusiasta dello scatto, si fece fare nove copie da spedire come cartolina-regalo ai suoi amici. Mentre l’originale è stato venduto all’asta anni dopo per la modica cifra di $72.300.

La domanda nasce quindi spontanea: come mai proprio questa foto è diventata tanto celeberrima? I motivi sono diversi. Intanto è entrata a pieno titolo nella cultura pop e ha contribuito alla popolarità di Einstein. All’epoca era infatti già famoso, ma non così popolare. Questo scatto ha in qualche modo avvicinato la scienza alle persone comuni: Einstein ha un’espressione buffa, fa un gesto impertinente, fuori dalla convenzionalità. È un’immagine che lo rende simpatico e divertente e fa sì che la sua buffa figura di uomo anziano con i capelli lunghi e spettinati e dall’aria trasandata diventi amabile e non ridicola. Nell’immaginario collettivo il nome di Einstein è sinonimo di genialità, siamo d’accordo. Ma se pensate a un’immagine del premio Nobel, quale vi viene in mente? Probabilmente la foto di Sasse. Basti pensare alla diffusione che ha avuto negli ultimi decenni. Ancora oggi viene riprodotta su poster, cartoline, t-shirt; è stata protagonista di pubblicità (dove i sosia di Einstein si sprecano) ed è il primo risultato di Google se si cerca una foto qualsiasi dello scienziato.

C’è poi il soggetto, che rende unica la foto. Albert Einstein è di certo uno di quei personaggi diventati leggenda. E non solo per il contributo dato all’umanità e la rivoluzione scientifica che apportò, ma anche per l’approccio alla vita e la sua aurea di eccentrico candore. Un luogo comune molto diffuso è quello che vorrebbe Einstein bocciato almeno un paio di volte nel corso degli studi. Il che non è del tutto corretto (non venne ammesso al Politecnico di Zurigo per insufficienza nelle materie letterarie), ma ha contribuito nel tempo a renderlo una persona comune e un uomo di innegabile simpatia.

Foto famose: Che Guevara, Guerrillero Heroico e La passione del Che

Foto famose: Che Guevara, Guerrillero Heroico e La passione del Che

 

Havana, CubaSono passati 45 anni dalla morte di Ernesto Che Guevara: il 9 ottobre del 1967 viene ucciso a La Higuera, in Bolivia. Era da tempo ricercato dalla CIA, che riesce a tendergli un’imboscata grazie alla missione guidata dall’agente infiltrato Félix Rodriguez: il comandante viene catturato e fatto prigioniero l’8 ottobre insieme ad altri guerriglieri fuggitivi come lui. Si arrende dopo essere stato ferito alla gamba e viene rinchiuso in una piccola scuola pubblica del villaggio senza cure mediche fino al giorno successivo. C’è bisogno di temporeggiare: i generali delle forze armate e i consiglieri della Cia devono decidere il da farsi e, sebbene l’intenzione iniziale era quella di porlo sotto processo, il timore di una rivolta pubblica prevale e la scelta non può che essere una, l’esecuzione. Per confondere le acque e placare gli animi diffondono un comunicato in cui annunciano la morte del comandante sul campo di battaglia e intanto pensano a come giustiziarlo. Chi premerà il grilletto contro il Che? Il caso vuole che sia Mario Téran, un sergente dell’esercito.

Il corpo senza vita di Che GuevaraLe versioni a questo punto sono molteplici: Teran si deve ubriacare per poter premere il grilletto, si rifiuta di assumersi l’incarico per poi essere trascinato dai compagni davanti al condannato, sbaglia mira e lo colpisce alla gola per timore di guardarlo negli occhi. Quel che è certo è che la sua non fu un’azione fredda e istantanea, tanto che viene incitato dallo stesso Guevara: “So che sei qui per uccidermi. Spara, dunque, codardo, stai solo uccidendo un uomo”. Ma il colpo letale arriva da Rodriguez, diretto al cuore. Il suo corpo viene in seguito trasportato a Vallegrande, adagiato su un letto di ospedale e mostrato alla stampa: il simbolo della rivoluzione cubana era morto e il suo cadavere veniva mostrato al mondo. Da qui le immagini si diffusero fino a creare la leggenda di San Ernesto de la Higuera e El Cristo de Vallegrande. In pochi sanno che dopo quegli scatti gli amputarono le mani per rilevare le impronte digitali e assicurarsi che fosse lui, Ernesto Guevara de la Serna, detto Che Guevara.

