Sanremo: vince Mengoni, due premi per Elio e Le Storie Tese

Sanremo: vince Mengoni, due premi per Elio e Le Storie Tese

di Cristiano Sanna (nostro inviato)
E’ L’essenziale di Marco Mengoni la canzone regina dell’edizione numero 63 di Sanremo. Era il super favorito, il televoto lo amava, i pronostici sono stati rispettati. Ecco i fiori che non vedrete sul palco di Sanremo. Lo scrivono sulle loro bancarelle piene di vasi colorati e petali al sole, i commercianti di via Manzoni e piazza Colombo. Pochissimi fiori sul palco del Festival. E’ la spia di quanto l’evento tv sia lontano dalla realtà e di quanto poco il Festival impatti positivamente sull’economia del posto. L’Italia della crisi si salva con i lustrini televisivi e una gran dose di “unza unza” un po’ ska e un po’ swing veloce, vero tormentone di questa edizione. Nel Sanremo preda dei talent show (sì, anche quest’anno, nonostante le apparenze) vincono ancora gli amici di Maria e i nipotini di X-Factor. Premio della critica Mia Martini a Elio e Le Storie Tese, così come il premio per il miglior arrangiamento assegnato dall’orchestra.
L’emozione di Marco – “Dedico la mia vittoria a tutto il mio gruppo di lavoro che ha lavorato sodo per creare un nuovo progetto seguendomi fino a qui. Dedico questa vittoria anche a Luigi Tenco e ringrazio la sua famiglia” sono le prime emozionatissime parole di Marco Mengoni, stravolto dalla felicità. “Credo di essere un po’ cresciuto in questi anni grazie alle collaborazioni che ho avuto. E’ ancora un mondo un po’ strano per me questo della musica, ma grazie a tutti”.
Wagner, Verdi e l’orchestra allo stremo – Si comincia con Wagner e Verdi e si prosegue con la lettera degli orchestrali di Sanremo affidata alla lettura alla Littizetto. Alla canna del gas pure loro come troppi altri professori d’orchestra in Italia. Contratto di solidarietà e l’ennesima orchestra lasciata in agonia. Il paradosso si ripete e sul filo del paradosso gioca anche il monologo di Luciana Littizzetto. Elogio della bruttezza in un mondo che chiede a tutti di essere belli: la bellezza aiuta, spalanca porte, ma non è tutto dice Lucianina. “Lo dimostrano Ennio Flaiano, Ave Ninchi, Nicola Arigliano, il pittore Ligabue e perfino Noé, che non era bellissimo ma ha salvato un sacco di bestie”. Una serata che scorre senza grandi guizzi. Non il numero di Bisio, con la prima parte riciclata pari pari da un suo vecchio spettacolo teatrale, Quella vacca di Nonna Papera. Nemmeno con il ritorno sul palco Sanremese di Andrea Bocelli, il tenore pop italiano più amato dagli americani, che insieme al figlio Amos al piano ha proposto le sue versioni di Love Me Tender Quizas Quizas Quizas. Bella e algida Bianca Balti, ex attivista no global ora top model miliardaria giunta sul palco dell’Ariston a piedi nudi. Divertenti i siparietti della Littizzetto con il monumentale rugbista Martin Castrogiovanni. “Parla con l’accento di Belen ed è pettinato come lei” punge Luciana, lui risponde divertito: “La farfalla non ce l’ho”. La Littizzetto chiude fra le risate: “La metto io”.
Elii grassissimi e lo scivolone di Bianca – In chiusura di serata ecco Birdy, la ragazzina inglese di sedici anni divenuta un fenomeno pop milionario anche grazie all’uso accorto di Internet (discografici e produttori italiani, studiate). Ma ad entusiasmare l’Ariston, tra i tanti big tutti concentrati nella gara, sono gli Elio e Le Storie Tese resi grassissimi dal trucco e parrucco, quasi un omaggio agli sketch dei Monty Python, e sempre impeccabili nell’esecuzione. E un Max Gazzé con lente a contatto Marilyn Manson style che nel finale del suo brano ruba la bacchetta al direttore d’orchestra e dirige la platea nel coro all’unisono. Come pure il duello in passerella che vede, a sorpresa, perdere la Balti che scivola in modo inatteso, mentre la Littizzetto fa il giro del palco sulle note della famosa marcia circense. Poi arrivano i premi, arriva Marco adorato dalle ragazzine e dal grande pubblico. Sanremo rispetta le sue tradizioni, nemmeno la furbesca bravura musicale di Elio e soci riesce a scalfirla. Forse è giusto così.

