L’EURO SOSTITUITO DAL DOLLARO?

L’EURO SOSTITUITO DAL DOLLARO?

 

di comidad

 

L’anno diplomatico 2013 ha visto come primo significativo evento il comunicato congiunto di Washington e Bruxelles del 13 febbraio sul comune proposito di avviare dei negoziati per dar vita al TTIP, cioè ad una partnership per il commercio transatlantico e per gli investimenti. Si tratterebbe di una vera e propria unione finanziaria e commerciale delle due sponde dell’Atlantico.

Il comunicato congiunto però non ha avuto alcuna risonanza sui media ufficiali, anzi sembrerebbe che ci sia stata una vera e propria congiura del silenzio. Ha fatto parzialissima eccezione la testata online Wall Street Italia; ma il fatto davvero strano è che una testata specializzata in notizie economico-finanziarie per procurarsi del materiale a riguardo abbia dovuto far ricorso al rilancio di un articolo di Michel Collon, che era stato tradotto e pubblicato su un sito di opposizione, ComeDonChisciotte. L’articolo di Collon metteva in guardia contro la prospettiva di una “NATO economica” che comporterebbe la nascita di un governo mondiale svincolato da qualsiasi controllo.

L’espressione “NATO economica” per definire questo partenariato commerciale-finanziario a livello transatlantico, non è affatto arbitraria, poiché è la stessa che viene usata nel dibattito interno al Consiglio Atlantico, l’organo supremo della NATO.

Il 12 marzo scorso la Commissione Europea ha deciso di chiedere luce verde agli Stati membri per condurre in porto le trattative con gli USA. In realtà le trattative erano state avviate da tempo, in quanto sul sito della stessa Commissione Europea risulta già una dovizia di studi di fattibilità e di possibili protocolli di intesa. Allo scopo di rassicurare i possibili perplessi, la Commissione fa anche sapere che il contenzioso attuale tra Europa ed USA non riguarda più del 2% del totale degli scambi commerciali.

Sempre dal sito dell’Unione Europea, si viene inoltre a sapere che un Consiglio economico transatlantico, incaricato di porre le condizioni di un vero partenariato, era già stato costituito nel 2007, cioè ben un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria ed all’attuale depressione economica. Le firme in calce al documento costitutivo, che porta la data del 30 aprile 2007, sono quelle dell’allora presidente USA, George W. Bush, dell’allora presidente del Consiglio Europeo, Angela Merkel, e del presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso.

Non si può quindi inquadrare la “NATO economica” come una risposta della presidenza Obama all’attuale crisi economico-finanziaria. Visti i tempi lunghi che hanno preparato il TTIP, sembrerebbe infatti che la prospettiva di un’unione commerciale e finanziaria tra le due sponde dell’Atlantico, in realtà sia lo sbocco preordinato di un’emergenza economica artificiosa. Infatti soltanto una gravissima depressione economica potrebbe essere in grado di giustificare un passaggio epocale di questa portata, e di superare le resistenze sociali a quella che si configura sfacciatamente come una totale annessione coloniale dell’Europa ai dettami commerciali e finanziari di Washington.

Alla luce di questo documento del 2007, anche l’ormai proverbiale ottusità della Merkel e di Barroso potrebbe essere riletta come pedissequa obbedienza alle direttive di Washington. Quindi, anche questo trascinare oltre i limiti di ogni buon senso l’ormai irreversibile crisi dell’euro, potrebbe trovare come provvidenziale soluzione tutt’altro che un ritorno alle valute nazionali, bensì un’adozione del dollaro come moneta unica europea. A riconferma del nuovo ruolo imperialistico che svolgono le fondazioni private, sul sito del Consiglio Atlantico si sottolinea il contributo fornito nell’operazione TTIP da una fondazione privata come la Bertelsmann Foundation. Che il Consiglio Atlantico e la Bertelsmann Foundation agiscano in un rapporto pressoché alla pari è una cosa che dovrebbe far riflettere.

Le notizie ufficiali su questa fondazione privata ce la presentano come una creatura dell’editore tedesco Reinhard Mohn; manco a dirlo, uno di quelli entrati varie volte nella lista degli uomini più ricchi del mondo. La fondazione agisce su un piano internazionale, con sedi a Berlino, Bruxelles e Washington. Il Dizionario di Economia e Finanza dell’Enciclopedia Treccani si sofferma sul ruolo della fondazione nei progetti di politica estera.

L’azione svolta dalla Bertelsmann Foundation a favore della conservazione della moneta unica europea, conferma che il calice dell’euro debba essere bevuto sino alla feccia, in modo da consentire un aggravarsi dell’emergenza economica, tale da giustificare soluzioni drastiche che oggi potrebbero apparire del tutto impensabili per l’opinione pubblica. Sul sito della stessa fondazione si trovano le notizie su questa sua opera di “persuasione”.

