Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di perderlo’

Gian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica, lancia l’allarme: “Le nostre imprese sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico, ma i governi degli ultimi due anni non hanno fatto nulla per prevenire il disastro”. Gabriele Iacovino, capo analista del Cesi: “Le realtà economiche risentono della mancata stabilizzazione del paese: senza sviluppo, il Paese fallirà”

libia

Un miliardo di euro in fumo: potrebbe essere uno dei costi della crisi libica per l’Italia. Un miliardo di euro di cui le imprese italiane sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico e che con il caos in corso rischiano di non essere mai saldati. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.itGian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica: “Per la precisione si tratta di circa 350 milioni di euro risalenti ancora agli anni Novanta e di 650 milioni degli anni Duemila. Si sapeva quello che stava per succedere. C’erano state informative dei servizi, già a maggio Marco Minniti aveva lanciato l’allarme, dicendo che c’erano sei mesi di tempo per salvare la Libia, ma non si è fatto nulla per prevenire il disastro. Si è trattato quanto meno di indolenza da parte dei nostri governi degli ultimi due anni. E le imprese italiane ne vanno di mezzo”.

Sono circa 150/200 le aziende nostrane presenti in Libia, con numeri variabili e una presenza fissa di almeno un centinaio, operanti in svariati settori, dalle infrastrutture alle costruzioni, dallatecnologia alle telecomunicazioni, dal food a quella ittica che stava partendo in questi mesi. Nonostante la crescente e invasiva presenza turca e cinese, il made in Italy continua ad essere apprezzato. “Nei primi mesi dell’anno il flusso di traffico dall’Italia verso la Libia era aumentato, ma anche in direzione contraria c’era molto movimento: è un aspetto sottovalutato, questo, ma sono molti i privati che vengono a fare shopping da noi, e che spesso lamentano le pastoie burocratiche e la difficoltà di avere visti. Ora purtroppo è tutto fermo. Quando telefono giù, sento la gente stanca, che ha voglia di ricostruire. Distruggere la propria capitale e le sue infrastrutture è un gioco al massacro che il 95% dei libici non comprende”. Damiano prosegue ritenendo l’impostazione data finora dalla Nato sbagliatissima e ribadisce: “Le imprese in silenzio resistono, alcune continuano a lavorare tra mille difficoltà, ma solo lasciate sole. Le istituzioni non ci sono. Per i big esistono le relazioni intergovernative, ma la piccola e media impresa, quella che paga le tasse, non ha capacità di lobby ed è bistrattata”

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Ma quali sviluppi può avere la situazione? “L’aeroporto di Tripoli, al centro degli scontri in atto, è un importante hub economico – spiega a IlFattoQuotidiano.it Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti per il Medio Oriente del Cesi – Centro Studi internazionali – se non funziona ne resta compromesso tutto il paese, dato che su Bengasi ci sono pochissimi voli ed è difficile entrare dal confine tunisino. Mai come ora le autorità di Tripoli sono state in difficoltà. Lo scontro in corso, ovviamente, non è solo per il controllo dell’aeroporto, ma è un conflitto profondo tra islamisti e laici”. Su quali conseguenze ciò possa avere per il nostro paese, Iacovino è chiaro: “La sicurezza energeticaitaliana non è particolarmente a rischio, per ora. I danni sono circoscritti, perché negli ultimi anni i rifornimenti di petrolio e gas dalla Libia sono stati ridotti e non c’è stata una ripresa netta dell’industria estrattiva rispetto al pre Gheddafi. In una nuova escalation di violenza potrebbero esserci ripercussioni, ma comunque circoscritte”.

