Migranti, il bilancio si aggrava: 29 i cadaveri nella stiva.

Migranti, il bilancio si aggrava: 29 i cadaveri nella stiva. Tra loro anche bimbo di un anno

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Nella giornata di ieri recuperati 749 migranti. Arrivati a Messina i 440 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia

Roma, 20 luglio 2014 – Sono 29 e non 19 i cadaveri trovati nella stiva del barcone soccorso ieri nel Canale di Sicilia e trainato a Malta dopo il trasbordo dei 556 migranti su una petroliera danese arrivata nel pomeriggio a Messina. Tra le vittime anche un bimbo di un anno che viaggiava insiema alla madre. Ieri un’altra persona era morta durante il trasferimento in motovedetta a Lampedusa, ma il numero delle vittime è destinato a salire visto che ci sono ancora almeno 30 dispersi.

Secondo fonti malesi, i migranti – quasi tutti di origine siriana – sono morti nella calca durante un naufragio, secondo fonti italiane invece, avrebbero perso la vita a causa dei fumi tossici provenienti dal motore.

Intanto continuano senza sosta le attività delle  Unità della Marina Militare. Ieri 5 interventi di salvataggio hanno portato al recupero di 749 migranti tra cui 100 donne, 61 minori e un neonato. Questa mattina quattro ponti aerei hanno permesso di trasferire 368 immigrati dal centro d’accoglienza di Lampedusa (Ag) a Vicenza, Verona, Venezia, Reggio Emilia, Rimini, Forlì e Rovigo. Nella struttura di contrada Imbriacola rimangono 640 persone.

Sono infine sbarcati a Pozzallo 203 nigeriani, tra cui due donne, soccorsi da una nave petroliera che li ha recuperati su due gommoni a 45 miglia a nord della Libia. Ma i due centri di accoglienza in provincia di Ragusa, Pozzallo e Comiso, sono pieni ed è probabile che i nuovi arrivati verranno trasferiti in pullman verso altri centri siciliani.

GENOVA – “Non sono scafisti, ma schiavisti“: così si è espresso il questore di Genova Vincenzo Montemagno riferendosi ai tre egiziani arrestati la scorsa notte con l’accusa di essere stati gli scafisti dei 106 passeggeri naufragati al largo di Capo Passero e successivamente sbarcati a Genova grazie a una petroliera che li ha salvati. “Hanno fatto fare a questi profughi un viaggio in condizioni disumane. Li hanno picchiati e ricattati chiedendo loro piu’ denaro altrimenti li avrebbero buttati in mare e li hanno costretti a stare per ore sotto il sole dentro teloni per non farsi vedere” ha detto il questore, aggiungendo: “Meritano una pena esemplare”. Gli arrestati, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, hanno 25, 26 e 17 anni.

LE PAROLE DEL PREMIER – “Il problema va risolto alla radice”, aveva detto ieri Matteo Renzi. Mentre il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, auspica l’utilizzo delle caserme per accogliere i migranti, arrivati ormai a quota 80mila durante il 2014.

Con Pantani per sempre

Jacobelli: con Pantani per sempre, contro gli sciacalli che da 15 anni hanno sputato veleno su Marco

02 agosto alle 11:14

Questo editoriale è stato pubblicato da calciomercato.com il 24 luglio 2013.
Nel giorno in cui è diventata ufficiale la notizia della riapertura dell’inchiesta sulla morte di Marco Pantani, perché sarebbe stato picchiato e costretto a ingurgitare coicaina, ci sembra doveroso riproporlo alla vostra attenzione.
Anche perché, quel veleno lanciato contro Pantani, in ordine di tempo fu soltanto l’ultima dose dell’indecente campagna di fango montata contro il fuoriclasse romagnolo, mai trovato positivo a un controllo antidoping.
Nulla potrà mai restituirci Marco, tutto deve essere fatto per onorarne la memoria e difenderla dagli sciacalli che prima e dopo la scomparsa di Pantani si sono accaniti contro di lui. Da dieci anni, Mamma Tonina e Papà Paolo si battono in nome di Marco. Oggi hanno una ragione di più per capire che non sono mai stati soli e non lo saranno mai.

x.j.