Sanremo racconta la sua storia e incorona vincitore Antonio Maggio

Sanremo racconta la sua storia e incorona vincitore Antonio Maggio

di Cristiano Sanna (nostro inviato al Festival)
Nella serata in cui Sanremo perde la sveltezza delle puntate precedenti e ritrova la peggio lungaggine tradizionale, c’è il primo verdetto. A spuntarla nella categoria “giovani” è, come da pronostico, Antonio Maggio con la sua ironica e ritmata Mi servirebbe sapere. Niente da fare per Ilaria Porceddu, Blastema e Renzo Rubino. Premio al miglior testo per Le parole non servono più di Il Cile. Premio della Critica Mia Martini a Renzo Rubino con Il postino (amami uomo).
Sanremo Story – E’ anche la serata del Festival che ripensa se stesso e ripercorre la propria storia, affidando l’interpretazione di alcune delle canzoni vincitrici agli artisti in gara quest’anno. L’esito è diseguale, come era lecito attendersi: Malika Ayane elegantissima con Paolo Vecchione e Thomas Signorelli nella rilettura di Cosa hai messo nel caffé? perpetua la sua immagine di nuova Vanoni. Emozione pura e voce tremante per Daniele Silvestri che omaggia il compianto Lucio Dalla e la sua Piazza Grande. A tutta grinta Annalisa con Emma, vincitrice l’anno scorso, nella loro reinterpretazione di Per Elisa, che vinse nel 1981 cantata da Alice. Marta sui tubi più Antonella Ruggiero in Nessuno, delicatissima, al contrario della versione ye-ye di Betty Curtis. Salvo poi tornare a quell’arrangiamento nel finale. Raphael Gualazzi, ripropone Luce di Elisa, tutto in casa Sugar. Modà più il maestro Adriano Pennino per Io che non vivo di Donaggio brutalizzata dai troppi vibrati drammatici di Kekko. Delicatissimo Cristicchi con la riproposizione di Canzone per te di Endrigo. A seguire: la sempre più bella Simona Molinari con Peter Cincotti e Franco Cerri in una levigatissima Tua. Maria Nazionale perfettamente a suo agio con il Massimo Ranieri di Perdere l’amore cantata come una beguine. Mengoni singolarmente misurato e molto emozionato, fino alle lacrime, nella sua versione di Ciao amore ciao di Luigi Tenco. Poi tocca a Rocco e Le Storie Tese. “Scusa te se sono un po’ rigido”, esordisce lui, declamando poi i versi di Questo amore di Prevert come introduzione a Un bacio piccolissimo eseguita da Eio e compari con la solita enorme perizia strumentale, teste sempre più grandi e strumenti sempre più piccoli. Imbarazzato e imbarazzante Gazzé in marsina a quadri rossi con Ma che freddo fa di Nada. Non si canta nel sabato, non lo fa Raiz convertitosi all’ebraismo. Al suo posto in Il ragazzo della via Gluck con gli altri Almamegretta ecco James Senese, Marcello Coleman, Clementino e Albino D’Amato. Divertente versione reggae terminata con un esplicito: “Lasciate crescere l’erba: bomberclad!”. Impegnativa sfida tra Chiara e Mimì nella versione di Almeno tu nell’universo che nessuno può cantare tirando la voce e sperando di uscirne vincitore. Lo aveva capito bene, anni fa, Elisa.
Bollani e Veloso: la grazia sul palco – Poi è la volta di Stefano Bollani. Potrà non essere simpatico a tutti per la sua esibita ironia e il presenzialismo spinto, ma quando passa al piano per eseguire un classico anni Trenta della musica carioca, sul palco dell’Ariston è pura grazia. Così come è notevole la sua capacità di improvvisare un medley su brani a richiesta del pubblico, cucendo assieme Papaveri e papereVita spericolataImagine. Si è parlato di musica carioca ed ecco sul palco uno dei maestri del rinnovamento della musica brasiliana. Il grande Caetano Veloso che con la sua voce di vetro soffiato canta Voce e Linda e Piove di Modugno per poi ritrovare sul palco proprio Bollani in Come prima più di prima t’amerò.
Littizzetto da Oscar e l’omaggio a Pippo Baudo – La tensione della gara è meno presente. Ci si lascia andare e a guadagnarci è Luciana Littizzetto, davvero debordante. Il momento clou della sua felicissima serata arriva quando si presenta sul palco vestita e pettinata come Caterina Caselli nel 1966. “Sembro paggio Fernando” dice tra le risate del pubblico e quelle di Fazio, contro il quale alla fine sbotta divertita: “Prova tu a fare Renato Zero, pirla!”. Il teatro viene letteralmente giù dalle risate. Tutti in piedi per Pippo. Standing ovation per Baudo completamente canuto, premiato per la sua carriera e lesto a chiedere, a dire il vero in modo molto misurato, di poter condurre ancora un programma sulla Rai. E nuovo bacio televisivo tra lui e la pestifera Lucianina. Poco prima era stato ricordata un’altra colonna del Festival, con l’inaugurazione della statua di Mike Bongiorno. Una serata fiume, estenuante nella sua lunghezza. Ma Sanremo  è così, non si può fare a meno che lasciarsi travolgere dalla piena, incluso il ritorno a notte fonda di José Luis Moreno e il pupazzo Rockfeller, autentico reperto della tv anni Ottanta. Sabato gran finale con la proclamazione del vincitore big.

SANREMO: CONTESTATO IL CROZZA-BERLUSCONI, POI IL COMICO SI RIPRENDE

SANREMO: CONTESTATO IL CROZZA-BERLUSCONI, POI IL COMICO SI RIPRENDE

 

 

Contestazione per l’ospite più atteso (e forse più temuto) della prima serata del 63/mo Festival della Canzone a Sanremo. Maurizio Crozza è stato zittito da fischi e grida ostili – “vattene”, “basta politica”, “fuori” – da parte di alcuni spettatori quando ha imitato Silvio Berlusconi. Il comico si è bloccato, quasi intimorito dalla contestazione ed è sembrato perdere la concentrazione mentre la maggior parte del pubblico applaudiva per sostenerlo e urlava a sua volta contro i contestatori “fuori, fuori”. E’ dovuto intervenire Fabio Fazio per riportare la situazione alla normalità invitando Crozza a continuare ma per qualche minuto l’esibizione del comico genovese è sembrata sul punto di saltare. Poi i contestatori sono stati allontanati – su Twitter si è scatenata l’ironia sulla claque “pagata” da Berlusconi… – e il comico ha proseguito in crescendo il suo personale show imitando Bersani (nessun fischio ma neanche troppi applausi), il ‘pigro’ Ingroia (l’imitazione più riuscita, anche se già vista a Ballarò e su La7 come tutte le altre del resto…), il Monti-robot e gli esponenti dell”alta società’ della sua lista con un focus spassoso su Montezemolo. Grandi applausi. Per il resto, non c’è stato il bacio tra i due ragazzi della coppia gay che si sposeranno a New York il 14 febbraio “perchè in Italia le nostre leggi non lo consentono”. La parte del leone, nel finale, l’ha fatta Toto Cutugno che ha cantato ‘L’italiano’ e ‘Volare’ insieme al coro dell’Armata Rossa.

