“La violenza domestica uccide più delle guerre”

“La violenza domestica uccide più delle guerre”

La violenza domestica, soprattutto contro donne e bambini, uccide più delle guerre: è la sorprendente conclusione del primo studio che tenta di calcolare il prezzo anche monetario di un fenomeno che, secondo i suoi autori, costa all’economia mondiale oltre 8.000 miliardi di dollari all’anno. Il dossier, commissionato dalCopenaghen Consensus, il think tank del sociologo danese Bjorn Londborg, sollecita le Nazioni Unite a prestare attenzione agli abusi domestici che di fatto rischiano di essere trascurati a livello internazionale a fronte dei conflitti armati, dalla Siria all’Iraq, all’Ucraina.
Le case come un campo di battaglia – “Per ogni morto civile su un campo di battaglia, nove persone sono uccise in dispute interpersonali”, hanno calcolato Anke Hoeffler della Università di Oxford e James Fearon di Stanford University, gli autori del rapporto. Il nuovo studio si ispira a ricerche americane che hanno stimato, includendo mancati guadagni e spese per la giustizia, in 9,1 milioni di dollari il costo medio di un omicidio. Dalle risse domestiche ai conflitti armati, secondo Hoeffler e Fearon, la violenza costa al mondo 9.500 miliardi di dollari l’anno, per lo più in output economico mancato, e l’equivalente dell’11,2 per cento del Pil.
Violenza e abusi rubano non meno del’1,9% del Pil – Questi costi tuttavia, secondo Hoeffler e Fearon, non derivano più di tanto dalle guerre civili – 170 miliardi annui – che impallidiscono davanti ai 650 miliardi degli omicidi e soprattutto alle migliaia di miliardi della violenza domestica. Basandosi su costi stimati, lo studio valuta che gli abusi non letali sull’infanzia rubano l’1,9 per cento del Pil nei paesi ricchi e fino al 19 per cento nelle nazioni povere dell’Africa sub Sahariana dove le punizioni corporali più severe sono comuni.
Violenza in casa è spesso trascurata – Secondo Lomborg la violenza in casa è spesso trascurata nello stesso modo con cui gli incidenti d’auto, che uccidono di più, attirano meno attenzione dei disastri aerei. “Non vogliamo solo dire che abbiamo un grosso problema”, ha spiegato: “Vogliamo invitare a trovare soluzioni intelligenti”. L’idea rientra nello sforzo del Copenaghen Consensus di aiutare l’Onu a individuare target per il 2030 che raccolgano il testimone dagli obiettivi del Millennio in scadenza nel 2015 e che includono attualmente la riduzione della povertà e il miglioramento delle scorte di acqua. I nuovi obiettivi, è il suggerimento, potrebbero includere la fine delle percosse gravi come forma accettata di disciplina per minori e la riduzione della violenza domestica contro le donne.

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

Rifiuti radioattivi, gestirli in modo più razionale

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La Francia, riferisce La Stampa del 9 settembre, ha deciso di bloccare il trasferimento dall’Italia delcombustibile nucleare da riprocessare. I trasporti nucleari da Saluggia via Val Susa a La Hague vengono, al momento, interrotti.

Sappiamo, in particolare, che da Saluggia (sede di depositi temporanei di rifiuti radioattivi) e Trino (ex centrale nucleare) le scorie nucleari vengono inviate via treno a La Hague per un riprocessamento che, in teoria, dovrebbe mettere in sicurezza i rifiuti atomici, ma che in pratica attenua ma non annulla affatto il lascito mortale dei prodotti di fissione consumati nei reattori, ancorché dismessi.

Lo sappiamo, perché il movimento No Tav ha avuto il merito di promuovere, in particolare a Villar Focchiardo, comune che a suo tempo ha predisposto un ricorso al Tar, convegni aperti e sostenuti da interventi di esperti sull’argomento ed ha attivato in collaborazione con i francesi di Sortir du Nucléaire, una rete di attivisti che protestano con blocchi non violenti per sollevare il problema della messa in sicurezza del percorso dei treni carichi di materiali radioattivi.