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I francesi hanno la coda di paglia lunga cent’anni di Tour e, ancora una volta, schizzano fango su Marco Pantani. Ma nessun avvoltoio riuscirà a intaccare il Mito di Marco contro il quale si è abbattuta l’ultima vigliaccata, visto che non può difendersi dalle rivelazioni a scoppio ritardato di chi continua a sputare veleno sul Grande Romagnolo. Questi sciacalli schiatteranno all’inferno.

Bisogna dirglielo forte e chiaro, agli ipocriti custodi a orologeria della Grande Boucle, che si alzano presto, ma si svegliano tardi.

Sono trascorsi quindici anni dal trionfo di Pantani a Parigi e ne sono passato undici da quando il Pirata si ha lasciato.

Era il 2004, lo stesso anno in cui vennero effettuate le analisi secondo le quali Marco, come altri corridori, avrebbe fatto uso di epo al Tour del ’98. Avrebbe, perchè il condiizonale è tassativo. Come ha sottolineato lo stesso Pat Mc Quaid, presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale, nel 2004 non ci fu la possibilità di effettuare le controanalis e non ci furono le condizioni di garanzia e difesa degli incolpati. 

E tutto questo succede nell’Anno Domini 2013, proprio nella patria di liberté, egalité e fraternité.

La commissione d’inchiesta del Senato svergogna Pantani e altri corridori (Tafi, Fabio Sacchi, Eddy Mazzoleni, Nicola Minali, Cipollini, Erik Zabel, Jan Ullrich, Bo Hamburger, Laurent Jalabert, Marcos Serrano, Jens Heppner, Jeroen Blijlevens, Jacky Durand, Abraham Olano, Laurent Desbiens, Manuel Beltran e Kevin Livingston).

Ma,  attenzione, pontifica il relatore del rapporto, “non c’è alcun rischio di sanzione per loro” e il nome di Pantani non verrà cancellato dall’albo d’oro del Tour come è accaduto a Lance Armstrong al quale  dopo la confessione di essersi dopato, sono stati tolti i sette titoli conquistati dal 1999 al 2005. Domanda numero 1: ma se i diciotto di cui sopra sono colpevoli, perché non vengono puniti anche retroattivamente? Forse perchè non ci sono state le controanalisi e non è sttao garantito loro il diritto alla difesa? Domanda numero 2: dal 1999 al 2005, i pasdaran dell’antidoping nell’Esagono dov’erano? Tutti ai piedi di Armstfong per celebrare la gloria imperitura del Tour. O no?

Hanno scritto Tonina e Paolo Pantani: “Abbiamo la certezza che, pur trattandosi di analisi condotte anni dopo lo svolgimento della gara in oggetto, debbano sussistere anche per esse tutte le garanzie a tutela dell’atleta: Marco Pantani.

Senza entrare nel merito della conservazione dei campioni o di altri mezzi di prova, ci troviamo costretti a farvi notare queste analisi sono state eseguite dopo la morte di Marco e questo lo ha privato del più elementare diritto alla difesa, quale ad esempio quello di richiedere le controanalisi o di nominare un perito di parte per assistervi.

Soltanto in caso di positività del campione B, sarebbe superfluo ricordarlo ma giova farlo, è possibile parlare di positività. Come accade anche nel Diritto Penale, la morte interrompe qualsiasi procedura in essere o futura a carico dell’indagato incidendo anche sul reato che viene così dichiarato estinto come estinta è la pena nel caso in cui sia nel frattempo intervenuta la condanna.

A maggior ragione nel diritto, sportivo che richiama i principi generali del diritto ordinario nelle fattispecie non espressamente disciplinate, le garanzie difensive per l’incolpato devono essere assolutamente garantite nella loro completezza, senza possibilità di delega. Pertanto vi diffidiamo dall’intraprendere qualsiasi iniziativa che possa spogliare Marco dei titoli da lui conquistati sulla strada e dall’affrontare l’argomento in sedi ufficiali o con gli organi di informazione, giacché parlare di un provvedimento giuridicamente insostenibile può ledere in modo grave l’immagine di nostro figlio.

In tutti i paesi civili le norme che regolano l’accertamento dei fatti di rilevanza giuridica presuppongono la salvaguardia del fondamentale ed inviolabile diritto di difesa. Lo stesso principio è posto alla base delle norme regolamentari sportive che reiteratamente e con chiarezza attribuiscono all’incolpato una serie di facoltà tendenti all’accertamento della verità che non può che scaturire dal contraddittorio e dall’esercizio delle garanzie difensive. Nel nostro caso riteniamo ignobile e soprattutto illegittimo che si parli di inchieste e addirittura di sanzioni nei confronti di una persona che purtroppo non può più difendersi né nominare persone che lo possano difendere.