La Bertelsmann Foundation ci fa sapere anche di aver ottenuto nel 2010 un generoso finanziamento (definito, con incredibile faccia tosta, una “borsa di studio”!) dalla Rockefeller Foundation per attuare i propri progetti di politica internazionale. Questa informazione è utile sia per sapere chi ci sia davvero dietro la Bertelsmann Foundation e dietro il TTIP, sia per capire che fine facciano le grandi quantità di denaro maneggiate da queste fondazioni no profit.

Il “mercato” è soltanto uno slogan, il “capitalismo” è un’astrazione analitica, mentre il crimine affaristico è un dato di fatto. In nome dell’assistenzialismo per ricchi, le fondazioni private infatti si finanziano l’una con l’altra, attuando così riciclaggi finanziari e investimenti che sono del tutto esenti da tasse. Rockefeller ha finanziato la fondazione della famiglia Mohn; ma, dato che chi è generoso viene premiato, un’altra delle fondazioni di Rockefeller, la Philanthropy Advisors, ha ricevuto a sua volta un ricco premio in denaro dalla Bill & Melinda Gates Foundation, come riconoscimento per un suo progetto.

 

Le fondazioni private assorbono così molte delle funzioni affaristiche del sistema bancario, sotto l’ombrello di nuovi privilegi. Un articolo del “Washington Post” dell’aprile del 2005 avvertiva che il no profit stava diventando la nuova frontiera dell’evasione fiscale. L’articolo riferiva di un’allarmata lettera del capo dell’Agenzia delle Entrate statunitense di allora, Mark W. Everson, che invocava dal governo misure per contrastare la gigantesca evasione fiscale che si verificava, già a quei tempi, all’ombra del no profit delle fondazioni private. Non risulta che queste misure invocate da Everson siano mai arrivate; anzi, a distanza di otto anni, non si vede quale funzionario governativo possa essere in grado di alzare la voce contro fondazioni private che gestiscono più potere e denaro di un ministero. Alla fiaba del dittatore pazzo, corrisponde la fiaba del miliardario filantropo, alibi mitologico di un potere sovranazionale del tutto incontrollato. Mentre i dittatori pazzi come Assad, Ahmadinejad e Kim Jong-un minacciano il mondo, i miliardari filantropi alla Rockefeller, alla Soros ed alla Gates lo proteggono, come Batman.

“L’EMERGENZA RIFIUTI” DI NORVEGIA E SVEZIA: INTERVISTA A ROSSANO ERCOLINI

“L’EMERGENZA RIFIUTI” DI NORVEGIA E SVEZIA: INTERVISTA A ROSSANO ERCOLINI

 

di Giuseppe Iasparra

 

“La Norvegia ha un problema. Ha finito la spazzatura e non sa più come riscaldarsi e produrre energia. Tutta colpa dei suoi abitanti, che riciclano quasi la metà di ciò che buttano e lasciano un misero 2% alla discarica”. Inizia così l’articolo di Repubblica di domenica 5 maggio dal titolo “Vendeteci i rifiuti o restiamo al buio”. L’emergenza al contrario dei paesi nordici.

Norvegia e Svezia sono in emergenza per la mancanza di rifiuti? Lo abbiamo chiesto a Rossano Ercolini del movimento nazionale Rifiuti Zero (vincitore del premio internazionale “Goldman Environmental Prize 2013”). “In quei Paesi – ha spiegato Rossano Ercolini – hanno realizzato inceneritori capaci di smaltire più di mille tonnellate al giorno. Oggi però non hanno più questi quantitativi. L’emergenza non sta nella mancanza di rifiuti ma nella decisione di investire in questi mega-impianti. Il problema è quindi l’over-capacity”.

“È la crisi della termovalorizzazione e dell’incenerimento – ha continuato Ercolini -. Questo è un monito per l’Italia e per Torino in particolare: se verrano portati avanti gli obiettivi europei di riciclo vi troverete nella condizione di dover andare alla ricerca di materiali”.

Ci fu un errore di valutazione dai parte dei Paesi nordici quando furono realizzati questi impianti? “Nei Paesi nordici – ha spiegato Ercolini – è sempre prevalsa la cultura ingegneristica che ha portato a preferire impianti di grosse dimensioni piuttosto che piccole taglie (non convenienti dal punto di vista economico). A differenza dell’Italia, tuttavia, i Paesi nordici un alibi possono avercelo ed è costituito dallo sfruttamento di energia e calore date le necessità dettate dal clima”.

