Fisco, l’Italia scala la classifica dei “tassatori”: adesso siamo quarti in Europa per pressione fiscale

Fisco, l’Italia scala la classifica dei “tassatori”: adesso siamo quarti in Europa per pressione fiscale

 
Entrate sostanzialmente stabili nei primi cinque mesi dell’anno, ma pressione fiscale che nel 2012 é volata al 44% portando l’Italia al quarto posto nella classifica dei Paesi più ‘tassatori’ in Eurolandia, davanti alla Finlandia. A descrivere la situazione fiscale italiana sono il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia e la Banca d’Italia. Il primo ha diffuso il dato sulle entrate totali, che da gennaio a maggio, “malgrado la congiuntura economica negativa”, sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto lo stesso periodo dello scorso anno, a 149,1 miliardi di euro (-0,2%). A pesare sono soprattutto l’Ires (- 1,57 miliardi pari al 10,6%) e l’Iva, vero specchio della crisi, che arretra del 6,8% (-2,87 miliardi): a questo proposito, però, in netta controtendenza è il gettito Iva nel settore del commercio al dettaglio, in crescita del 3,1%, “che riflette l’efficacia dell’azione di contrasto all’evasione”.
Lotta all’evasione – Più in generale dalla lotta all’evasione lo Stato ha incassato in questi cinque mesi 2,82 miliardi, il 4,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2012. In aumento è anche l’Irpef, che cresce dell’1,4% (+912 milioni), come effetto degli incrementi delle ritenute sui redditi dei dipendenti del settore pubblico e dei versamenti in autoliquidazione e della flessione delle ritenute sui redditi dei dipendenti del settore privato e dei lavoratori autonomi. Le entrate, quindi, rimangono sostanzialmente stabili, ma già nel 2012 l’Italia aveva conquistato posizioni nella classifica dei Paesi più ‘tassatori’ in Europa stilata dalla Banca d’Italia. C
Fisco record – Con la pressione fiscale passata dal 42,6 del 2011 al 44% ha infatti scavalcato la Finlandia e si è piazzata al quarto posto per il peso del fisco tra i 17 paesi dell’euro (era al quinto nel 2011) e al sesto posto tra i 27 nell’Ue (dal settimo posto del 2011). Il fisco, dunque, è più pesante rispetto all’Italia solo in Belgio (pressione fiscale al 47,1% sul prodotto interno lordo), Francia (46,9%) e Austria (44,2%), nei Paesi dell’area Euro. Guardando più complessivamente al raffronto con i Paesi dell’Unione europea, più marcata del 44% italiano è la pressione fiscale nei Paesi in cui tradizionalmente si pagano molte tasse (ma dove anche più ampio è il welfare): Danimarca (49,3%) e Svezia (44,6%).
Sale anche la spesa – Nel 2012 – risulta sempre dai dati diffusi dalla Banca d’Italia – è passata al 50,7% del Pil dal 50,0% del 2011. E su di essa pesa per una quota importante il debito pubblico, voce in cui l’Italia, con il 127% sul Pil (dal 120,8% del 2011) è seconda nella classifica europea, dietro alla sola Grecia (156,9%). L’incidenza della spesa sul Pil al netto degli interessi è infatti nel 2012 al 45,2% (in aumento comunque rispetto al 45,0% del 2011) e così il peso del debito in Italia è il più gravoso d’Europa, fatta eccezione per la Grecia.

Allarme Corte dei Conti: “Pressione fiscale al 53%” Catricalà: “Recuperare l’evasione del canone Rai”

Allarme Corte dei Conti:
“Pressione fiscale al 53%”
Catricalà: “Recuperare
l’evasione del canone Rai”

 

Audizione alla Camera del presidente della Corte dei Conti. “L’economia sommersa ha dimensioni rilevanti, fino al 18% del Pil. Peggio di noi solo la Grecia”. Fico, presidente della Vigilanza Rai: “Non vogliamo svendere l’azienda. Piuttosto io dico di tagliare gli F35”

 
Una ragioniera lavora ad un modello 730 nell'ufficio di un commercialista (Ansa)

Una ragioniera lavora ad un modello 730 nell’ufficio di un commercialista (Ansa)

 

Roma, 19 giugno 2013 – “Non si può pensare di offuscare con dichiarazioni il lavoro svolto insieme” mettendo “a repentaglio quello che fanno i colleghi”. Lo ha detto l’esponente del M5S e presidente della commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico che sottolinea: “Non  un fatto di diritto di critica o di opinione, ma non vedo perche’ bisogna uscire fuori e parlare contro quello che si è fatto insieme. Questo non ha nulla a che vedere con il pluralismo ma con un concetto che ha a che fare con valori piu’ alti come la lealta’”. “Davvero non conosco movimento – ha aggiunto – dove democraticamente si discute come il nostro”.

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Poi Fico ha sottolineato il suo pensiero sulla Rai: “In questo momento vendere la Rai significa svenderla e la Rai non si svende. Non si può vendere neanche un canale senza una legge seria sul conflitto di interessi e sull’antitrust”. ‘’Ho letto di stime secondo cui la vendita della Rai garantirebbe due miliardi allo Stato, ma non e’ neanche la meta’ dei soldi che abbiamo programmato di spendere per gli F35: un’assurdita’. Andrei piuttosto a tagliare gli F35 e a finanziare la Rai’’.

