Camorra: arrestato boss Gionta latitante, finto turista per Malta

Camorra: arrestato boss Gionta latitante, finto turista per Malta

Agenzia Giornalistica ItalianaAgenzia Giornalistica Italiana – 4 ore fa

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(AGI) – Napoli, 17 ago. – Con la complicita’ di tre persone

incensurate, due donne e un uomo, fingendosi due coppie di

turisti, si stava imbarcando da Pozzallo, in provincia di

Ragusa, per Malta. I carabinieri pero’ hanno bloccato e

arrestato Aldo Gionta, 42 anni, figlio del boss Valentino (in

carcere e all’ergastolo), attuale reggente del clan omonimo

tra i piu’ potenti dell’area vesuviana del Napoletano,

latitante dal 3 giugno scorso. A Gionta i militari dell’Arma

hanno notificato un decreto di fermo di pm per associazione a

delinquere di stampo mafioso e violazione degli obblighi da

sorvegliato speciale.

Di fatto il boss era ricercato dal 24 maggio scorso, quando

non era ritornato a casa di sera perche’ temeva un agguato ai

suo danni. Ancora ricercato e’ il figlio Valentino junior, 23

anni, pure sfuggito al provvedimento della procura di Napoli di

giugno. Arrestati per favoreggiamento i tre complici della

finta vacanza del boss, che forse da Malta avrebbe raggiunto

destinazioni del Nord Africa o della penisola Iberica per la

sua latitanza. Aldo Gionta era in possesso di un documento

falso e fino all’ultimo ha negato la sua vera identita’,

confermata dalle impronte digitali. I Gionta sono la cosca

dominante a Torre Annunziata, alleati dei potenti Nuvoletta di

Marano fin dagli anni ’80 contro la Nco di Raffaele Cutolo, e i

‘maranesi’ sono a loro volta legati alla mafia siciliana

corleonese. Valentino Gionta senior e’ stato condannato tra

l’altro come mandante dell’omicidio del giornalista Giancarlo

Siani. (AGI)

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

1944-2014. La lettera, inedita, che il nipote di Heinrich Schendel, uno degli 8 componenti della 16esima divisione Reichsführer SS, ha spedito a Enrico Pieri, uno dei pochi sopravvissuti all’eccidio nazista del 1944, di cui ricorre il 70esimo il 12 agosto. “La voglio conoscere, ma non avevo il coraggio di scrivere. Quando ho letto i racconti dei testimoni mi è venuto da piangere. Il fatto che gli assassini potevano vivere solo con la menzogna e l’inganno di se stessi, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia”

Sant’Anna di Stazzema, “Mio zio SS trucidò la vostra gente. Piango, dovevano punirlo”

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“Lei non mi conosce e non so se ha voglia di leggere la mia lettera. Mi chiamo Andreas Schenkel, ho 42 anni e sono un nipote di Heinrich Schendel, uno degli assassini di Sant’Anna”. La Storia ha un modo misterioso di fare le presentazioni. Quella della famiglia di un soldato delle SS con Enrico Pieri, superstite di Sant’Anna di Stazzema, arriva solo oggi, 70 anni dopo la strage nazifascista che lo ha lasciato solo al mondo, a 10 anni, con il terrore nel cuore. Arriva sotto forma di una lettera di due pagine scritte al computer in times new roman e spedite dal nipote di uno dei tedeschi che il12 agosto del 1944 giunsero nel paesino versiliese all’alba, accompagnati da fascisti locali.  A Sant’Anna le SS scaricarono le mitragliatrici su 560 persone indifese, squartarono la pancia a donne incinte. Nei forni, accesi per cuocere il pane, chiusero bambini ancora vivi. Altri, i più piccoli, furono lanciati in aria per un tiro al bersaglio. Un eccidio programmato al dettaglio, per terrorizzare la popolazione e isolare i partigiani.

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Enrico Pieri quel giorno sopravvisse a tutta la famiglia, nascondendosi in un sottoscala. Oggi ha 80 anni e ha ricevuto una lettera, che affida a ilfattoquotidiano.it perché venga pubblicata. A scriverla è Andreas Schendel. Suo zio Heinrich, fratello maggiore di suo padre, era uno degli otto componenti della 16esima divisione corazzata “Reichsführer SS” (il grado più alto tra le Schutz Staffeln) ancora vivi quando, nel 2005, il tribunale militare di La Spezia li ha condannati all’ergastolo, che nessuno ha scontato.