“Allargando il discorso alla stabilizzazione della Libia – prosegue – dovremmo fare lo sforzo di guardare alla Libia non solo come bacino energetico, ma come un partner economico e finanziario a 360 gradi, le realtà attive sono numerosissime, il problema è che dal punto di vista politico manca la forza di supportare la stabilizzazione del paese. Potrebbe essere una partnership ben oltre il rapporto energetico, un volano per lo sviluppo reciproco, non solo per noi ma soprattutto per loro: senza sviluppo economico e politico, la Libia è destinata ad essere un nuovo Stato fallito“. Che tipo di intervento servirebbe? “Se ci fosse un coraggio maggiore da parte della nostra politica estera nel prendere la leadership nel processo di ricostruzione politica, si otterrebbero indubbi vantaggi per la popolazione libica, ma si creerebbero anche i presupposti per relazioni istituzionali ed economiche: due bacini economico-finanziari a incastro, con interessi reciproci”.

Però l’Europa è già intervenuta in passato. “I paesi che portarono alla caduta del regime e poi si tirarono indietro, soprattutto la Francia di François Sarkozy, ma anche gli Usa dietro le quinte, inevitabilmente lasciano l’Italia e l’Europa in prima linea nella gestione dell’agenda libica, col rischio che senza un intervento rapido, possiamo ritrovarci un paese fallito. Le conseguenze sarebbero molto difficili da gestire dal punto di vista economico, ma anche di sicurezza: la Libia sta diventando sempre più un paese non governato, in balia di traffici illegali (dalla droga al traffico di esseri umani), paradiso di terroristi nordafricani e criminali. Ed è proprio questo il problema principale”.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

Secondo i media americani a bordo dell’imbarcazione affondata a 60 chilometri da Tripoli c’erano più delle 200 persone ipotizzate inizialmente. Tra i corpi riaffiorati c’era anche quello di un bimbo di 18 mesi, mentre tutti gli altri rimangono dispersi

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

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Sarebbero oltre 250 i migranti all’interno del barcone di legno naufragato il 22 agosto a 60 chilometri dalla Libia. È quanto riferiscono i media americani, secondo i quali a bordo dell’imbarcazione salpata da Guarakouzi e diretta in Europa, c’erano più persone rispetto alle 200 ipotizzate inizialmente. I corpi senza vita di 20 migranti, tra cui un bimbo di 18 mesi sono riaffiorati venerdì nelle acque a largo di Tripoli, mentre tutti gli altri rimangono dispersi. A dare notizia della tragedia era stato Abdellatif Mohammed Ibrahim, della guardia costiera locale che venerdì aveva riferito di aver trovato ”a pochi passi dalla spiaggia i resti di un’imbarcazione di legno a bordo della quale si erano imbarcati circa 200 migranti”, precisando di essere riuscita a “salvare 16 persone”, e di averne trovati “15 morti“.

Intanto continuano le tragedie sulle coste italiane. Oggi al largo di Lampedusa la Marina Militareha recuperato i corpi di 18 migranti affogati, che erano a bordo di un gommone, arrivato sull’isola con 73 persone a bordo. Sulle coste di Pozzallo invece sono arrivati sabato 355 migranti: 183 uomini, 65 donne e 107 bambini. E’ il secondo sbarco in meno di 24 ore nel porto in provincia diRagusa: venerdì, infatti, erano giunti 200 migranti di nazionalità siriana. Gli agenti della squadra mobile di Ragusa e gli uomini della Capitaneria di porto hanno diretto le operazioni di sbarco. Gli immigrati si trovavano in difficoltà nelle scorse ore durante la traversata nel Mediterraneo ed erano stati soccorsi da un mercantile che li ha trasportati fino a Pozzallo. Sono in corso le indagini per individuare gli scafisti. Intanto, al porto di Catania sono sbarcati altri 196 migranti, soccorsi da nave Foscari della Marina militare nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum.

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Sul fronte politico non accennano a placarsi le polemiche tra Germania e Italia, dopo le parole del ministro dell’Interno bavarese Joachim Hermann che ha affermato, in merito agli sbarchi di profughi, che “Roma non prende dati personali o impronte perché così gli stranieri possono chiedere asilo in un altro paese”. Oggi (sabato 23 agosto) è arrivata a risposta del sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione (guarda), secondo cui il problema è che i migranti “preferiscono non farsi identificare” perché significherebbe avviare una lunga procedura di riconoscimento deldiritto d’asilo. Cosa che rallenterebbe il loro viaggio verso i paesi di destinazione, che molto spesso sono quelli del Nord Europa. Per questo – secondo Manzione – vanno rivisti “gli accordi di Dublino”, in modo che la procedura per l’ottenimento dell’asilo venga avviato solo una volta raggiunto il paese desiderato, una soluzione che consentirebbe ai migranti appena sbarcati in Italia di “farsi identificare tranquillamente e poi raggiungere i posti dove vogliono andare”.