Fico ha annunciato che la commissione di Vigilanza Rai terrà le sue prime due audizioni congiunte martedi’ prossimo alle 20.30. Ad essere ascoltati saranno la presidente della Rai Annamaria Tarantola e il direttore generale. “Sarà data massima trasparenza alla commissione, massima visibilità alla audizione” che verrà trasmessa dal canale satellitare della Rai, sul circuito chiuso e sulla web tv. L’audizione proseguira’ fino alle 23 e se necessario verra’ aggiornata. “Ho chiesto all’ufficio di presidenza di procedere alla composizione della sottocommissione permanente di accesso”. E’ uno spazio che deve essere “assolutamente utilizzato. Ci sono gia’ molte richieste”. La formazione di questa commissione “non puo’ essere trascinata nel tempo ma va compiuta entro fine giugno”, ha aggiunto.

CORTE DEI CONTI, ALLARME EVASIONE FISCALE – La pressione fiscale effettiva “si è impennata fino al 53%”,  dieci punti oltre quella “apparente”. Il dato è stato fornito dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampolino, in audizione presso le commissione Finanze e Bilancio della Camera. “L’evasione fiscale continua a essere per il nostro paese un problema molto grave”, ha spiegato, sottolineando che il fenomeno è “tra le cause delle difficoltà del sistema produttivo, dell’elevato costo del lavoro, dello squilibrio dei conti pubblici, del malessere sociale esistente”. Giampaolino ha aggiunto che ci sono “divisioni su un tema come quello del contrasto all’evasione” e che la strategia di contrasto è caratterizzata da “andamento ondivaghi e contraddittori”. Per sua natura, ha inoltre affermato, questo tema “dovrebbe costituire elemento di piena condivisione e concordanza”.

“PEGGIO DI NOI SOLO LA GRECIA” – La Corte dei Conti, poi, sottolinea come l’economia sommersa “ha dimensioni rilevanti, fino al 18% del Pil, e colloca il nostro paese al secondo posto nella graduatoria internazionale guidata dalla Grecia“. Giampaolino ha aggiunto che per quanto riguarda l’Iva resta elevata la “propensione a non dichiarare” con una sottrazione di imposta nel 2011 pari a 46 miliardi di euro. “Molto grave”, ha poi affermato, resta anche l’evasione dell’Irap. Per i due tributi “il vuoto di gettito creato dall’evasione stimato dall’Agenzia delle entrate – ha concluso il presidente della Corte dei conti – ammonterebbe nel solo 2011 a 50 miliardi”. 

1 CONTROLLO OGNI 20 ANNI – Inoltre, a fronte di un universo di quasi 5 milioni di contribuenti che svolgono attività produttive ‘indipendenti’ e come tali a maggior rischio di evasione , il numero dei controlli approfonditi che l’Agenzia delle Entrate con l’ausilio della Gdf riesce a mettere in campo annualmente difficilmente supera i 200.000 dato che equivale ad una possibilità di controllo ogni 20 anni di attività”.

CANONE RAI – Intanto il viceministro per lo sviluppo economico Antonio Catricalà è intervenuto in merito al canone Rai. “E’ all’esito del contratto di servizio. La nostra idea è di recuperare l’evasione – ha detto -. Il contratto di servizio è già scaduto, siamo in ritardo faremo mini consultazioni, sentiremo forse anche le parti sociali”. Catricalà ha inoltre puntualizzato di non aver “mai parlato di vendita della Rai o cessione della concessione del servizio pubblico”. “La legge attuale prevede che la concessione scada a maggio 2016. Dobbiamo pensare allo scenario immediatamente successivo”, ha continuato il viceministro. “E’ necessario immaginare una consultazione pubblica di grande profilo. Non puo’ essere una scelta fatta nelle segrete stanze del ministero o della Rai – ha continuato Catricalà-. Naturalmente restano salve tutte le competenze delle commissioni parlamentari competenti, prima di tutto quella di Vigilanza”. Il viceministro ha poi precisato che “sarà comunque una scelta del Parlamento e non del governo su come si attiva di nuovo la concessione e di conseguenza la convenzione. Bisogna preparare il terreno, bisogna aver fatto un’istruttoria completa e che tutti quelli che si possono esprimere, si siamo espressi”.

COME VIENE MISURATA LA TARIFFA PUNTUALE: DAL “CODICE A BARRE” AL “TRANSPONDER”

COME VIENE MISURATA LA TARIFFA PUNTUALE: DAL “CODICE A BARRE” AL “TRANSPONDER”

 

di Giuseppe Miccoli

 

Durante il convegno di Capannori, alcuni comuni (Trento, Ponte nelle Alpi, Capannori) e alcuni consorzi (consorzio trevigiano Priula) hanno dichiarato di essere riusciti negli ultimi anni a raggiungere non solo alte percentuali di raccolta differenziata ma anche a ottenere un abbattimento dei costi di gestione, che si è tradotto per le tasche dei cittadini in un risparmio grazie alla riduzione della tariffa sui rifiuti.