Noi però per l’amore che ci lega a lui e per il sentimento di giustizia che ancora ci informa, non intendiamo abdicare al nostro dovere di difendere la sua immagine ed il suo nome. Ed è per tale motivo che vi chiediamo ufficialmente di non parlare ancora di lui come di un qualsiasi altro atleta ancora in vita, ed è per tale motivo che vi diffidiamo ufficialmente ad intraprendere una qualsiasi illegittima azione che, contrastando le più elementari norme di diritto, ne infanghi il nome”.

Parole sante. Da sottoscrivere a una a una. Pantani ha il diritto di riposare in pace. Per sempre.

Cosa fare in caso di incidenti con auto non assicurate

Cosa fare in caso di incidenti con auto non assicurate

WordNetScritto da Emiliano Caretti | WordNet – ven 1 ago 2014 02:04 CEST

Cosa fare in caso di incidenti con auto non assicurateCosa fare in caso di incidenti con auto non assicurateChe si tratti di una semplice “toccatina” in città piuttosto che qualcosa di più grave, un incidente in auto rimane sempre uno dei momenti più temuti da tutti gli automobilisti, fonte di stress e preoccupazioni anche nei giorni successivi all’avvenimento. Quando, poi, abbiamo a che fare con una vettura senza copertura assicurativa (o con polizza scaduta) allora i timori possono veramente arrivare alle stelle. E non pensiate che queste occasioni siano così rare: secondo gli ultimi dati ufficiali (provenienti da ACI e ANIA, l’Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici), sono infatti quasi quattro milioni le vetture circolanti “illegalmente” nella penisola, pari a oltre l’8 percento del totale delle auto italiane. Ma quali sono le procedure da tenere se un veicolo privo di assicurazione (o con copertura non più valida) causa un incidente nel quale rimaniamo coinvolti?

Nissan GT-R: Godzilla contro tutti

In tal caso, la prima cosa da fare è senza dubbio chiamare in causa le Forze dell’Ordine, dato che la guida senza copertura assicurativa (o scaduta da più di 15 giorni) è anche una violazione grave del Codice della Strada: la sanzione prevista è infatti una multa da 841 a 3.366 Euro, con sequestro del veicolo e l’obbligo della stipula di una polizza di almeno sei mesi e del pagamento della contravvenzione, pena la confisca del mezzo. Anche per quanto riguarda i danni subiti va fatta una distinzione, sempre nel caso che la RCA sia scaduta da un tempo inferiore o superiore a 15 giorni: nel primo caso, infatti, la legislazione prevede che il risarcimento avvenga da parte della “vecchia” compagnia assicuratrice, con nessun’altra complicazione (almeno in teoria); qualora, invece, siano trascorsi più di 15 giorni dalla scadenza della polizza, allora bisognerà fare affidamento al “Fondo per le vittime della strada“.

Scopriamo tutti i segreti del Differenziale

Nato nel 1969, gestito dalla Consap (Concessionaria per i servizi assicurativi pubblici) e finanziato dai contribuenti grazie a una quota (attualmente fissata al 2,5%) di ogni contratto assicurativo, il Fondo per le vittime della strada è un ente che ha il compito di risarcire chi è coinvolto in sinistri causati da pirati della strada e veicoli non assicurati; sarà quindi proprio lui ad effettuare il rimborso dei danni subiti, sia dalle persone che dalle cose. I problemi, in questo caso, sono però sia i tempi che le procedure necessarie: per difendersi dalle frodi, infatti, il Fondo richiede un gran numero di documenti e impiega parecchio tempo per sbrigare le pratiche; in tali casi, quindi, sarà fondamentale l’aiuto di un avvocato specializzato in questo campo: sarà infatti lui che seguirà la pratica e intraprenderà le giuste procedure, evitandoci errori formali che potrebbero compromettere la nostra richiesta di risarcimento.