Terrorismo: le ragioni del nemico

Terrorismo: le ragioni del nemico

Terrorismo: le ragioni del nemico

Non condivido i commenti critici, in genere ipocriti e tendenziosi, alle recenti dichiarazioni del deputato M5S Di Battista a proposito del terrorismo. Infatti, Di Battista ha sostenuto che c’è un legame fra ingiustizia sociale e terrorismo e che il terrorismo dei gruppi fondamentalisti costituisce la risposta a un altro terrorismo precedente, quello delle Potenze occidentali che si concretizza nei bombardamenti indiscriminati, nelle torture, ecc. Inoltre ha sostenuto la necessità del dialogo, che costituisce comunque a mio avviso un elemento fondamentale in ogni situazione.

Direi di più. Allargherei cioè il discorso al fatto che il terrorismo è un prodotto inevitabile di questo sistema mondiale oppressivo basato sul dominio di una minoranza sempre più piccola di sfruttatori su una maggioranza sempre più ampia di sfruttati. Bisogna peraltro intendersi preliminarmente sul significato del termine “terrorismo”. A suo tempo ho proposto una definizione basata sull’identificazione della natura e degli effetti delle azioni violente intraprese. Sono di naturaterroristica tutti gli attacchi violenti volti a colpire in modo indiscriminato la popolazione civile, a terrorizzarla per ottenere risultati utili dal punto di vista politico.

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Applicando tale criterio, l’unico giuridicamente possibile e proficuo, avremo certamente delle sorprese, specie dal punto di vista dell’ortodossia della cosiddetta ragione dominante. Vanno infatti qualificati di natura terroristica gli attacchi compiuti da Israelecontro la popolazione di Gaza che hanno fatto oltre duemila vittime in poche settimane, come pure i bombardamenti effettuati impiegando fosforo bianco e altre armi ad effetti incontrollabili da parte delle forze statunitense a Falluja e in altre località dell’Iraq a suo tempo occupato. Come pure gli attentati costantemente organizzati a Cuba da parte dei gruppi anticastristi di Miami, organizzati, finanziati ed addestrati da parte della Cia.

Certamente anche la risposta che ne è derivata può essere qualificata in taluni casi come di natura terroristica. Così per i lanci dei pur inefficaci razzi da parte di Hamas che per loro stessa natura non risultano indirizzabili su di uno specifico obiettivo in ipotesi legittimo, o le attuali imprese militaridi raggruppamenti come l’Isis caratterizzati, per di più da un’ideologia discriminatoria e fondamentalista che peraltro costituisce a sua volta la risposta a secoli di oppressione coloniale e di tentativi di rapinare le risorse naturali e di imporre sistemi estranei, da parte dell’Occidente e, per una fase, anche da quella dell’Unione sovietica.

Così non è stato invece per quanto riguarda un soggetto maturo e politicamente responsabile come ilgoverno cubano che, pur di fronte a un attacco pluridecennale sanguinoso che ha fatto fra le file del popolo migliaia di morti, ha risposto in modo pacifico e intelligente infiltrando tra le file dei terroristi di Miami gli agenti che hanno sventato ulteriori attacchi e sono stati per questo motivo incarcerati dalle autorità di Washington. Tre di essi, Gerardo Hernandez, Antonio Guerrero e Ramon Labanino, sono tuttora in carcere a quasi sedici anni dal loro arresto mentre invece meriterebbero, insieme agli altri due già scarcerati, René Gonzalez e Fernando Gonzalez, il premio Nobel per la pace.