Ma come ci sono riusciti? Grazie all’introduzione della tariffazione puntuale, cioè alla possibilità per ciascun utente di pagare in base a quanto rifiuto ognuno produce. Buone pratiche che anche in altri comuni (ad esempio Mola di Bari o Triggiano, per citare comuni del sud Italia) e consorzi (ad esempio Iren Emilia), sono prossime all’attuazione, grazie ad un progettazione accorta che aveva predisposto questo sistema già in fase di bando gara. La tariffazione puntuale è dunque, una necessità che “va a braccetto” con il servizio di raccolta porta a porta e che difficilmente, invece, si lega ai servizi basati sulla raccolta stradale e sul conferimento e smaltimento in discarica. La Tares introdotta dal governo Monti però è vicina più a questo secondo sistema, ma lascia tuttavia una via d’uscita a tutti quei comuni che hanno introdotto nel tempo una raccolta differenziata porta a porta: la possibilità cioè di introdurre la tariffazione puntuale.

L’Italia ormai è l’unico Paese europeo a pagare ancora il servizio di raccolta dei propri rifiuti in base ai metri quadri della proprietà di un immobile, cioè a quanti metri quadri una famiglia o un’impresa possiede. In questo modo ogni cittadino è incentivato a produrre più rifiuti possibile proprio per ottimizzare la propria tassa. Al contrario in Europa invece la tariffa viene modulata in base al servizio, in base cioè a quanti mezzi, attrezzature, e raccolte di rifiuti vengono impiegate nel corso di un periodo di tempo dal servizio comunale di nettezza urbana. In questo modo il cittadino è incentivato a produrre meno rifiuti possibile perché paga in base al servizio ricevuto. È come per il telefono il cui costo della telefonata varia anche in funzione degli scatti prodotti.

Ma come funziona? La tariffazione puntuale viene “misurata” grazie all’uso di una tecnologia che è già di uso comune, e perciò senza più vincoli di brevetto: il transponder RFID UHF (Radio Frequency IDentification Ultra High Frequency), un microchip che ha la capacità di far identificare e di far memorizzare agli operatori i dati relativi ai rifiuti esposti nei vari bidoncini o nei sacchetti. Una tecnologia che nasce per sostituire una precedente che è tuttora in uso nel settore manifatturiero: quella del “codice a barre”. In una intervista rilasciata a Eco dalle Città nel 2011 e successivamente nel 2012, Attilio Tornavacca amministratore della ESPER (Ente per lo Studio Ecosostenibile dei Rifiuti), aveva spiegato i vantaggi della tecnologia e aveva ripercorso la storia della “transponder RFID UHF” nel settore della gestione dei rifiuti, in particolare legato all’uso che se ne era fatto sui sacchetti di plastica: «l’uso di etichette con codice a barre sui sacchetti – aveva spiegato – è comparsa nel settore della gestione dei rifiuti già da molti anni. A introdurla per primi sono stati i comuni dei Navigli in provincia di Milano, e parliamo ormai del 1997, cioè 15 anni fa. Poi è stata ripresa da tanti comuni, tra cui anche comuni del centro-sud. Nel 2003 infatti il comune di Mercato San Severino ha introdotto i sacchetti con codici a barre, però nell’ottica di misurare non l’indifferenziato ma i conferimenti differenziati. Il codice a barre, tuttavia, ha posto sin dall’inizio dei problemi riguardanti la possibilità di lettura. Del resto non è come sui prodotti del supermercato, sui quali i codici a barre godono di una superficie liscia, rigida e quindi facilmente leggibile».

La tecnologia dei transponder è stata poi integrata anche sui bidoncini. Il dottor Tornavacca ha infatti spiegato che «l’uso dei transponder sui contenitori rigidi (parliamo quindi di transponder non “a perdere” ma montati sui contenitori e poi utilizzati per anni), non è certamente una novità. Nel settore della raccolta dei rifiuti i primi transponder sono comparsi più di 10 anni fa. All’epoca costavano 5-6 euro al pezzo, mentre oggi un transponder rigido arriva a costare anche 50 centesimi, cioè 10 volte meno».

 

E non è escluso che oggi costino anche di meno proprio perché i numeri sono «crescenti di questi dispositivi e l’uso è sempre più trasversale di queste tecnologie, non solo nel campo della gestione dei rifiuti, che anzi è arrivato dopo, ma inizialmente nel campo della grande distribuzione, per sostituire il codice a barre. La novità a Capannori è in realtà l’uso di transponder così miniaturizzati e così ridotti, sia in peso che in costi, da poter essere utilizzati anche solo per una volta».

IL BUSINESS DELL’INSOLVENZA E LO SCHIAVISMO PER DEBITI APPLICATI AGLI STUDENTI

IL BUSINESS DELL’INSOLVENZA E LO SCHIAVISMO PER DEBITI APPLICATI AGLI STUDENTI

 

di comidad

 

Una notizia del marzo scorso, mai arrivata in Italia, riguardava la decisione del presidente Obama di tagliare gli incentivi delle compagnie private di recupero crediti incaricate della riscossione presso gli studenti “beneficiari” di prestiti federali per potersi pagare l’istruzione universitaria. In tal modo si spera che le compagnie di recupero crediti siano un po’ meno motivate a dare la caccia agli studenti insolventi, concedendo loro un po’ di respiro.

Forse sarebbe stata una buona occasione per i media nostrani di dimostrarci la “bontà” di Obama, ma, nel darci la notizia, il rischio sarebbe stato anche quello di farci sapere che il business dell’insolvenza studentesca frutta alle compagnie private di recupero crediti circa un miliardo di dollari l’anno, e che intere generazioni di studenti americani non hanno davanti alcuna prospettiva di liberarsi definitivamente della schiavitù dei debiti. Le compagnie di recupero crediti hanno l’alibi di andare a recuperare denaro federale, cioè soldi dei contribuenti, ma in effetti, appaltando il business dell’insolvenza, il governo federale non fa altro che trasferire soldi pubblici ad affaristi privati.