È noto che alcuni impianti del Nord Europa stanno importando rifiuti come avviene nel caso dei rifiuti di Napoli. Secondo Ercolini “il trasferimento di rifiuti dai Paesi del Sud Europa verso gli impianti del Nord è una soluzione che serve a fronteggiare l’agonia. La strada da intraprendere credo che possa essere quella della Danimarca (che oggi brucia del 70% dei rifiuti) dove il governo ha deciso di adottare una strategia di uscita dalla termovalorizzazione. Lungo questa strada però – conclude Ercolini – occorrerà affrontare l’opposizione costituita dalla lobby dell’incenerimento”.

Cipro, il Parlamento boccia il prelievo forzoso sui conti correnti. Trattative aperte con Mosca

Cipro, il Parlamento boccia il prelievo forzoso sui conti correnti. Trattative aperte con Mosca

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Le proteste a Cipro (Afp)Le proteste a Cipro (Afp)

Il Parlamento di Cipro ha bocciato il piano concordato con Ue e Fmi, che chiedeva un prelievo forzoso sui depositi bancari in cambio del salvataggio da 10 miliardi di euro: 36 i voti contrari, 19 le astensioni, nessun voto a favore. La notizia era nell’aria, dopo che il presidente dell’assemblea aveva lanciato un appello ai deputati affinché votassero contro il piano: «La risposta non può che essere una: no al ricatto», aveva detto. Ma prima della seduta persino il partito del presidente Nicos Anastasiades aveva annunciato l’astensione , una mossa per bloccare la misura senza rompere con i creditori internazionali, in modo da rafforzare la posizione del Paese nei negoziati.

Bocciato il compromesso per non tassare i prelievi sotto i 20mila euro

 

Dopo le proteste e le polemiche sollevate dalla decisione sulla tassazione di tutti i depositi, da cui lo Stato avrebbe ricavato 5,8 miliardi da sommare ai prestiti internazionali, il Governo aveva messo a punto alcune modifiche alla legge, per rendere più progressivo il prelievo ed escludere le somme più basse, come peraltro raccomandato anche dall’Eurogruppo riunitosi di nuovo lunedì in teleconferenza. In particolare, la bozza di legge dell’esecutivo cipriota prevedeva l’esenzione per i depositi bancari fino a 20.000 euro, mantenendo una tassazione al 6,75% per i conti tra 20.000 e 100.000 euro e al 9,9% per i depositi oltre i 100.000 euro. Restava da definire come trovare i 300 milioni di euro – la stima è della Banca centrale cipriota – che sarebbero venuti a mancare esentando dal prelievo i depositi più bassi.

Il destino delle banche cipriote nelle mani della Bce

Anche in questa forma, però, la misura è stata bocciata e ora rimane da capire quale strada il Governo percorrerà, considerando che gli aiuti erano vincolati a un sì al piano (o perlomeno a una condivisione da parte di Cipro dei costi del salvataggio). Quanto alla Bce, ha diffuso una nota in cui prende atto della decisione del Parlamento e «conferma l’impegno a garantire la liquidità necessaria entro il quadro delle regole previste». Va ricordato che le regole della Bce prevedono che è possibile fornire liquidità solo a banche che non siano insolventi e che il salvataggio è stato concordato in parte proprio per impedire il fallimento di due banche cipriote tenuta a galla dalla linea di credito di emergenza della Bce (l’Emergency Liquidity Assistance).

Trattative con Mosca: prelievi sui conti russi in cambio di quote sul gas?

Il presidente ha dichiarato che il governo ha dei non meglio precisati «piani» alternativi, di cui però, almeno finora, la Commissione europea si è detta all’oscuro. Anastasiades ha avuto contatti telefonici con il cancelliere tedesco Angela Merkel (la Germania è stata la più ferma nel ribadire che senza il contributo cipriota non sarebbero arrivati aiuti) e con il presidente russo, Vladimir Putin, che in prima battuta aveva aspramente criticato un provvedimento che colpisse i depositi russi (Cipro è da tempo un vero e proprio paradiso fiscale per gli oligarchi russi).

Proprio Mosca però potrebbe offrire la chiave per una soluzione all’impasse, che rischia di riaccendere la crisi finanziaria dell’eurozona. Nella capitale russa è arrivato il ministro delle Finanze cipriota Michalis Sarris (di cui erano state annunciate le dimissioni, da lui stesso poi smentite). Sarris, secondo indiscrezioni, sarebbe in procinto di proporre alla Russia un accordo: in cambio di una tassa compresa tra il 20 e il 3o% di depositi russi nelle banche cipriote, a Mosca sarebbe data una quota della futura società energetica con cui Cipro conta di sviluppare i giacimenti di gas scoperti a Sud dell’isola nel 2011 e ulteriori benefici strategici nel settore del gas. Inoltre agli investitori russi verrebbero aperti i board delle banche cipriote. A Mosca sono attesi inoltre alti funzionari della Commissione europea, tra cui forse il commissario per gli Affari economici e monetari Olli Rehn. 