Reporter senza frontiere: “In Italia ancora un uso pericoloso delle leggi bavaglio”. Siamo al 57° posto

Reporter senza frontiere: “In Italia ancora un uso pericoloso delle leggi bavaglio”. Siamo al 57° posto

La cattiva legislazione sulla stampa continua in Europa, “specialmente in Italia, dove la diffamazione deve essere ancora depenalizzata” e si fa un “pericoloso uso delle leggi bavaglio”. Lo stima Reporter senza frontiere (Rsf) che piazza l’Italia al 57° posto nel mondo dopo ,tra gli altri, Botswana e Niger nel suo report 2013.
Finite le primavere arabe, ritorno alla normalità – Dopo le cosiddette Primavere arabe e gli altri movimenti di protesta che hanno causato molti “saliscendi” nella classifica dello scorso anno, la Classifica della Libertà di Stampa 2013 di Reporter senza frontiere segna un “ritorno alla normalità”. La posizione in classifica di molti Paesi non è più attribuibile ai considerevoli sviluppi politici. La classifica di quest’anno rappresenta una più attenta riflessione degli atteggiamenti e delle intenzioni dei governi nei confronti della libertà degli organi di informazione a medio e lungo termine.
In cima sempre Finlandia, Olanda e Norvegia – Gli stessi tre Paesi europei che guidavano la classifica lo scorso anno detengono le prime tre posizioni anche quest’anno. Per il terzo anno consecutivo, la Finlandia si è distinta come il Paese che più rispetta la libertà di informazione. È seguita da Olanda e Norvegia.
Democrazie stazionarie o che fanno marcia indietro – La situazione è pressoché immutata per molti Paesi dell’Unione Europea. Sedici dei suoi membri si trovano ancora nella “top 30” della classifica. Il modello europeo, tuttavia, si sta sfasciando. La cattiva legislazione osservata nel 2011 è proseguita, soprattutto in Italia (57, +4), dove la diffamazione deve ancora essere depenalizzata e le istituzioni ripropongono pericolosamente “leggi bavaglio”. L’Ungheria (56, -16) sta ancora pagando il prezzo delle sue riforme legislative repressive, che hanno avuto un impatto notevole sul lavoro dei giornalisti. Ma è l’incredibile caduta della Grecia (84°, -14) a essere ancora più preoccupante. L’ambiente sociale e professionale per i suoi giornalisti, esposti alla condanna pubblica e alla violenza sia dei gruppi estremisti che della polizia, è disastroso.

Addio ad una delle più grandi attrici italiane: è morta Mariangela Melato

Addio ad una delle più grandi attrici italiane: è morta Mariangela Melato

Il funerale di Mariangela Melato si terrà a Roma sabato alle ore 15.00 presso la Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo. A darne notizia, insieme alla famiglia, è Renzo Arbore. La grande attrice è scomparsa a 71 anni, era nata a Milano. Si è spenta stamattina in una clinica romana. Era malata da tempo di tumore. Con lei scompare una delle più versatili ed espressive interpreti di cinema e teatro del nostro Paese. Capace anche di muoversi a suo completo agio, perfino in numeri di ballo, nell’era aurea della tv italiana. Sofisticata e diretta, carnale e impalpabile, sempre benedetta dal grande dono dell’ironia.
L’accademia e l’illustrazione – Nata a Milano nel 1941, da giovanissima Mariangela Melato studia pittura all’Accademia di Brera, disegna manifesti e lavora come vetrinista a La Rinascente per pagarsi i corsi di recitazione di Esperia Sperani. Nel 1960, non ancora ventenne, entra nella compagnia di Fantasio Piccoli, debuttando come attrice in Binario cieco di Terron, rappresentato al Teatro Stabile di Bolzano.
Fo, Visconti, il cinema – Dal 1963 al 1965 lavora con Dario Fo in Settimo ruba un po’ meno e La colpa è sempre del diavolo. Nel 1966 è impegnata allo Stabile di Trieste. Nel 1967 lavora con Luchino Visconti ne La monaca di Monza. Nel 1968 si afferma definitivamente nella sua attività teatrale con l’ Orlando furioso di Luca Ronconi, ma trova il grande successo anche nella commedia musicale di Garinei e Giovannini Alleluia brava gente (1971). Nel 1970 debutta al cinema nel film di Pupi Avati Thomas e gli indemoniati. Nel cinema alterna ruoli drammatici (La classe operaia va in paradiso, 1971, e Todo modo, 1976, di Petri; Caro Michele, 1976, di Monicelli; Oggetti smarriti, 1979, e Segreti segreti, 1985, di Giuseppe Bertolucci; Dimenticare Venezia, 1979, eIl buon soldato, 1982, di Franco Brusati; Figlio mio, infinitamente caro, 1985, di Valentino Orsini) a quelli da commedia.
Con Lina e Giannini – Mariangela Melato lega indissolubilmente il suo percorso cinematografico a quello di Lina Wertmuller e di Giancarlo Giannini, girado una serie di commedie grottesche di grande successo, comeMimì metallurgico ferito nell’onore (1972), Film d’amore e d’anarchia (1973) e Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974). E ancora Casotto (1977) e Mortacci (1988) di Sergio Citt.
Il teatro prima di tutto – La sua carriera e la sua indole rimangono comunque inderogabilmente legati al mondo del teatro. Qui affronta personaggi di grande impegno nelle tragedie Medea (1986) e Fedra (1987) di Euripide e nelle commedie Vestire gli ignudi di Pirandello (1990) e La bisbetica domata di Shakespeare (1992). Dagli anni novanta, scoperta in precedenza da Renzo Arbore, lavora per la televisione (Scandalo, 1990, Una vita in gioco, 1991, Due volte vent’anni, 1995, L’avvocato delle donne, 1997; Rebecca, la prima moglie, 2008) senza trascurare mai l’impegno teatrale (Il lutto si addice ad Elettra, 1996; La dame de Chez Maxim, 1998; Fedra, 1999; Un amore nello specchio e Madre Coraggio, 2002; La Centaura, 2004; Chi ha paura di Virginia Woolf?, 2005; Il dolore, 2010). Nel 2011 riporta il grande teatro italiano in prima serata sulla Rai, recitando assieme a Massimo Ranieri in Flumena Marturano di Eduardo De Filippo. Al cinema ritorna in La fine è nota (1993) di Cristina Comencini, Panni sporchi di Mario Monicelli e Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro (1999), Vieni via con me (2005) di Carlo Ventura. Era sorella dell’attrice e cantante Anna Melato.