“Mio zio Heinrich è morto un anno fa a 91 anni” fa sapere Andreas. Ma in tutto questo tempo nessuno, nella famiglia Schendel, ha mai voluto parlare di Sant’Anna. “Mia nonna si è suicidata dopo la fine della guerra. Suo figlio Heinrich ha lasciato la famiglia e ha rotto ogni contatto. Ciò che era successo allora ha prodotto una famiglia diuomini soli e infelici. Dopo i funerali di mio zio – continua l’uomo – mio padre ha parlato con i familiari di Heinrich e tutti negavano quello che era successo. Il fatto che gli assassini e le loro famiglie potevano continuare a vivere soltanto con la menzogna e l’inganno di se stessi e che gli assassini non hanno vissuto bene, mi fa pensare che forse anche lì c’è una forma di giustizia. Ma sono delle questioni molto difficili… e mi chiedo cosa ne pensa Lei…”.

Andreas Schendel ha scoperto per caso la verità da grande, solo sei anni fa. “Da allora – confessa al sopravvissuto – sento il bisogno di scriverle e di parlarle”. Il giovane Schendel aveva scritto a Pieri molte altre lettere, ma questa è la prima che ha avuto il coraggio di spedire, dopo essere stato ossessionato da ricordi di fatti che non ha mai vissuto, quelli del 12 agosto 1944 a Sant’Anna. “Ho letto il racconto dei testimoni dell’eccidio e mi è venuto da piangere. Nella mia mente sono impresse delle immagini incancellabili ormai da anni. Purtroppo non ho nessuno in famiglia che vorrebbe parlarne”.

Schendel confida anche alcuni presagi, vere e proprie visioni di morte, che lo hanno inseguito durante l’infanzia e che, da adulto, ha creduto di ricollegare a Sant’Anna. “Fin da bambino ho avvertito istintivamente molte cose. Sono cresciuto in campagna e spesso giocavo nel bosco, giocavo alla guerra, e mi sembrava che lì fossero nascosti tanti cadaveri di donne e bambini e che io in qualche modo ne fossi responsabile. Non capivo quelle mie fantasie, fino a quando non sono venuto a sapere di Sant’Anna”. Suggestioni misteriose che il nipote del carnefice definisce “fantasie tremende e inspiegabili”, dettate da un intreccio di destini e silenzi familiari che adesso è più che mai deciso a rompere. “Io ho la fortuna di appartenere a quella piccola parte della famiglia che ama la vita – scrive Schendel – e forse per questo ho la forza di confrontarmi con il passato”.

Andreas vorrebbe visitare Sant’Anna con suo padre, il fratello minore di Heinrich Schendel. Conclude la lettera ringraziando Pieri per averlo “guarito” con il suo impegno a favore della memoria e augura a lui e alla sua nuova famiglia ogni bene. “Gli ho risposto. Gli ho scritto una lettera. Il perdono? No, quello non lo posso dare. Ma lui non ha nessuna colpa. Gli ho scritto che venga a Sant’Anna se vuole rendersi conto di cosa è successo” dice Pieri a ilfattoquotidiano.it. E della madre dell’assassino, che dopo la guerra si è tolta la vita, non si stupisce più di tanto. “Penso che non fosse l’unica ad avere dei rimorsi. Lui dice che la sua famiglia ha pagato. Uno che ha commesso dei delitti, che ha ammazzato dei bambini, qualche rimorso ce lo dovrà pur avere, tranquillo non sta, a meno che non sia un criminale di professione. Però non tutti vanno dietro agli ordini, c’è chi ha rinunciato a sparare”. “Purtroppo – conclude – sono stati pochi”.

È inchiesta su bomba d’acqua nel Trevigiano. Zaia difende le viti

La notizia del giorno

È inchiesta su bomba d’acqua nel Trevigiano. Zaia difende le viti

Si contano i danni in Veneto, dopo la tragedia che è costata la vita a 4 persone. Galletti: «Impegno del Governo sul dissesto idrogeologico».

Dopo l’esondazione del torrente Lierza sabato sera a Refrontolo, nel Trevigiano, è ora il momento della conta dei danni e del dolore per le 4 vittime del disastro. E mentre restano gravi le condizioni di due feriti, ricoverati all’ospedale di Treviso, monta la polemica degli ambientalisti, che puntano il dito sui terreni disboscati per far posto ai vigneti del Prosecco. Ma il governatore della regione Veneto Zaia smentisce: «I vitigni ci sono sempre stati. È semplicemente caduta troppa acqua». E interviene anche il sindaco di Refrontolo, che assicura che «il torrente Lierza è stato pulito nel 2013». Guarda il servizio e scopri tutte le foto