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Le stesse scorie trattate nell’impianto francese dovrebbero compiere il cammino a ritroso per l’immagazzinamento finale in Italia nel deposito unico di stoccaggio che dovrebbe essere pronto entro il 2025, come richiesto dalle normative in atto nei Paesi europei. Ma a Parigi non si fidano che potremmo, noi “italiani”, riprendere le scorie indietro, costruendo in massima sicurezza un deposito entro la scadenza del 2025. Ed ecco la decisione di sospendere i viaggi.

Dopo i cinque viaggi già effettuati, La Stampainforma che “a Trino restano ancora 47 barre di combustibile nucleare esaurito e a Saluggia 13,2 tonnellate di combustibile irraggiato che aspettano di varcare le Alpi per essere riprocessate“. Sarebbero necessari ancora tre viaggi, che, al solito, avvengono pressoché clandestinamente.

Per la sede del deposito italiano, che sarà di superficie (e dunque non sotterraneo come quello a suo tempo ipotizzato a Scanzano Jonico), Giampiero Godioex ricercatore dell’impianto di Eurex, teme che alla fine si punti su Saluggia, in provincia di Vercelli. In effetti, afferma, “l’Italia è quel Paese noto per far diventare definitivo il temporaneo. A Saluggia c’è già depositata la maggioranza delle scorie radioattive italiane nei centri D2 e D3, tra l’altro in una collocazione “infame”, a ridosso della Dora Baltea (dove le esondazioni del fiume sono frequenti e i recenti fenomeni estremi si sono già manifestati)”.

Dovrebbe essere – e questo è per noi inconcepibile – la società pubblica Soginazienda che gestisce lo smantellamento delle vecchie centrali, appena uscita da periodo di sprechi, scandali e indagini,  a occuparsi dell’iter di predisposizione del deposito, da definire e perfezionare entro il gennaio del 2015.

I francesi hanno motivi seri per dubitare dei nostri tempi, in quanto va ricordato, ad esempio, che secondo legge n. 368 del 2003, di recepimento delle direttive Ue, il deposito nazionale avrebbe dovuto essere operativo entro la fine del 2008. Ma siamo al punto in cui siamo: cioè, di fatto, si sta partendo, a chiacchiere, solo ora per ripiegare magari sui palliativi più facilmente a disposizione.

Non va infine dimenticato che il riprocessamento effettuato a La Hague con la tecnologiaPurex serve alla Francia anche per estrarre dalle scorie radioattive il plutonio necessario alla costruzione delle sue bombe atomiche.

L’intera vicenda possiamo inserirla nella categoria: “referendum del 2011 da attuare”. Gli italiani, in 27 milioni si sono pronunciati contro il rischio nucleare, quindi dobbiamo esigere dai decisori politici che la questione dei rifiuti radioattivi, nel rispetto della volontà popolare, sia gestita nel modo più razionale trasparente e sicuro possibile.

L’ALLARME DEL WWF: “BASTA CEMENTO SULLE NOSTRE COSTE”

L’ALLARME DEL WWF: “BASTA CEMENTO SULLE NOSTRE COSTE”

 

Tratto da http://www.today.it/green/cemento-coste-italiane-wwf.html

 

Oltre 8.000 chilometri di coste che andrebbero tutelati, valorizzati e preservati dall’invadente intervento dell’uomo. E invece dal 1988 ad oggi ben 312 “macro attività umane” hanno sottratto suolo naturale a pochi passi dal mare: villaggi, residence, centri commerciali, porti, autostrade, dighe e barriere hanno alterato il profilo e il paesaggio del nostro Paese facendo perdere biodiversità e patrimonio naturale.

“In un quarto di secolo abbiamo cancellato e imprigionato, coprendole di cemento, l’incomparabile bellezza delle nostre dune sabbiose, compromesso irrimediabilmente la macchia mediterranea, i boschi costieri e le aree di riposo e ristoro, come stagni costieri e foci di fiumi, per migratori”, dice Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia. Ben il 10% delle coste italiane sono artificiali e alterate dalla presenza di infrastrutture pesanti come porti, strutture edilizie, commerciali ed industriali che rispecchiano l’intensa urbanizzazione di questi territori in continuo aumento e dove si concentra il 30% della popolazione.

