Pil, la Germania frena: -0,2%. E la Francia si ferma. Bce: “Riforme”

Pil, la Germania frena: -0,2%. E la Francia si ferma. Bce: “Riforme”

L’economia francese ferma per il secondo trimestre consecutivo, quella tedesca arretra per la prima volta dal 2012. Appello di Parigi all’Ue: “Ora più flessibilità”

Roma, 14 agosto 2014 – Non solo per l’Italia, va male anche per Francia e Germania. I dati del Pil nel secondo trimestre 2014 in Francia, diffusi questa mattina dall’istituto di statistica francese Insee, segnano che l’economia francese è ferma per il secondo trimestre consecutivo, a fronte di un atteso +0,1%. Il dato invariato rispetto al trimestre precedente segue la crescita zero già registrata nel primo trimestre dell’anno rispetto all’ultimo trimestre del 2013.

GERMANIA – I dati sono ancora più funesti per la Germania, dove il Pil scende dello 0,2% nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente. Il dato è peggiore delle attese che indicavano una possibile flessione del -0,1%. La crescita del primo trimestre rispetto all’ultimo del 2013 è stata rivista dal +0,8 al +0,7%. Con il dato di oggi l’economia tedesca arretra per la prima volta dal 2012.

APPELLO ALL’UE – Sulla scia dei dati che mostrano un’economia stagnante, il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, taglia le previsioni di crescita di fine anno, portandole “intorno allo 0,50%” dall’iniziale +1%, e sollecita risposte dall’Europa, dal rafforzamento dell’azione della Bce ad un adattamento delle regole di budget alla situazione economica, quindi maggiore flessibilità rispetto ai vincoli che gravano sui conti pubblici. “La crescita è caduta in Europa e in Francia”, scrive Sapin a Le Monde. “Con una crescita zero nel secondo trimestre – aggiunge il ministro – che estende la stagnazione dei primi tre mesi, il paese rallenta e non raggiungeremo l’obiettivo dell’1% previsto tre mesi fa”. “Quest’anno la crescita della Francia – dice ancora – sarà intorno allo 0,50% e niente ci autorizza a prevedere, al momento, una crescita di molto superiore all’1% nel 2015”. Sapin inoltre rialza al 4% le previsioni del deficit di quest’anno. In precedenza Parigi aveva stimato un deficit al 3,8% e si era impegnata ad abbassarlo al 3%.

Il governo francese chiede quindi che l’Europa agisca “con fermezza e chiarezza adattando le sue decisioni alle circostanze profondamente particolari ed eccezionali”. E in particolare chiede di “adattare il ritmo di riduzione del disavanzo pubblico all’attuale situazione economica”. Alla Bce, che comunque “ha preso buone decisioni”, la Francia chiede oggi un intervento più deciso per far fronte al rischio deflazione e per riportare il cambio dell’euro a “un livello più favorevole”, Sul fronte interno, il ministro delle Finanze francese indica che il Governo andrà avanti con le riforme, che taglierà ancora la spesa pubblica per 50 miliardi, e che non ricorrerà a un aumento delle tasse per riequilibrare i conti pubblici.

EUROZONA – Secondo quanto rivelano le stime di Eurostat, l’economia dell’Eurozona a 18 paesi resta ferma nel secondo trimestre rispetto ai precedenti tre mesi e sale dello 0,76% su base annua. Le previsioni degli analisti erano di una crescita trimestrale dello 0,1%. Nell’Unione europea a 28 paesi il Pil cresce dello 0,2% trimestrale e dell’1,2% annuale. Cala ancora a il tasso d’inflazione annuale nell’Ue-18: 0,4% a luglio, contro lo 0,5% di giugno. Si tratta del tasso più basso dall’ottobre 2009. A luglio 2013 era a 1,6%. Il tasso di inflazione mensile a luglio è stato di -0,7%, il tasso annuale era a 0,6%, contro lo 0,7% di giugno. L’anno precedente era a 1,7%, mentre il tasso di inflazione mensile è stato del -0,5% a luglio. Italia invariata. “Ci troviamo davanti ad un quadro misto e come abbiamo sempre sottolineato che la natura della ripresa è fragile. I dati devono essere considerati in un quadro economico di medio termine ed è importante attuare le riforme”, sottolinea l’Ue. “L’attuale aggiustamento nell’Eurozona è una storia di profondo cambiamento strutturale. Ci sono fondamenta sane perché la ripresa vada avanti. Sviluppi di situazioni all’estero possono accrescere l’incertezza, ma le nostra fondamenta restano intatte”, aggiunge un portavoce della Commissione sui risultati del Pil dell’Eurozona.