Già dallo scorso anno su organi d’informazione italiani specializzati nel settore universitario, circolava la notizia del dramma dell’insolvenza studentesca negli USA, e ciò costituiva un argomento per invitare a soprassedere alle proposte di “prestito d’onore” per studenti, di cui si era fatto sostenitore Pietro Ichino, allora senatore del PD, ma tuttora lobbista della finanza a tempo pieno.

In realtà è un po’ tardi per soprassedere, dato che ormai in Italia il business dei prestiti agli studenti va a pieno regime, e se ne occupano tutti i maggiori istituti bancari. Unicredit è una delle banche più impegnate nel conferire agli studenti universitari l’onore di indebitarsi a vita, con una vasta gamma di prodotti finanziari per l’istruzione.

Le possibilità per gli studenti di sfuggire all’insolvenza sono scarsissime, perché manca la possibilità di accedere a lavori remunerativi e le famiglie di origine sono sempre più in difficoltà economica, perciò sono state già poste le basi per determinare anche in Italia un dramma dell’insolvenza. Ma non c’è da temere, poiché il gruppo Unicredit ha tra le sue compagnie una specializzata nel recupero crediti, cioè la Credit Management Bank.

Per gli istituti di credito l’insolvenza non è un malaugurato incidente, ma addirittura un auspicio, poiché consente di far lievitare negli anni dei piccoli crediti a cifre astronomiche, vincolando i malcapitati per il resto della loro vita. Il caso della Grecia ha dimostrato che l’insolvenza, vera o presunta, di uno Stato consente alle organizzazioni internazionali di applicare la categoria di schiavismo persino ad intere nazioni.

La schiavitù per debiti ha in lingua inglese un’espressione diventata ormai familiare per milioni di persone: “debt bondage”. Negli Stati Uniti il recupero crediti è infatti uno dei maggiori business, che riguarda anche grandi gruppi bancari.

In California il colosso bancario JP Morgan dal mese scorso sta avendo qualche piccola noia giudiziaria per i suoi metodi criminali nel recupero crediti. Il procuratore generale della California si è deciso a prendere in considerazione le numerose e circostanziate denunce dei consumatori, ma purtroppo l’esperienza passata mostra che gli strumenti giudiziari hanno il fiato corto contro un lobbying finanziario così ramificato e ben attrezzato.

Come già ricordato, il lobbying finanziario è in frenetica attività anche in Italia, dato che l’indebitamento studentesco costituisce uno dei maggiori business in prospettiva. Pietro Ichino si è ispirato al principio che quanto più l’affare è sordido, tanto più devono sembrare altisonanti le motivazioni etiche invocate per giustificarlo; ed ovviamente non poteva mancare lo slogan della “meritocrazia”.

Peccato che a smentire la mitologia meritocratica provveda lo stesso Ichino, il quale si rivela con le sue proposte un pedissequo plagiario della propaganda del Fondo Monetario Internazionale, come dimostra un articolo a firma di Nicholas Barr, dedicato alle mirabolanti virtù dell’indebitamento studentesco, e pubblicato nel 2005 su “Finance e Development”, rivista trimestrale del FMI.

Ma la maggiore agenzia di lobbying è proprio il governo. La recente segnalazione del generale Fabio Mini ha nuovamente posto in evidenza lo storico intreccio d’affari tra il Ministero della Difesa e Finmeccanica, ma questo ruolo di lobbying del governo non si limita affatto alla vendita di armi.

 

A riconferma di un lobbying governativo in ambito finanziario, lo scorso aprile è stato formalizzato l’accordo tra il Ministero dell’Istruzione e BancoPosta per attivare dal prossimo settembre la carta elettronica “IoStudio” per gli studenti della scuola superiore di secondo grado, quindi a partire dai 14 anni di età. Questa carta può diventare un vero e proprio strumento di “servizi” finanziari, anche se per ora è solo una card prepagata; ma un domani chissà. Quel che è certo è che l’arrivo di questa card determinerà una sempre maggiore confidenza dei ragazzi con i servizi finanziari, cioè quel senso di infondata autostima che è alla base di scelte irreparabili come indebitarsi.

Arriva il nuovo riccometro Stretta sui redditi fantasma

Arriva il nuovo riccometro
Stretta sui redditi fantasma

 

L’Isee serve a misurare la condizione economica delle famiglie e a godere di servizi sociali agevolati. CONSULTA LA GUIDA

di Matteo Palo

 
Famiglia (foto Radaelli)

Famiglia (foto Radaelli)

 

di Matteo Palo
Roma, 15 giugno 2013 – SI SCRIVE indicatore della situazione economica equivalente (Isee), ma si legge ‘riccometro’. La nuova versione dello strumento che serve a godere di servizi sociali agevolati, dopo una falsa partenza, è pronta a fare il suo esordio ufficiale. Con l’approvazione della Conferenza unificata tra Governo, Regioni e Comuni il nuovo strumento è, ormai, lanciato verso la piena funzionalità. Per i furbetti del welfare, che godono di prestazioni pubbliche a prezzi d’occasione, è iniziato il conto alla rovescia. L’Isee era, di fatto, stato già revisionato dal governo Monti. Qualche perplessità in capo alle Regioni, ora superata, lo aveva rallentato. Adesso, dopo il passaggio in Conferenza, sarà portato in Consiglio dei ministri, per poi essere approvato dal Parlamento e arrivare al traguardo: il tutto, si spera, entro la fine dell’anno.

