Ruby, Cantone: “Legge Severino? Non escludo sia causa dell’assoluzione”

Ruby, Cantone: “Legge Severino? Non escludo sia causa dell’assoluzione”

“Non sappiamo se le ragioni dell’assoluzione siano collegate alle novità introdotte dalla legge Severino o se invece siano collegate alla valutazione della Corte sul comportamento concreto di Silvio Berlusconi”, ma se l’ex premier fosse stato “assolto proprio in conseguenza dello spacchettamento tra induzione e costrizione, si dovrebbe ammettere che fatti considerati illeciti penali prima della legge Severino, dopo lo spacchettamento non lo sono più”. Lo afferma il capo dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Non possiamo escludere che la legge Severino sia stata la causa dell’assoluzione, ma non possiamo nemmeno affermarlo”, dice.
La legge Severino, “ha introdotto una novità fondamentale: la controparte del pubblico ufficiale ora solo nella costrizione resta vittima mentre nell’induzione è punita, seppur in maniera minore rispetto al concussore”. La Severino, eliminando l’induzione senza vantaggio dell’indotto, potrebbe aver depenalizzato? “Potrebbe anche essere stata, almeno in qualche caso, una scelta che migliora il quadro normativo – risponde Cantone – Al di là del caso Ruby, il problema è giuridico ed è tuttora aperto. La Cassazione a Sezioni Unite ha da un lato stabilito un principio per distinguere costrizione da induzione ma poi nella stessa sentenza ha ammesso delle eccezioni”.

Brunetta, ora grazia come gesto pacificazione – “L’assoluzione di Silvio Berlusconi non è stata un’assoluzione ‘normale’. Essa cancella infatti con lo scalpello la sentenza scritta in primo grado un anno fa, ma fa molto di più: spazza via come un ‘vento dello Spirito Santo’ (Garcia Marquez) la violenza politica, mediatica, totalitaria praticata contro la persona privata e la figura politica del fondatore di Forza Italia” ha scritto Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. “Hanno un bel dire – afferma Brunetta – i boia dalla penna a forma di scimitarra mozza-teste, che il bunga bunga resta un’infamia, che l’onta internazionale è meritata e intatta. Bugie! Le notizie che sono servite ad assassinare la reputazione del presidente del Consiglio italiano sono state raccolte con metodi invasivi della sua vita intima da chi? Dalla magistratura, la quale ha sparso per il mondo intercettazioni, deposizioni, pedinamenti in funzione della individuazione e la condanna per reati gravi come la concussione e ignobili come la prostituzione minorile. Zero. Vero niente. Falso tutto. Vergogna ai diffamatori”. “Il mio impeto – prosegue Brunetta – dopo che l’innocenza (e la colpevolezza morale degli avvelenatori) è stata proclamata al mondo da giudici senza paura (penso alle pressioni ambientali) è stata la richiesta a chi può di riparare a questa ‘character assassination’ nel modo più semplice e diretto. Berlusconi è stato ‘ucciso’ con strumenti dello Stato; un atto dello Stato immediato e solenne, per decisione saggia del Presidente della Repubblica, pulisca il fango. Ecco l’idea: la grazia a chi ha ingiustamente sofferto, la grazia come ‘olio sul capo che molto ha sofferto’, diceva il poeta. La grazia come gesto di pacificazione”.