AMERICA: LO “CHOC” CHE NON ESISTE

AMERICA: LO “CHOC” CHE NON ESISTE

 

di Massimo Mazzucco

 

La mattina del 24 (due giorni fa) ho dato un’occhiata alle news in Internet, e ho visto che molti siti (CNN, Huffington Post, BBC) riportavano la notizia di un altro massacro, avvenuto poche ore prima nello Stato di New York: uno squilibrato ha dato fuoco ad una casa, poi ha aspettato che arrivassero i pompieri e si è messo a sparare all’impazzata su di loro.

Due pompieri sono rimasti uccisi, altri due feriti gravemente. Lo squilibrato si era poi suicidato, prima che arrivasse la polizia.

Vado ad accendere il televisore, convinto di trovare le “breaking news” su ogni canale. Mi dicevo “questa è grossa, sommata alla faccenda di Newtown la faranno diventare l’argomento di fine anno”. Invece, non c’era ancora niente.

Ho pensato “come è lenta la televisione, rispetto ad Internet. Probabilmente stanno mandando i reporter sul posto, e ci vorrà ancora un po’ prima che stabiliscano il collegamento”.

Torno su Internet, e c’era già un primo aggiornamento con il nome dell’assassino, e la sua storia personale: nel 1980 aveva ammazzato sua nonna, poi aveva fatto 17 anni di galera ed era tornato in libertà. Nessuno evidentemente aveva valutato il suo equilibrio psichico.

Torno davanti alla televisione, dopo un’ora, ma non c’era ancora niente.

Fox News, CNN, NBC, ABC, CBS, nessuno dei grandi network dava ancora la notizia. “Che strano – mi dico – nemmeno un elicottero che inizi a mandare immagini dall’alto, in attesa che arrivino i reporter?” (Di solito gli elicotteri delle TV locali fanno a gara ad arrivare per primi, per poi dare la diretta a tutta la nazione).

Torno nuovamente in Internet, e c’era già in rete la registrazione della drammatica telefonata fatta da uno dei pompieri feriti, che si era nascosto sotto il proprio camion: “Sono ferito alla schiena e a una gamba, perdo sangue, sento che cominciano a mancarmi le forze. Sbrigatevi ad arrivare!”.

Sono tornato ancora davanti alla tv, aspettando pazientemente che parlassero di questo fatto, ma nessuno dava la notizia. Le ore passavano, ma c’erano soltanto i documentari sul Natale, quelli su Gesù Cristo e quelli – i più spinti di tutti – sulla “vera storia di Maria Maddalena”. Ma dei pompieri massacrati quel mattino nulla.

A quel punto ho capito: la nazione non doveva sapere. I grandi networks – probabilmente d’accordo, o ciascuno per conto proprio – avevano deciso che questa notizia sarebbe stata troppo per una nazione già pesantemente scioccata dal massacro di Newtown.

A parte chi frequenta Internet, quindi, la grande massa degli americani ha passato il Natale senza sapere nulla, in tranquillità, grazie a questo gesto di “premurosa compassione” a reti unificate.

Ho passato due giorni pensando che non ci sia niente di più vergognoso di qualcuno che, all’alba del 2013, si arroghi il diritto di decidere quello che la gente deve sapere e quello che non deve sapere.

Oggi invece ho scoperto che qualcosa di più vergognoso esiste: si chiama “inventarsi le notizie”. Sull’Ansa di oggi infatti compare il titolo: “Gli USA sotto choc per il killer dei pompieri”.

Bisognerebbe istituire una regola per cui viene tolta la licenza di fare giornalismo a gente che dimostri chiaramente di pubblicare falsità come questa.

Benigni: «Il ritorno di Berlusconi? Un sequel da film horror». Poi celebra la Costituzione «degna di Woodstock. Quando entrerà in vigore sarà bellissimo»

Benigni: «Il ritorno di Berlusconi? Un sequel da film horror». Poi celebra la Costituzione «degna di Woodstock. Quando entrerà in vigore sarà bellissimo»

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Argomenti: Cultura | Roberto Benigni | Silvio Berlusconi |Alcide De Gasperi | Canale 5 | Federico Fellini | Yoko Ono |Montecitorio | Dante Per

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Nella foto il comico Roberto Benigni durante il suo show su Rai 1 «La più bella del mondo» dedicato alla Costituzione (LaPresse)Nella foto il comico Roberto Benigni durante il suo show su Rai 1 «La più bella del mondo» dedicato alla Costituzione (LaPresse)

Oltre 12,6 milioni di telespettatori hanno seguito ieri sera su Rai1 “La più bella del mondo”, la serata evento di Roberto Benigni che si è giocata tra la satira su Berlusconi e l’esegesi della Costituzione. Lo show ha raccolto in media il 43,94% di share.

Che vi piaccia o meno, Roberto Benigni è l’ultimo artista ecumenico rimasto all’Italia. L’unico che goda di riconoscibilità e credito in qualsiasi posto del mondo. Merito de «La vita è bella», suo capolavoro che risale ormai a 15 anni fa e dopo il quale gli abbiamo pure perdonato un paio di film non proprio riusciti. Fa una certa impressione vederlo al centro di quel Teatro 5 di Cinecittà caro a Federico Fellini che lo diresse ne «La voce de la luna».