I timori di Moody’s e le rassicurazioni dell’Eurogruppo 

Il prelievo forzoso su conti e depositi delle banche cipriote ha sollevato timori e preoccupazioni a tutti i livelli. Moody’s ha sottolineato la possibili conseguenze negative per i rating delle banche europee, aggiungendo che la decisione ha, comunque, «pesanti conseguenze» per i risparmiatori non solo a Cipro ma anche per i creditori di banche in altri Paesi, aumentando nel contempo i rischi di una fuga di capitali da altri Paesi in difficoltà dell’Eurozona. Proprio temendo una fuga di capitali – che, secondo il governatore della Banca centrale, potrebbe arrivare al 10% dei depositi – banche e Borsa di Cipro resteranno chiuse fino a giovedì.

Una replica ai timori sollevati da Moody’s è arrivata dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che ha escluso provvedimenti analoghi. «È assolutamente fuori questione, non c’è alcun bisogno di un’imposta una tantum in altri Paesi», ha detto, parlando prima del voto del Parlamento.

La Raf manda un milione di euro ai britannici

Qualcuno intanto corre già ai ripari: un aereo militare della Raf è stato inviato a Cipro con a bordo un milione di euro destinati ai militari britannici e alle loro famiglie sull’isola. Il ministero della Difesa britannico non ha escluso che altri voli simili possano partire per l’isola.

Cipro è un caso da non drammatizzare, l’Italia è ben diversa

Cipro è un caso da non drammatizzare, l’Italia è ben diversa
18/03/2013 10.50
Cipro è un caso da non drammatizzare, l'Italia è ben diversa

“Cipro è una realtà molto piccola, particolare. Io non drammatizzerei, poi è chiaro che i mercati sono nervosi”. Così il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, commenta il calo delle borse europee in seguito alla crisi finanziaria di Cipro, il cui governo ha imposto, tra l’altro, prelievi forzosi sui conti correnti per ottenere aiuti dall’Ue per 10 miliardi di euro. In vista del voto il governo sta lavorando a una proposta per smorzare l’entità del prelievo sui conti bancari dei piccoli risparmiatori. 

Nel fine settimana il governo cipriota e i finanziatori internazionali si sono accordati per fissare un’imposta sui depositi bancari che arriva al 6,7% per quelli sotto i 100.000 euro mentre per quelli di importo superiore tocca il 9,9%. Una fonte vicina ai negoziati ha detto che Nicosia spera di abbassare l’imposta al 3% per i conti bancari sotto i 100.000 euro e alzarla al 12,5% per gli altri. 

Cipro potrebbe essere un paradigma per Paesi più grandi? “Non lo so”, ha aggiunto Vegas, “ogni giorno è una sorpresa. Non credo proprio però che potrebbe succedere anche in Italia” che peraltro è una realtà ben diversa da Cipro: è un Paese manifatturiero, Cipro è un Paese finanziario, alcuni lo indicano anche come un paradiso fiscale. 

“L’unico avvertimento per i risparmiatori allora è di tenere i soldi a casa e non portarli in paradiso”. L’Italia dunque per Vegas non corre nessun pericolo e non c’è nessuna preoccupazione per i nostri risparmiatori, nessuna preoccupazione di contagio dalla crisi finanziaria di Cipro. “Le nostre finanze pubbliche sono solide, non c’è nessuna preoccupazione di contagio e la tenuta dell’euro è assolutamente fuori discussione: “l’euro c’è, è stabile e ci sarà, ci mancherebbe altro”.

Sui mercati permangono tuttavia i timori legati alla crisi cipriota. Londra cede lo 0,63%, Parigi lascia sul terreno l’1,22% e Francoforte perde l’1,04%. Milano arretra del 2% e Madrid segna un -1,96%. Scema invece la tensione sul mercato obbligazionario con lo spread Btp/Bund sceso sotto quota 330 a 328 punti. Il rendimento si attesta al 4,68%. Anche il differenziale tra Bonos spagnoli decennali e omologhi tedeschi cala a 364 punti per un tasso del 5,05%. 

“Se a Cipro saranno colpiti anche i correntisti sotto i 100.000 euro allora si sarà passata una linea sacra”, ha avvertito Jim Reid, strategist di Deutsche Bank, ricordando che qualsiasi correntista in qualsiasi banca domiciliata in uno Stato vulnerabile dovrebbe in teoria pensare molto bene ai posti alternativi dove mettere da parte i propri fondi, a prescindere dalla loro ampiezza. 