Di fronte all’attentato alle Torri gemelle il governo degli Stati Uniti ha scelto invece un approccio del tutto opposto, lanciando, con grande giubilo del complesso militare-industriale,  la cosiddetta “guerra al terrorismo” che, quindici anni dopo, si rivela essere stata, come appare con palmare evidenza ovunque, dal Medio Oriente, all’Africa ad altre zone del pianeta, l’occasione per il rilancio di una minaccia terroristica oggi più che mai pericolosa e vitale.

“Comprendere le ragioni del nemico” costituisce d’altronde, fuori da ogni logica isterica e strumentale, un passaggio indispensabile per sconfiggerlo ovvero per concludere una pace dignitosa che ponga fine alle inutili sofferenze delle popolazioni civili.

Ciò è tanto più vero perché le radici stesse del fenomeno sono ben interne all’attuale sistema di dominazione mondiale. Bisogna partire quindi dalla necessità urgente di trasformare tale sistema, il che comporta un’inevitabile rivoluzione in Occidente. E distinguere accuratamente tra i vari tipi di terrorismo, senza dimenticare quelli di Stato, che per molti versi sono i peggiori,  e condannando ovviamente senza appello quelli di gruppi settari e reazionari come l’Isis, contro i quali va organizzata l’autodifesa delle popolazioni colpite.

In sintesi conclusiva, l’unica risposta vincente al terrorismo è la democrazia organizzata del popolo, che si munisce di tutti gli strumenti necessari a difendersi ed eliminare le oscure manovre dei gruppi di potere, comunque travestiti e denominati.

Roma, decapita donna con mannaia: assassino ucciso dagli agenti

Roma, decapita donna con mannaia: assassino ucciso dagli agenti

All’Eur, Federico Leonelli, 35 anni, ha massacrato Oksana Martseniuk, domestica ucraina di 38 anni, all’interno di una villetta. Poi ha tentato la fuga brandendo un’arma insanguinata e i poliziotti hanno aperto il fuoco. Indossava una divisa paramilitare e da alcuni mesi era ospite dei proprietari della casa. L’ipotesi: tentato stupro. La sorella: “Perché lo hanno ucciso? Era un ragazzo d’oro”

Roma, decapita donna con mannaia: assassino ucciso dagli agenti

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L’ha uccisa a coltellate poi le ha tagliato la testa con una mannaia. E quando nella villetta dell’Eurdove è avvenuto l’omicidio sono arrivati i poliziotti, il killer ha tentato la fuga brandendo contro di loro l’arma insanguinata. Gli agenti sparano. Federico Leonelli, italiano di 35 anni, è morto poco dopo in ospedale. Ancora da accertare le cause che lo hanno portato a massacrare Oksana Martseniuk, domestica ucraina di 38 anni. Tra le ipotesi c’è quella che la donna avesse cercato di sottrarsi a un tentativo di violenza sessuale del killer. Per ora gli investigatori escludono che ci fosse una relazione tra i due. Il killer, residente al quartiere Ostiense, indossava dei pantaloni mimetici, una t-shirt verde, un cinturone di corda stile militare, anfibi e aveva nascosto il volto dietro una maschera e gli occhiali da sole. Secondo gli uomini della squadra mobile della capitale, il 35enne dopo aver ucciso la donna voleva farla a pezzi e nascondere il cadavere.

 

L’uomo era un amico dei proprietari della villetta e da circa un paio di mesi era ospite dell’abitazione. Quando la famiglia è partita per le vacanze, lui è rimasto a casa. Tra lui e la donna non ci sarebbero rapporti pregressi. Né sono mai state presentate da parte della domestica denunce per stalking o minacce. E’ emerso, però,che Leonelli era solito maneggiare coltelli ed armi da taglio, al punto che la vittima aveva lanciato l’allarme ai padroni di casa che da alcune settimane ospitavano l’uomo. A rivelare questo particolare al pm sono stati gli stessi proprietari di casa e datori di lavoro della donna, sentiti insieme ad altri numerosi testimoni dalla Procura di Roma.