“Pantani fu ucciso”, riaperte le indagini

“Pantani fu ucciso”, riaperte le indagini

La Procura di Rimini avvia una nuova inchiesta 10 anni dopo la morte del ciclista. L’ipotesi: il Pirata picchiato e costretto a bere cocaina


"Pantani fu ucciso", riaperte le indagini

Ansa

Marco Pantani non morì a causa di un overdose involontaria di cocaina, ma fu ucciso. E’ l’ipotesi sostenuta (da sempre) dalla famiglia del campione di ciclismo trovato senza vita la sera del 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini e confermata ora anche da una perizia medico legale eseguita, per conto dei parenti del Pirata, dal professor Francesco Maria Avato secondo la quale qualcuno costrinse l’atleta a bere grandi quantità di droga diluite nell’acqua. Proprio questi esami avrebbero convinto la Procura di Rimini di riaprire il caso 10 anni dopo la morte del vincitore di Giro d’Italia e Tour de France nel 1998.

 

“Le ferite sul corpo di Marco Pantani – sostiene la perizia, secondo quanto riporta la Repubblica – non sono autoprocurate, ma opera di terzi”. La Gazzetta dello Sport scrive inoltre che l’atleta sarebbe stato picchiato e costretto a bere la cocaina mentre si trovava nella stanza d’albergo di Rimini perchè le grandi quantità di stupefacente trovate nel suo corpo potevano essere assunte solo se diluite. L’ipotesi di reato su cui indaga ora la procura sarebbe quella di omicidio con alterazione del cadavere e dei luoghi. “Ho letto i faldoni del Tribunale e ci sono scritte cose non vere”, aveva spiegato la mamma di Pantani, Tonina Belletti, in una recente intervista. “Marco non era solo nel residence: con lui potevano esserci più persone. Ha chiamato i carabinieri, parlando di persone che gli davano fastidio, e dopo un’ora è stato trovato morto”, ha ribadito la donna. “Secondo me – ha proseguito – Marco aveva pestato i piedi a qualcuno, perchè lui quello che pensava diceva: parlava di doping, diceva che il doping esiste“. “Marco non tornerà mai – aveva aggiunto – ma io aspetto ancora la verità, su Rimini come su Madonna di Campiglio”.

 

 

Riciclaggio, sono estraneo alla vicenda

Riciclaggio, sono estraneo alla vicenda

Mauro Brandani

IN merito all’articolo pubblicato il 17 maggio 2013 dal titolo «Riciclaggio, arrestato giudice del Tar. Il faccendiere: ho entrature nello Ior» e in merito alla smentita del dottor Cipriani pubblicata il 21 maggio 2013, in cui si ripete la circostanza del mio arresto, dichiaro che non sono mai stato arrestato, né indagato e che sono totalmente estraneo alle vicende riportate.

Costruiti gli spermatozoi robot utili per la fecondazione assistita

Costruiti gli spermatozoi robot utili per la fecondazione assistita

Non potrebbero avere compito più adatto dell’essere di aiuto nella fecondazione artificiale, i primi spermatozoi robot mai costruiti. Ma questi microrobot in grado di viaggiare nell’organismo umano guidati da un campo magnetico potranno essere utili anche per molti altri compiti, come somministrare farmaci o aiutare i biologi a smistare le cellule. Si chiamano “MagnetoSpermatozoi”, hanno una testa di silicio incapsulata in un ‘casco’ di cobalto e nichel e la coda libera di muoversi. Descritti sulla rivista Applied Physics Letter, sono nati dalla collaborazione fra l’università olandese di Twente e l’Università Tedesca de Il Cairo.
Spermatozoi robot sono controllati dai campi magnetici  – Lunghi 322 millesimi di millimetro (micron), gli spermatozoi robot sono controllati da debolissimi campi magnetici dall’intensità di circa cinque millitesla, all’incirca quella di uno dei magneti decorativi che si attaccano sul frigorifero. Per effetto dal campo magnetico la testa gira su stessa, imprimendo un movimento di torsione alla coda, che di conseguenza comincia ad oscillare. In questo modo i ricercatori riescono a guidare l’automa-spermatozoo con precisione e in modo del tutto controllato, fino a un obiettivo prefissato.
MagnetoSpermatozoi di ispirano alla natura – ”I nostri microrobot si ispirano alla natura, che ha progettato strumenti di locomozione molto efficienti nella micro-scala”, ha detto il responsabile scientifico della ricerca, Sarthak Misra, dell’Università di Twente. Tuttavia, ”i MagnetoSpermatozoi possono anche essere utilizzati per manipolare e assemblare oggetti microscopici”, ha aggiunto Islam Khalil, dell’Università Tedesca del Cairo.
Robot potranno essere usati per altri importanti compiti – Non si esclude, per esempio, che un giorno gli spermatozoi robot possano essere introdotti all’interno delle arterie per liberarle dai trombi che ostacolano il regolare flusso del sangue. Sempre guidati da debolissimi campi magnetici, potranno portare all’interno dell’organismo farmaci da ‘recapitare’ con precisione, o rendere più semplici gli interventi di fecondazione assistita. Nel frattempo i ricercatori sono al lavoro sugli sviluppi futuri del programma e il prossimo obiettivo è rendere i MagnetoSpermatozoi ancora più piccoli, con una coda fatta di nanofibre magnetiche.
03 giugno 2014