 

Nessuno, più del Roberto nazionale, poteva in ogni caso cimentarsi con l’immenso compito commissionatogli dal Quirinale: fare spettacolo della Costituzione italiana. Spettacolo che istruisce e diverte, lasciando se possibile passare il concetto che la nostra Carta è «La più bella del mondo», come recitava lo stesso titolo della trasmissione andata in onda ieri sera su Rai 1. Il comico di Vergaio se l’è cavata applicando il «format Benigni» ai principi fondamentali della nostra Repubblica, lo stesso che con Dante Alighieri funziona a meraviglia da troppi anni: prima mezz’ora di esilarante satira sull’attualità politica, poi un’ora e mezza di istrioniche spiegazioni intervallate da letture. Solo che, nel caso specifico, sul leggio color legno del teatro non c’erano le terzine del Divin Poeta, quanto piuttosto i primi dodici articoli della nostra Costituzione. Se nella parte comica Benigni appare il solito fuoriclasse incontrollabile, in quella seria deve vedersela con il difficile equilibrio tra il sublime e la retorica. Oggi siamo sicuri che i più si scappelleranno, qualcuno lo stroncherà più o meno pretestuosamente ma i dati Auditel gli daranno ragione. Di tutto lo spettacolo resterà probabilmente una battuta: «Abbiamo una Costituzione meravigliosa, molto avanti rispetto ai tempi in cui fu concepita. Quando entrerà in vigore sarà un mondo bellissimo».

Berlusconi ha diviso l’Italia in due. Quelli contrari e quelli disperati 
Giusto per far capire ai suoi spettatori abituali che è in gran forma, nel monologo iniziale colpisce il suo bersaglio prediletto: Silvio Berlusconi. L’incipit è una catena di ringraziamenti alla Rai, al presidente Napolitano, al papa, a Dio che via via lo rimandano a qualcuno di più importante e dunque si arriva al «Grazie Silvio!». Scherza Benigni, mentre Berlusconi è ospite su Retequattro di Quinta colonna. «Volevo parlare di cose belle, ma questo dicembre ci sono state due notizie bruttissime, catastrofiche. Il 21 c’è la fine del mondo, ma non è la più brutta. L’altra ci ha spappolati tutti: con questa crisi, con tanti italiani che desiderano andare in pensione e non ci possono andare, c’è uno che ci potrebbe andare quando vuole e non c’è verso di mandarcelo». È il Cavaliere che, col suo ritorno, «ha diviso l’Italia in due: quelli contrari e quelli disperati». Quello di Berlusconi, secondo il comico, è infatti un ritorno in scena paragonabile a «un sequel dei film dell’orrore: Lo Squalo 6, La mummia, Godzilla contro Bersani… Qualcuno può dire che ce l’ho con lui, ma è lui che ce l’ha con noi».

Benigni e la Costituzione: “E’ la nostra mamma”. Su Berlusconi: “Come un film dell’orrore”

Benigni e la Costituzione: “E’ la nostra mamma”. Su Berlusconi: “Come un film dell’orrore”