LO STRUMENTO serve a misurare la condizione economica delle famiglie, dando ai cittadini meno ricchi la possibilità di godere di prestazioni sociali agevolate. Viene usato, ad esempio, per determinare il livello di tasse universitarie che gli studenti devono pagare. O per regolamentare l’accesso agli asili nido. O, ancora, per avere bonus sulle bollette telefoniche e su quelle elettriche.

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L’Isee – questa è la sua caratteristica – non considera solo i dati relativi al reddito ma un ventaglio di elementi parecchio più ampio, che comprende le proprietà mobiliari e immobiliari. Andando a scandagliare la situazione del cittadino in modo molto più approfondito rispetto al passato. Auto di lusso, barche e moto di grossa cilindrata faranno perdere molti punti. Nel patrimonio immobiliare sarà calcolato il valore conteggiato ai fini Imu e saranno incluse le proprietà detenute all’estero. Nel patrimonio mobiliare, invece, sarà contata una grandissima varietà di elementi: titoli di Stato, obbligazioni, quote in fondi di investimento, certificati di deposito, azioni, conti correnti bancari.

LA STRETTA in arrivo, poi, consisterà anche in una revisione di alcuni parametri per smascherare più facilmente gli abusi. Come nel caso della determinazione dei nuclei familiari. I coniugi con diversa residenza saranno considerati nuclei distinti solo dopo aver ottenuto una pronuncia di separazione giudiziale. O, ancora, non basterà più dire di non avere un conto in banca per tirare fuori dal calcolo i risparmi. Verranno, poi, introdotte una serie di franchigie, generalmente più basse delle vecchie. I redditi dei dipendenti potranno godere di una franchigia massima di 3mila euro, mentre per le pensioni ci si fermerà a mille. Per i beni mobili si scende da 15mila a 6mila euro. Per chi vive in affitto ci sarà uno sconto di 7mila euro, mentre altri 5mila euro spetteranno a chi assiste un disabile grave.

Rispetto al passato, poi, l’Isee potrebbe avere una portata più ampia. Secondo fonti di governo, infatti, sarebbe allo studio l’ipotesi di usare il riccometro per determinare l’effettiva ricchezza delle famiglie ai fini del pagamento dell’Imu. Un modo per essere più precisi nell’aggredire solo i patrimoni di chi può davvero permetterselo.

Iva, verso il rinvio a dicembre. Si stringe su lavoro e semplificazioni

Iva, verso il rinvio a dicembre. Si stringe su lavoro e semplificazioni
Si sarebbe deciso anche questo nel vertice a Palazzo Chigi tra Letta, Saccomanni e Franco

PER APPROFONDIRE enrico letta, iva, tasse, fabrizio saccomanni, crisi
di Marco Conti

ROMA – Scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dal prossimo primo luglio avviando una serie di tagli di spese improduttive che il ministero dell’Economia di Fabrizio Saccomanni e la Ragioneria, guidata da Daniele Franco, hanno iniziato ad individuare. Il rinvio a fine anno, in attesa della legge di stabilità, dell’aumento dell’Iva si fa quindi molto concreto. Così come la possibilità che l’Imu venga rimodulata prima della scadenza del rinvio fissato per fine agosto. Tutto ciò è frutto del summit a tre, voluto dal presidente del Consiglio Enrico Letta, con il Ragioniere generale dello Stato e il titolare di via XX Settembre, per imprimere un’accelerazione al pacchetto di riforme di rilancio dell’economia.

Di fatto un percorso parallelo tra il ministro Saccomanni e il ministro Quagliariello. Tra le riforme economiche e quelle istituzionali, che Letta ha più volte rivendicato. E poiché «la nostra economia, e le tasche di molti cittadini, senz’altro non ha bisogno» di un nuovo incremento dell’Iva – come ha ieri sottolineato il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia – è normale che il governo stia seriamente lavorando per tentare di recuperare altrove le risorse necessarie. Per evitare l’aumento dell’Iva si tratta infatti di recuperare due miliardi. Cifra non impossibile per il bilancio dello Stato, ma che costringe il governo ad immaginare possibili tagli in attesa di una completa rimodulazione dell’imposta che sarà possibile con la delega fiscale, mentre per il taglio del cuneo fiscale occorrerà attendere la legge di stabilità.

Malgrado il pressing dei partiti e delle forze sociali, Confindustria in testa, Letta continua a muoversi con i piedi di piombo per non dare oltreconfine l’impressione di una sorta di arrembaggio a quelle risorse liberate dalla chiusura della procedura per deficit eccessivo. A palazzo Chigi si lavora per mettere a punto il decreto estivo che, oltre al rinvio dell’aumento dell’Iva, dovrebbe contenere alcune misure per il rilancio dell’occupazione giovanile, con il bonus fiscale e previdenziale per chi assume, un nuovo pacchetto di semplificazioni e di liberalizzazioni. Per l’Imu c’è tempo sino a fine agosto, ma non è detto che il governo possa mettere tutto nello stesso decreto. Nella proposta, presentata dai tecnici di via XX Settembre, si ipotizza una riforma della tassazione della casa prevedendo sgravi per le famiglie a più basso reddito.