LA RICETTA BCE – La ricetta della Bce per l’Eurozona è quella di dare più slancio alle riforme strutturali per promuovere gli investimenti privati e creare posti di lavoro, procedendo però in linea con il Patto di Stabilità e di crescita e senza vanificare i progressi conseguiti nei conti pubblici. “Per quanto riguarda le finanze pubbliche – si legge nell’ultimo bollettino dell’Eurotower – in anni recenti un complessivo risanamento ha contribuito alla riduzione degli squilibri di bilancio. Importanti riforme strutturali hanno potenziato la competitività e la capacità di aggiustamento dei mercati nazionali del lavoro e dei beni e servizi. E’ ora necessario che questi sforzi acquisiscano slancio per incrementare il potenziale di crescita dell’area dell’euro. Le riforme strutturali dovrebbero mirare innanzitutto a promuovere gli investimenti privati e la creazione di posti di lavoro”.

“Al fine di ripristinare finanze pubbliche sane – prosegue il bollettino della Bce – i paesi dell’area dell’euro dovrebbero procedere in linea con il Patto di stabilità e crescita senza vanificare i progressi conseguiti nel riequilibrio dei conti pubblici. Il risanamento di bilancio va impostato in modo da favorire l’espansione economica. La piena e coerente applicazione dell’attuale quadro di sorveglianza macroeconomica e dei conti pubblici dell’area dell’euro è indispensabile per ridurre gli elevati rapporti debito/PIL, aumentare la crescita potenziale e rafforzare la capacità di tenuta dell’area agli choc”.

E Renzi in tour al Sud ha commentato: “Ho visto in questi giorni scenari inquietanti sull’Italia per aver fatto -0,2% di Pil. Stamattina vedo che anche la Germania fa -0,2. Io farei a cambio volentieri in termini di dimensioni economiche, ma non è la percentuale dello ‘zero virgola’ che fa la differenza, ma è il clima di rassegnazione nell’opinione pubblica, di chi pensa, a cominciare dalle classe dirigenti, che tanto non cambierà mai”.

Esplosione a Gaza, morto un giornalista italiano

Esplosione a Gaza, morto un giornalista italiano

Un fotoreporter vittima di uno scoppio durante le operazioni di disinnesco di un missile. Decedute altre cinque persone


Esplosione a Gaza, morto un giornalista italiano

Ansa

E’ italiano il fotoreporter rimasto ucciso nella Striscia di Gaza insieme ad almeno altre sei persone in seguito a un’esplosione. La conferma arriva sia dal portavoce del ministero della Sanità palestinese che dalla Farnesina.

La deflagrazione, accidentale, è avvenuta a Beit Lahya durante le operazioni di disinnesco di un missile israeliano. La vittima si chiama Simone Camilli, 35 anni, romano, e lavorava per l’agenzia Associated Press. Le altre persone sono tutti palestinesi: un giornalista e cinque disinnescatori.

“La morte di Simone Camilli è una tragedia, per la famiglia e per il nostro Paese“, ha detto il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, esprimendo il suo cordoglio per la morte del reporter. “Simone viveva da lungo tempo in quella zona ma in passato ha seguito anche altri conflitti in zone difficili del mondo, autore di numerosi reportage. È sempre stato in prima linea“, raccontano alcuni parenti di Camilli.

 

L’ultima prima pagina de l’Unita’

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Istat: disoccupati raddoppiati dall’inizio della crisi, aumenta la povertà. Poche le nascite e giovani in fuga