“Per ora si può sospettare che i mercati siano sufficientemente calmi perché il contagio” dal piano di aiuti a Cipro potrebbe essere “limitato, ma una decisione del genere può facilmente ampliare qualsiasi crisi futura in Europa, visto che lo spettro delle perdite sui depositi sarà sul tavolo”, ha concluso Reid.

IL PARLAMENTO EUROPEO DICHIARA GUERRA ALLE SOSTANZE CHIMICHE CHE DANNEGGIANO IL SISTEMA ENDOCRINO

IL PARLAMENTO EUROPEO DICHIARA GUERRA ALLE SOSTANZE CHIMICHE CHE DANNEGGIANO IL SISTEMA ENDOCRINO

 

Via El Pais

 

Il Parlamento Europeo ha approvato quest’oggi una risoluzione che invita la Commissione Europea a ridurre la presenza delle sostanze chimiche definite “interferenti endocrini” che possono provocare gravi problemi di salute. Alla luce dell’aumento del numero di pazienti che soffrono di malattie legate a disturbi ormonali e riproduttivi, è stato chiesto alla Commissione di mettere in campo strategie atte a ridurre l’esposizione degli esseri umani a queste sostanze.

Il Parlamento Europeo ha dettato un’agenda che fissa al dicembre 2012 la pubblicazione di un primo elenco provvisorio delle sostanze da bandire e alla metà del 2015 una prima azione su scala continentale.

“È giunto il momento di prendere iniziative concrete in questa materia”, ha spiegato la proponente Asa Westlund, dopo che la risoluzione è stata approvata con 489 voti a favore, 102 contrari e 19 astensioni.

Le alterazioni del sistema endocrino sono attribuibili a un certo numero di sostanze chimiche che contengono steroidi, pesticidi, policlorobifenili, diossine, additivi plastici o sintetici e che si possono trovare in materiali da costruzione, materie plastiche, giocattoli, contenitori o cosmetici. Queste sostanze sono una grave minaccia per le donne in stato di gravidanza e per bambini e ragazzi, i cui sistemi ormonali sono maggiormente vulnerabili a queste sostanze. Fra le principali patologie riscontrate negli ultimi 20 anni si segnalano disturbi ormonali e riproduttivi, al seno o ai testicoli, malformazioni congenite e disturbi a livello neurologico.

Gli eurodeputati hanno chiesto che, parallelamente al potenziamento della ricerca, venga stabilito un protocollo per l’identificazione e la descrizione delle sostanze chimiche nocive, considerando il fatto che non vi è alcuna base scientifica per fissare una soglia sotto la quale le sostanze non siano pericolose per la salute.

Le aziende tedesche pagano bonus e aumentano gli stipendi. Ecco perché

Le aziende tedesche pagano bonus e aumentano gli stipendi. Ecco perché

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Disoccupati in continuo calo, inflazione sotto il 2%, esportazioni a prova di cambio, prodotti di qualità e aziende leader. Mentre tutta Europa si chiede come recuperare competitività, le aziende tedesche, che già pagano stipendi più alti della media, si preparano a concedere nuovi aumenti salariali. Di più.Volkswagen ha appena annunciato che verserà un premio di produzione di 7.200 euro ai suoi circa 100mila dipendenti. E non è nemmeno stata di manica larga: nonostante il 2012 si sia chiuso con un utile netto record di 22 miliardi, il bonus è più basso di quello del 2011 (7.500 euro). Volkswagen può permetterselo: in barba alla crisi dell’auto che colpisce tutta Europa, punta a vendere 10 milioni di veicoli l’anno prima del 2018.

Stipendi su, inflazione giù 
Mentre Volkswagen annunciava il suo bonus, Ig Metall, il più grande sindacato dell’industria tedesca, metteva sul tavolo le rivendicazioni salariali per il 2013, chiedendo un aumento del 5,5%, dopo averne incassato uno del 4,3% l’anno scorso, il più alto da 20 anni. Il sindacato Verdi ha a sua volta chiesto aumenti del 6,5% per i dipendenti pubblici, che nel resto d’Europa stanno perdendo pezzi di retribuzione e impiego.

 
 

La stagione dei rinnovi contrattuali coinvolgerà 12,5 milioni di lavoratori e considerando che si chiuderà con aumenti poco superiori alla metà della base di partenza, nel 2013 i salari tedeschi potrebbero aumentare del 3% circa, mettendo in fila il quarto anno consecutivo di crescita, dopo il 2,6% del 2012 (0,6% al netto dell’inflazione). Aumenti che non hanno acceso l’inflazione: i prezzi al consumo al contrario sono scesi a febbraio ai minimi da due anni, all’1,5%, ben sotto il target Bce del 2%.