Le regioni più colpite sono Sicilia e Sardegna, con 95 e 91 casi rispettivamente di nuove aree costiere invase dal cemento, ma a segnare un record negativo è la costa adriatica, dove meno del 30% del “waterfront” è libero da urbanizzazioni. Il tutto documentato da una serie di foto tratte da Google che illustrano i casi più eclatanti regione per regione. Persino le aree protette che l’Europa ci chiede di salvaguardare hanno subito interventi e rischiano di scomparire pezzo dopo pezzo. Un quadro che conferma quanto denunciato quest’anno dallo stesso ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha definito lo stato di conservazione complessivo degli habitat costieri di interesse comunitario “non soddisfacente” (cattivo o inadeguato) per l’86,7% a fronte di un dato medio di tutti gli habitat presenti in Italia del 67,6%.

Alcuni esempi

Dalla cava del 2003 della Baia di Sistiana in Friuli, occupata poi da un mega villaggio turistico, alla Darsena di Castellamare di Stabia in Campania; dall’urbanizzazione della foce del Simeto in Abruzzo, al porto turistico ampliato e villaggio turistico sulla foce del Basento in Basilicata. Sono alcune delle “case history” illustrate nella foto gallery regione per regione pubblicata dal WWF. E a peggiorare le cose, il fatto che di tanta meraviglia non esista un “custode” unico visto che ad oggi nessuno sa chi realmente governi le nostre coste: la gestione è “condivisa” a livelli molto diversi (Stato, Regioni, Enti locali) con una frammentazione di competenze che ha portato spesso a sovrapposizioni, inefficienze, illegalità, e complicazioni gestionali e di controllo. Dalla legge sulla “Protezione delle bellezze naturali” del 1939, all’articolo 9 della Costituzione che tutela il paesaggio, passando per la Convenzione Ramsar sulle zone umide del 1971, senza dimenticare la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo e la Convenzione sulla diversità biologica di Rio del 1992, non mancano certo le leggi a tutela delle coste. Nonostante questo, non si sa chi le governi.

Ebola, caso sospetto nelle Marche. Ricoverata donna

Ebola, caso sospetto nelle Marche. Ricoverata donna

Si tratta di una 40enne, straniera e regolarmente residente in Italia, tornata da una settimana dalla Nigeria

C’è un sospetto caso Ebola nelle Marche. Lo ha confermato l’assessore alla Salute Almerino Mezzolani. Si tratterebbe di una 42enne di origini nigeriane, regolarmente residente in Italia, a Civitanova Marche, che era stata di recente nel suo Paese. La Regione sta acquisendo tutte le informazioni e attiverà le procedure del caso. I sintomi sono simili a quelli della febbre emorragica, ma la diagnosi non è stata ancora confermata. La donna è ricoverata nell’ospedale di Civitanova Marche (Macerata). Guarda il servizio

Attivato il protocollo di allerta
«Anche se fosse confermato che si tratta di Ebola, è altamente improbabile che il virus si diffonda in Italia, grazie alle nostre condizioni igieniche sanitarie» ha detto Stefano Vella, direttore del dipartimento farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), a margine dell’audizione in Commissione Affari Sociali della Camera. Il Ministero della Salute, in una nota, ha reso noto che la donna è «in apparenti buone condizioni di salute» e che «sono state attivate tutte le procedure previste dalle circolari emanate da questo Ministero, in linea con le indicazioni internazionali e recepite a livello regionale, tra le quali l’invio di campioni biologici all’INMI Spallanzani di Roma per le prescritte analisi di laboratorio». La donna era stata visitata al pronto soccorso dell’Ospedale di Civitanova Marche. Tornata 6 giorni fa dalla Nigeria manifestava febbre superiore a 38° C, dolori muscolari, nausea e vomito. La donna è stata poi trasferita nella Divisione di Malattie Infettive emergenti e degli immunodepressi dell’Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona, identificata come punto unico di ricovero regionale in casi di questo genere. Non ci sono rischi di contagio