Aperta un’inchiesta
La Procura della Repubblica di Treviso ha aperto un fascicolo d’inchiesta per disastro e omicidio colposo plurimo, «un atto dovuto» fa sapere. «Bisognerà verificare con accertamenti tecnici la tenuta del terreno», spiega il sostituto Procuratore Repubblica Treviso Laura Reale. L’obiettivo è capire le cause del disastro costato la vita a 4 persone, ma mentre sembra prevalere l’ipotesi della pura fatalità, monta la polemica. «In questi ultimi 10 anni il bosco è stato strappato per piantare vitigni», vitigni di Prosecco, denuncia a Sky TG24 Daniele Ferrazza, giornalista de La Tribuna di Treviso. La denuncia di un giornalista locale

Zaia: «I vitigni ci sono sempre stati»
Il governatore della regione Veneto Luca Zaia, però, smentisce nella maniera più categorica. Coltivazioni come i vigneti di prosecco «non centrano nulla con le frane e gli smottamenti». E aggiunge: «I vitigni ci sono sempre stati. La piovosità è stata tanta». Gli  fa eco il capo della Forestale di Treviso che ribadisce che «la tragedia è stata causata dalla pioggia», mentre a Sky TG24, Innocente Nardi, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, ribadisce che «si fa viticultura oggi come si faceva 100 anni fa», precisand che «Io credo che il problema del dissesto idrogeologico derivi dall’abbandono del territorio, dal fatto che non ci sono persone che vanno a regimentare le acque». Le parole di Zaia

Galletti a Refrontolo, «Vero dramma, serve prevenzione»
«Spendere in prevenzione salva le vite e protegge l’ambiente» scrive su Twitter il ministro Gallett, che a Sky TG24 aggiunge: «Il Governo in questi mesi non ha mai dimenticato chi è stato oggetto di calamità naturali e continueremo a non farlo. Su questo l’impegno del Governo e della Regione ci sono». Interrogato poi sui sempre più frequenti dissesti idreologici in Italia risponde «Abbiamo già fatto alcune cose  importanti in questo mese: sia dal punto di vista organizzativo, con la cabina di regia per coordinare tutti i ministeri, sia dal punto di vista legislativo» ma «Il problema è un problema grande, perché questo paese è morfologicamente portato al dissesto idrogeologico».  Le parole di Galletti

Con Pantani per sempre

Jacobelli: con Pantani per sempre, contro gli sciacalli che da 15 anni hanno sputato veleno su Marco

02 agosto alle 11:14

Questo editoriale è stato pubblicato da calciomercato.com il 24 luglio 2013.
Nel giorno in cui è diventata ufficiale la notizia della riapertura dell’inchiesta sulla morte di Marco Pantani, perché sarebbe stato picchiato e costretto a ingurgitare coicaina, ci sembra doveroso riproporlo alla vostra attenzione.
Anche perché, quel veleno lanciato contro Pantani, in ordine di tempo fu soltanto l’ultima dose dell’indecente campagna di fango montata contro il fuoriclasse romagnolo, mai trovato positivo a un controllo antidoping.
Nulla potrà mai restituirci Marco, tutto deve essere fatto per onorarne la memoria e difenderla dagli sciacalli che prima e dopo la scomparsa di Pantani si sono accaniti contro di lui. Da dieci anni, Mamma Tonina e Papà Paolo si battono in nome di Marco. Oggi hanno una ragione di più per capire che non sono mai stati soli e non lo saranno mai.

x.j.

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I francesi hanno la coda di paglia lunga cent’anni di Tour e, ancora una volta, schizzano fango su Marco Pantani. Ma nessun avvoltoio riuscirà a intaccare il Mito di Marco contro il quale si è abbattuta l’ultima vigliaccata, visto che non può difendersi dalle rivelazioni a scoppio ritardato di chi continua a sputare veleno sul Grande Romagnolo. Questi sciacalli schiatteranno all’inferno.

Bisogna dirglielo forte e chiaro, agli ipocriti custodi a orologeria della Grande Boucle, che si alzano presto, ma si svegliano tardi.

Sono trascorsi quindici anni dal trionfo di Pantani a Parigi e ne sono passato undici da quando il Pirata si ha lasciato.

Era il 2004, lo stesso anno in cui vennero effettuate le analisi secondo le quali Marco, come altri corridori, avrebbe fatto uso di epo al Tour del ’98. Avrebbe, perchè il condiizonale è tassativo. Come ha sottolineato lo stesso Pat Mc Quaid, presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale, nel 2004 non ci fu la possibilità di effettuare le controanalis e non ci furono le condizioni di garanzia e difesa degli incolpati. 