Fermato il presunto assassino di Yara Gambirasio: individuato grazie al test del Dna

Fermato il presunto assassino di Yara Gambirasio: individuato grazie al test del Dna

16 giugno 2014Commenti (14)

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Massimo Giuseppe Bossetti (Ansa)Massimo Giuseppe Bossetti (Ansa)

Dopo quattro anni di indagini è arrivata la svolta nel caso dell’omicidio di Yara Gambirasio. Il presunto assassino della tredicenne di Brembate di Sopra (Bergamo) è stato catturato dai carabinieri del Ros, dopo indagini condotte insieme alla Polizia. Si tratta di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore incensurato di Clusone, sposato e padre di tre figli.

L’uomo, che prima ha negato ogni responsabilita e poi si è avvalso della facoltà di non rispendere, è stato fatto oggetto di insulti e di grida di «assassino» da parte della gente che si trovava davanti alla caserma. Applausi invece per le forze dell’ordine che hanno condotto le indagini.
Il presunto omicida è stato quindi portato via dalla caserma dei carabinieri di Bergamo per essere trasportato in carcere.

Come è stato trovato
Bossetti è stato incastrato e identificato grazie al Dna lasciato sul corpo della vittima. L’ultima conferma sull’analisi scientifica era arrivata nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima uccisa a Brembate il 26 novembre 2010. La scienza non lasciava dubbi: l’autista di Gorno (Giuseppe Guerinoni morto nel 1999) è il padre del presunto killer della 13enne il cui corpo fu trovato esattamente tre mesi dopo la scomparsa in un campo di Chignolo d’Isola.

La relazione dimostrava che la probabilità che Guerinoni fosse il padre del cosiddetto “Ignoto 1” è del 99,99999987%, una paternità praticamente provata scientificamente. L’analisi era stata chiesta dal consulente della famiglia Gambirasio per accertare senza ombra di dubbio la relazione tra “Ignoto 1” e il Dna del presunto killer trovato sugli indumenti di Yara . In questi anni sono stati prelevati oltre 18 mila campioni genetici e non solo in provincia di Bergamo.

Sono almeno altri due i grandi casi di cronaca nera risolti in Italia «a pista fredda», attraverso analisi scientifiche che hanno consentito di individuare il Dna delle persone sospettate: il delitto dell’Olgiata e l’omicidio di Elisa Claps.

L’annuncio di Alfano
«Le Forze dell’Ordine, d’intesa con la Magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio», aveva fatto sapere poco prima il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. «Secondo quanto rilevato dal profilo genetico in possesso degli inquirenti, è una persona del luogo, dunque della provincia di Bergamo», aveva detto ancora Alfano. Nelle prossime ore «saranno forniti maggiori dettagli. Ringraziamo tutti, ognuno nel proprio ruolo, per l’impegno massimo, l’alta professionalità e la passione investiti nella difficile ricerca di questo efferato assassino che, finalmente, non è più senza volto».

La felicità del sindaco di Brembate
«Se è vero siamo felici, era un atto dovuto alla famiglia e a tutta la comunità», ha commentato il sindaco di Brembate Sopra (Bergamo) alla notizia del fermo del presunto responsabile per l’omicidio di Yara Gambirasio. «Da quando è scomparsa da casa, a Brembate, e da quando è stata trovata uccisa a Chignolo Po (Bergamo), attendevamo questo momento. Ringrazio tutti quelli che hanno messo tante risorse in campo per arrivare a questo risultato».