Il sindaco di Civitanova: «No allarmismi»
Il primo cittadino di Civitanova, Tommaso Claudio Corvatta, ha rivolto un appello affinché non ci sia nessun allarmismo. «Stiamo parlando di una persona di nazionalità nigeriana da diversi anni residente a Civitanova, che si è presentata al pronto soccorso dell’ospedale con sintomi abbastanza comuni, quali febbre e disturbi gastrointestinali. È al momento prematuro parlare di Ebola». E aggiunge: «In questo momento, non c’è motivo di allarmismo e mi preme rassicurare la cittadinanza, in particolare chi abita in zone attigue al domicilio della donna. Non vi è rischio di trasmissione per contatti casuali, quali possono essere quelli con i vicini di casa. Qualora i sospetti venissero confermati sarà immediatamente eseguita la profilassi sui familiari della donna». Liberia: reportage al centro dell’epidemia

Burundi, uccise tre suore italiane

Burundi, uccise tre suore italiane: “Sono state tutte violentate e una decapitata”

Tre missionarie saveriane della diocesi di Parma hanno perso la vita nel convento della località di Kamenge. La polizia: “Prima la violenza sessuale, poi una delle tre è stata decapitata”. Il possibile movente è quello di una rapina da parte di uno squilibrato. Il ministro Mogherini: “Grande dolore”

Suore uccide in Burundi

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Violentate e dopo uccise. Una delle tre decapitata. Sono i particolari raccontati dal vice direttore generale della polizia burundese Godefroid Bizimana all’agenzia France Presse sulla morte delle tre missionarie saveriane italiane, uccise nelle scorse ore nel loro convento, nella località di Kamenge, in Burundi. Le vittime sono suor Luci Pulici (73 anni), suor Olga Raschietti (80 anni) e suor Bernardetta Boggian. “Tutte e tre sono state violentate”, ha detto il vice direttore della polizia burundese, aggiungendo che “suor Bernardetta Boggian è stata decapitata”. A diffondere per prima la notizia è stata la diocesi di Parma, di cui facevano parte, attraverso il suo sito internet. “Ancora oscure”, si legge sul sito, le circostanze esatte e la dinamica dell’accaduto. Anche se, in base alle prime informazioni raccolte dalle fonti ecclesiastiche, “sembra che il duplice omicidio sia il tragico esito di una rapina da parte di una persona squilibrata“.

Secondo le prime ricostruzioni, le donne sarebbero state sgozzate. A raccontarlo all’agenzia Afp è stato un alto funzionario della polizia locale che ha voluto conservare l’anonimato. Il sindaco di Kamenge, Damien Baseka, la località dove si trova il convento delle saveriane, ha da parte sua dichiarato che le due suore sono state uccise “selvaggiamente”. Un testimone, Jean-Marie Niyokuru, ha invece raccontato: “Abbiamo visto un uomo che si arrampicava sul muro del convento e poi abbiamo sentito la gente dire che due suore erano state decapitate con un coltello”. La terza suora, secondo le prime informazioni, sarebbe stata trovata morta stamattina e sarebbe stata uccisa in un secondo momento.

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“La mia vocazione è lì”. Sono le parole che l’80enne Olga Raschietti ripeteva spesso ai familiari per spiegare le ragioni che oltre 50 anni fa l’avevano portata in Africa. Era partita missionaria da Montecchio Maggiore (Vicenza), dove abitano ancora cinque fratelli. ”Non voleva restare in Italia – sottolinea il fratello Arduino – e appena ha potuto è ripartita”. “Faceva l’ostetrica nel campo – racconta all’Adnkronos il cugino di suor Lucia, Aldo Pulici – ed ogni volta che tornava a casa raccontava di tutti quei bambini che faceva nascere in Africa”. Il cugino ricorda che suor Lucia raccontava di avere un ottimo rapporto con tutti in Burundi: “insegnava alle donne a cucire e le aiutava durante il parto, anche per questo le volevano bene”. “Erano tre missionarie anziane congrandi problemi di salute che erano appena tornate in Burundi perché desideravano tornare dalla loro gente”, è invece la testimonianza di suor Giordana, la direttrice delle Missionarie Saveriane di Parma.