I TECNICI
Resta da vedere se la soluzione trovata dai tecnici dell’Economia e dalla Ragioneria incontri il favore dei partiti. Soprattutto del Pdl che sinora si è mostrato irremovibile sulla totale cancellazione della tassa sulla prima casa. La caccia alle coperture è solo all’inizio, ma secondo i calcoli sui quali si discuteva ieri, il mancato aumento dell’Iva potrebbe generare da solo un aumento del Pil dello 0,24% in grado di evitare un ulteriore perdita di gettito.

Ovviamente tutta la manovra dovrà essere a saldo zero perché, come sostiene Letta, «è finito il tempo dei debiti». Resta comunque alta a palazzo Chigi l’attesa per la riunione dei ministri dell’Economia di Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna di metà mese e per il vertice europeo del 27 giugno. E’ per questo che ieri il presidente del Consiglio ha poco gradito la polemica tra Epifani e Alfano, segretari dei principali partiti che appoggiano la maggioranza, sul ruolo che l’Italia deve svolgere in Europa su come trattare l’alleato più ostico: la Germania di Angela Merkel.

Maternità anticipata: breve guida

Maternità anticipata: breve guida

06 maggio 2013 | Pubblicato da:  | Commenti: 1 | In: Blog

Maternità anticipata: breve guida

La maternità anticipata è un periodo di interdizione dal lavoro che precede il periodo diastensione obbligatoria (congedo di maternità della durata di cinque mesi) e il congedo parentale.

Per quali motivi si può richiedere?

Può essere chiesta dalla gestante nei mesi che precedono l’interdizione obbligatoria dal lavoro, in alcuni casi particolari:

  • quando insorgono problemi di salute che mettono a rischio la gravidanza ed è consigliato un periodo di riposo oppure caso di gravi complicanze della gravidanza o di forme morbose della gestante che possono essere aggravate dalla gravidanza. La legge tutela lo stato di salute della gestante e del nascituro;
  • quando le condizioni di lavoro non lo consentono poiché l’ambiente di lavoro potrebbe non essere considerato salubre e potrebbe mettere a rischio la gravidanza o la salute della donna e del bambino;
  • quando le mansioni di lavoro della gestante sono un pericolo per la gravidanza (es. sollevare pesi, gestire solventi chimici ecc.) e il datore di lavoro non può spostare la lavoratrice su altre attività.

Chi può farne domanda

La maternità può essere richiesta ovviamente dalle lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato e determinato, ma come sappiamo ci sono altri tipi di contratti e collaborazioni  nel mondo del lavoro. Hanno dunque diritto alla maternità anticipata anche:

  • le lavoratrici a progetto e categorie assimilate (lavoratrici coordinate e continuative);
  • le lavoratrici che svolgono prestazioni occasionali;
  • le associate in partecipazione;
  • le libere professioniste che versano i contributi nella gestione separata, purché si astengano effettivamente dalla attività lavorativa durante i periodi tutelati.
La maternità anticipata spetta anche alle lavoratrici parasubordinate http://bit.ly/104Iddl via @6sicuro

L’astensione dal lavoro dovrà essere attestata con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte della lavoratrice e del committente o associante in partecipazione o della libera professionista.

Come si richiede

Di seguito i passaggi per ottenere l’interdizione anticipata dal lavoro

  • recarsi nella sede di competenza dell’Ispettorato del Lavoro (è possibile compilare il modulo direttamente lì) appena si ha la certezza di essere incinte (nel caso di un lavoro insalubre o pregiudizievole alla salute del bambino e della madre) oppure appena sopraggiungano le condizioni di complicanze della gestazione;
  • portare un certificato originale del ginecologo del servizio sanitario nazionale (oltre a una fotocopia se il certificato è rilasciato da un medico privato) che attesti lo stato di gravidanza e la data presunta del parto e tutto quanto accerti che la gravidanza è a rischio (diagnosi e prognosi) oppure che l’attività lavorativa mette in pericolo la gestazione.
  • la ASL di competenza, su richiesta dell’Ispettorato del Lavoro, verifica la presenza delle condizioni di rischio sul luogo di lavoro poi invia rapporto del sopralluogo all’Ispettorato del Lavoro;
  • la maternità anticipata viene concessa con provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro e viene spedita con raccomandata al datore di lavoro e alla gestante per conoscenza.
L’ter per la richiesta di maternità anticipata

Trattamento economico

Per quanto concerne le lavoratrici dipendenti, il trattamento economico erogato durante la maternità anticipata è identico a quello concesso per la maternità obbligatoria e consiste in un’indennità economica giornaliera posta a carico dell’INPS pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga immediatamente precedente l’inizio del congedo, maggiorata dei ratei delle mensilità aggiuntive e degli altri elementi ricorrenti della retribuzione.
Nel caso di lavoratrici parasubordinate e libere professioniste l’indennità di maternità è calcolata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, comprese le festività, in misura pari all’80% di 1/365 del reddito medio annuo derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, nel periodo di riferimento.

Maternità obbligatoria: tutto quello che devi sapere!

Maternità obbligatoria: tutto quello che devi sapere!

13 maggio 2013 | Pubblicato da:  | Commenti: 0 | In: Blog

Maternità obbligatoria: tutto quello che devi sapere!