IL KILLER È L’AMIANTO MA A GENOVA PROCESSANO GLI OPERAI

IL KILLER È L’AMIANTO MA A GENOVA PROCESSANO GLI OPERAI

 

da Genova, Ludovica Schiaroli

 

La classe operaia non va più in paradiso, va direttamente all’inferno e prima passa anche dal tribunale. Accade a Genova dove dal 2004 è stata aperta un’indagine a carico di un gruppo di ex operai Ilva e Ansaldo accusati di truffa ai danni dell’INPS: avrebbero dichiarato di avere lavorato a contatto con amianto per ottenere i benefici pensionistici consistenti nell’andare in pensione anticipatamente (10 anni di amianto davano la possibilità di anticipare di 5 la pensione).

Ad oggi sono circa un migliaio i lavoratori indagati e a metà luglio è iniziato l’iter giudiziario per i primi 30 che devono rispondere di presunta percezione indebita di pensione speciale. L’indagine vede coinvolti operai, capireparto e sindacalisti, tutti accusati di avere falsificato curricula all’insaputa della direzione aziendale. Questo è quanto dichiara Ilva che tramite il suo ufficio legale ha depositato un documento dove disconosce i curricula degli ex lavoratori che ha anche provveduto a querelare.

Tra gli indagati ci sono anche tre funzionari e alcuni dirigenti dell’INAIL regionale che sono quelli che hanno firmato le certificazioni e concesso i benefici, i nuovi dirigenti adducendo il principio di “autotutela” hanno revocato centinaia di certificazioni di esposizione all’amianto, precedentemente riconosciute. “Il risultato – dichiara Antonio Perziano della Camera del Lavoro di Genova – è che ci sono circa 700 lavoratori che non possono usufruire dei propri diritti di prendere la pensione”.

“La settimana scorsa abbiamo sepolto un nostro compagno dell’Ansaldo morto per mesotelioma e oggi ci troviamo qui, dopo una vita in fabbrica, con una accusa pendente per falso a doverci difendere in tribunale per avere dichiarato che nelle nostre fabbriche l’amianto c’era”. A parlare è Livio Verdi, ex operaio Ansaldo anche lui accusato di falso e percezione indebita di pensione speciale, incontrato davanti al Tribunale di Genova dove insieme ad altri è venuto per dare solidarietà ai compagni sotto processo.

Eppure secondo il RENAM, il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, in Liguria dal 1998 al 2010 i morti per tumori dovuti all’amianto sono 2.500, tra Ansaldo, Ilva, Stoppani e altre fabbriche minori. Si tratta peraltro di numeri monitorati per difetto perché i dati del RENAM si fermano al 2010. Ad oggi si registrano circa 180 nuovi casi ogni anno, decisamente in aumento da un quinquennio a questa parte. “Di questi morti non si occupa nessuno e invece si processano i vivi”, dice Giancarlo Bonifai, uno degli avvocati della difesa che la settimana scorsa ha presentato un esposto in Procura sull’amianto killer per “omicidio colposo e lesioni colpose” per chiedere che siano fatte indagini sulle malattie e sulle morti che si sono verificate negli ultimi anni negli stabilimenti Ansaldo e Ilva-Italsider di Genova. “Pensiamo ci siano state omissioni nell’approntare i necessari presidi sanitari e infortunistici che avrebbero potuto evitare, o quantomeno diminuire, le malattie e le morti”, aggiungono i sindacati.

“La cosa che più ci fa arrabbiare è che la Procura calcola l’esposizione all’amianto con una formula matematica che deve risultare 0,1 e il consulente dice che se risulti esposto a 0,098 particelle allora non hai diritto all’amianto, ma come fanno ora a sapere quanta polvere di amianto girava alla Fiumara, e nelle altre fabbriche?”, aggiunge Livio Verdi. In effetti Genova è un caso unico. Nelle fabbriche di Novi e Taranto i lavoratori vanno in pensione e a chi risulta essere stato esposto viene concesso “il beneficio amianto”, solo a Genova accade che gli operai vengano portati in tribunale dove oltre la pena di non sapere se si ammaleranno di mesotelioma devono anche subire l’iter processuale e tutto quello che ne consegue.