A chiamare il 113, intorno alle 10.45, sono stati alcuni vicini di via Birmania – una dei ‘quartieri bene’ della Capitale – che hanno sentito grida e trambusto provenire dal seminterrato della villetta. Giunti sul posto gli agenti, accompagnati dai vigili del fuoco, hanno trovato la porta dell’abitazione chiusa. Ma, mentre i vigili del fuoco erano al lavoro per sfondare la porta del piano seminterrato, Federico Leonelli è uscito all’improvviso da un altro ingresso, puntando sull’effetto sorpresa. Addosso ha anfibi neri, pantaloni militari, maglietta verde, cintura di cuoio e mascherina da giardiniere. Tra le mani un grosso coltello da cucina, una sorta di mannaia, ancora insanguinato. Per cercare di fuggire, è corso verso la sua auto. Quando i pompieri hanno visto l’uomo, alto quasi due metri e armato, si sono fatti da parte. La polizia invece ha sparato alcuni colpi, forse cinque. Uno di questi ha ferito il killer al cuore. L’uomo, soccorso d’urgenza dal 118, è arrivto già morto all’ospedale Sant’Eugenio. Al momento resta senza indagati il fascicolo aperto dalla Procura di Roma relativo all’omicidio della donna da parte di Federico Leonelli a sua volta ucciso dagli agenti di polizia mentre tentavano di bloccarne la fuga. Il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, che coordina le indagini condotte dalla squadra mobile ha disposto le autopsie dei cadaveri che verranno effettuate oggi (lunedì 25 agosto). Dall’esito dell’esame autoptico sull’uomo gli inquirenti decideranno se procedere con iscrizioni nel registro degli indagati.

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A quanto ricostruito finora dagli inquirenti della Procura Federico Leonelli è stato preso mentre tentava di salire in macchina, nonostante fosse stato ferito dai proiettili. Sul parabrezza della Chevrolet Cruze grigia, portata via nel pomeriggio, ci sono però due fori, probabilmente dei proiettili non andati a segno. A riprendere quei minuti anche la telecamera di sorveglianza della villa, le cui registrazioni sono ora al vaglio degli inquirenti. Sul luogo del delitto sono intervenuti quattro agenti a bordo di due volanti. Per ricostruire l’esatta dinamica dell’accaduto gli inquirenti della Procura di Roma hanno ascoltato testimoni e gli agenti intervenuti questa mattina in via Birmania.

“Al di là di quanto accaduto, perché mio fratello è stato ucciso?”, si è sfogata in serata Laura Leonelli, sorella dell’uomo. “Perché hanno mirato al cuore? Loro avevano una pistola e lui un coltello. Mi diano una risposta. Mio fratello – aggiunge – era un ragazzo veramente d’oro ed era un bravissimo zio, si prodigava con i miei figli di 3 anni e mezzo e 6″.

Non ancora accertato, per ora, il movente dell’omicidio. La polizia ha perquisito l’abitazione nella speranza di trovare elementi che possano chiarirlo. Sul parabrezza dell’auto dell’uomo (una Chevrolet Cruze di colore grigio), parcheggiata all’interno della villa, sono stati rinvenuti due fori, presumibilmente di colpi d’arma da fuoco. L’auto sarà ora messa a disposizione degli inquirenti per ricostruire esattamente la dinamica di quanto accaduto.

Un vigile del fuoco, sentito da la Repubblica, ha raccontato che ”quegli agenti hanno trattato a lungo con quell’uomo per farlo calmare, dicendogli di posare la mannaia insanguinata. Ma lui ci ha attaccati”. “Ho sentito la voce di una donna che strillava. Ho avvisato subito il padrone di casa che ha dato l’allarme alla polizia”. Questa la testimonianza di uno dei domestici della villa che sorge accanto a quella dove è avvenuto l’omicidio. “Questa mattina intorno alle nove abbiamo sentito un forte rumore – ha raccontato – e così siamo usciti di casa per controllare la situazione. All’arrivo della polizia abbiamo messo a disposizione una scala per poter scavalcare il cancello della villa da dove erano partite le urla”.