Corruzione, Gdf: 1435 denunce nel 2014, il picco nel settore appalti

Corruzione, Gdf: 1435 denunce nel 2014, il picco nel settore appalti

La Guardia di finanza, nei primi cinque mesi del 2014, ha denunciato per concussione, corruzione, peculato o abuso d’ufficio 1.435 persone, 126 delle quali sono state arrestate. Nel solo settore degli appalti, le indagini della Gdf hanno portato alla denuncia di 400 persone, per un valore di gare irregolari di 1,2 miliardi.
Dall’inizio dell’anno sono pervenute alla Guardia di finanza, tramite l’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia, oltre 38.000 segnalazioni di operazioni sospette. Lo ha reso noto il comandante generale della Gdf, Saverio Capolupo, dicendosi favorevole all’introduzione del reato di autoriciclaggio. “Nonostante la caduta dei consumi e la crisi economica, l’attività di recupero dell’evasione fiscale procede con risultati costantemente crescenti. Questo grazie a un cambio di strategia che ci ha fatto mettere in primo piano la qualità dei controlli rispetto alla quantità”. Lo ha detto il comandante generale della Guardia di finanza, generale Saverio Capolupo, parlando all’isola di Ponza (Latina).
Grazie a questa nuova strategia, nel 2013 la Guardia di Finanza ha scoperto oltre 15 miliardi di euro di basi imponibili sottratte a tassazione nel campo dell’evasione internazionale, 16 miliardi di ricavi non dichiarati da oltre 8.300 evasori totali e più di 2 miliardi di Iva evasa, riconducibili al fenomeno delle “frodi carosello”. Nello stesso periodo, sono stati denunciati oltre 12.000 responsabili di frodi e reati fiscali, di cui circa 200 arrestati, principalmente per aver utilizzato o emesso fatture false, per non aver versato l’Iva e per non aver presentato la dichiarazione dei redditi o per aver distrutto o occultato la contabilità; sono state poi avviate procedure di sequestro nei confronti dei responsabili di reati fiscali, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie per 5,3 miliardi di euro, di cui 1,4 miliardi già eseguiti.
Il comandante generale della Guardia di finanza, generale Saverio Capolupo, parlando all’isola di Ponza, ha invitato a valutare il fenomeno della cosiddetta “evasione di necessità”. “L’evasione di necessità – ha detto – è un fenomeno che riguarda quei contribuenti che non ottemperano agli obblighi tributari in ragione di contingenti difficoltà economico-finanziarie. Di certo – ha aggiunto – vanno distinti dai circa 3.000 evasori totali già scoperti nell’anno in corso coloro che hanno dichiarato i redditi ma poi non versano le imposte per necessità: condotta meno grave in linea di principio, per la quale si potrebbe ipotizzare una depenalizzazione”. “Deve essere chiaro, però – ha concluso Capolupo – che il nero, l’evasione e le frodi fiscali alterano sempre le regole del mercato e quindi producono ulteriori danni agli imprenditori onesti e coraggiosi, che hanno affrontato le difficoltà restando nell’alveo della legalità”.

VERITÀ E GIUSTIZIA PER GENOVA: L’ADDIO DEL COMITATO

VERITÀ E GIUSTIZIA PER GENOVA: L’ADDIO DEL COMITATO

 

Il 20 luglio del 2002 nasceva il Comitato Verità e Giustizia per Genova. Un anno dopo i fatti di Genova, alcune delle vittime, testimoni e parenti, diedero vita al Comitato.

Uno degli scopi principali è stato quello di raccogliere fondi per il sostegno alla segreteria legale che per molti anni è stata da supporto a tutti i processi, sia quelli riguardanti i fatti di strada, sia quelli riguardanti le violenze e le torture perpetrate alla Scuola Diaz, alla Caserma di Bolzaneto, sia quelli riguardanti i processi contro i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio.

Il Comitato ha indetto e partecipato a centinaia di incontri, presidi davanti al Tribunale di Genova, emesso comunicati stampa, fatto tutto quello che è stato possibile, considerato il grande silenzio dei media, il silenzio assenso della maggior parte dei parlamentari, ministri, organi istituzionali, perché quei giorni non fossero dimenticati, perché verità e giustizia emergessero.

Nel frattempo si sono svolti i principali processi conclusi con sentenze della Cassazione. Abbiamo avuto le clamorose condanne di decine di agenti, funzionari e alti dirigenti per i fatti della Diaz e di Bolzaneto: un grande risultato oscurato, ahimé, dalla prescrizione. Tutti i cittadini hanno potuto sapere che in Italia si pratica con disinvolta ferocia la tortura, e molti episodi successivi al G8 di Genova hanno mostrato quanto fossimo nel giusto quando invocavamo la sospensione di tutti gli indagati e un ricambio immediato e solenne ai vertici delle forze dell’ordine, che hanno brillato in questi anni per la loro azione di copertura dei responsabili e di minimizzazione di quanto avvenuto. La maggior parte dei condannati non farà nemmeno un giorno di carcere, molti sono ancora al loro posto, nonostante le condanne.

In carcere rimangono solo alcuni manifestanti, condannati per un reato, quello di devastazione e saccheggio, che è stato utilizzato solo nel dopoguerra. Sono condanne abnormi e profondamente ingiuste. Condanne che rendono amare queste giornate.

Restano aperti i ricorsi alla Commissione Europea dei Diritti Umani per i fatti della Diaz e Bolzaneto e le cause civili.

Oggi, dopo 13 anni da quei giorni, il Comitato verità e giustizia per Genova ha deciso di sciogliersi. Riteniamo di aver assolto fino in fondo agli scopi prefissi: testimoniare, documentare i fatti, sostenere le parti civili nei processi Diaz e Bolzaneto, gli imputati nel processo ai 25 manifestanti, gli avvocati che si sono impegnati per tutelarli. Questo scioglimento per noi equivale al compimento della missione che ci eravamo dati. E, in fondo, è quasi un privilegio, se pensiamo a quanti Comitati formati dai familiari delle vittime di stragi e attentati, di morti a causa delle forze di polizia, continuano ad esistere a decenni dai fatti, per via di processi interminabili, di lotte sfibranti contro depistaggi e insabbiamenti.