“Tutto questo, noi lo abbiamo ereditato. Ma per farlo davvero nostro, lo dobbiamo conquistare. Qui ci sono le regole per vivere tutti insieme, in pace, lavorando. Domattina dite ai vostri figli che sta per cominciare un giorno che prima di loro non ha mai vissuto nessuno, ditegli di andare a testa alta, di essere orgogliosi di appartenere a un popolo che ha scritto queste cose fra i primi nel mondo. E che abbiano fiducia e speranza”. Conclude così il suo “discorso illustrato” sulla Costituzione, Roberto Benigni. Un successo in prima serata su Rai 1, il suo recital La più bella del mondo. In cui non mancano le stilettate satiriche a Berlusconi e la pretesta di riproporsi come candidato politico.
Come un film dell’orrore – “”S’è ripresentato, Signore pietà. E’ la sesta volta, la settima ha detto che si riposa, anche lui'” attacca Benigni ironizzando sul ritorno del Cavaliere. Volevo parlare di cose belle, ma questo dicembre ci sono state due notizie, bruttissime, catastrofiche”, ironizza Benigni. “Una la sapete tutti, il 21 dicembre c’è la fine del mondo, ma non è la più brutta. Un’altra, terrificante, ci ha veramente spappolati tutti: con questa crisi, con tanti italiani che desiderano andare in pensione e non ci possono andare, c’é uno che ci potrebbe andare quando vuole e non c’é verso di mandarcelo. E s’é ripresentato”. Il premio Oscar paragona il ritorno di Berlusconi “a quei sequel dei film dell’orrore: Lo Squalo 6La mummiaGodzilla contro Bersani… Non si si sa più che fare. Qualcuno può dire che ce l’ho con lui, ma è lui che ce l’ha con noi”.
Ottimi ascolti – Oltre 12,6 milioni di telespettatori (12 milioni 619 mila) hanno seguito su Rai1 La più bella del mondo, la serata evento di Roberto Benigni che si è giocata tra la satira su Berlusconi e l’esegesi della Costituzione. Lo show ha raccolto in media il 43,94% di share.
Prima Silvio, poi il Signore – “Devo ringraziare tutti gli italiani e i vertici della Rai per la possibilità di realizzare una serata bella su un argomento che più bello non si può”: comincia così la catena di ringraziamenti di Roberto Benigni che lo porta via via a dire grazie al presidente Napolitano, al papa, a Dio e infine a Berlusconi. “I vertici della Rai mi hanno detto: non devi ringraziare noi, ma una persona più importante di noi, il presidente della Repubblica Napolitano, che saluto con affetto, che mi ha ricevuto con grande cordialità e affetto”. Ma il Capo dello Stato, spiega, “mi ha detto che invece dovevo ringraziare un’altra persona più importante, il Papa”. E il Pontefice, a sua volta lo ha indirizzato “a nostro Signore: mi ha detto, lo puoi ringraziare, con la mia benedizione. Io allora ho ringraziato il Signore, ma ho sentito una voce che diceva: non devi ringraziare me… Silvio, grazie”.
Il Cavaliere, la pornostar e lo zio di Avetrana – “Ieri l’avete visto su Canale 5? – domanda Benigni – Andava in onda una sua vecchia intervista del ’94, di un’ora e mezza. Prima di lui c’erano una famosa pornostar e lo zio di Avetrana: ho pensato, ‘sta cercando di mettere insieme i moderati'”. Berlusconi, sottolinea Benigni, “ha parlato di comunisti, lotta alla magistratura. E ho pensato, ‘guarda nel ’94 la gente come ci cascava, se lo facesse adesso…’ Tutti i grandi artisti quando invecchiano tirano fuori i vecchi successi, i comunisti e la lotta alla magistratura sono per lui come Satisfaction per i Rolling Stones”. E ancora: “Berlusconi ha un sogno nella testa: vorrebbe fare il presidente della Repubblica…”, dice Benigni asciugandosi il sudore. “Sarebbe l’unica maniera di vedere la sua immagine dappertutto, di vederlo in una caserma dei carabinieri”.
La legge vieta, la Costituzione protegge – Dopo la satira su Berlusconi, Roberto Benigni, protagonista della serata evento La più bella del mondo, si concentra sulla modernità della Costituzione. Legge l’articolo 3, che prescrive l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, e commenta: “Ma questo l’hanno scritto a Woodstock, è Imagine di John Lennon trent’anni prima. Me li immagino a Montecitorio, come fricchettoni, che si passano il ‘cannone”. E ancora: “Mentre la legge vieta, ti trattiene, fa paura, la Costituzione spinge, ti protegge, ti vuole bene, è la nostra mamma, è tutto a favore. I dieci comandamenti sono tutti un no, la Costituzione è tutto un sì, è la legge del desiderio”.
Senza lavoro impossibile vivere – “Se non c’é il lavoro, crolla tutto: la Repubblica e la democrazia, che sono il corpo e l’anima delle nostre istituzioni”: è  altro un passaggio del commento di Roberto Benigni alla Costituzione in diretta tv. “Ogni legge che va contro il lavoro è un sacrilegio”, dice Benigni. “Quando non c’è lavoro perdiamo tutti, perché quanto lavoriamo modifichiamo noi stessi, è quella la grandezza del lavoro. Nella busta paga troviamo noi stessi: quella paga non è avere, è essere”.
Stato laico e l’importanza della cultura – Fu Gesù Cristo, il primo laico, a dire date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. All’articolo 9, “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, cita la sindrome di Stendhal “che arrivò a Firenze e svenne per tanta bellezza. Noi abbiamo avuto la sindrome di Bondi: invece di svenire l’uomo, venivano giù i monumenti”. Si arriva all’articolo 11, “l’Italia ripudia la guerra”. “È l’unico che comincia con ‘l’Italia’, non con ‘la Repubblica’: perché sia chiaro che tutti, anche i conigli d’Italia, ripudiano la guerra. ‘Ripudia’, un no definitivo, perché la guerra deforma la gente. Nessuna guerra ha mai prodotto un beneficio maggiore del dolore che ha provocato”. “Sentite: ‘promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’: è un confronto di sogni, sembra che ci dicano che l’Italia come patria non ci basta, bisogna diventare mondo, rimanendo italiani. È grazie ad articoli come questi, che in Europa c’è la pace da sessant’anni. L’idea dell’Unione europea è un sogno. Noi, prima generazione della storia del mondo, stiamo unendo un continente in pace. Non bisogna chiudersi nel proprio guscio, i nostri costituenti ci dicono di non tornare indietro, di mantenere la nostre radici ma non che sprofondino nel buio della Storia ma che vadano in su, come mani che si stringono”.

SANREMO: FAZIO ANNUNCIA I 14 BIG, DA ELIO A CHIARA PASSANDO PER I MODÀ

SANREMO: FAZIO ANNUNCIA I 14 BIG, DA ELIO A CHIARA PASSANDO PER I MODÀ

 

 

Ancora sotto la spada di Damocle di un possibile rinvio per non impattare con le elezioni politiche, se dovessero svolgersi il 17 e 18 febbraio (“Ci riderebbero dietro ovunque” ha scritto Aldo Grasso stamane sul Corriere), Fabio Fazio ha annunciato al Tg1 i nomi dei 14 big che con due canzoni a testa parteciperanno al prossimo Festival di Sanremo in programma nella città dei fiori dal 12 al 16 febbraio 2013. I 14 big annunciati dal conduttore (con la Litizzetto) di questa edizione della kermesse canora sono: Raphael Gualazzi, Elio e le Storie Tese, Chiara, Almamegretta, Malika Ayane, Daniele Silvestri, i Moda’, Simona Molinari con Peter Cincotti, Marco Mengoni, Marta sui Tubi, Simone Cristicchi, Annalisa, Max Gazze’ e Maria Nazionale.

I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

   

 

 

I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

 

di Marcello Pamio – 27 novembre 2012 – tratto da Effervescienza nr. 46 l’inserto di Biolcalenda mese ottobre 2012 – www.labiolca.it/effervescienza

 

“La pubblicità può essere descritta come la scienza di fermare l’intelligenza umana abbastanza a lungo da ricavarne denaro”, Stephen Leacock

 

Nel 1957 il giornalista Vance Packard scrisse “I persuasori occulti”, un libro che svelava i trucchi psicologici e le tattiche usate dal marketing, per manipolare le nostre menti e convincerci a comprare.