Dieci anni di moderazione 
La stagione delle rivendicazioni arriva dopo circa dieci anni di salari fermi o quasi, in cambio della difesa dei livelli occupazionali. Ora però il clima è cambiato. La Germania attraversa la crisi dell’Eurozona senza soffrire troppo e sia la Spd che la Cdu sono pronti ad appoggiare l’aumento dei redditi dei lavoratori in vista delle elezioni di autunno.
La moderazione salariale è stata accompagnata da riforme che hanno risanato il vecchio “malato d’Europa”. Come ha ricordato il ministro del Lavoro Ursula von der Leyen in un’intervista a Les Echos: «Prima di tutto abbiamo stabilito che ogni disoccupato abbia diritto a un impiego o alla riqualificazione piuttosto che a un sussidio. Poi abbiamo reso il mercato del lavoro più flessibile. Il nostro credo è esigere e incoraggiare: si può costringere un disoccupato ad accettare un lavoro, ma in compenso sarà aiutato».

Disoccupazione e inflazione scendono 
Per tutti questi motivi la Germania può contare su un mercato del lavoro granitico, che negli ultimi anni non ha praticamente mai smesso di creare occupazione, nemmeno nei periodi di recessione. L’ultimo dato, quello di febbraio, lo prova una volta di più. Il numero dei senza impiego è sceso di 3mila a 2,92 milioni di persone, con un tasso di disoccupazione fermo al 6,9%. Certo, la contrazione del Pil nel quarto trimestre del 2012, quando è sceso dello 0,6%, si è fatta sentire: Commerzbank ha annunciato il taglio di 6mila dipendenti eDeutsche Telekom 1.200 esuberi. Ma la tenuta generale del mercato del lavoro non è stata scalfita.

Effetto euro e qualità dell’industria 
C’è anche l’euro a spiegare la diversità tedesca. Le aziende macinano utili record anche grazie a una moneta che, vista da Berlino, è addirittura sottovalutata. Con il marco, auto e macchinari tedeschi costerebbero dal 15 al 20% in più e secondo Citigroup, l’effetto cambio da solo regala alla Germania 100 miliardi di euro di esportazioni in più all’anno. Ma a sostenere l’export tedesco è soprattutto la qualità dell’industria, che può contare su un efficiente sistema di formazione dei suoi tecnici e ingegneri. Le aziende lavorano a stretto contatto con gli istituti tecnici, spesso finanziando programmi scolastici in modo da mettere agli studenti in grado di accedere al lavoro appena diplomati, con un sistema di apprendistato tra i migliori d’Europa.

Interventi su edifici storici preclusi agli ingegneri italiani ma non agli stranieri

Interventi su edifici storici preclusi agli ingegneri italiani ma non agli stranieri

La Corte di Giustizia Europea supera la legge italiana del 1925 che riserva la competenza solo agli architetti

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22/02/2013 – Gli ingegneri civili possono dirigere i lavori su immobili di interesse storico e artistico? Gli stranieri sì, ma non quelli che hanno studiato in Italia. È la conclusione cui è arrivata la Corte di Giustizia europea, che con una sentenza pronunciata ieri ha fatto il punto della situazione sulla normativa italiana e comunitaria.

 
La legge italiana può infatti disciplinare le competenze professionali a livello interno. Al contrario, non può impedire agli ingegneri che hanno conseguito la laurea all’estero di agire sugli edifici storico-artistici perché verrebbe meno all’obbligo di riconoscere i titoli di studio conseguiti in altri Paesi dell’Ue.
 
Cosa prevede la normativa UE
Secondo la Corte di Giustizia, la Direttiva 85/384 riconosce che nella maggior parte degli Stati membri le attività pertinenti all’architettura sono esercitate da persone che hanno la denominazione di architetti. Questi soggetti non detengono però il monopolio, a meno che altre disposizioni legislative non prevedano il contrario.
 
Ne consegue che le attività di direzione dei lavori sugli immobili storici e artistici possono essere esercitate da altri professionisti e, in particolare, da ingegneri che abbiano ricevuto una formazione specifica nel settore delle costruzioni o dell’arte edilizia.
 
Allo stesso tempo, gli Stati membri devono riconoscere i titoli di studio rilasciati dagli altri Paesi europei. Se il titolo conseguito in un altro Paese può essere confuso con un titolo di studio comprendente una formazione complementare non compiuta, lo Stato ospitante può prescrivere l’utilizzo di una formula adeguata in grado di differenziare i percorsi formativi.
 