Nell’elegante via Birmania c’è comunque molto riserbo sia parte degli investigatori sia da parte delle persone che abitano nelle lussuose ville tra il centro di Roma e il litorale. “Io stavo dormendo”, dice un altro dei collaboratori domestici che presta servizio nelle abitazioni. “Non posso dire nulla, chiedete agli investigatori”, ha risposto invece il medico legale uscendo dalla villa, particolarmente provato dopo ore di lavoro.

E c’è chi mette in relazione le modalità dell’assassinio con la cronaca di questi giorni: la professoressa Donatella Marazziti, docente di psichiatria all’Università di Pisa, cita l’omicidio diJames Foley, il giornalista barbaramente ucciso dall’Isis. “Si può generare ansia nella popolazione generale: è opportuno che si eviti il proliferare di immagini agghiaccianti sul web”.

Ancona, padre uccide la figlia a coltellate. Nei suoi appunti parla di un ‘disegno di Dio’

Ancona, padre uccide la figlia a coltellate. Nei suoi appunti parla di un ‘disegno di Dio’

Adnkronos NewsAdnkronos News – 18 ore fa

Una foto di Luca Giustini, dal suo profilo Facebook.Una foto di Luca Giustini, dal suo profilo Facebook.(AdnKronos) – Frasi confuse, farneticanti, quasi incomprensibili sono contenute dei manoscritti sequestrati dai carabinieri di Ancona a Luca Giustini, il ferroviere 34enne che ha ucciso a coltellate la figlioletta di 18 mesi. Si tratta di alcuni quaderni scritti a mano che i militari hanno trovato nell’automobile dell’uomo. Secondo quanto si apprende le frasi farebbero riferimento a un presunto disegno di Dio e, durante il colloquio con uno dei medici del reparto di psichiatria, dove è ricoverato Giustini avrebbe detto di aver sentito una voce che gli diceva di uccidere la figlia.

Oggetti appartenenti a Giustini sono stati sequestrati anche in casa sua. Giovedì mattina è prevista l’udienza di convalida dell’arresto nel reparto di psichiatria, dove l’uomo è ricoverato e piantonato.

Al momento spiegano i carabinieri sono stati ”conclusi solo gli atti urgenti per fermare le prove che potrebbero essere disperse”.

Trentino, Daniza cavaliere della Repubblica

Trentino, Daniza cavaliere della Repubblica

#iostocondaniza-640

“Lasciate stare l’orso Daniza” chiedono in migliaia, attraverso la rete, invitando la Provincia di Trento a non dar seguito ai propositi di catturare e addirittura di sopprimere l’animale, accusato di aver assalito il cacciatore di funghi che si era pericolosamente avvicinato all’orsa e, soprattutto, ai suoi cuccioli.

Per la verità il presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, ha subito escluso il ricorso a misure “estreme”.
Peraltro cosa avrebbe mai dovuto fare un animale che, mentre passeggia nella sua “Area protetta”, per di più con i piccoli al seguito, si vede capitare un altro animale che a lei non sarà sembrato né gradevole, né amichevole?

Per fortuna non ci sono state conseguenze gravi né per l’umano, né, almeno per ora, per l’animale, ma non vi è dubbio che, anche in tribunale, all’orsa sarebbero state concesse tutte le attenuanti, dalla provocazione al procurato allarme sino alla violazione di domicilio.

Non vorremmo sembrare irrispettosi, ma a Daniza andrebbero concesse le onorificenze civili per aver difeso ambiente e famiglia, e sicuramente, in entrambi i casi, lo ha fatto più e meglio di tanti cavalieri ed ex cavalieri della repubblica.