L’Avana, Cuba
– È il 5 marzo del 1960 e Fidel Castro indice una commemorazione per le vittime delle due esplosioni che il giorno prima avevano distrutto la La Coubre, una nave mercantile francese: 81 morti e oltre duecento feriti era stato il bilancio. Il Líder máximo era convinto che la Cia fosse responsabile dell’attentato e le commemorazioni avevano carattere ufficiale: vi prese parte anche Che Guevara, che all’epoca era Ministro dell’Industria del governo cubano. Ed è qui che nasce una delle foto più famose del mondo, riprodotta su manifesti, bandiere e persino magliette, con un processo che, inevitabilmente, ha reso il “Che” anche un’icona pop: è lo scatto del Guerrillero Heroico.

Guerrillero Heroico – Alberto Korda

Alberto Díaz Gutiérrez (più noto come Alberto Korda) era presente in qualità di fotografo ufficiale di Castro. Con la sua Leica, immortalò anche il Che. Per sette anni, la foto non ebbe grande rilievo: ci voleva un italiano, per renderla immortale. Con una metodologia non proprio ortodossa, Giangiacomo Feltrinelli (sì, proprio lui, l’editore milanese) dopo aver ricevuto in regalo due copie dello scatto da Korda – che non pretese alcun compenso – lo utilizzò per la copertina del Diario in Bolivia di Ernesto Guevara. Si trattava dell’ultimo scritto del “Che”, con il racconto dei suoi ultimi mesi di vita sulle montagne boliviane, dove Guevara viene ucciso l’8 ottobre del 1967. Il governo cubano ricevette una copia del diario, che fu pubblicato anche in Francia, in Germania, in Cile, in Messico, negli Stati Uniti e in Italia. Da Feltrinelli, appunto.

Il quale ebbe un’idea: stampare numerosi poster con l’immagine, tappezzando Milano con il volto del Che. In tutto ciò, Korda non ha mai ricevuto alcun compenso né rivendicato i propri diritti per l’immagine. Di Feltrinelli disse: «Lo perdono, perché mi ha reso famoso». Solo una volta, Korda si oppose all’uso del suo scatto: fu quando la Smirnoff, azienda russa, lo utilizzò per pubblicizzare la propria vodka, nel 2000. Korda ottenne 50mila dollari, utilizzati per acquistare medicinali per bambini cubani.

Korda morì l’anno seguente, all’età di 72 anni. Il suo scatto, del Che che osserva la folla col celebre berretto, gli sopravviverà ancora per molto tempo.

Foto famose: la bandiera di Iwo Jima

Foto famose: la bandiera di Iwo Jima

 

 

La bandiera di Iwo Jima (AP)


Sei marines issano la bandiera americana
su un crinale del monte Suribachi a Iwo Jima, in Giappone. È il 23 febbraio 1945 ed è in corso la battaglia di Iwo Jima, una delle più sanguinarie della seconda guerra mondiale. L’autore dello scatto è Joe Rosenthal, che grazie a questa foto vinse il premio Pulitzer. Nemmeno s’era accorto, Rosenthal, di aver scattato la fotografia che sarebbe diventata per gli americani il simbolo stesso della guerra e della vittoria. Sbarcò sull’omonima isola insieme ai 30.000 soldati impiegati per la guerra contro il Giappone (l’isola stessa avrebbe fatto da ponte e luogo strategico per gli attacchi), passata alla storia come una delle più atroci: la stima approssimativa dei morti nella battaglia è di circa 6.800 uomini (solo da parte americana), 40 i carri armati impiegati e 216 i prigionieri.

la foto ‘posata’ con la bandiera più grande (AP)Più volte l’autenticità della foto di Iwo Jima è stata messa in discussione: in molti sostengono che sia stata creata a tavolino mettendo in posa i militari, altri affermano che quando arrivò Joe Rosenthal, la bandiera fosse già issata e il reporter fece rifare la posa con una bandiera più grande, diventata poi la fotografia ufficiale. Per anni, insomma, il fotografo su accusato di aver manipolato l’immagine, ma lui si difese fino alla morte così: “Se ci avessi provato, l’avrei rovinata”. E racconta la dinamica: “All’inizio non volevo neppure salire, perché mi avevano detto che la bandiera a stelle e strisce era stata già alzata. Poi, però, decisi di andare lo stesso. Una volta in cima, vidi con la coda dell’occhio che i marines stavano sostituendo la prima bandiera, giudicata troppo piccola, con una più grande. Puntai la macchina e scattai”.

Al rientro di Rosenthal negli Stati Uniti, la foto era già famosa e molto diffusa. In tempi più recenti basti pensare che ha ispirato il film di Clint Eastwood, Flags of Our Fathers e che venne riprodotta per il Memoriale di Iwo Jima, vicino al cimitero nazionale di Arlington in Virginia.