Papa Francesco si è detto “profondamente colpito dalla tragica morte” delle due donne. “Spero che il sangue versato diventi seme di speranza per costruire l’autentica fraternità tra i popoli”, aggiunge Bergoglio in un telegramma inviato alla superiora generale delle missionarie saveriane, suor Ines Frizza. Un “atto vile ed esecrabile perpetrato ai danni di chi si trovava in Burundi per farsi interprete, a costo di grandi sacrifici, di altissimi valori di solidarietà e fratellanza con i più bisognosi” ha definito l’omicidio il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Per il premier Matteo Renzi, “un gesto atroce che sgomenta per la ferocia rivolta nei confronti di chi era in quella zona per testimoniare solidarietà e portare aiuto concreto alle comunità locale”. Condoglianze anche da parte del vescovo di Parma, monsignor Enrico Solmi. “A nome di tutta la Chiesa di Parma – si legge sul sito ufficiale della Diocesi della città emiliana – il vescovo Enrico Solmi ha espresso la vicinanza e il cordoglio alla Congregazione delle Missionarie Saveriane e ai familiari delle due sorelle affidandole, nella preghiera, al Signore della vita”. Invitando “i cristiani di Parma alla preghiera”, monsignor Solmi ha poi rivolto un appello “al raccoglimento e all’omaggio verso persone umili, forti, che erano votate al bene di tutti”. Quanto alla Farnesina, il ministro Mogherini, in una nota diffusa in nottata, ha sottolineato che “l’uccisione è un grande dolore”. “A nome mio e del governo – ha aggiunto – vorrei porgere le più sentite condoglianze alle famiglie e all’ordine delle missionarie di Maria Saveriane”.

“Ancora una volta – ha osservato il ministro degli Esteri italiano – assistiamo al sacrificio di chi, con dedizione totale, ha passato la propria vita ad alleviare le troppe sofferenze che ancora esistono nel continente africano”. Un sacrificio sul quale il governo s’impegna ora a chiedere chiarezza da parte del Burundi: Paese al centro di molti dei conflitti che negli ultimi decenni hanno insanguinato in particolare la regione dell’Africa dei grandi laghi, a cominciare dal vicino Ruanda. “Attendiamo ora che le autorità del Burundi chiariscano quanto accaduto”, ha scritto ancora Federica Mogherini, concludendo: “Ci adopereremo per riportare in Italia quanto prima le salme delle due religiose”. L’ordine delle saveriane era già stato preso di mira in Africa, dove nel gennaio del 1995 sette suore cattoliche missionarie di Maria-Saveriane – sei italiane e una brasiliana – furono sequestrate in Burundi, per poi essere liberate il 21 marzo successivo dai ribelli del Fronte rivoluzionario unito.

Anno d’oro per i funghi, la pioggia d’estate riempie i canestri con un mese d’anticipo

Anno d’oro per i funghi, la pioggia d’estate riempie i canestri con un mese d’anticipo

Tra piogge, allagamenti e temporali, l’estate 2014 per molti è da dimenticare. Ma non per tutti. La riscossa arriva nei boschi, dove la stagione della raccolta dei funghi è iniziata, proprio grazie alle abbondanti precipitazioni, anche con un mese di anticipo. ”Due mesi da record per piovosità – precisa Coldiretti Veneto – hanno favorito un boom fuori stagione per i funghi, anticipando la raccolta di trenta giorni rispetto al normale andamento climatico”. Nel Cadore in particolare è stata addirittura registrata già a fine luglio la presenza di chiodini, varietà prettamente autunnale, la cui crescita rigogliosa richiede come condizioni ottimali terreni umidi senza piogge torrenziali e una buona dose di sole e 18-20 gradi di temperatura. E sono tornati a spuntare i porcini, varietà che si dava quasi per scomparsa.
Previsto un raccolto superiore a quello delle annate normali – ”L’attività di ricerca – continua la Coldiretti, evidenziando le regole della raccolta – non ha solo una natura hobbistica che coinvolge moltissimi vacanzieri: svolge anche una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive, dove rappresenta un’importante integrazione di reddito per migliaia di professionisti impegnati a rifornire negozi e ristoranti di prodotti tipici locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici”. Le previsioni sono per un raccolto superiore a quello delle annate normali in cui si stima che negli oltre 10 milioni di ettari di bosco che – riferisce la Coldiretti – coprono un terzo dell’Italia si realizzi una produzione di circa 30mila tonnellate tra porcini, finferli, trombette, chiodini e le altre numerose specialità note agli appassionati.
Evitare le improvvisazioni – E’ necessario tuttavia evitare le improvvisazioni e seguire alcune importanti regole che – sottolinea la Coldiretti – vanno dal rispetto di norme e vincoli specifici presenti nei diversi territori, alla raccolta solo di funghi di cui si sia sicuri e non fidarsi assolutamente dei detti e dei luoghi comuni, ma anche rivolgersi sempre, in caso di incertezza, per controlli ai Comuni o alle Unioni micologiche e utilizzare cestini di vimini ed evitare le buste di plastica.
In aumento anche fatturato del settore turistico – E le buone prospettive per la raccolta di funghi sostengono la crescita del turismo ecologico nelle aree verdi che ha raggiunto in Italia il record storico a 12 miliardi nel 2013 con un progressivo aumento del fatturato ma anche delle presenze negli anni della crisi, in controtendenza rispetto alle vacanze tradizionali. Una tendenza che – continua la Coldiretti – interessa anche le aziende agrituristiche il cui numero negli ultimi dieci anni è aumentato del 57 per cento e ha raggiunto la cifra record di 20474, il più alto di sempre.