Sonda Cassini rivela: su Titano si addensano nuvole di metano

Sonda Cassini rivela: su Titano si addensano nuvole di metano

Nuvole di metano si rincorrono sui mari di idrocarburi che punteggiano l’emisfero settentrionale della luna di Saturno, Titano, a conferma di un modello climatico simile a quello terrestre. Sono dieci anni che gli scienziati tengono d’occhio Titano grazie agli strumenti della missione Cassini-Huygens. La sonda ha catturato una serie di immagini dell’emisfero settentrionale della luna dove è possibile vedere un sistema nuvoloso muoversi sulla distesa di idrocarburi liquidi del Ligeia Mare. Questa rinnovata attività meteorologica su Titano – scrive Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di Astrofisica – potrebbe finalmente confermare le ipotesi dei ricercatori, secondo cui il modello atmosferico della luna non sarebbe dissimile da quello che governa la meteorologia sul pianeta Terra.
Le immagini di Cassini risalgono a fine luglio – Mentre la sonda si stava allontanando da Titano a seguito di un passaggio ravvicinato ha individuato un blocco di nuvole sulla grande distesa di metano conosciuta come Ligeia Mare. Lo sviluppo e la dissipazione dei vapori suggerisce una velocità del vento di circa tre, quattro metri al secondo. Dall’arrivo di Cassini nel sistema di Saturno, nel 2004, gli scienziati non hanno smesso di osservare l’attività meteorologica nell’emisfero meridionale di Titano. A quell’epoca il polo sud della luna stava vivendo la fine della stagione estiva. Un anno su Titano corrisponde a quasi trent’anni terrestri, con ogni stagione che si porta via circa sette anni.
Occhio della sonda Cassini sull’emisfero settentrionale – Oggi l’osservazione dei fenomeni atmosferici e la formazione delle nubi si è spostata all’emisfero settentrionale della luna di Saturno. Ma da quando una grande tempesta ha spazzato il cielo del satellite ghiacciato alla fine del 2010, è stato difficile catturare qualche immagine di piccole nuvole sulla superficie del polo nord. L’osservazione dei cambiamenti stagionali su Titano – sottolinea Media Inaf – continua a essere un obiettivo importante della missione Cassini, specie con l’arrivo dell’estate sull’emisfero settentrionale. Se le latitudini meridionali cadono in un lungo e buio inverno, il polo nord registra un innalzamento delle temperature che non può che favorire l’insorgere di sistemi nuvolosi.
Nuvole si trovano sempre sui mari di idrocarburi – “Siamo ansiosi di scoprire se l’aspetto delle nuvole segni l’inizio di un’estate nel modello meteorologico lunare o se si tratti di un caso isolato”, spiega Elizabeth Turtle, ricercatrice del Cassini imaging team, Johns Hopkins University Applied Physics Lab, Laurel, Maryland. “Ci chiediamo perché le nuvole inquadrate da Cassini si trovino sempre sui mari di idrocarburi. Si tratta di un caso o si formano di preferenza lì?”. Per le previsioni meteo su Titano, insomma, bisogna ancora aspettare.
14 agosto 2014

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

Silvio Stricchi, ingegnere senese, con i suoi 243.600 euro supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici dei 240mila euro, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Capo dello Stato che guadagna 239.181 euro lordi all’anno

Ferrara, il direttore dell’acquedotto guadagna più del presidente Napolitano

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Prende come e più di un presidente. Anzi, del Presidente. In tempi di polemiche sui tetti agli stipendi dei manager pubblici, in provincia di Ferrara si segnala il caso del direttore dell’Acquedotto del Delta. Silvio Stricchi, ingegnere senese di 58 anni trapiantato da giovane nella città estense, guadagna 243.600 euro e supera il famoso tetto per i dipendenti pubblici di 240mila, lasciandosi alle spalle indennità altisonanti. Come, appunto, quella del Presidente della Repubblica. Che guadagna 239.181 euro lordi all’anno. Non arriverà certo agli oltre 2,2 milioni di Massimo Sarmi(ad e dg di Poste Italiane), ma tra gli incarichi apicali di aziende a partecipazione pubblica non quotate Stricchi può dire la sua.

Il manager è direttore generale del Cadf, al secolo il Consorzio Acque Delta Ferrarese (Cadf), “L’Acquedotto del Delta”, con sede a Codigoro, che gestisce il servizio idrico integrato per 15 comuni del Ferrarese. Il consorzio è formato da Berra, Codigoro, Copparo, Fiscaglia, Formignana, Goro, Jolanda di Savoia, Lagosanto, Mesola, Ostellato, Ro e Tresigallo. Tutti comuni a guida centrosinistra cui si aggiunge l’ara avis di Comacchio, amministrazione condotta da una giunta Cinque Stelle.