Libro inquietante per l’epoca. Oggi però, i pubblicitari sono diventati più bravi, furbi e spietati.

Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato.

Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare.

Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”.

Il Kids marketing

Gran parte del budget del marketing è impiegata per impiantare i brand (marchi) nel cervello dei piccoli consumatori, perché le nostre preferenze per i prodotti attecchiscono dentro di noi ancora prima di nascere. Il linguaggio materno è udibile dall’utero, ma quello che non si sapeva è che la musica lascia nel feto un’impressione duratura in grado di plasmare i gusti che avranno da adulti.

Le ultime scoperte confermano che ascoltare reclame e jingle pubblicitari nell’utero ci predispone favorevolmente nei confronti dei brand associati. Il marketing lo sa e ha iniziato ad escogitare modi per capitalizzare tale spregiudicato fenomeno…

Con il kids marketing si coinvolgono i bambini nei giochi, monitorando il loro comportamento e preferenze, il tutto per aggiornare gli assortimenti dei supermercati: ridisegnare forma e colore degli scaffali, arricchire i totem posizionati di fianco alle casse, ecc. Non a caso giocattoli e merendine sono disposti a circa un metro da terra, alla portata dei più piccoli.

I bambini sotto i tre anni (guardano 40.000 spot pubblicitari all’anno e conoscono più nomi di personaggi pubblicitari che animali), solo negli USA, rappresentano un mercato da 20 miliardi di dollari!

A 6 mesi i bambini sono in grado di formarsi un’immagine mentale di loghi, e infatti i biberon e passeggini vengono decorati con personaggi ad hoc. I loghi riconosciuti a 18 mesi saranno preferiti anche da adulti.

Per finire, condizionando i bambini agli acquisti si condizionano anche i genitori: il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto a un bambino e una madre su due compra un alimento che è stato chiesto dal figlio.

Marketing della paura e nostalgia

La paura è un’emozione che stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del combatti o fuggi. Tale riflesso produce a sua volta un altro ormone, l’epinefrina che determina un piacere estremo. Il sangue affluisce ad arti e muscoli, per cui il cervello ne sarà privato, e questo ci rende incapaci di pensare con lucidità: la paura è persuasore molto efficace (psicofarmaci, vaccini, ecc.). Le case farmaceutiche spendono decine di miliardi di dollari per inventare nuove malattie e alimentare le nostre paure. Risultato? Le vendite di farmaci da ricetta in America raggiungono i 235 miliardi di dollari all’anno.

Spesso l’approccio consiste nell’evocare emozioni negative, indi presentare l’acquisto del prodotto come l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione. Pubblicità più sofisticate adoperano invece l’umorismo come rinforzo positivo: far ridere è un ottimo mezzo per far simpatizzare con il prodotto.

Viceversa, struggersi nei ricordi migliora l’umore, l’autostima e rafforza le relazioni.

La nostra predilezione per la nostalgia dipende dal fatto che il cervello è programmato per ricordare le esperienze passate come più piacevoli di quanto le avessimo ritenute nel momento. Tendiamo a valutare gli eventi passati in una luce più rosea.

Anche la nostra età percepita è un fattore cruciale nelle decisioni di acquisto: più invecchiamo e più rimpiangiamo il passato. Il “marketing della nostalgia” è una strategia di grande efficacia, con cui i pubblicitari riportano in vita immagini, suoni e spot del passato per venderci un brand.

Le dipendenze

I cibi ricchi di grassi e zuccheri (cioccolate, patatine, merendine…) sono tra i prodotti che generano più dipendenza. Le aziende arricchiscono appositamente i loro prodotti con sostanze che creano assuefazione (glutammato monosodico, caffeina, sciroppo di mais, aspartame, zucchero).

Uno studio pubblicato su “Nature Neuroscience”, dimostra che questi alimenti agiscono sul cervello in modo quasi identico alla cocaina e all’eroina!

Lo zucchero stimola la secrezione della dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, mentre la caffeina ne inibisce il suo riassorbimento, facendoci sentire briosi e vivaci, e dall’altra stimola l’adrenalina che ci fa sentire carichi.

Anche i giochi danno una dipendenza fisiologica fortissima, il cervello infatti reagisce rilasciando più dopamina. Per questo le aziende cercano di aumentare le vendite di Playstation e Wii, anche perché hanno scoperto che quando i giochi sono progettati a dovere, non fanno sviluppare soltanto una dipendenza dal gioco stesso, ma possono riprogrammare il cervello rendendo dipendenti dall’atto di comprare, dallo shopping.

Usano i videogiochi per trasformarci in drogati dello shopping: brandwashing.

Vanity sizing

È un bieco trucco con cui alcuni negozi vendono abiti più larghi per farci credere di indossare una taglia più piccola.

Le taglie riportate nelle etichette di abbigliamento spesso non corrispondono a quelle reali: sono di una taglia più bassa. Il neuromarketing sa benissimo che ambo i sessi comprano più volentieri un prodotto che li fa sembrare più magri, anche se ciò non è vero.

Celebrity marketing

Sfruttano la fama delle celebrità (attori, sportivi, ecc.) per lavarci il cervello, perché un prodotto associato a una persona famosa esercita un ascendente subliminale potentissimo.

Il “celebrity marketing” fa leva sul fatto che sogniamo di diventare famosi, belli e popolari, vogliamo essere loro o almeno essere come loro.

Non a caso il numero delle persone famose si è moltiplicato negli ultimi anni, grazie a programmi creati ad arte: reality show, intrattenimento, ecc. Aumentano i testimonial per poterli usare per la pubblicità.

Data mining

Si tratta di un business enorme che consiste nel tracciare e analizzare il comportamento dei consumatori, per poi categorizzare ed elaborare i dati e usarli per persuaderci a comprare e, a volte, a manipolarci.