Ci sciogliamo sapendo di non lasciare un vuoto nella tutela della memoria di Carlo Giuliani e di quanto avvenuto al G8 di Genova: il Comitato Piazza Carlo Giuliani continuerà a svolgere questa funzione e avrà il nostro pieno, personale sostegno.

Ci sciogliamo nella persuasione di avere fatto del nostro meglio, pur essendo coscienti di non avere raggiunto per intero i nostri obiettivi. Un po’ di giustizia è stata fatta, ma molte, troppe ombre restano. Oltre alle pesanti condanne inflitte ad alcuni manifestanti, pesa il mancato processo per l’omicidio di Carlo. Del quale tuttavia sappiamo molte cose, grazie al lavoro della famiglia Giuliani, del Comitato che hanno fondato, degli attivisti e degli avvocati che non si sono mai rassegnati alle tesi liquidatorie del giudice delle indagini preliminari.

Grazie ai genovesi, grazie a Piazza Carlo Giuliani, a supporto legale, alla segreteria legale, agli avvocati, a Reti invisibili e all’Osservatorio sulla repressione, alle centinaia di cittadini italiani che, caparbiamente, hanno continuato a chiedere insieme a noi, verità e giustizia, a tutti quelli che in questi lunghi anni ci hanno sostenuto ed accompagnato.

Concludiamo con un appello, alla società civile, ai cittadini ed alle cittadine che sono qui oggi, a tutti quelli che hanno a cuore la democrazia e la tutela dei diritti civili nel nostro Paese:

Nel 2003 abbiamo lanciato, insieme all’ARCI e al Comitato Piazza Carlo Giuliani, l’appello Mai più come al G8, abbiamo raccolto migliaia di firme e presentato questo appello al Senato, sono passati 11 anni, ma le nostre richieste di allora non hanno avuto ancora alcuna risposta da parte del Parlamento, nonostante il susseguirsi di governi di svariato colore. Riteniamo tuttora urgenti le istanze da noi promosse allora.

Mai più come al G8:

– istituire una Commissione di inchiesta parlamentare che faccia luce sulle modalità complessive della gestione dell’ordine pubblico durante il Vertice G8 di Genova e del Global Forum di Napoli;

– consentire l’identificazione del personale delle forze dell’ordine in servizio di ordine pubblico, stabilendo l’obbligo di utilizzare codici identificativi sulle uniformi

– programmare un costante aggiornamento professionale delle forze dell’ordine ed attività didattiche finalizzate a promuovere i principi della nonviolenza, una coscienza civica e una deontologia professionale conformi alle loro funzioni difensive e nonviolente

– escludere l’utilizzo, nei servizi di ordine pubblico e comunque dalla dotazione del personale delle forze dell’ordine, di sostanze chimiche ed incapacitanti

– adeguare il nostro ordinamento alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani introducendo il reato di tortura.

Sono parole di undici anni fa e sembrano scritte oggi. Perché niente è cambiato.

Perché le istituzioni hanno girato lo sguardo altrove, anche di fronte alle clamorose sentenze Diaz e Bolzaneto, in modo che giudichiamo irresponsabile. Perché le forze politiche parlamentari hanno fallito, rendendosi responsabili dell’arretramento della democrazia italiana in questi anni. La stessa legge sulla tortura, approvata in prima lettura al Senato, è una legge sbagliata nei suoi fondamenti, lontana dai parametri fissati in sede di Nazioni Unite, frutto di un mediazione al ribasso – che giudichiamo del tutto inopportuna – con vertici delle forze dell’ordine che hanno dimostrato una grave distanza culturale e morale dai canoni di una seria democrazia.

Ci sciogliamo, ma non demordiamo: continueremo, come singoli individui, a fare del nostro meglio, facendo tesoro delle tante cose imparate in questi anni.

Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

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Processo Mediaset: la Cassazione conferma condanna. Berlusconi: accanimento senza eguali ma resto in campo

Processo diritti tv Mediaset: confermati i quattro anni di carcere (3 coperti da indulto) per Silvio Berlusconi, si rimanda invece alla corte di appello di Milano per ridefinire l’interdizione dai pubblici uffici. Così ha deciso la Cassazione dopo sei ore e mezza di camera di consiglio.

Ma Berlusconi resta in campo, non si fa da parte, anzi rilancia: «In cambio dell’impegno che ho profuso in questi 20 anni per il Paese – afferma l’ex premier in un videomessaggio, registrato e trasmesso in serata – ricevo in premio delle accuse e una sentenza fondata sul nulla assoluto che mi toglie la mia libertà personale e i miei diritti politici, ma questa non è l’Italia che vogliamo e per questo resto in campo. Come? Ripartendo da Forza Italia.