Non emerge certo una fotografia positiva dell’Italia nel rapporto annuale 2014 dell’Istat. L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all`8% delle famiglie. L’Ente statistico sottolinea che la grave deprivazione, dopo l`aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%.
Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d`Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.
A questo proposito il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato. Dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. In quasi sette casi su 10 l`incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro, con l`incidenza di ex-occupati che arriva al 53,5% (dal 43,7% del 2008). Dal 2008 al 2013 l`occupazione è diminuita di 984 mila unità (-973 mila uomini e -11 mila donne), con una flessione del 4,2% e un calo più forte nell`ultimo anno (-478 mila occupati).
Se si considera l’insieme di disoccupati e forze lavoro potenziali, ammontano a oltre 1 milione le persone con almeno 50 anni che vorrebbero lavorare. Tra gli over50 crescono sia gli occupati (1 milione 70 mila unità in più, +19,1%) sia coloro che vorrebbero lavorare e non trovano il lavoro (+261 mila disoccupati e +172 mila forze di lavoro potenziali, rispettivamente +147% e +33,4%), mentre diminuiscono gli inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare (-448 mila, -4,1%).
Il tasso di occupazione scende al 55,6% (dal 58,7% del 2008). Nel Mezzogiorno il calo è più forte(-583 mila unità, -9%), con il tasso di occupazione pari al 42%, a fronte del 64,2% del Nord e del 59,9% del Centro. Il calo dell`occupazione nei cinque anni è quasi esclusivamente maschile (-6,9% a fronte di -0,1% per le donne); tuttavia nel 2013 torna a calare anche l`occupazione femminile (-128 mila unità, pari a -1,4% rispetto al 2012). Il tasso di occupazione degli stranieri si riduce di 9 punti, attestandosi al 58,1%; per gli uomini il tasso è al 67,9%, per le donne al 49,3% (rispettivamente -14 e -3,4 punti), nonostante la crescita, tra il 2008 e il 2013, degli stranieri occupati (+246 mila unità tra gli uomini e +359 mila tra le donne).
Inoltre, prosegue l’Istituto di statistica, cresce la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (45,1% nel 2008). Si riducono gli ingressi nell`occupazione dalla disoccupazione: se nel periodo pre-crisi (2007-2008) su 100 disoccupati 33 avevano trovato un lavoro un anno dopo, nel periodo 2012-13 questi scendono a 24. Per ogni disoccupato, c`è almeno un`altra persona che vorrebbe lavorare. Nel 2013 il totale delle forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro, arriva a 3 milioni 205 mila, con un incremento di 417 mila unità.
Complessivamente, nel 2013 sono 6,3 milioni gli individui potenzialmente impiegabili. Aumentano anche gli scoraggiati, che tra le forze di lavoro potenziali sono 1 milione 427 mila individui. I giovani sono i più colpiti dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. Il tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all`attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%).
Cala la spesa per consumi. Molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno (la propensione al risparmio è scesa dal 15,5% del 2007 al 12% del 2011) hanno ridotto i propri livelli di consumo nel 2012 per mantenere i loro standard. La contrazione dei livelli di consumo si è verificata nonostante l`ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (pari all`11,5%) e il crescente ricorso all`indebitamento (nel 2012, le famiglie indebitate superano quota 7%).
Giù anche la spesa sanitaria – Nel 2012, la spesa sanitaria pubblica inoltre è pari a circa 111 miliardi di euro, inferiore di circa l’1% rispetto al 2011 e dell’1,5% in confronto al 2010. Durante la crisi, dal 2008 al 2011, le prestazioni a carico del settore pubblico si sono ridotte, compensate da quelle del settore privato a carico dei cittadini. Infatti, il valore della produzione pubblica (valutata a prezzi 2005) è rimasto invariato, mentre quello del settore privato è cresciuto dell’1,7%.
Tiene in Italia l’occupazione femminile, specie a fronte del forte calo di quella maschile, tanto che crescono le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata; ma in tempi di crisi è sempre più difficile lavorare ed essere madri, specie per le straniere. Spesso le madri lavoratrici, soprattutto le neo madri, si affidano ai nonni, anche se cresce il ricorso al nido, per lo più privato.
In Italia – inoltre – si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli, le donne fanno pochi figli e sempre più tardi, a 31 anni in media il primo figlio. Anche le donne straniere in età feconda sta rapidamente “invecchiando”.

Camera e Senato tagliano gli stipendi ai dipendenti. Loro protestano

Camera e Senato tagliano gli stipendi ai dipendenti. Loro protestano, Boldrini li stoppa: “Guardate il mondo reale”

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L’appello dei Cinque stelle: “Ok, ma i politici dovrebbero dare l`esempio ai cittadini cominciando da se stessi”. La Camera recede anche dal contratto di affitto per i Palazzi Marini, che ospitano gli uffici dei deputati.

Roma, 24 luglio 2014 – Via libera dell’Ufficio di presidenza di Camera e Senato al taglio degli stipendi dei dipendenti. Con una coda di contestazioni da parte degli stessi dipendenti, prontamente rintuzzate dalla presidente della Camera.