E tutto questo succede nell’Anno Domini 2013, proprio nella patria di liberté, egalité e fraternité.

La commissione d’inchiesta del Senato svergogna Pantani e altri corridori (Tafi, Fabio Sacchi, Eddy Mazzoleni, Nicola Minali, Cipollini, Erik Zabel, Jan Ullrich, Bo Hamburger, Laurent Jalabert, Marcos Serrano, Jens Heppner, Jeroen Blijlevens, Jacky Durand, Abraham Olano, Laurent Desbiens, Manuel Beltran e Kevin Livingston).

Ma,  attenzione, pontifica il relatore del rapporto, “non c’è alcun rischio di sanzione per loro” e il nome di Pantani non verrà cancellato dall’albo d’oro del Tour come è accaduto a Lance Armstrong al quale  dopo la confessione di essersi dopato, sono stati tolti i sette titoli conquistati dal 1999 al 2005. Domanda numero 1: ma se i diciotto di cui sopra sono colpevoli, perché non vengono puniti anche retroattivamente? Forse perchè non ci sono state le controanalisi e non è sttao garantito loro il diritto alla difesa? Domanda numero 2: dal 1999 al 2005, i pasdaran dell’antidoping nell’Esagono dov’erano? Tutti ai piedi di Armstfong per celebrare la gloria imperitura del Tour. O no?

Hanno scritto Tonina e Paolo Pantani: “Abbiamo la certezza che, pur trattandosi di analisi condotte anni dopo lo svolgimento della gara in oggetto, debbano sussistere anche per esse tutte le garanzie a tutela dell’atleta: Marco Pantani.

Senza entrare nel merito della conservazione dei campioni o di altri mezzi di prova, ci troviamo costretti a farvi notare queste analisi sono state eseguite dopo la morte di Marco e questo lo ha privato del più elementare diritto alla difesa, quale ad esempio quello di richiedere le controanalisi o di nominare un perito di parte per assistervi.

Soltanto in caso di positività del campione B, sarebbe superfluo ricordarlo ma giova farlo, è possibile parlare di positività. Come accade anche nel Diritto Penale, la morte interrompe qualsiasi procedura in essere o futura a carico dell’indagato incidendo anche sul reato che viene così dichiarato estinto come estinta è la pena nel caso in cui sia nel frattempo intervenuta la condanna.

A maggior ragione nel diritto, sportivo che richiama i principi generali del diritto ordinario nelle fattispecie non espressamente disciplinate, le garanzie difensive per l’incolpato devono essere assolutamente garantite nella loro completezza, senza possibilità di delega. Pertanto vi diffidiamo dall’intraprendere qualsiasi iniziativa che possa spogliare Marco dei titoli da lui conquistati sulla strada e dall’affrontare l’argomento in sedi ufficiali o con gli organi di informazione, giacché parlare di un provvedimento giuridicamente insostenibile può ledere in modo grave l’immagine di nostro figlio.

In tutti i paesi civili le norme che regolano l’accertamento dei fatti di rilevanza giuridica presuppongono la salvaguardia del fondamentale ed inviolabile diritto di difesa. Lo stesso principio è posto alla base delle norme regolamentari sportive che reiteratamente e con chiarezza attribuiscono all’incolpato una serie di facoltà tendenti all’accertamento della verità che non può che scaturire dal contraddittorio e dall’esercizio delle garanzie difensive. Nel nostro caso riteniamo ignobile e soprattutto illegittimo che si parli di inchieste e addirittura di sanzioni nei confronti di una persona che purtroppo non può più difendersi né nominare persone che lo possano difendere.

Noi però per l’amore che ci lega a lui e per il sentimento di giustizia che ancora ci informa, non intendiamo abdicare al nostro dovere di difendere la sua immagine ed il suo nome. Ed è per tale motivo che vi chiediamo ufficialmente di non parlare ancora di lui come di un qualsiasi altro atleta ancora in vita, ed è per tale motivo che vi diffidiamo ufficialmente ad intraprendere una qualsiasi illegittima azione che, contrastando le più elementari norme di diritto, ne infanghi il nome”.

Parole sante. Da sottoscrivere a una a una. Pantani ha il diritto di riposare in pace. Per sempre.