 

«Dobbiamo chiamare a raccolta i giovani migliori e le energie migliori e insieme a loro rimetteremo in piedi Forza Italia. La sentenza mi rende sempre più convinto che una parte della magistratura sia un soggetto irresponsabile una variabile incontrollabile, con magistrati non eletti dal popolo, che è assurta a vero e proprio potere dello Stato che condizionato permanentemente la vita politica. Nessuno può comprendere la carica di violenza che mi è stata riservata in seguito ad una serie di accuse e processi che non avevano fondamento: è un vero e proprio accanimento giudiziario che non ha uguali».

«Rimettendo in campo Forza Italia – continua il leader del Pdl – puntiamo a chiedere agli italiani di darci la maggioranza per cambiare il Paese e fare quelle riforme necessarie, a partire dalla più indispensabile che è quella della giustizia». Lo stesso capo dello Stato Giorgio Napolitano, nel commentare in una nota la sentenza, ha auspicato che «possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia».

E adesso che cosa accade? «La pena principale è definitiva ed è eseguibile», osserva il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Per l’anno che rimane il Cavaliere ha due possibilità: l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. L’ex presidente del consiglio non sconterà la pena in carcere.La tensione tra i due principali azionisti dell’Esecutivo Letta di larghe intese è alta.

Solo a ottobre decisione tribunale Milano su esecuzione condanna 
La condanna a 4 anni di reclusione per l’ex premier è dunque eseguibile, ma la decisione dei giudici di Milano arriverà solo in ottobre. L’ex premier infatti avrà tempo fino al 15 ottobre per chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. A decidere sarà il Tribunale di sorveglianza di Milano dopo aver sentito il parere della Procura generale. Mentre sarà la Procura ad avviare l’iter nei prossimi giorni, non appena riceverà le carte da Roma.

Le condanne per Sanitopoli in Abruzzo annullano le assoluzioni “fideistiche”

Le condanne per Sanitopoli in Abruzzo annullano le assoluzioni “fideistiche”

Di  | il 25 luglio 2013 | Lascia un commento

 

La presunzione di innocenza fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna è un valore fondamentale di civiltà giuridica e vale anche in questo caso.

Non sarebbe neppure il caso di dirlo, se non urgesse l’opportunità di sgombrare il campo da ogni equivoco nel commentare quella relativa alla Sanitopoli abruzzese. Ciò nondimeno, la condanna a 9 anni e 6 mesi inflitta a Ottaviano Del Turco, se non ne fanno ancora un colpevole, per la sacrosanta ragione appena richiamata, è pur vero che pone fine, in qualche modo, a fideistichepregiudiziali e partigiane assoluzioni che in questi ultimi anni hanno punteggiato, accompagnandoli, inchiesta e processo, con l’intervento di qualificati personaggi di caratura nazionale a sostegno del ex presidente della Regione Abruzzo e, anche espressamente, contro la magistratura pescarese che ha lavorato al caso.

Intanto, si deve rilevare che, evidentemente, nella valutazione delle prove recate in giudizio, di cui, da parte dei detrattori dell’accusasi contestava la consistenza e persino l’esistenza, il Tribunale di Pescara ha ritenuto, al contrario, di dovervi ravvisare fondatezza e validità, in una condivisione di forte momento con le vedute della pubblica accusa.

La circostanza è di assoluto rilievo perché la magistratura giudicante ha espresso una posizione di sostanziale convergenza con la magistratura inquirente introducendo unelemento importante di “novità” dopo anni di polemica a senso unico contro la tesi accusatoria per Del Turco.

Per questo, la sentenza, viene a riequilibrare, senza nulla pregiudicare dei diritti di Ottaviano Del Turco e di chiunque altro, un “confronto” mediaticamente tanto ben orchestrato quanto sperequato, anche per l’autorevolezza dei personaggi che si sono spesi per sostenere l’estraneità di Del Turco alle accuse e censurare l’operato dei pubblici ministeri.

La decisione del Tribunale costituisce un elemento di riflessione che, finalmente, autorizza, al momento, un’ipotesi di lettura più distesa e distaccata e, nel contempo, più critica, delle vicende che hanno riguardato la sanità abruzzese che ancora oggi, in ogni caso, è condizionata dal peso enorme di debiti, disserviziliste d’attesa bibliche,carenze di personale e quant’altro plasticamente significate dal commissariamento del settore, proprio nell’anno 2008, da parte del Governo, ancorché, in una visione sinceramente liberale e democratica, quest’ultimo istituto è affatto discutibile sia in termini costituzionali sia in termini di trasparenza ed efficienza organizzativa del sistema.

Non può, infatti rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta, ossia, la competenza esclusiva dello Stato nella materia sanitaria.

La riforma del Titolo V della Costituzione ha, inopinatamente secondo il nostro giudizio, deciso per la sua natura di materia “concorrente” e coerenza vorrebbe che tale rimanesse, a prescindere dai disavanzi.