BOLDRINI E LE CONTESTAZIONI –  Il tetto degli stipendi dei dipendenti del Parlamento “in linea con il principio dei tetti massimi che vale per tutte le Amministrazioni pubbliche” rappresenta “un fatto importante e positivo”, afferma la presidente della Camera, Laura Boldrini.
“Spiace e rattrista – sottolinea – che non lo abbiano capito quei dipendenti della Camera che stamattina hanno inteso contestare nei corridoi le decisioni che venivano prese dall’Ufficio di Presidenza”.
Esprimendo “apprezzamento per l’alta professionalità e senso delle istituzioni” dei dipendenti della Camera, Boldrini osserva come, “in contemporanea con la loro iniziativa, ben altra protesta veniva dalla piazza di Montecitorio, dove anche stamattina si sono radunati i lavoratori che lamentano il mancato finanziamento della cassa integrazione in deroga. E’ quello il Paese reale, che non ha più reti di protezione sociale, e anche chi lavora dentro Montecitorio è chiamato a rendersene conto”

I TETTI DA DEFINIRE – Dunque i “tetti” alle retribuzioni ci saranno ma sono tutti ancora da definire. O meglio, sono tutti da definire tranne uno: perché la decisione assunta dalle due amministrazioni in maniera congiunta è stata quella di recepire i principi del decreto overnativo e quindi di stabilire che i consiglieri non possano andare oltre i 240mila euro.
Con una differenza: per loro dal tetto sono esclusi gli oneri previdenziali pari all’8,8%. “Anche il Parlamento – si legge nel documento approvato con l’astensione della Lega e il voto contrario di Fdi – è chiamato a fare la sua parte, proseguendo con decisione sul terreno del contenimento dei propri costi di funzionamento”.
Il tetto non varrà però solo per i consiglieri, ossia per i ruoli più remunerati, ma per tutti. “L’articolazione stessa dei livelli stipendiali, e l’esigenza di salvaguardare i rapporti retributivi attualmente esistenti fra le diverse categorie professionali – si legge ancora – rendono necessaria la fissazione di un tetto alle retribuzione non solo per i consiglieri ma anche per le rimenenti categorie professionali, individuato proporzionalmente, in modo da mantenere inalterati i rapporti retributivi oggi esistenti”.

IL NODO INDENNITA’ – Per coloro che già si trovano a recepire una retribuzione superiore al tetto dei 240mila euro, è previsto che la riduzione avvenga nell’arco di 4 anni tra il 2014 e il 2017. Altra questione rimasta in sospeso, oltre a quella della definizione dei “sottotetti”, è poi quella delle indennità. In passato queste avevano già subito un ridimensionamento ma, vista la decisione assunta oggi, si è deciso di “lasciare alla fase di trattativa con i sindacati la riconsiderazione della materia” in modo, per esempio, da ‘compensare’ chi ha maggiori responsabilità.

CONTRATTAZIONE – Da oggi parte infatti la contrattazione sindacale. Intanto, però, la decisione è stata accolta con degli applausi ironici dai dipendenti di Montecitorio che attendenvano l’esito dell’incontro nel corridoio antistante. In concomitanza con l’Ufficio di presidenza, nell’Auletta dei gruppi parlamentari è stata anche convocata un’assemblea sindacale.
Marina Sereni, vice presidente della Camera, che ha la delega sul personale, difende però la decisione: “Se fuori di qui – spiega – c’è un processo di rivisitazione degli stipendi più alti, sarebbe singolare che il legislatore, che ha votato la conversione di quel decreto, non si ponesse il problema. Certo, fa più piacere prendere applausi che l’ironia ma bisogna assumersi delle responsabilità”.

M5S: SI COMINCI DAI POLITICI – “Siamo d`accordo a porre dei tetti agli stipendi dei dipendenti della Camera, l’abbiamo proposto anche noi, ma i politici dovrebbero dare l`esempio ai cittadini cominciando da se stessi”, dicono i deputati M5S in ufficio di Presidenza a Montecitorio Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro e Claudia Mannino.
“Oggi è stato dato parere favorevole al contenimento delle spese per il personale ma di fronte alle nostre proposte di rivedere gli stipendi dei parlamentari – portandoli a 5mila euro lordi con la rinuncia ai vari plafond e indennità e la rendicontazione pubblica delle spese – tutti i partiti, compatti, ci hanno detto `no`”.
“Ancora una volta – concludono – ci troviamo di fronte a un atteggiamento da `casta`, quando i politici decidono di mettere tetti agli stipendi dei dipendenti ma le loro tasche non le vogliono toccate. A dispetto della crisi economica che attanaglia il Paese”.

STOP AGLI AFFITTI – L’ufficio di presidenza della Camera ha anche deciso all’unanimità di recedere dal contratto di affitto per i Palazzi Marini, gli edifici di proprietà dell’imprenditore Sergio Scarpellini che ospitano gli uffici dei deputati. Per il primo febbraio 2015, riferiscono fonti di Montecitorio, la Camera potrà lasciare i palazzi.