Le aziende possono conoscere le nostre abitudini, l’etnia, il sesso, l’indirizzo, il telefono, il numero dei componenti della famiglia e molto altro ancora. Il nome tecnico è “Ricerca motivazionale”, e in pratica vanno alla ricerca delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti di acquisto dei consumatori.

Analizzando i dati delle carte fedeltà e incrociandoli con quelli delle carte di credito, è possibile scoprire delle cose inquietanti su tutti noi.

I “programmi fedeltà” infatti esistono solo per persuaderci a comprare di più.

Ogni volta che usiamo tali carte, viene aggiunta al nostro archivio digitale l’indicazione di quello che abbiamo comprato, le quantità, l’ora, il giorno e il prezzo. Quando usiamo le carte di credito, l’azienda archivia la cifra e la tipologia merceologica: ad ogni transazione è assegnato un codice di quattro cifre che indica la tipologia di acquisto.

Dove questi dati vadano a finire è facile da immaginare.

Percorsi e orientamento

Sapevate che si spende di più se ci muoviamo nel negozio in senso antiorario?

Il braccio destro ha più margine di movimento per afferrare i prodotti; la guida delle auto, tranne alcuni Pesi, è a destra e leggiamo da sinistra a destra, per cui i nostri occhi tendono a seguire questo movimento anche quando si è davanti a uno scaffale.

I supermercati sono pensati per favorire la circolazione dei clienti da destra a sinistra, col risultato che le cose più acquistate sono sempre sugli scaffali a destra. Le grosse industrie, sapendo questo, posizionano i loro prodotti civetta sempre a destra.

La porta d’ingresso è sempre a destra, e questo è un modo subdolo nel determinare il flusso d’acquisto antiorario.

Infine i percorsi contorti all’interno servono per farci camminare lentamente, e più lentamente ci muoviamo, più prodotti vedremo… e saremo tentati di comprare.

I beni di prima necessità come sale, zucchero, ecc., sono posizionati lontanissimo dall’ingresso e difficili da scovare, obbligandoci a ripercorrere più volte le corsie facendoci girare l’intero supermercato. Addirittura in molti supermercati cambiano di posto i prodotti una volta al mese, per impedirci di trovare facilmente quello che cerchiamo.

L’istituto ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato, ha messo a punto un dispositivo per registrare ciò che il cliente guarda da quando entra a quando esce, scoprendo che l’area più osservata negli scaffali è a circa 20 centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo.

Un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima probabilità d’essere notato e quindi di essere acquistato.

La musica è servita

Quale musica è meglio: rock, metallica, samba o sinfonica?

A questo ci pensano aziende come Muzak, gli “architetti audio”, che hanno progettato 74 programmi musicali in 10 categorie diverse, che spaziano dal rock, alla classica, e tutte sortiscono un effetto psicologico ben preciso e diverso.

Anche la velocità e il ritmo sono importanti. Nei supermercati la musica è lenta perché dobbiamo muoverci più lentamente per comprare di più, mentre nei fast-food e ristoranti è più veloce allo scopo di accelerare il ritmo della masticazione, in questo modo ci spingono ad andarcene prima per servire più clienti.

I carrelli della spesa

Nel 60% dei carrelli si trovano batteri coliformi, gli stessi dei bagni pubblici. Uno studio ha trovato più batteri di tutte le altre superfici analizzate, inclusi water e poggiatesta dei treni.

Il carrello è stato inventato nel 1938, con l’unico intento di stimolare gli acquisti, e nel corso degli anni le dimensioni sono aumentate permettendo di contenere più prodotti.

Oggi si trovano carrelli di dimensione ridotta dedicati ai bambini, e in questa maniera da una parte vengono abituati e indottrinati fin da piccoli a usarlo, dall’altra possono riempirlo con i prodotti posizionati alla loro altezza.

Esposizioni

Le industrie pagano per posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente dalle persone: un metro e mezzo da terra, a destra e a fine corsia.

Posizionano a fine corsia, dove c’è anche più spazio, prodotti ad alto profitto, come le cioccolate e che ispirano acquisti compulsivi.

Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelle esposizioni di fine corsia, rispetto quelli a metà corridoio, perché si pensa che “il vero affare è alla fine”.

Attenzione agli amici

Paradossalmente il persuasore occulto più potente sono proprio gli amici. Il marketing e le aziende non possono nulla in confronto all’influenza esercitata da un consumatore sull’altro. Nulla è più persuasivo quanto osservare una persona che conosciamo e rispettiamo intenta a usare un prodotto.

Quando un brand ci è raccomandato da un’altra persona, nel nostro cervello le aree razionali e procedurali si disattivano. Tali meccanismi spiegano come mai la pubblicità basata sul passaparola ci resta in testa per settimane, mentre non ricordiamo gli spot televisivi visti alla mattina.

Conclusione

Aveva ragione Edward L. Bernay, padre della Propaganda, quando scrisse nel 1928 che “gli uomini raramente sono consapevoli delle vere ragioni che stanno alla base delle loro azioni”.

Questo articolo è incompleto perché il materiale su tali argomenti è faraonico, ma dopo questa lettura forse saremo un po’ più consapevoli del piano diabolico del neuromarketing.

La consapevolezza, assieme a un percorso di crescita evolutivo-spirituale, rimangono gli strumenti più potenti per difendersi dalla persuasione… e non solo.

Partendo da hic et nunc, qui e ora, è molto importante essere presenti il più possibile nella nostra vita. La tv, in quanto strumento principe della manipolazione, meno la guardiamo e meglio è per tutti, soprattutto per i bambini. Infine, evitare di fare la spesa durante gli orari di pranzo e cena, perché lo stimolo della fame incentiva acquisti compulsivi, non usare il carrello e portarsi sempre la lista della spesa.

Questi consigli sono banalità o possono far tremare i polsi alle multinazionali? Lo sapremo solo se li metteremo in pratica…