“Pantani fu ucciso”, riaperte le indagini

“Pantani fu ucciso”, riaperte le indagini

La Procura di Rimini avvia una nuova inchiesta 10 anni dopo la morte del ciclista. L’ipotesi: il Pirata picchiato e costretto a bere cocaina


"Pantani fu ucciso", riaperte le indagini

Ansa

Marco Pantani non morì a causa di un overdose involontaria di cocaina, ma fu ucciso. E’ l’ipotesi sostenuta (da sempre) dalla famiglia del campione di ciclismo trovato senza vita la sera del 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini e confermata ora anche da una perizia medico legale eseguita, per conto dei parenti del Pirata, dal professor Francesco Maria Avato secondo la quale qualcuno costrinse l’atleta a bere grandi quantità di droga diluite nell’acqua. Proprio questi esami avrebbero convinto la Procura di Rimini di riaprire il caso 10 anni dopo la morte del vincitore di Giro d’Italia e Tour de France nel 1998.

 

“Le ferite sul corpo di Marco Pantani – sostiene la perizia, secondo quanto riporta la Repubblica – non sono autoprocurate, ma opera di terzi”. La Gazzetta dello Sport scrive inoltre che l’atleta sarebbe stato picchiato e costretto a bere la cocaina mentre si trovava nella stanza d’albergo di Rimini perchè le grandi quantità di stupefacente trovate nel suo corpo potevano essere assunte solo se diluite. L’ipotesi di reato su cui indaga ora la procura sarebbe quella di omicidio con alterazione del cadavere e dei luoghi. “Ho letto i faldoni del Tribunale e ci sono scritte cose non vere”, aveva spiegato la mamma di Pantani, Tonina Belletti, in una recente intervista. “Marco non era solo nel residence: con lui potevano esserci più persone. Ha chiamato i carabinieri, parlando di persone che gli davano fastidio, e dopo un’ora è stato trovato morto”, ha ribadito la donna. “Secondo me – ha proseguito – Marco aveva pestato i piedi a qualcuno, perchè lui quello che pensava diceva: parlava di doping, diceva che il doping esiste“. “Marco non tornerà mai – aveva aggiunto – ma io aspetto ancora la verità, su Rimini come su Madonna di Campiglio”.

 

 

Sei milioni spariti dalle casse dell’esercito: 3 arresti nel napoletano

Sei milioni spariti dalle casse dell’esercito: 3 arresti nel napoletano

LaPresse
Roma, 26 mag. (LaPresse) – Una gigantesca sottazione di fondi dalle casse dell’esercito italiano, scoperta dagli stessi responsabili del Centro Amministrativo dell’esercito e denunciata ai carabinieri, ha portato all’arresto, questa mattina, di 3 persone e alla segnalazione di altri 44 soggetti alle Procure militare e ordinaria, per i reati di peculato militare, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, nell’ambito di un’indagine svolta insieme da guardia di finanza e carabinieri della capitale. In totale sono stati sottratti alle casse dell’esercito 6 milioni di euro.
Destinatari delle misure cautelari dell’Autorità Giudiziaria romana sono un commercialista, un imprenditore e un pensionato campani. L’attività di carabinieri e guardia di finanza di Roma ha consentito di portare alla luce un vasto sistema di frode che, con la collaborazione di un maresciallo dell’esercito, già rimosso e sospeso dal suo incarico dallo stesso esercito e la cui posizione è attualmente al vaglio dalla Procura militare di Roma, e grazie a una fitta rete di collegamenti, ideati ed attuati da un commercialista, ha portato alla sottrazione dei sei milioni, finiti su conti correnti di decine di soggetti compiacenti, residenti perlopiù nella provincia di Napoli. La frode è stata scoperta grazie all’analisi di documentazione bancaria, intercettazioni telefoniche, indagini patrimoniali e onfessioni di decine di soggetti coinvolti.
La frode prevedeva il coinvolgimento, con ruoli principali, di un commercialista, di un luogotenente dell’esercito e di due soggetti incaricati di reperire altre persone disposte ad occultare le somme rubate, facendole transitare dai propri conti correnti, per poi prelevarle in contanti e restituirle agli organizzatori del sistema, non prima di averne trattenuto una piccola parte per l’opera fornita. La truffa è stata realizzata negli anni che vanno dal 2010 al 2013. I conti correnti su cui veniva riveersato il denaro erano 44. E’ stato accertato che il sottufficiale continuava a godere del denaro rubato sperperandolo in vacanze, autovetture e immobili e sponsorizzando la sua passione di cantante amatoriale, fino all’intervento degli investigatori che hanno proceduto al sequestro di tutti i conti correnti degli indagati e ricostruito minuziosamente il loro patrimonio.
26 maggio 2014

IL MOSE ERA SOLO UN MAGNA MAGNA

IL MOSE ERA SOLO UN MAGNA MAGNA

 

di Marco Cedolin

 

Quando sei anni fa parlavo della truffa del Mose, durante le conferenze di presentazione del mio libro “Grandi Opere”, ribadendo che si trattava di un’opera inutile e devastante, che avrebbe fagocitato quasi 5 miliardi di euro sottratti ai contribuenti italiani, per l’unico scopo d’ingrassare la mafia del tondino e del cemento ed il bestiario politico ad essa compiacente, percepivo spesso un velo d’incredulità. Il cemento porta lavoro, mi veniva fatto notare, e non si può sempre dire no alle opere che segnano il progresso della nostra nazione.