Bankitalia: “Gli effetti della crisi? I furti sono aumentati del 6%”

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Confedilizia: “Per la prima volta gli investimenti finanziari degli italiani hanno superato quelli immobiliari”

 
Furti, un ladro in azione (Ravaglia)

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Roma, 13 luglio 2013  – In tempi di crisi economica si moltiplicano gli allarmi, su vari fronti. E così, mentre i debiti della Pubblica amministrazione secondo la Cgia di Mestre hanno fatto chiudere 15mila imprese, e mentre i saldi estivi non decollano perché la gente fa fatica a riempire il carrello della spesa, Bankitalia segnala un preoccupante aumento di furti.

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Il dato emerge dallo studio pubblicato sul sito della Banca d’Italia, ‘L’impatto della crisi economica sulle attività criminali’ e segnala una “diffusa preoccupazione circa la possibilità che la crisi economica stia determinando una crescita delle attività criminali nel nostro Paese”. I risultati mostrano che la “crisi economica ha effettivamente avuto un impatto significativo su alcune tipologie specifiche di attività criminose, quali i reati che non richiedono particolari abilità criminali, come i furti. Le stime indicano che una riduzione dell’attività economica del 10% a livello locale causerebbe un aumento dei furti pari a circa il 6%”.

L’impatto della crisi “su altre categorie di reati per cui appaiono necessarie maggiori competenze criminali, come ad esempio le rapine, è invece negativo”. Non vi sarebbe, inoltre, afferma lo studio alcun legame tra l’andamento dell’attività economica e la diffusione di alcuni reati di tipo non strettamente economico, quali gli omicidi, i crimini violenti e i crimini di natura sessuale.

Il legame tra crisi e criminalità è meno evidente nelle quattro regioni maggiormente caratterizzate da una presenza piu’ radicata della criminalità organizzata (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia). Tale risultato, spiega la banca d’Italia, “potrebbe indicare che, in queste zone, la criminalità organizzata detenga il ‘monopolio’ dell’attività illegale, per cui risulterebbe difficoltoso per un individuo improvvisare un’attività criminosa a seguito delle sopravvenute difficoltà economiche, rispetto ad altre parti del Paese dove il controllo del territorio è meno capillare”.

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Lo Stato non paga e le aziende muoiono: raddoppiati i fallimenti negli ultimi 5 anni

Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114%) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati. Per la Cgia di Mestre il debito della Pa nei confronti delle imprese è di circa 120 miliardi.
A darne conto è il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, che ha stimato questo importo dopo aver letto i risultati emersi da un’indagine campionaria presentata nel marzo scorso dalla Banca d’Italia in un’audizione parlamentare.
Secondo i ricercatori di via Nazionale, il debito della pubblica amministrazione è pari a 91 miliardi di euro. Una cifra che, ormai, viene presa come riferimento da tutti gli osservatori ogni qual volta si dimensiona l’ammontare complessivo dei crediti che le aziende vantano nei confronti del settore pubblico
“Si tratta di una foto scattata il 31-12-2011, ovvero più di un anno e mezzo fa – spiega Bortolussi – nella quale non sono comprese le aziende con meno di 20 addetti che sono il 98% del totale delle imprese italiane.
Nella ricerca, inoltre, non sono state coinvolte le imprese che operano nella sanità e dei servizi sociali dove, storicamente, si annidano i ritardi di pagamento più eclatanti. Alla luce di questi elementi, riteniamo che l’ammontare dei debiti scaduti stimato dalla Banca d’Italia sia sottodimensionato di circa 30 mld”.
Sia chiaro, rileva la Cgia, non è in discussione il rigore scientifico dell’indagine realizzata dalla Banca d’ Italia: nelle note metodologiche i ricercatori di via Nazionale hanno messo in evidenza tutti i limiti della ricerca. Chi dovrebbe preoccuparsi a dimensionare il debito dovrebbe essere lo Stato che, invece, si è dato tempo fino a settembre per calcolarlo.
Per Bortolussi “sarebbe ingeneroso prendersela con chi ci governa. Il mancato pagamento dei debiti è un problema che parte da lontano. Anzi, dobbiamo ringraziare il Governo Monti e quello di Letta per aver messo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica questa anomalia tutta italiana. Tuttavia, bisogna accelerare i tempi di pagamento, altrimenti con soli 20 mld di euro a disposizione annui, questi 120 mld di debito saranno onorati non prima del 2018″.
Se si analizzano gli effetti economici dei mancati pagamenti, si scopre che dall’inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15.000 imprese. I risultati a cui è giunta la Cgia nascono da alcune osservazioni realizzate da Intrum Justitia secondo la quale, il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti.
Tenendo presente che l’Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pa e le imprese nonché nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012.
Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti nel lustro preso in esame, la Cgia stima che 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti. Per Bortolussi “oltre ai ritardi nei pagamenti, hanno concorso sicuramente alla chiusura di queste attività anche gli effetti nefasti della crisi , come il calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito che ha caratterizzato l’azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese”.
Pur continuando ad essere il peggior pagatore d’Europa, in questi primi mesi del 2013 lo Stato italiano e le sue Autonomie locali hanno ridotto di 10 giorni i tempi di pagamento verso i propri fornitori. Se nel 2012 le fatture venivano saldate mediamente dopo 180 giorni, quest’anno, stando all’elaborazione Cgia su dati di Intrum Justitia, i fornitori devono attendere 10 giorni in meno, cioè 170.
Solo la Grecia, che nella graduatoria generale è al penultimo posto, ha fatto meglio di noi: per l’ anno in corso ha accorciato i tempi di pagamento di 15 giorni. “Vuoi per gli effetti della nuova legge nazionale entrata in vigore dal primo gennaio di quest’anno che ha recepito la Direttiva europea contro i ritardi dei pagamenti, vuoi perché nel Paese si è diffusa una certa sensibilità nei confronti di questo problema – conclude Bortolussi – sta di fatto che la Pa italiana paga i propri fornitori con maggiore celerità. Questa è un’inversione di tendenza importante, ma non ancora sufficiente, visto che rimaniamo fanalino di coda a livello europeo. Se in questo ambito le Pa di Grecia e di Cipro continuano ad essere più efficienti della nostra, vuol dire che il lavoro da fare è ancora molto”.