L’alternativa, è che sia, più correttamente, riportata sotto l’alveo della competenza statale, essendo la salute di ciascun individuo, una e indivisibile e apparendo prive di senso, per questo aspetto, i discorsi sulle “vocazioni” che avrebbero gli ospedali come se fossero cristiani, sulle “eccellenze” di questa o quella struttura come se la qualità la esprimessero le mura e non gli individui che, al contrario di quelle, sonomobili.

Certamente, la gestione del settore sanitario con la Giunta Del Turco non sembra possa classificarsi tra le note positive di quell’esperienza politico-amministrativa, non fosse altro perché al momento dell’interruzione traumatica della sua guida della Regione, nel luglio 2008, non erano ancora stati rinnovati i contratti con le strutture private convenzionate, scaduti a fine 2007, dei quali lo stesso Del Turco aveva aspramente criticato le statuizioni.

Quegli accordi erano stati introdotti dalla Giunta Pace nel 2005 e lui proclamava di voler far cessare il “Far West”.

Non rinnovare, sorprendentemente, in tempo utile quei contratti, oltre a suonare contraddittorio, rispetto ad uno status quo da lui contrastato con grande verbosità e cessato di diritto il 31 dicembre 2007, significò anche introdurre elementi di confusione e difficoltà giuridico-amministrativa per il regime di “limbo” che seguì alla scadenza contrattuale, a partire dall’inizio del 2008.

Anche dal punto di visto gestionale, dunque, l’operato di Del Turco non è stato brillante, se non era un “Far West” era un “Sahara”. Da oggi, con la sentenza del tribunale di Pescara, ci attendiamo una maggiore prudenza e una più approfondita valutazione della sua stessa eredità politica in regione.

Di certo, ci appare più ingeneroso il biasimo riversato per lunghi anni sulla Procura di Pescara che delle ragioni da far valere, oggi sappiamo, in prima battuta, che pure le aveva.

COMPRO-ORO, NON-LUOGHI ALL’INCROCIO TRA LA CRISI E LE MAFIE

COMPRO-ORO, NON-LUOGHI ALL’INCROCIO TRA LA CRISI E LE MAFIE

 

di Checchino Antonini, da Liberazione

 

Era il 5 febbraio del 2000, governava Massimo D’Alema, quando entrò in vigore la liberalizzazione del mercato dell’oro. Da allora i “compro oro” hanno preso a spuntare come i funghi contribuendo a ridisegnare il paesaggio metropolitano al tempo della crisi. Vendere i gioielli di famiglia non è solo la metafora della dismissione del patrimonio pubblico ma la pratica quotidiana di famiglie colpite dalla sindrome della quarta settimana – spesso della terza – di malati cronici ai quali viene negato l’accesso gratuito ai farmaci di fascia C, di malati di gioco d’azzardo, di cittadini strozzati dall’usura o imprenditori cui è negato il credito in banca. Ma è anche il luogo dell’intreccio tra queste disperazioni e il lavoro incessante dell’economia criminale per ricettare o ripulire le quantità di denaro provenienti da altri business delle cosche. Ancora meno del denaro contante, l’oro non puzza e nemmeno è tracciabile quando viene fuso.

«Non ci vuole una professionalità specifica e nemmeno una trafila burocratica complicata. Le direttive dell’Agenzia per le Entrate sono confuse ma basta una licenza ex articolo 127 del Tulps come una rivendita di preziosi usati. Non serve nemmeno la Dia, la dichiarazione al Comune di inizio attività». Una delle guide di Liberazione per questo articolo è Stefano, giovane commercialista romano di 38 anni che, con due amici di sempre, ha appena aperto un “compro oro” in un quartiere della prima periferia est della Capitale, Tor Pignattara. Quartiere popolare e sempre più mescolato di italiani, stranieri e nuovi italiani. Un mese dopo, Stefano mostra la foto sul cellulare del primo lingotto, il primo chilo ricavato dalla fusione in un “banco metalli”, il secondo passaggio della filiera per aprire il quale è necessaria, invece, una concessione governativa. Da lì l’oro viene acquistato dalle banche o prende la strada dei processi industriali. Le Banche centrali del mondo nel 2012 hanno comperato più oro di quanto abbiano fatto negli ultimi 49 anni, spinte dalla necessità di ricoprirsi alla luce della montante crisi del debito sovrano che ha colpito gli USA e l’Europa. La forte domanda ha fatto salire anche il prezzo al grammo, che oggi sfiora i 40 euro.