La situazione in Italia
In base al Regio decreto 2537/1925, spettano all’ingegnere il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, i lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, le costruzioni di ogni specie, le applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo.
 
Sia l’ingegnere che l’architetto possono occuparsi di opere di edilizia civile. Tuttavia, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, il restauro e il ripristino degli edifici sottoposti a vincolo culturale spettano solo all’architetto. Su questi edifici, però, l’ingegnere può occuparsi della parte tecnica.
 
La decisione della Corte Ue
Alla luce della normativa europea e italiana, la Corte di Giustizia ha concluso che agli ingegneri civili che hanno ottenuto i propri titoli in Italia non competono le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici di interesse culturale.
 
Trattandosi di una situazione puramente interna, la Corte Ue ha stabilito che la norma italiana non viola né la direttiva 85/384 né il principio della parità di trattamento.
 
Per la Corte Ue, la direttiva 85/384 non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto e non intende fornire una definizione giuridica delle attività del settore dell’architettura. Per questi motivi spetta alla normativa nazionale dello Stato membro ospitante individuare le attività rientranti in tale settore.
 
La limitazione opera però solo a livello nazionale. L’Italia riconosce infatti i titoli di studio rilasciati dagli altri Paesi membri e non può effettuare una verifica sulle qualifiche prima di consentire ad un ingegnere laureato all’estero di intervenire su un immobile artistico.

Gb, Moody’s declassa il rating, da AAA a Aa1

Gb, Moody’s declassa il rating, da AAA a Aa1

TMNews
Washington, 22 feb. (TMNews) – Moody’s ha declassato il rating del Regno Unito da AAA ad Aa1, sottilinendo la crescita lenta e un crescente peso del debito del Paese.
L’agenzia di rating ha indicato come principale motivo della sua decisione “la crescente chiarezza sul fatto che … la crescita britannica rimarrà lenta nei prossimi anni”. (fonte Afp)

Crescita, peggiorano le stime Ue e intanto la disoccupazione cresce

Crescita, peggiorano
le stime Ue e intanto
la disoccupazione cresce

“Pil a -1%. Ripresa da metà 2013”

Economia: per la Commissione europea solo nel 2014 si prevede una crescita dello 0,8%. Quest’anno deficit sotto il 3%: l’Italia potrà uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Bankitalia: “Siamo in piena recession, ma si vede la fine. Ma non possiamo limitarci a riavviare il motore, bisogna portarlo su un regime sostenuto”

 
un operaio a lavoro (foto Radelli)

un operaio a lavoro (foto Radelli)

Roma, 22 febbraio 2013 – Quest’anno il deficit/pil italiano si attestera’ al 2,1% e cosi’ l’anno prossimo, mentre nel 2012 ha raggiunto quota 2,9%. Sono queste le stime della Commissione europea che conferma quelle dell’autunno scorso per i tre anni. Cio’ significa che l’Italia quest’anno potra’ uscire dalla procedura per deficit pubblico eccessivo (superiore al 3% del pil). Il debito/pil sale quest’anno al 128,1% e l’anno prossimo scendera’ al 127,1% (stime d’autunno 127,6% e 126,5%). Nel 2012 il debito/pil e’ stimato a 127,1%.

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La Commissione europea ha rivisto in peggio le previsioni economiche sull’Italia di quest’anno, indicando un meno 1 per cento del Pil ma aggiungendo di attendersi che “la recessione si concluda a metà 2013″. E sul 2014 si attende un più 0,8 per cento. Peggiorano le attese di disoccupazione, all’11,6 per cento quest’anno e al 12 per cento nel 2014.

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Quanto alla disoccupazione, quest’anno la disoccupazione in Italia salira’ dal 10,6% del 2012 all’11,6%, nel 2014 salira’ ancora al 12%. E’ questa la stima della Commissione Ue. La novita’ e’ che l’Italia sia sta avvicinando celermente alla media Eurozona (2012 11,4%, 2013 12,2%, 2014 12,1%).

Allargando l’orizzonte aigli altri Paesi europei, la Francia sforerà i suoi obiettivi di risanamento dei conti pubblici quest’anno e il prossimo: invece di abbassare il deficit sotto la soglia di Maastricht del 3 per cento, secondo la Commissione europea segnerà un 3,7 per cento quest’anno e un aumento al 3,9 per cento nel 2014. Un deterioramento che tuttavia nelle sue previsioni invernali l’esecutivo Ue definisce solo “marginale”.