Iva, verso il rinvio a dicembre. Si stringe su lavoro e semplificazioni

Iva, verso il rinvio a dicembre. Si stringe su lavoro e semplificazioni
Si sarebbe deciso anche questo nel vertice a Palazzo Chigi tra Letta, Saccomanni e Franco

PER APPROFONDIRE enrico letta, iva, tasse, fabrizio saccomanni, crisi
di Marco Conti

ROMA – Scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dal prossimo primo luglio avviando una serie di tagli di spese improduttive che il ministero dell’Economia di Fabrizio Saccomanni e la Ragioneria, guidata da Daniele Franco, hanno iniziato ad individuare. Il rinvio a fine anno, in attesa della legge di stabilità, dell’aumento dell’Iva si fa quindi molto concreto. Così come la possibilità che l’Imu venga rimodulata prima della scadenza del rinvio fissato per fine agosto. Tutto ciò è frutto del summit a tre, voluto dal presidente del Consiglio Enrico Letta, con il Ragioniere generale dello Stato e il titolare di via XX Settembre, per imprimere un’accelerazione al pacchetto di riforme di rilancio dell’economia.

Di fatto un percorso parallelo tra il ministro Saccomanni e il ministro Quagliariello. Tra le riforme economiche e quelle istituzionali, che Letta ha più volte rivendicato. E poiché «la nostra economia, e le tasche di molti cittadini, senz’altro non ha bisogno» di un nuovo incremento dell’Iva – come ha ieri sottolineato il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia – è normale che il governo stia seriamente lavorando per tentare di recuperare altrove le risorse necessarie. Per evitare l’aumento dell’Iva si tratta infatti di recuperare due miliardi. Cifra non impossibile per il bilancio dello Stato, ma che costringe il governo ad immaginare possibili tagli in attesa di una completa rimodulazione dell’imposta che sarà possibile con la delega fiscale, mentre per il taglio del cuneo fiscale occorrerà attendere la legge di stabilità.

Malgrado il pressing dei partiti e delle forze sociali, Confindustria in testa, Letta continua a muoversi con i piedi di piombo per non dare oltreconfine l’impressione di una sorta di arrembaggio a quelle risorse liberate dalla chiusura della procedura per deficit eccessivo. A palazzo Chigi si lavora per mettere a punto il decreto estivo che, oltre al rinvio dell’aumento dell’Iva, dovrebbe contenere alcune misure per il rilancio dell’occupazione giovanile, con il bonus fiscale e previdenziale per chi assume, un nuovo pacchetto di semplificazioni e di liberalizzazioni. Per l’Imu c’è tempo sino a fine agosto, ma non è detto che il governo possa mettere tutto nello stesso decreto. Nella proposta, presentata dai tecnici di via XX Settembre, si ipotizza una riforma della tassazione della casa prevedendo sgravi per le famiglie a più basso reddito.