Napoli: Bobbio choc, viva carabiniere Rione Traiano, e’ vera vittima

Napoli: Bobbio choc, viva carabiniere Rione Traiano, e’ vera vittima

Adnkronos NewsAdnkronos News – 51 minuti fa

Napoli, 7 set. – (Adnkronos) – “Viva e sempre l’Arma dei Carabinieri e le forze di Polizia, qualunque cosa accada. E viva il carabiniere di Rione Traiano”. Non usa giri di parole Luigi Bobbio, per anni pm della Dda di Napoli ed ex sindaco di Castellammare di Stabia, che dalla sua pagina Facebook interviene nel dibattito sulla morte del 17enne Davide Bifolco. “Sono convinto – scrive Bobbio – che, specialmente nello stato in cui siamo, giustficazionismo, buonismo, perdonismo e pietà non solo non servono a niente ma aggravano il male”.

Secondo Bobbio, la “vera vittima” della vicenda è il carabiniere, “vittima del suo senso del dovere e del fatto di essere chiamato a operare in una realtà schifosa in cui la mentalità delinquenziale e l’inclinazione a vivere violando ogni regola possibile è la normalità. A 17 anni ormai si è uomini fatti, e gli uomini sono responsabili delle loro scelte, delle loro azioni e del loro stile di vita. Un carabiniere è un carabiniere e un teppista è un teppista. E i Carabinieri non devono proteggere i teppisti ma, al contrario, proteggere i ragazzi perbene dai teppisti, dai delinquenti e dagli sbandati”. (segue)

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe

13 agosto 2014 | In: Automobili | Tags: 

Tutor: come funziona

Tutor Autostrade

Il Sistema Informativo per il controllo delle velocità (SICVE), più comunemente noto cometutor, è il primo sistema che permette di rilevare la velocità media dei veicoli su una tratta autostradale di lunghezza variabile: un sistema gestito completamente dalla Polizia Stradale che si occupa di programmare l’attivazione e di accertare le violazioni del Codice della Strada. Il SICVE, introdotto gradualmente sulla rete autostradale dal 2005, ha dimostrato numericamente di essere uno strumento positivo, capace di modificare il comportamento degli automobilisti alla guida e di garantire una maggiore sicurezza sulle autostrade italiane. Già dopo il primo anno di funzionamento si è registrato una diminuzione del tasso di incidentalità ( -50% del tasso di mortalità e -27% del tasso di incidentalità con feriti). Un sistema funzionale, adatto a migliorare la sicurezza autostradale.

Come funziona il Tutor?

Sono molte le descrizioni che “girano” tra gli automobilisti, ma molte di queste sono lontane dalla reale funzionamento del sistema. Il Tutor rileva la velocità di un veicolo su di una tratta, che viene delimitata da due “portali” collegati a sensori posizionati sotto l’asfalto che al passaggio del veicolo attivano le telecamere installate sui portali stessi. Si tratta quindi di una strumentazione complessa che permette di monitorare l’andamento di ogni singolo veicolo.