In tema di crescita e crisi interviene anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Sono convinto che dall’odierno incontro emergera’ con forza la consapevolezza del contributo che le istituzioni finanziarie sono chiamate ad offrire per sostenere la ripresa economica dell’intero Paese, ponendo al
servizio dell’interesse generale le migliori competenze e capacita’ professionali di cui dispongono e privilegiando politiche oculate e lungimiranti volte insieme alla tutela del risparmio e all’impiego produttivo delle risorse”.   Così Napolitano, in occasione del centesimo anniversario della fondazione della Banca Nazionale del Lavoro, in un messaggio al Presidente, Luigi Abete.

 

BANKITALIA: PIENA RECESSIONE, RIPRESA A META’ 2013 – L’Italia è nel pieno della recessione ma la fine della crisi arriverà probabilmente alla metà dell’anno. Lo ha detto il vice direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, al convegno ‘Crescita, innovazione e finanza in Italia. Il ruolo delle banche popolari’ in corso a Bergamo. “Dopo oltre quattro anni siamo nel pieno di una recessione, anche se ne vediamo la fine come possibile a metà di quest’anno – ha affermato – . Ma non possiamo limitarci a riavviare il motore, bisogna portarlo su un regime sostenuto. Dobbiamo trovare un modo nuovo di stare nel mondo globale delle produzioni: un mondo che cambia a vista d’occhio anche per effetto della crisi”.

“La nostra economia deve incamminarsi nei prossimi anni, dopo l’uscita dalla recessione, su un percorso di cambiamento della sua struttura produttiva e finanziaria. E’ necessario il concorso di tutte le migliori energie del Paese”.

Salvatore Rossi sottolinea che “il sistema bancario, e in esso il sistema delle banche popolari è chiamato a dare un contributo importante, cambiando anch’esso quando necessario, quando opportuno. Per essere un punto di riferimento nel rilancio della crescita economica”.

Draghi: “Non migliora l’economia reale”

Draghi: “Non migliora
l’economia reale”

“Tagliare la spesa, tasse già alte”

Il presidente Bce: “Necessari ancora sforzi considerevoli”. E sul sistema bancario: “Mps caso isolato, difficoltà frutto di attività criminale”

 
Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Bruxelles, 18 febbraio 2013 – “Non c’è ancora un miglioramento dell’economia reale, sebbene ci siano segnali di stabilizzazione”: così Mario Draghi al Parlamento Ue. Per vedere una “graduale ripresa” si dovrà aspettare “la seconda metà dell’anno”, ha aggiunto il presidente Bce di fronte alla commissione Affari economici e monetari.

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La situazione oggi “è più stabile” grazie alle riforme condotte nei vari paesi e alle azioni delle istituzioni europee. Però devono essere fatti “notevoli sforzi” per riemergere dalla crisi “per ricreare fiducia tra investitori e cittadini e ristabilire stabilità e crescita”, ha continuato Draghi durante un’audizione all’Europarlamento. Nell’area euro “siamo entrati nel 2013 in un contesto più stabile, rispetto a quelli degli ultimi anni, grazie alle riforme concertate tra i governi e alle azioni decisive adottate dalle istituzioni europee”.

I rimborsi delle banche dei prestiti Ltro alla Bce “sono stati superiori alle attese”, ha continuato. “Il tasso di cambio non è un obiettivo politico, ma un elemento importante per la stabilità dei prezzi”. “L’apprezzamento dell’euro è un rischio – ha aggiunto – Il comunicato finale del G20 non è deludente”.

Le tasse dell’Eurozona “sono già molto alte”.  Secondo Mario Draghi per mitigare gli effetti del consolidamento fiscale “la chiave sono i tagli alla spesa, non gli aumenti delle tasse“. 

CASO MPS – Il presidente della Bce è anche intervenuto su Mps, che resta comunque un “caso isolato”, ma la cui  difficile situazione “non è solo questione di gestione bancaria ma anche di attività criminale”. Interpellato da un parlamentare sullo stato di salute del sistema bancario italiano, Draghi ha sottolineato come “la reazione alla prima fase della crisi fu solida” e che “le banche italiane non ebbero bisogno di sostegno pubblico come in altri paesi”, a eccezione di “casi isolati come Mps, dove il problema non è stato però legato tanto alla gestione quanto a condotte criminali”. “Non dimenticatevi che sono io ad aver mandato le due ispezioni a Mps”, ha aggiunto.

In questo momento, invece le banche italiane “stanno soffrendo per il protrarsi della recessione”, ma “i maggiori istituti sono ben capitalizzati”. “Ora stiamo assistendo agli effetti di una recessione prolungata”, ha spiegato Draghi: “Il sistema mostra un po’ di fragilità perché si iniziano a vedere gli effetti dei prestiti in sofferenza o di tassi di interesse tenuti bassi per lungo tempo; le banche però sono ben capitalizzate”.