La maternità obbligatoria, ovvero il congedo di maternità, indica il periodo in cui la madre lavoratrice deve astenersi obbligatoriamente dal lavoro. Il periodo in questione può essere preceduto dalla maternità anticipata e seguito dal congedo parentale facoltativo.

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Tutto quello che devi sapere sulla maternità obbligatoria http://bit.ly/10aAfgZ via @6sicuro

A chi spetta

Il congedo di maternità obbligatorio spetta a diverse categorie di lavoratrici. Vediamo quali (per semplicità espositiva abbiamo escluso i casi particolari):

  • lavoratrici dipendenti assicurate all’INPS (apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti) che hanno un rapporto di lavoro in corso alla data di inizio del congedo;
  • disoccupate o sospese nel caso in cui il congedo di maternità sia iniziato entro 60 giorni dall’ultimo giorno di lavoro;
  • disoccupate o sospese che hanno diritto all’indennità di disoccupazione, alla mobilitàoppure alla cassa integrazione;
  • lavoratrici agricole a tempo indeterminato ed alle lavoratrici agricole tempo determinato che nell’anno di inizio del congedo abbiano maturato almeno 51 giornate di lavoro agricolo;
  • colf e badanti che hanno 26 contributi settimanali nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità oppure 52 contributi settimanali nei due anni precedenti l’inizio del congedo stesso;
  • lavoratrici a domicilio;
  • lavoratrici impegnate su attività socialmente utili o di pubblica utilità;
  • collaboratrici a progetto, cosiddette cocopro;
  • libere professioniste iscritte alla gestione separata (l’indennità è legata all’effettiva astensione dall’attività lavorativa).

Le lavoratrici autonome (artigiane e commercianti) e le libere professioniste iscritte alle casse professionali hanno invece diritto all’indennità relativa alla maternità obbligatori ma non sono tenute all’astensione effettiva dal lavoro.

Periodo di astensione

Il periodo di astensione dal lavoro e di corresponsione della relativa indennità riguarda:

  • 2 mesi precedenti la data presunta del parto (si calcolano senza includere la data presunta del parto);
  • l’eventuale periodo intercorrente tra data presunta e data effettiva del parto;
  • 3 mesi successivi al parto decorrenti dal giorno successivo alla data stessa.

Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, pari a 5 mesi, le lavoratrici possono usufruire della flessibilità del congedo, astenendosi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi al parto.
Per poter avvalersi di questa facoltà è necessario che il medico specialista ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale ed il medico aziendale (se previsto per legge) certifichino che tale opzione non comporta pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Se in azienda non è prevista la figura del medico competente, è necessaria la dichiarazione del datore di lavoro che lo attesti.

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Quanto dura la maternità obbligatoria? http://bit.ly/10aAfgZ via @6sicuro

Come si richiede

Per avere diritto alla maternità obbligatoria, entro il settimo mese di gravidanza (è opportuno muoversi con un po’ di anticipo), la futura mamma deve presentare una domanda apposita aldatore di lavoro e all’INPS che deve essere corredata da una certificazione medica che specifichi la data presunta del parto e il mese di gestazione. La nascita deve poi essere comunicata con l’autocertificazione entro 30 giorni, sia all’Istituto di Previdenza sia al datore di lavoro, al quale si dovrà anche comunicare se si intende riscuotere gli assegni familiari per il bambino e richiedere le detrazioni per carichi di famiglia.

Trattamento economico

Per quanto concerne le lavoratrici dipendenti e le parasubordinate, il trattamento economico erogato durante la maternità obbligatoria consiste in un’indennità economica giornaliera posta a carico dell’INPS pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga immediatamente precedente l’inizio del congedo, maggiorata dei ratei delle mensilità aggiuntive e degli altri elementi ricorrenti della retribuzione.
Le libere professioniste hanno invece diritto ad una indennità nella misura dei 5/12 dell’80% del reddito professionale dichiarato nel secondo anno antecedente alla data del parto.

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Qual è il trattamento economico durante la maternità obbligatoria? http://bit.ly/10aAfgZ via @6sicuro

Paternità obbligatoria

papà sono molto penalizzati e non hanno molte possibilità di godersi il nascituro. La paternità obbligatoria è rappresentata da un solo giorno da prendere entro i 5 mesi dalla nascita del bimbo retribuito al 100%. In più vengono concessi due giorni facoltativi comunque entro i primi 5 mesi ma in sostituzione a quelli della madre e retribuiti al 100%.

Maternità facoltativa: come, quando, quanto dura?

Maternità facoltativa: come, quando, quanto dura?

22 maggio 2013 | Pubblicato da:  | Commenti: 0 | In: Blog

Maternità facoltativa: come, quando, quanto dura?

Proseguiamo con la nostra carrellata informativa sull’astensione dal lavoro per la nascita di un figlio e, dopo la maternità anticipata e quella obbligatoria, parliamo della maternità facoltativa.

Periodo di riferimento

La maternità facoltativa, propriamente detta congedo parentale, è un periodo di astensione dal lavoro successivo al periodo di maternità obbligatoria.
La mamma lavoratrice dipendente – ma a determinate condizioni vale anche per parasubordinate, libere professioniste e lavoratrici autonome – ha diritto ad un periodo di astensione dal lavoro di 6 mesi e ne può usufruire nell’arco dei primi 8 anni di vita del bambino.
Il congedo parentale può essere continuativo oppure frazionato in mesi, giorni e grazie ad una recente novità anche in ore (quella mezza giornata per andare al saggio o dal medico, per intenderci).