I TECNICI
Resta da vedere se la soluzione trovata dai tecnici dell’Economia e dalla Ragioneria incontri il favore dei partiti. Soprattutto del Pdl che sinora si è mostrato irremovibile sulla totale cancellazione della tassa sulla prima casa. La caccia alle coperture è solo all’inizio, ma secondo i calcoli sui quali si discuteva ieri, il mancato aumento dell’Iva potrebbe generare da solo un aumento del Pil dello 0,24% in grado di evitare un ulteriore perdita di gettito.

Ovviamente tutta la manovra dovrà essere a saldo zero perché, come sostiene Letta, «è finito il tempo dei debiti». Resta comunque alta a palazzo Chigi l’attesa per la riunione dei ministri dell’Economia di Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna di metà mese e per il vertice europeo del 27 giugno. E’ per questo che ieri il presidente del Consiglio ha poco gradito la polemica tra Epifani e Alfano, segretari dei principali partiti che appoggiano la maggioranza, sul ruolo che l’Italia deve svolgere in Europa su come trattare l’alleato più ostico: la Germania di Angela Merkel.

Lavoro, la Cgil lancia l’allarme: “Ci vorranno 63 anni per tornare ai livelli occupazionali del 2007”

Lavoro, la Cgil lancia l’allarme: “Ci vorranno 63 anni per tornare ai livelli occupazionali del 2007”

Anche se l’Italia intercetterà la ripresa ci vorranno 63 anni per recuperare i livelli occupazionali del 2007. Solo nel 2076, cioé, si tornerebbe alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007. E’ quanto risulta da uno studio dell’ ufficio economico Cgil che prende come punto di partenza il contesto attuale. Nello studio della Cgil’La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione”, si simulano però alcune ipotesi di ripresa, nell’ambito delle attuali tendenze e senza che si prevedano modifiche significative di politica economica, sia nazionale che europea, per dimostrare la necessità di “un cambio di paradigma: partire dal lavoro per produrre crescita”. Se quello delineato inizialmente è quindi lo scenario peggiore, lo studio Cgil prende in considerazione “ipotesi più ottimistiche” legate alla proiezione di un livello di crescita pari a quello medio registrato nel periodo 2000-2007, ovvero del +1,6%. In questo caso il risultato prevede che il livello del Pil, dell’occupazione e dei salari verrebbe ripristinato nel 2020 (7 anni dopo il 2013) mentre quello della produttività nel 2017 e il livello degli investimenti nel 2024 (12 anni dopo il 2013).
La perdita cumulata è pari a 276 miliardi di euro di Pil – Lo studio della Cgil calcola inoltre anche la perdita cumulata generata dalla crisi, cioé il livello potenziale di crescita che si sarebbe registrato nel caso in cui la crisi non ci fosse mai stata, e che è pari a 276 miliardi di euro di Pil (in termini nominali oltre 385 miliardi, circa il 20% del Pil). Uno studio, quindi, funzionale alla Cgil per rivendicare la centralità del lavoro. “Per uscire dalla crisi e recuperare la crescita potenziale occorre un cambio di paradigma”, osserva il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, secondo il quale “per non attendere che sia un’altra generazione ad assistere all’eventuale uscita da questa crisi, e ritrovare nel breve periodo la via della ripresa e della crescita occupazionale, occorre proprio partire dalla creazione di lavoro”.
Il ministro Giovannini: “Piano in tre mosse per rilanciare l’occupazione” – L’accordo siglato tra sindacati e Confindustria sulla rappresentanza è “un risultato storico che testimonia la volontà forte delle parti sociali di cooperare per risolvere i problemi”. Lo afferma il ministro del Lavoro Enrico Giovannini in un’intervista a La Repubblica nella quale spiega anche il “piano in tre mosse” che il governo sta mettendo a punto per rilanciare l’occupazione, soprattutto giovanile e sottolineando che mettere intanto risorse per l’Imu serve “per sostenere i consumi”.. “Innanzitutto – dice – va reso più fluido il funzionamento del mercato del lavoro. E le misure normative saranno a costo zero” attraverso una “manutenzione” della legge Fornero, in particolare sui tempi e le motivazioni per i contratti a termine. Bisognerà intervenire anche sull’apprendistato perché “le imprese denunciano complicazioni nell’applicazione di questo contratto”, fermo restando che si tratta di una tipologia “fondamentale perché è una risposta al precariato” e “può essere lo strumento intermedio” tra tempo determinato e indeterminato. Il secondo tipo di interventi, spiega Giovannini, “é invece oneroso ad esempio per ridurre le tasse e i contributi sulle assunzioni dei giovani, introdurre incentivi per la creazione di nuove imprese giovanili. La stessa staffetta anziani-giovani fa parte di questa categoria. Poiché sono necessarie risorse finanziarie ci dovremo ragionare a fondo. Poi ci sono gli investimenti per lo sviluppo. Pensiamo all’attivazione di fondi della Bei”.