Sul versante politico la situazione è ferma ad un paio di settimana fa quando gli operai per un momento si erano illusi di potere incontrare il ministro Poletti in visita a Genova. La visita fu poi annullata in tutta fretta il giorno prima per “impegni in Parlamento”, o più probabilmente per gli annunciati cortei di altre aziende in crisi: Esaote, Ilva, Ansalso, Piaggio. Niente ministro per gli operai genovesi, che qualche giorno dopo a Roma riuscirono però ad incontrare il capo di gabinetto che dopo le solite chiacchiere di circostanza li ha rimandati a casa con un pugno di mosche in mano.

La battaglia però non è finita e oggi una cinquantina di ex lavoratori con a capo Antonio Perziano della Camera del Lavoro di Genova sono entrati negli uffici dell’INAIL di Genova hanno occupato la stanza del direttore e chiesto un appuntamento con il direttore generale INAIL Lucibello. L’occupazione è durata tutta la mattina, fino a che dopo un lungo braccio di ferro non è stato fissato l’incontro per la prossima settimana.

“Noi non molliamo, vogliamo giustizia e vogliamo quello che ci aspetta”, dice Livio Verdi.

Meriam a Roma.

Meriam a Roma. Renzi: “Un giorno di festa”. Il Papa la riceve: “Grazie per l’eroismo”

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Meriam Yehya Ibrahim, la giovane sudanese di religione cristiana condannata a morte per apostasia e adulterio, è in Italia dopo aver lasciato il Sudan

L’arrivo di Meriam in Italia
L'arrivo di Meriam in Italia (Ansa)L’arrivo di Meriam in Italia (Ansa) (1 / 11)

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Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all'arrivo di Meriem in Italia  (Lapresse)Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all’arrivo di Meriem in Italia (Lapresse) (8 / 11)

Il ministro Federica Mogherini con il figlio di Meriem (Lapresse)Il ministro Federica Mogherini con il figlio di Meriem (Lapresse) (9 / 11)

 Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all'arrivo di Meriem in Italia  (Lapresse)Matteo Renzi, la moglie Agnese Landini e ilministro Federica Mogherini all’arrivo di Meriem in Italia (Lapresse) (10 / 11)

Il premier Matteo Renzi e il mnistro degli esteri Federica Mogherini (Ansa)Il premier Matteo Renzi e il mnistro degli esteri Federica Mogherini (Ansa) (11 / 11)

Roma, 24 luglio 2014 – Meriam Yehya Ibrahim, la giovane cristiana che era stata condannata a morte per apostasia, ha lasciato il Sudan ed è arrivata in Italia. Ad attenderla, all’aeroporto militare di Ciampino, il presidente del consiglio Renzi, la moglie Agnese, e il ministro degli Esteri Federica Mogherini.

Anche oggi siamo felici“, ha detto il premier. “Vi dirà tutto il viceministro Pistelli che ha curato questa operazione. Oggi è soltanto un giorno di festa”.

“Meriam e i due figli stanno bene sono in ottima forma”, ha annunciato il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli all’aeroporto di Fiumicino dopo aver accolto la 27enne sudanese. E anche dal Papa giungono parole di conforto e sostegno: il Santo Padre, informato dal Presidente del Consiglio della liberazione di Meriam, ha “espresso i suoi sentimenti di gratitudine al Paese e di felicità per la positiva conclusione di questa vicenda”. Lo ha detto il viceministro Pistelli, che ha aggiunto: “Credo che Meriam e i due figli avranno degli incontri importanti nei prossimi giorni e poi si trasferiranno negli Stati Uniti”.
Si rallegra anche il ministro degli Esteri Federica Mogherini: “E’ una grande gioia: abbiamo seguito il caso fin da prima che fosse resa nota la condanna e grazie al grande lavoro fatto da tanti, oggi possiamo accogliere Meriam a Roma. Ora Meriam ha bisogno di tranquillità con la sua famiglia”.

Ventisette anni, sudanese di religione cristiana, lo scorso maggio era stata condannata a cento frustate e poi all’impiccagione, per apostasia e adulterio. Quando fu condannata era incinta di otto mesi. Una corte di appello aveva in seguito cancellato la sentenza e il 23 giugno era stata scarcerata. Il giorno successivo, però, la donna era stata fermata nuovamente all’aeroporto di Kartoum insieme al marito e ai due figli, una dei quali nata in carcere, mentre tentava di lasciare il Paese. Di nuovo rilasciata, si era rifugiata con la famiglia presso l‘ambasciata Usa della città.