«L’utile non è molto alto, il 10%, ci sono commissioni fisse da pagare al banco metallo (dai 35 ai 50 cent al grammo), e la concorrenza si fa sempre più alta e agguerrita. Così il guadagno si aggira sui 2 euro e mezzo al grammo. Ma c’è offerta e si movimentano subito discrete quantità di denaro. Metti l’insegna e la gente entra subito, dipende dalla location e dalla pubblicità. Può sembrare assurdo ma ci sono clienti abituali, persone normali. Insomma non entrano fenomeni da baraccone».

Telecamere, casseforti, vetri blindati a norma, la fedina penale pulita e l’insegna ben visibile e riconoscibile. Gli ingredienti per aprire questa attività sono pochi e semplici da miscelare. Serve la padronanza minima per “grattare” l’oro, pesarlo e comprarlo in base ai due fixing quotidiani della Borsa di Londra che stabiliscono un prezzo volato dai 9 euro al grammo del 2001 ai 39,06 del giorno in cui viene scritto questo articolo. «In tempi di crisi salta il valore convenzionale delle cose e delle valute ma tutti si fidano ancora dell’oro che è ai massimi storici sebbene fluttui anch’esso».

«Arrivano ogni giorno anche signore disperate. C’è chi prova a vendere la fede del marito morto, proviamo a dissuaderla: “pensaci bene, ripassa domani” – prosegue il racconto di Stefano – la maggior parte è gente di mezz’età, molti indiani, ragazzini appena maggiorenni che vendono le catenine della comunione per comprare il motorino. E poi ci sono i tipi strani. Se qualcuno fa operazioni ricorrenti proviamo prima a fargli un prezzo sempre peggiore, per scoraggiarlo, e poi dobbiamo segnalarlo alla Banca d’Italia». Le regole impongono che il venditore abbia un documento italiano, che vengano fotografati gli oggetti e venduti solo dopo una giacenza di 10 giorni per eventuali controlli. Alcune questure chiedono di conservare le carte per dieci anni, procedura che presenta più di un dubbio rispetto alla privacy. «La prima “sòla”, sembra un luogo comune, ce l’ha data un napoletano con un anello solo placcato. Chissà se è autentico il documento che ci ha dato. Non ci spreco nemmeno il tempo di andare a sporgere denuncia». In tutta Italia i “compro oro” sono più 28.000 (poco più del 10% iscritti all’Albo degli operatori professionali) con picchi a Roma, Napoli e in Sicilia, luoghi ad alta presenza di malavita. Uno ogni 13.000 abitanti con un boom che insegue la crisi, dal 2008. Secondo la polizia, il 14% compie operazioni illegali. Un giro d’affari di oltre 7 miliardi di euro all’anno per circa 400 tonnellate tra oro e argento. Più pessimista l’avvocato Ranieri Razzante presidente di AIRA, l’Associazione Italiana Responsabili Anti-riciclaggio, e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia, «il 60% dei negozi compie azioni illecite o criminali. Ed è una stima per difetto». Un controllo solo 3.000 negozi ha scovato 113 milioni di euro non dichiarati, IVA evasa per 36,5 milioni e 31 evasori totali.

La gran parte dei compro oro lavora onestamente ma la deregulation scava ampie nicchie per il riciclaggio, la movimentazione di merce rubata, e per l’usura. Il turn over delle licenze osservato dalle questure, un terzo delle richieste, potrebbe servire proprio a sottrarsi allo sguardo di chi deve controllare. Basta un prestanome qualsiasi per aprire una “lavanderia”. Il riciclaggio è piuttosto semplice: si fa una prima operazione di compravendita regolare. Vengono trascritti per bene i dati sull’oggetto e il venditore sul registro obbligatorio vidimato dalla questura, poi con lo stesso documento si registrano decine di operazioni fittizie spesso a prezzi fuori mercato. Risulterà che l’ignaro primo venditore (ma può essere anche un morto, un nome inesistente o che non ha mai venduto nulla) ha portato in un mese alcuni chili d’oro. Gioielli mai esistiti ma che saranno contabilizzati dal titolare così da giustificare il denaro liquido in cassa quale frutto della fusione e della rivendita di oggetti mai arrivati e mai venduti. Soldi sporchi che all’improvviso ritornano in mano alle mafie immacolati e regolari, senza puzzare di racket.

Ogni anno in un singolo negozio girano in media 350.000 euro all’anno. Un dato considerato credibile dal “nostro” Stefano. Secondo la polizia dove apre un “compro oro” di solito si verificano aumenti di furti e rapine. A vederla da Bari, l’Osservatorio sulla legalità ha calcolato che, nel 2011, furti, scippi e rapine sono aumentati del 70% nelle zone ad alta concentrazione di “compro oro”. L’associazione SOS Racket e Usura ha filmato la facilità del riciclaggio, in vari negozi e con molta facilità, uno dei suoi attivisti è riuscito a vendere senza esibire la carta d’identità.