A guardare i giornali di oggi, il Mose, più che portare lavoro e progresso, sembra avere generato tutta una serie di rubalizi e profitti illeciti (quelli che avevamo ampiamente previsto) che hanno già condotto all’arresto del sindaco di Venezia Orsini (PD) ed alla richiesta di custodia cautelare per l’ex ministro e governatore del Veneto Galan (PdL)…..

I provvedimenti in questione rientrano nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Procura di Venezia, sul malaffare che ha fatto di contorno (o sarebbe meglio dire da perno) al sistema Mose e che ha già messo in manette 35 persone e prodotto un centinaio d’indagati. Si tratta di uomini politici, imprenditori e perfino di un generale, tutti coinvolti nel magna magna riguardante i miliardi di denaro pubblico, gettati nel buco nero di questa enorme ed inutile infrastruttura.

Come sempre accade in questi casi, l’inchiesta è partita solamente ora che i miliardi stanziati per il Mose sono spariti interamente, e riguarderà in larga misura importi marginali, senza intaccare troppo in profondità il sistema mafioso che è stata l’unica vera (l’acqua alta era poco più che un pretesto) base fondante dell’opera. Ancora qualche altro arresto e qualche altra indagine, poi tutto cadrà nel dimenticatoio e solamente l’obbrobrio di cemento resterà a testimoniare questa ennesima truffa, condotta nel nome del lavoro e del progresso.

Fermato il presunto assassino di Yara Gambirasio: individuato grazie al test del Dna

Fermato il presunto assassino di Yara Gambirasio: individuato grazie al test del Dna

16 giugno 2014Commenti (14)

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Argomenti: Giustizia | Ricerca e sviluppo d’impresa |Bergamo | Elisa Claps | Brembate | Italia | Angelino Alfano | Radio l’Olgiata | ANSA

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Massimo Giuseppe Bossetti (Ansa)Massimo Giuseppe Bossetti (Ansa)

Dopo quattro anni di indagini è arrivata la svolta nel caso dell’omicidio di Yara Gambirasio. Il presunto assassino della tredicenne di Brembate di Sopra (Bergamo) è stato catturato dai carabinieri del Ros, dopo indagini condotte insieme alla Polizia. Si tratta di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore incensurato di Clusone, sposato e padre di tre figli.

L’uomo, che prima ha negato ogni responsabilita e poi si è avvalso della facoltà di non rispendere, è stato fatto oggetto di insulti e di grida di «assassino» da parte della gente che si trovava davanti alla caserma. Applausi invece per le forze dell’ordine che hanno condotto le indagini.
Il presunto omicida è stato quindi portato via dalla caserma dei carabinieri di Bergamo per essere trasportato in carcere.

Come è stato trovato
Bossetti è stato incastrato e identificato grazie al Dna lasciato sul corpo della vittima. L’ultima conferma sull’analisi scientifica era arrivata nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima uccisa a Brembate il 26 novembre 2010. La scienza non lasciava dubbi: l’autista di Gorno (Giuseppe Guerinoni morto nel 1999) è il padre del presunto killer della 13enne il cui corpo fu trovato esattamente tre mesi dopo la scomparsa in un campo di Chignolo d’Isola.

La relazione dimostrava che la probabilità che Guerinoni fosse il padre del cosiddetto “Ignoto 1” è del 99,99999987%, una paternità praticamente provata scientificamente. L’analisi era stata chiesta dal consulente della famiglia Gambirasio per accertare senza ombra di dubbio la relazione tra “Ignoto 1” e il Dna del presunto killer trovato sugli indumenti di Yara . In questi anni sono stati prelevati oltre 18 mila campioni genetici e non solo in provincia di Bergamo.

Sono almeno altri due i grandi casi di cronaca nera risolti in Italia «a pista fredda», attraverso analisi scientifiche che hanno consentito di individuare il Dna delle persone sospettate: il delitto dell’Olgiata e l’omicidio di Elisa Claps.