Nell’attraversare il portale, il sensore rileva la tipologia di veicolo (camion, automobile, bus, moto, etc.) e attiva la telecamera che rileva targa e registra la data e l’ora del passaggio. Alla fine della tratta in analisi il sensore del portale d’uscita si comporta allo stesso modo di quello all’entrata, rilevando targa del veicolo, data e ora del passaggio. Un sistema centralizzato abbina in seguito i dati rilevati dai due sensori, quello di entrata e di uscita, determinano la velocità media (il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato nel percorrerlo) di ciascun veicolo. Ovviamente tiene conto dei limiti di velocità specifici di ciascuna tipologia di veicolo transitato.

In caso di violazione, il sistema interroga automaticamente il database della Motorizzazione Civile per risalire all’intestatario del veicolo. La Polizia Stradale accerterà la violazione e successivamente il sistema si occuperà di compilare, stampare e avviare la procedura di notifica al trasgressore. I dati relativi ai veicoli la cui velocità media non supera quella consentita vengono automaticamente eliminati.

Tutor: dubbi e leggende

  • Il Regolamento di Esecuzione al Codice della Strada prevede che al valore rilevato venga applicata una tolleranza pari al 5%.
  • Il Tutor funziona anche di notte, in caso di pioggia e in presenza di nebbia con visibilità ridotta fino a 30-40 metri. Quando piove sapete che il limite di velocità scende a 110 km/h, ma come si comporta il Tutor? Si adegua? Non è automatico, l’abbassamento del limite per il Tutor può avvenire su decisione e ad opera della Polizia Stradale.
  • Le telecamere del Tutor sono in grado di rilevare anche i veicoli che viaggiano in corsia d’emergenza. Si ricorda comunque che la sanzione prevista per chi viaggia in corsia di emergenza è il ritiro della patente.
  • Il tutor è installato solo su segmenti autostradali omogenei per limiti di velocità.
  • Il Tutor è omologato anche per il funzionamento in modalità “Autovelox” e cioè per la rilevazione della velocità istantanea. Tuttavia si tratta di un utilizzo molto raro e limitato in casi particolari, come ad esempio in prossimità di aree di cantiere.
  • Il Tutor è totalmente indipendente dalla presenza di un Telepass a bordo. Il Tutor, infatti, rileva la targa e procede alla notifica del verbale a tutti coloro che superano i limiti di velocità consentiti, anche se non possiedono un Telepass.

Tutor

Tutor: come funziona, la mappa italiana e le multe http://bit.ly/17GA1zZ via @6sicuro

Su quali strade è installato il Tutor?

Essendo un sistema di tutela/prevenzione sul sito di Autostrade per l’Italia è disponibile una Mappa dei Tutor, facilmente consultabile da qualsiasi utente, che mette in chiaro su quali tratti autostradali sono attive le postazioni fisse per il rilevamento della velocità. Viene fornito anche un pdf con tutte le tratte coperte dal sistema, indicando anche l’inizio e la fine della tratta monitorata. Per gli automobilisti più tecnologici c’è la possibilità di servirsi di device e app dedicate per segnalare i dispositivi di rilevamento della velocità. Anche i classici navigatorivengono in soccorso degli automobilisti, ma per l’unico modo per evitare la sanzione del Tutor è moderare la velocità. Diversamente dall’autovelox, che punisce chi supera il limite nel punto in cui viene rilevata la velocità, il SICVE agisce su un tratto di strada più lungo.

Come contestare una multa notificata tramite Tutor?

Diversamente dalle altre sanzioni amministrative, impugnare una multa notificata dal sistema tutor non è così facile. La sanzione può essere contesta davanti al Giudice di Pace competente, come accade per le altre tipologie di multe, determinato dal “portale di uscita” ovvero i sensori posti alla fine del tratto di strada preso in analisi. Le cose si complicano nel caso in cui la violazione del limite di velocità sia “prolungata” e quindi notificata da più porte di uscita. In questo caso il conducente del veicolo,  intenzionato a contestare la sanzione, dovrà presentare ricorso a tutti gli Uffici del Giudice di Pace di competenza coinvolti dalla sanzione. Un ricorso che risulterebbeoneroso per qualsiasi automobilista.

Nubifragio nel Foggiano: automobilisti bloccati dal fango.