Ma i “compro oro” hanno eroso uno spazio tradizionalmente appannaggio del “monte”, come lo chiamano a Roma, il Monte di Pietà. Un impresario del settore è stato scoperto a Roma con 20 chili d’oro e 10 d’argento in cassaforte per un valore di 800.000 euro. Tra gli oggetti sequestrati anche gioielli che riceveva in pegno da persone in difficoltà economica e che rivendeva loro con un incremento del 20% del prezzo. Ce lo dice Italo Santarelli, attivo col CEIRP da 19 anni nella lotta contro l’usura. Racconta di come la stretta creditizia consegni famiglie e piccoli imprenditori nelle fauci del credito illegale, i “cravattari”. Chi ha bisogno di denaro liquido in tempi brevissimi e senza troppe domande si rivolge ai compro oro abusivi. Una funzione, quella tipica dei monti di pietà, vietata per legge ai privati.

 

In Parlamento giacciono da tempo nel cassetto due progetti di legge che vorrebbero far emergere dalla deregulation (ad esempio con l’obbligo di inviare entro 24 ore alla Questura ogni informazione sugli oggetti e un borsino dell’oro usato) un settore dove non tutto quello che luccica, è oro.

Inchiesta Sanità, Del Turco condannato All’ex governatore 9 anni e 6 mesi

Inchiesta Sanità,
Del Turco condannato
All’ex governatore
9 anni e 6 mesi

 

Abruzzo, rabbia dell’ex presidente della Regione dopo la sentenza: “Io, condannato come Enzo Tortora”. I pm avevano chiesto 12 anni

 
L'ex governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco (foto Ansa)

L’ex governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco (foto Ansa)

 

Pescara, 22 luglio 2013 –  Nove anni e 6 mesi e l’interdizione perpetua. E’ la condanna inflitta all’ex presidente della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco nell’ambito del processo riguardante tangenti nel mondo della sanità abruzzese. La sentenza è stata emessa dal Tribunale collegiale di Pescara (presidente Carmelo De Santis e giudici a latere Gianluca Falco e Massimo De Cesare) dopo oltre quattro ore di Camera di consiglio. I pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli avevano chiesto 12 anni e l’interdizione. Ad accusare Del Turco l’ex titolare della clinica privata Villa Pini di Chieti, Vincenzo Angelini, imputato e allo stesso tempo parte offesa nel processo, che nel 2008 in sette interrogatori fiume rivelò ai magistrati di aver pagato tangenti per un totale di circa 15 milioni di euro ad alcuni amministratori regionali in cambio di favori.

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Nello specifico Del Turco è accusato insieme all’ex capogruppo del Pd alla Regione Camillo Cesarone e a Lamberto Quarta, ex segretario generale dell’ufficio di presidenza della Regione, di aver intascato mazzette per cinque milioni e 800mila euro. Per questa vicenda fu arrestato il 14 luglio 2008 insieme ad altre nove persone, tra le quali assessori e consiglieri regionali. L’ex presidente finì in carcere a Sulmona (L’Aquila) per 28 giorni e trascorse altri due mesi agli arresti domiciliari. A seguito dell’arresto, Del Turco il 17 luglio 2008 si dimise dalla carica di presidente della Regione e con una lettera indirizzata all’allora segretario nazionale Walter Veltroni si autosospese dal Pd, di cui era uno dei 45 saggi fondatori nonche’ membro della Direzione nazionale. Le dimissioni comportarono lo scioglimento del consiglio regionale e il ritorno anticipato alle urne per i cittadini abruzzesi.

DEL TURCO – “Per ora non dico nulla. Sulle sentenze prima si riflette poi si parla”. Sono le prime parole a caldo dell’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco, raggiunto al telefono dall’Ansa, dopo la condanna in primo grado dal Tribunale di Pescara. “Appello sicuro”, ha detto.

Poi arriva lo sfogo ai microfoni del Giornale Radio Rai: “E’ un processo che è nato da una vicenda costruita dopo gli arresti, cioè senza prove… hanno cercato disperatamente le prove per 4 anni e non le hanno trovate e hanno dovuto ricorrere a una specie di teorema e con il teorema hanno comminato condanne che non si usano più nemmeno per gli assassini. Io sono stato condannato esattamente a dieci anni di carcere come Enzo Tortora“. E ancora: “Penso che la giustizia abbia bisogno di una grandissima riforma. E la gente continua a pensare che il problema sia Berlusconi. No, il problema è questa giustizia. E’ l’intreccio tra le carriere dei magistrati inquirenti con quelle della magistratura giudicante. Questo porta a delle contraddizioni spaventose e irrisolvibili”.