L’annuncio di Alfano
«Le Forze dell’Ordine, d’intesa con la Magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio», aveva fatto sapere poco prima il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. «Secondo quanto rilevato dal profilo genetico in possesso degli inquirenti, è una persona del luogo, dunque della provincia di Bergamo», aveva detto ancora Alfano. Nelle prossime ore «saranno forniti maggiori dettagli. Ringraziamo tutti, ognuno nel proprio ruolo, per l’impegno massimo, l’alta professionalità e la passione investiti nella difficile ricerca di questo efferato assassino che, finalmente, non è più senza volto».

La felicità del sindaco di Brembate
«Se è vero siamo felici, era un atto dovuto alla famiglia e a tutta la comunità», ha commentato il sindaco di Brembate Sopra (Bergamo) alla notizia del fermo del presunto responsabile per l’omicidio di Yara Gambirasio. «Da quando è scomparsa da casa, a Brembate, e da quando è stata trovata uccisa a Chignolo Po (Bergamo), attendevamo questo momento. Ringrazio tutti quelli che hanno messo tante risorse in campo per arrivare a questo risultato».

Yara, il pm Ruggeri: “Dna faro che ha illuminato le indagini. Senza dubbio Guerinoni è il padre dell’omicida”

Yara, il pm Ruggeri: “Dna faro che ha illuminato le indagini. Senza dubbio Guerinoni è il padre dell’omicida”

Dopo i primi tre mesi ”da incubo”, il ritrovamento del cadavere di Yara ha dato una svolta alle indagini: ”E’ stato di un grande aiuto, come è noto i cadaveri danno informazioni e sapere che sugli slip è stato localizzato questo Dna. A questo punto il Dna è stato il faro alla luce del quale proseguire le indagini”. E’ quanto ha detto il pm titolare del caso Yara, Letizia Ruggeri. Il magistrato ha poi annunciato di non escludere il giudizio immediato, senza quindi passare dall’udienza preliminare. ”Devo valutare come procede questa fase dell’indagine, ma non lo escludo”, ha detto. “E’ stata una indagine faticosissima, ha proseguitoNon avete idea di quanta fatica è stata fatta in un’indagine a elenchi, con nessun testimone e ben poche telecamere funzionanti. Nei primi mesi è stato un incubo”.
La svolta con il dna –  E’ stato il faro alla luce del quale proseguire le indagini.’Dopo aver riesumato il cadavere di Guerinoni, non abbiamo avuto più nessun dubbio sul fatto che fosse il padre del soggetto che stavamo cercando”. E’ così partita un’indagine pazzesca per ritrovare la madre”, anche ”pedinando e intercettando i Guerinoni. ‘Attraverso un’indagine anagrafica, negli anni siamo arrivati alla madre Ester Arzuffi, che condivide nel dna un allele molto raro e particolare. Una volta individuata la madre il percorso è stato in discesa”. Il dna della madre di Bossetti è stato selezionato ed individuato in una rosa di 532 Dna quello di Ester Arzuffi, la madre di Massimo Giuseppe Bossetti, ritenuto l’omicida della piccola Yara Gambirasio. Il pm di Bergamo, ha anche specificato che il Dna della donna aveva un ”gene particolare”. Poi si è proseguito con l’individuazione di Bossetti.
Procuratore: nelle indagini nessuna contraddizione – “Il percorso investigativo si è basato su una linea operativa strettamente scientifica, dall’individuazione della madre del presunto autore fino all’individuazione della persona che conoscete ”: l’ha spiegato il procuratore di Bergamo Francesco Dettori. Dettori, è poi tornato sulle polemiche per la diffusione della notizia sul fermo del presunto assassino di Yara, sostenendo che ”era una persona che andava tutelata” prima di un confronto con il gip. ”Perché dare in pasto alla stampa una persona che ha diritto di essere tutelata?”. Infine ha definito ”aride e stupide”, le polemiche sui milioni di euro spesi durante le indagini. ”Per trovare la verità sul caso di una ragazza di 13 anni non si bada a spese” ha tagliato secco il magistrato.
I Gambirasio: “I Bossetti soffrono più di noi” – La nostra Yara ora è in paradiso”, ha continuato il padre della tredicenne, aggiungendo che è tempo di pensare ai genitori e parenti di Massimo Giuseppe che ”ora sono stati travolti dall’ inchiesta”: lo ha riferito don Corinno che ha parlato con l’uomo al telefono stamani. La famiglia Gambirasio, seguendo lo stesso atteggiamento di questi ultimi anni, nel corso della settimana è rimasta chiusa nel massimo riserbo, ‘protetta’ nella villetta di via Rampinelli. Secondo alcuni conoscenti, la famiglia oggi potrebbe essere andata via, in direzione di Pesaro per il fine settimana, dove era stata invitata a partecipare all’evento ‘Ginnastica in Festa’, in ricordo della passione per la figlia per questa disciplina.
20 giugno 2014