Nubifragio nel Foggiano: automobilisti bloccati dal fango. Disperso un giovane di 24 anni

Un 24enne, Antonio Facenna, di Vico del Gargano, risulta disperso probabilmente a causa del violento nubifragio che si è abbattuto nella zona provocando oltre 150 sfollati a San Marco in Lamis e l’esondazione del Candelaro. Lo conferma la Protezione civile regionale. Il giovane era uscito ieri in auto diretto nella sua masseria a Carpino.
150 sfollati nel Foggiano – Circa 300 millimetri di pioggia caduti in 24 ore, oltre 150 sfollati e un’allerta idrogeologica che, solo dopo l’emergenza della notte scorsa, è stata innalzata dalla Protezione civile pugliese da moderata ad elevata. E’ il comune garganico di San Marco in Lamis quello maggiormente colpito dalle precipitazioni record delle ultime ore, che hanno provocato l’esondazione del fiume Candelaro e del Carapelle, mai avvenute prima. Le famiglie evacuate la notte scorsa abitano in alcune case sparse in piccole borgate, in una zona depressa del territorio dove si è raccolta l’acqua piovana e dove si sono registrati allagamenti e smottamenti del terreno.  Nella zona di San Marco in Lamis – viene precisato – vi sono circa 150 sfollati, mentre sono due le famiglie evacuate nella vicina San Giovanni Rotondo.
Alcune auto sono state trascinate per decine di metri dalla furia dell’acqua mista al fango. Per alcune ore si è temuto il peggio. Difficile la situazione anche nella vicina San Giovanni Rotondo dove due famiglie che abitano ai piedi della città in cui visse padre Pio sono state evacuate dopo l’esondazione del Carapelle. Gli sfollati si trovano in strutture di accoglienza predisposte dai Comuni. “La situazione – spiega l’assessore alla Protezione civile della Regione Puglia, Guglielmo Minervini – non è grave perché non è a rischio la vita di persone ma molto seria sì perché il rio Candelaro ha tracimato: questo non è mai accaduto prima e ci sono problemi per la transitabilità delle strade e sta smottando la roccia di una collina sopra la quale ci sono una trentina di case che sono state evacuate”.
In allarme il sindaco di San Marco in Lamis, Angelo Cera, che si augura che “il ministro dell’Ambiente Galletti possa venire a trovarmi per rendersi conto di persona della grave situazione in cui versa il nostro paese”. “Le case – spiega Cera – sono piene di acqua e fango, le strade invase da terreno e detriti per le diverse frane che si sono verificate a causa delle abbondantissime piogge. Delle vere e proprie bombe d’acqua si sono riversate sul nostro comune creando disagi a tutta la popolazione. E’ un disastro”. La struttura della Protezione civile regionale aveva stimato in ‘moderato’ il rischio idrogeologico (che solitamente prevede 40-50 millimetri di pioggia) e di ‘attenzione’ il livello di allerta.
I tecnici spiegano però che i temporali e l’entità delle precipitazioni che hanno investito San Marco in Lamis e altri comuni del Gargano non erano prevedibili. Per le prossime 24 ore, a causa delle piogge insistenti, il livello di allerta prevede una criticità elevata per il rischio idrogeologico nella parte montana dal Gargano e nella pianura della Capitanata. Per problemi che la stessa perturbazione potrebbe creare lungo la costa adriatica (fino al Salento) il livello di criticità è stimato in ‘moderato.
Venerdì ancora temporali sul Centro-Sud, allerta in Puglia – Venerdì  previsti ancora temporali sul Centro-Sud, con rovesci anche forti su Abruzzo, Molise e Puglia. Il Dipartimento della Protezione civile ha emesso un avviso di avverse condizioni meteo, con criticità rossa per rischio idrogeologico su parte della Puglia. L`avviso meteo prevede il persistere di precipitazioni, anche a carattere di rovescio o temporale, su Abruzzo, Molise e Puglia. I fenomeni saranno accompagnati da rovesci di forte intensità, locali grandinate, frequente attività elettrica e forti raffiche di vento. Sulla base dei fenomeni previsti è stata valutata criticità rossa sul Gargano per rischio idrogeologico e per rischio idraulico sul Tavoliere pugliese.