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A condurre dal 15 ottobre 1997 ad oggi il Cadf è questo ingegnere plurititolato, con un passato costellato di vari incarichi in aziende pubbliche e non. Scorrendo il suo cursus honorum si leggono voci come ingegnere capo del Comune di Argenta, capo servizio viabilità e traffico del Comune di Ferrara, consulente tecnico e gestionale di Ferrara Tua (azienda comunale che gestisce la sosta nel capoluogo estense), direttore generale di Delta Reti S.p.A, coordinatore con funzioni tecniche e gestionali della società Delta Web S.p.A.. Aziende pubbliche anche queste ultime due. Fino allo scorso mese è stato anche consigliere di amministrazione di Area, azienda partecipata di Copparo che gestisce i rifiuti in una dozzina di comuni. Qui ha percepito nell’ultimo anno 21.394,8 euro.

A quest’obolo Stricchi può sommare i guadagni che riceve dal Cadf: 198.600 euro come dirigente (assunto a tempo indeterminato), cui vanno aggiunti 45.000 come direttore generale. Per un totale di 243.600 euro (esclusi i 20mila di Area). Napolitano è già distaccato. Ma fino allo scorso novembre il manager poteva contare anche sull’incarico di direttore generale di Delta Reti (proprietaria delle reti idriche, avviata poi alla fusione con Cadf), con uno stipendio da 30mila euro. Poco male, visto che due mesi dopo, il 21 novembre 2013, il cda da lui presieduto ha deliberato un aggiornamento del compenso che copre la dolorosa perdita. Prima percepiva dal consorzio un più che appagante 183.631,6 come dirigente e 30.000 come dg. Ecco recuperati per intero, con un lieve arrotondamento per eccesso, i 30.000 di Delta Reti.

Forlì, pescivendolo dichiara 900 euro al mese. Ma ha una Ferrari e un suv

Forlì, pescivendolo dichiara 900 euro al mese. Ma ha una Ferrari e un suv

La Guardia di Finanza contesta a un commerciante un’evasione da 210mila euro tra Iva e imposte. Alle fiamme gialle ha detto: “La fuoriserie? Non la uso perché costa troppo”

Ferrari 360 Modena

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La compagnia di Forlì della Guardia di Finanza ha chiuso una verifica fiscale nei confronti di un commerciante di prodotti ittici contestandogli di aver evaso 210mila euro tra Iva e imposte. L’uomo dichiarava redditi annui per circa 10mila euro, cioè meno di 900 euro al mese, ma era intestatario di una Ferrari 360 Modena del valore di 90mila euro e di un Suv Mercedes ML320. Coi finanzieri ha sostenuto di utilizzare molto raramente la vettura, per gli elevati costi di gestione. L’imprenditore, tra le altre cose, era da tempo sotto il controllo dei finanzieri, visto che più di una volta aveva“dimenticato” di fare lo scontrino dopo aver venduto della merce, incappando nella relativa sanzione.

Durante la verifica i militari hanno ricostruito le attività del magazzino merci e l’applicazione della percentuale di ricarico (ricavata dai prezzi di acquisto e di vendita dei prodotti), oltre ad una serie di controlli incrociati nei confronti di fornitori e clienti del commerciante. Intersecando i dati quindi la Finanza è riuscita a contestare al commerciante per il 2011, 2012 e 2013 una evasione di 198mila euro di imposte dirette e 12mila di Iva. Non riconosciuti inoltre 2mila euro di costi che l’imprenditore aveva indebitamente portato in dichiarazione. Quando sono entrati nel garage dove erano custodite le vetture, il commerciante ha appunto spiegato che la Ferrari la utilizzava “molto raramente” causa gli elevati costi di gestione. Pochi giorni prima della chiusura della verifica l’imprenditore, spiega la Gdf, ha deciso di vendere la fuoriserie.