Arrestata la famiglia Ligresti al completo

Arrestata la famiglia Ligresti al completo

 

 

 

Svolta clamorosa nell’inchiesta sulla societa’ assicurativa della famiglia Ligresti. Tramite una holding si sarebbero messi in tasca 253 milini di euro. Secondo un’indagine della finanza questo sarebbe avvenuto grazie ad “una sistematica sottovalutazione delle riserve tecniche del gruppo assicurativo la cosidetta riserva sinistri. Una societa’ assicurativa molto importante era cosi’ piegata  agli interessi di una parte dell’azionariato, che deteneva il 30%”. Queste le accuse che hanno portato in carcere od ai domiciliari tutti i Ligresti ed i loro principali collaboratori. Lui il patriarca, vecchio amico di Craxi e noto in tutto il mondo politico e finanziario, di origine siciliane ma con le fortune accumolate a Milano nel campo immobiliare ed assicurativo, e’ finito ai domiciliari, viste le sue ottantuno primavere. La figlia Giulia e’ stata fermata a Milano e portata in cella, la figlia maggiore, Jonella passa direttamente dalle vacanze in Sardegna al carcere di Cagliar. Paolo il figlio maschio, invece era prudentemente in Svizzera, ed ha fatto sapere che almeno al momento non intende rientrare. Domiciliari invece per i collaboratori del gruppo Fonsai, Marchionni, Erbetta e Talarico. 

Laura Prati, sindaco di Cardano, non ce l’ha fatta. Donati gli organi

Laura Prati, sindaco di Cardano, non ce l’ha fatta. Donati gli organi

 

 

 

Il primo cittadino di Cardano al Campo, Laura Prati – primo sindaco donna della cittadina vicino Malpensa (Varese) – non ce l’ha fatta. E’ morta clinicamente stamane nell’ospedale di Varese dove era stata ricoverata subito dopo essere stata gravemente ferita a colpi di pistola il 2 luglio scorso da Giuseppe Pegoraro, un vigile sospeso dal servizio per una vicenda di straordinari gonfiati. L’uomo  che aveva fatto irruzione armato negli uffici comunali, ed aveva sparato anche al vice-sindaco, era stata arrestato dopo una sparatoria con la polizia.  “Si è concluso formalmente il periodo di osservazione ai fini dell’accertamento della morte della signora Laura Prati che risulta deceduta alle ore 8.30 di questa mattina. Le sue condizioni, già estremamente gravi – spiega una nota dell’ospedale – sono peggiorate ulteriormente negli ultimi due giorni. I familiari, nel rispetto della volontà della signora Prati, hanno dato il consenso alla donazione degli organi e la salma è a disposizione dell’autorità giudiziaria”. Laura Prati era stata eletta sindaco di Cardano nelle liste del Pd. Aveva 49 anni. Cordoglio è stato espresso dal premier Enrico Letta, dal Pd e da tutti gli altri partiti

Berlusconi: “Angelino che guaio…”, toni bassi in attesa del 30 luglio

Berlusconi: “Angelino che guaio…”, toni bassi in attesa del 30 luglio

 

 

 

Berlusconi e’ da tempo, almeno da quando Coppi ha assunto la sua difesa, che cerca di abbassare i toni e mantenere un profilo di alta responsabilita’ in vista dell’appuntamento decisivo della Cassazione, il 30 luglio. Il Cavaliere e’ stato chiaro imponendo a tutto il Pdl la prudenza. Ma nelle stanze di palazzo Grazioli non sono mancate battute e critiche nei confronti di Alfano, “reo” di avere minato, anche se involantariamente, il clima di pacificazione e di avere portato il governo sull’orlo di una crisi, dagli effetti imprevedibili. Lo stesso Berlusconi in passato aveva sostenuto, tranne poi rettificare, che ad Angelino mancava il famoso “quid” da leader. Ora si dice che abbia esclamato: “Angelino che guaio…”. Ed ancora di piu’, secondo Repubblica, avrebbe parlato al telefono con un esponente della maggioranza (Casini? Ndr) lamentandosi: “Con questa faccenda kazaka Angelino mi ha combinato un bel casino, proprio quando ne avevo meno bisogno”. Naturalmente l’esponente di maggioranza non se l’e’ tenuta ed ha spifferato la confidenza dell’amico. Ma “l’amico” e’ abbastanza navigato da ben sapere con chi parla e se riparlera’. Quindi se lo avesse detto (comunque ufficialmento lo ha smentoto con una nota di palazzo Grazioli), lo avrebbe detto per farlo sapere, per allontanare da lui la vulgata che gli ha attribuito la regia occulta dell’affaire per fare un favore all’amico Nazarbayev e le nubi del “segrerto kazako”, cioe’ della volonta dell’autorita’ kazaka di conservare il massimo riserbo, per non danneggiarlo dopo avere ottenuto il favore. Ora per Berlusconi e’ il momento del silenzio e dell’attesa. Tra dieci giorni si sapra’ quale sara’ il suo futuro e come passera’ il Ferragosto…