Inchino della Madonna al boss: “Pervertito il sentimento religioso, duri provvedimenti in arrivo”

Inchino della Madonna al boss: “Pervertito il sentimento religioso, duri provvedimenti in arrivo”

Vicende come quella della processione di Oppido Mamertina ricorre “in zone dove il pervertimento del sentimento religioso si accompagna spesso all’azione della criminalità e a un’acquiescenza, dettata da paura o interesse, purtroppo ancora diffusa tra le popolazioni”. Così l’Osservatore Romano stigmatizza quanto accaduto in Calabria, dove la processione della Madonna delle Grazie si è fermata davanti all’abitazione del boss della ‘ndrangheta Peppe Mazzagatti, 82 anni, condannato all’ergastolo ed ai domiciliari per motivi di salute. La Direzione investigativa antimafia calabrese ha avviato l’inchiesta in seguito alla segnalazione dei carabinieri di Oppido Mamertina, il cui comandante ha abbandonato la processione dopo l’inchino davanti al boss.
L’inchino della Madonna al boss  – L’episodio è accaduto due giorni fa a Oppido Mamertina dove la processione della Madonna delle Grazie della frazione Tresilico si è fermata davanti all’abitazione del presunto boss della ‘ndrangheta Peppe Mazzagatti, 82 anni, condannato all’ergastolo ed ai domiciliari per motivi di salute. Il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha definito l’episodio come “deplorevoli e ributtanti rituali cerimoniosi” mentre il Vescovo, monsignor Francesco Milito, ha annunciato “provvedimenti energici”.
Grasso: triste omaggio, complimenti al maresciallo – “Ho telefonato al maresciallo Marino per ringraziarlo. Grazie ancora, a nome di tutti cittadini onesti”. E’ quanto ha scritto su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, rivolgendosi al maresciallo dei Carabinieri che ha ordinato i suoi uomini di andarsene di fronte all’ ‘inchino’ della statua della processione di Oppido Mamertino davanti alla dimora del boss. “Sono certo che questo gesto inammissibile, questo tristissimo “omaggio”, non rappresenti il popolo calabrese”, ha aggunto Grasso.
Duro intervento del capo della diocesi – Un “temerario gesto di blasfema devozione che va all’opposto di quella dovuta alla Madre di Dio” ha aggiunto nella sua condanna il vescovo di Oppido-Palmi Francesco Milito. “Chi è riuscito a compierlo, e a ritentarlo – ha aggunto – è lontano da ogni spirito di fede pura, retta ed autentica. Se neanche le parole del Papa, con una condanna da tutti comprensibile nella sua incisiva chiarezza, sono riuscite a far da freno, è segno che l’indurimento di alcune coscienze è sotto il livello di guardia”. E ancora: “L’episodio in questione – ha aggiunto – risulta ancora più grave se si considera l’opera decisa ed energica che, in Oppido Mamertina, comprendente anche Tresilico, a partire dal 15 agosto 2013 con forti segni emblematici, e dal 16 dicembre 2013, a poche settimane dalla nota operazione anti ‘ndrangheta, si è messa in atto per l’educazione delle coscienze nella prospettiva di una radicale conversione, attraverso percorsi di catechesi e di approfondimento, che avranno compimento nella missione cittadina, diretta dai Padri Minimi di san Francesco di Paola con la presenza delle reliquie del Santo”.
Il sindaco prende le distanze – Il sindaco di Oppido, Domenico Giannetta, ha preso le distanze da eventuali gesti non consoni ma “ci pare che è stata ripetuta una gestualità che va avanti da oltre 30 anni”. Alfano si è complimentato con i Carabinieri che hanno preso le distanze da quelli che il Ministro giudica “atti incommentabili”. La Presidente della commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, ha telefonato al maresciallo dei carabinieri Andrea Marino per ringraziarlo. “Quanto è avvenuto nel corso della processione – ha detto – sconcerta e addolora e la Commissione antimafia intende approfondire i fatti incontrando anche lo stesso maresciallo Marino”. Duro è anche il commento del procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, secondo il quale il gesto compiuto è “un vero e proprio atto di sfida alle parole di scomunica di Papa Francesco. Bene il comportamento dei Carabinieri ora la Procura farà il suo lavoro”. Non è la prima volta che in Calabria emergono ingerenze della criminalità nei riti religiosi. A Pasqua in due comuni del vibonese c’era stata una forte polemica sullo svolgimento della processione dell’Affruntata.
07 luglio 2014