Napolitano: “Dobbiamo essere all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”

Napolitano: “Dobbiamo essere all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”

“Dobbiamo essere una Repubblica all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una intervista al Tg5 torna a parlare del lavoro che non c’è e dei milioni di giovani in cerca di un’occupazione. Non solo in Italia. “Quel primo articolo ebbe grande significato, si discusse moltissimo in Assemblea costituente e si scelse questa dizione anziché l’altra ‘è una Repubblica dei lavoratori’ -ha ricordato il capo dello Stato-. ‘Fondata sul lavoro’ è qualcosa di più, c’è un principio regolatore cui si devono uniformare tutti gli attori sociali e le rappresentanze politiche”.
Dramma della disoccupazione, specie dei giovani – “Quello della disoccupazione giovanile non è un problema puramente italiano”, ha riconosciuto il presidente della Repubblica: “L’Economist è uscito con una copertina e un editoriale dal titolo ‘Una generazione senza lavoro’. Si parla, solo nei Paesi del mondo ricco, di 26 milioni di giovani che non sono più nel processo formativo, non fanno addestramento e non hanno lavoro – ha spiegato il capo dello Stato. Nell’insieme, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha fatto la cifra di 75 milioni di giovani disoccupati, qualcosa di simile alla popolazione di un grande Paese”. Per Napolitano, “la verità è che sono cambiate le tecnologie, i termini dell’occupazione e si è colto molto in ritardo il dilagare della disoccupazione giovanile sia in Occidente che nei Paesi emergenti e in Italia lo sentiamo molto acutamente e drammaticamente”.
Fuga cervelli è una perdita secca per l’Italia  – La fuga dei cervelli “é una perdita secca per l’Italia, che si accolla il costo della loro formazione e poi si vede deprivare di fondamentali energie. Occorre trovare le condizioni perché restino qui. Non si tratta di mettere divieti. Un’esperienza all’estero è fisiologica. Quello che è patologico è restare fuori”. L’emigrazione al’estero dei laureati “é una reazione naturale alle difficoltà in Italia. Penso soprattutto a chi fa ricerca e non trova sbocchi. E’ una libera scelta cercare altrove. La questione è creare le condizioni perché le persone possano tornare”.
Combattere deriva psicologica giovani – “Si deve innanzitutto garantire la massima attenzione da parte delle Istituzioni – Governo, Parlamento e anche Regioni ed Enti locali – per la condizione dei giovani che rischia davvero di essere molto critica: ci si sente privi di prospettive, e si deve reagire anche a questo stato d’animo, a questa deriva psicologica”, afferma Napolitano. “Certamente non bastano le assicurazioni, ma intanto – aggiunge il capo dello Stato – credo che già solo il mettere l’accento sul problema serva, e poi occorrono decisioni, scelte concrete come quelle di cui proprio in questo momento si sta parlando in Italia e in Europa”, afferma il capo dello stato.
Lavoro, anche con raccomandazione non si trova  – “Il problema della disoccupazione giovanile ha dimensioni tali che è scalfito in misura irrilevante dalla pratica della raccomandazione. Questa è solo un piccolo tassello del problema. Milioni di giovani anche con la raccomandazione non trovano lavoro”. A proposito della lamentela di molti giovani che ancora in Italia conta più la raccomandazione del merito, Napolitano infatti risponde: “Anche questo è un aspetto grave e deteriore, però il problema della disoccupazione giovanile ha delle dimensioni tali che non è scalfito se non in misura irrilevante dall’assunzione per raccomandazione. Anche se questa pratica continua, ed è da combattere e da sradicare, ormai è soltanto un piccolo tassello del problema. La verità è che ci sono milioni e milioni di giovani che, né con la raccomandazione, né senza raccomandazione, riescono a trovare lavoro”.