L’INCONTRO CON IL PAPA – Meriam ha incontrato Papa Francesco a casa Santa Marta. Ad annunciarlo era stata la presidente dell’ong Italians for Darfur con un tweet: “Meriam coronera’ il suo sogno e vedra’ il Papa. Glielo avevo promesso quando ci siano incontrare. Grazie a lapopistelli e @matteorenzi”. L’incontro è durato circa mezz’ora. Il Papa, ricevendola in un clima di “grande serenità” l’ha ringraziata per la sua “testimonianza di fede”,  la sua “costanza”, il suo eroismo. Lo riferisce il portavoce padre Federico Lombardi, che ha aggiunto come il Pontefice abbia detto personalmente il suo ‘grazie’ alla giovane sudanese cristiana. “Il Papa”, ha detto padre Lombardi, “è stato molto tenero con lei e con il marito, in carrozzella, e l’ha ringraziata per la sua testimonianza.

 

RENZI A STRASBURGO – Il caso di Meriam era stato citato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in occasione del suo discorso di inaugurazione del semestre europeo a Strasburgo. Parlando di Meriam e delle ragazze nigeriane sequestrate dagli islamisti di Boko-Haram, Renzi aveva sottolineato: “Se non c’è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa”.

Andiamo a chiudere i diplomifici

Andiamo a chiudere i diplomifici

di Marco Lodoli

Tempo d’esami, tempo di valutazioni: e tra poco non soltanto i nostri studenti saranno giudicati, ma anche le scuole, i presidi, gli insegnanti. La tendenza è questa, dolorosa ma a quanto pare necessaria. In tutta Europa, proprio per garantire una buona offerta formativa ai ragazzi, per rassicurare i genitori, per essere davvero efficienti e non buttare al vento tanti anni di studio, si cerca di capire se le scuole sono all’altezza o se battono la fiacca.
Sarà una rivoluzione non facile da digerire, perché ogni insegnante crede giustamente di dare il meglio di sé e non tollera sguardi indiscreti nel registro e nella sua programmazione, perché i dirigenti scolastici sono già oberati di impegni e certo non faranno salti di gioia all’arrivo degli ispettori ministeriali. Però la linea è questa, bisognerà abituarsi a rendere conto del proprio operato. C’è però un aspetto di tutta la faccenda che fatico a digerire.
Perché le scuole pubbliche devono essere sistemate sul piatto della bilancia, esaminate con scrupolo intransigente, mentre continuano a proliferare, senza che nessuno dica niente, senza alcun controllo, i diplomifici? I cartelloni della mia città ora sono invasi dalla pubblicità di scuole fantasma che garantiscono il recupero degli anni perduti: due anni in uno, tre anni in uno, quattro anni in uno, non c’è problema. Basta pagare. Anche io, da giovane, per sbarcare il lunario ho insegnato per un poco in una di queste fabbriche di diplomi.
Sul registro avevo l’elenco degli studenti, trenta, trentacinque nomi per classe, ma in realtà sui banchi trovavo solo una decina di ragazzi sbadiglianti, sfaticati, somarissimi figli di papà che si sentivano sicuri della promozione visto che qualcuno lasciava ogni mese un assegno in segreteria. Gli altri stavano in altre città, si affacciavano ogni morte di papa, tanto per dimostrare la loro esistenza in vita. Queste scuole sono semplicemente uno scandalo, andrebbero chiuse per sempre, senza pietà, e invece continuano ad arricchirsi producendo ignoranza e ingiustizia.
Non sono le scuole private cattoliche, che conservano sempre una qualche decenza e a volte sono persino di buon livello: sono piccole imprese a delinquere, teatrini vergognosi dove si recita la farsa dello studio fasullo e dei voti regalati, anzi comprati. E allora, se davvero si vuole allineare la scuola italiana agli standard europei, se si vuole ficcare il naso nel lavoro di insegnanti e presidi, io pretendo che la stessa severità venga applicata a questi luoghi – non meritano nemmeno l’appellativo di scuole – dove si mercifica il presente e il futuro. Facciamo piazza pulita di questi indegni mercatini, e poi pensiamo al resto.

24 giugno 2014