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Sapevi che il congedo parentale può essere frazionato in ore? http://bit.ly/10XLdCz via @6sicuro

Come si richiede?

La domanda di congedo parentale deve essere presentata all’INPS in via telematica, ecco le diverse possibilità:

  • Web – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN dispositivo attraverso il portale dell’Istituto (www.inps.it – Servizi on line);
  • Contact Center integrato – n. 803164 gratuito da rete fissa o al n. 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico;
  • Patronati , attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Retribuzione

Esistono due livelli retributivi:

  • entro i primi 3 anni bambino per un periodo massimo complessivo di 6 mesi spetta importo pari al 30% della retribuzione media giornaliera calcolata considerando la retribuzione del mese precedente l’inizio del periodo di congedo;
  • dai 3 anni e un giorno agli 8 anni del bambino il congedo viene retribuito al 30% solo se il reddito individuale del genitore risulti inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione, insomma in gaso di forte disagio economico; altrimenti il congedo per un bambino con più di 3 anni non viene retribuito affatto.

E se si astiene dal lavoro il papà?

A differenza della maternità anticipata e di quella obbligatoria, il congedo parentale è un diritto che riguarda anche i papà. I genitori possono dunque decidere insieme chi dei due si asterrà dal lavoro, magari anche valutando insieme chi perde di più in termini retributivi (gli importi sopra citati sono identici che si parli di mamma o di papà). A variare sono i periodi di astensione, nel dettaglio:

  • il padre può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 7 mesi;
  • le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite complessivo di 11 mesi;
  • il genitore solo può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 10 mesi.

Napolitano: “Dobbiamo essere all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”

Napolitano: “Dobbiamo essere all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”

“Dobbiamo essere una Repubblica all’altezza dell’articolo 1 della Costituzione”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una intervista al Tg5 torna a parlare del lavoro che non c’è e dei milioni di giovani in cerca di un’occupazione. Non solo in Italia. “Quel primo articolo ebbe grande significato, si discusse moltissimo in Assemblea costituente e si scelse questa dizione anziché l’altra ‘è una Repubblica dei lavoratori’ -ha ricordato il capo dello Stato-. ‘Fondata sul lavoro’ è qualcosa di più, c’è un principio regolatore cui si devono uniformare tutti gli attori sociali e le rappresentanze politiche”.
Dramma della disoccupazione, specie dei giovani – “Quello della disoccupazione giovanile non è un problema puramente italiano”, ha riconosciuto il presidente della Repubblica: “L’Economist è uscito con una copertina e un editoriale dal titolo ‘Una generazione senza lavoro’. Si parla, solo nei Paesi del mondo ricco, di 26 milioni di giovani che non sono più nel processo formativo, non fanno addestramento e non hanno lavoro – ha spiegato il capo dello Stato. Nell’insieme, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha fatto la cifra di 75 milioni di giovani disoccupati, qualcosa di simile alla popolazione di un grande Paese”. Per Napolitano, “la verità è che sono cambiate le tecnologie, i termini dell’occupazione e si è colto molto in ritardo il dilagare della disoccupazione giovanile sia in Occidente che nei Paesi emergenti e in Italia lo sentiamo molto acutamente e drammaticamente”.
Fuga cervelli è una perdita secca per l’Italia  – La fuga dei cervelli “é una perdita secca per l’Italia, che si accolla il costo della loro formazione e poi si vede deprivare di fondamentali energie. Occorre trovare le condizioni perché restino qui. Non si tratta di mettere divieti. Un’esperienza all’estero è fisiologica. Quello che è patologico è restare fuori”. L’emigrazione al’estero dei laureati “é una reazione naturale alle difficoltà in Italia. Penso soprattutto a chi fa ricerca e non trova sbocchi. E’ una libera scelta cercare altrove. La questione è creare le condizioni perché le persone possano tornare”.
Combattere deriva psicologica giovani – “Si deve innanzitutto garantire la massima attenzione da parte delle Istituzioni – Governo, Parlamento e anche Regioni ed Enti locali – per la condizione dei giovani che rischia davvero di essere molto critica: ci si sente privi di prospettive, e si deve reagire anche a questo stato d’animo, a questa deriva psicologica”, afferma Napolitano. “Certamente non bastano le assicurazioni, ma intanto – aggiunge il capo dello Stato – credo che già solo il mettere l’accento sul problema serva, e poi occorrono decisioni, scelte concrete come quelle di cui proprio in questo momento si sta parlando in Italia e in Europa”, afferma il capo dello stato.
Lavoro, anche con raccomandazione non si trova  – “Il problema della disoccupazione giovanile ha dimensioni tali che è scalfito in misura irrilevante dalla pratica della raccomandazione. Questa è solo un piccolo tassello del problema. Milioni di giovani anche con la raccomandazione non trovano lavoro”. A proposito della lamentela di molti giovani che ancora in Italia conta più la raccomandazione del merito, Napolitano infatti risponde: “Anche questo è un aspetto grave e deteriore, però il problema della disoccupazione giovanile ha delle dimensioni tali che non è scalfito se non in misura irrilevante dall’assunzione per raccomandazione. Anche se questa pratica continua, ed è da combattere e da sradicare, ormai è soltanto un piccolo tassello del problema. La verità è che ci sono milioni e milioni di giovani che, né con la raccomandazione, né senza raccomandazione, riescono a trovare lavoro”.