Scuola: tante iscrizioni online, e il sito va giù

Scuola: tante iscrizioni online, e il sito va giù

Iscrizioni a scuola

Boom di iscrizioni online già dal 21 gennaio

Per essere un successo, lo è stato. Forse anche troppo. Il primo giorno delle iscrizioni scolastiche online si profila come quello, tipicamente caotico, dei nuovi servizi telematici in sostituzione di quelli cartacei. Già pochi minuti dopo la mezzanotte molti genitori hanno cercato l’accesso al nuovo sito iscrizioni.istruzione.it, e a metà mattina erano più di cinquemila le famiglie che erano riuscite a programmare l’iscrizione. Soltanto che il sito è andato offline per sovraccarico e mostra il fatidico messaggio di errore “HTTP Status 404″.

=> Leggi come funzionano le iscrizioni scolastiche online

Montano così le proteste dei tanti che si sono ritrovati il messaggio di indisponibilità del sito del Ministero, secondo copione all’italiana: caos, ansia dei genitori di essere i primi, effetto imbuto, scarsa qualità dell’infrastruttura informatica – o se non altro dei test precedenti al via – e il gioco è fatto: a parte i pochi fortunati che ci sono già riusciti, ci sono 1,6 milioni di famiglie ferme davanti ai cancelli di una scuola che ora pretende una chiave informatica per poter entrare.

Ma non è il caso di farsi prendere dal panico: le scuole, sia quelle destinatarie delle domande sia quelle di provenienza, offrono assistenza alle famiglie e a coloro che non hanno uncollegamento internet o che hanno poca dimestichezza con i computer (sono circa 300 mila). Inoltre, il termine di scadenza per queste iscrizioni è fissato al 28 di febbraio. Con questo ritmo certamente tutte le famiglie riusciranno a procedere all’iscrizione (nel video sotto viene spiegato come, passo dopo passo) dei loro figli al primo anno della scuola primaria e secondaria di primo e di secondo grado.

=> Leggi tutte le news sul concorso per gli insegnanti

Non mancano anche belle iniziative di open day organizzati da diversi comuni, che hanno messo a disposizione computer e assistenza (spesso nelle biblioteche), sia al nord – caratterizzato da una forte presenza di immigrati che non conoscono perfettamente la lingua italiana e potrebbero avere difficoltà – che al sud, dove invece è la scarsa diffusione di adsl e conoscenze informatiche a far temere l’emersione di possibili ostacoli a quello che è un diritto delle famiglie.

Intanto, dal Ministero hanno precisato che tra domanda online e tradizionale non ci sarà differenza di trattamento, perché nei casi di posti a esaurimento verranno considerati come sempre i criteri di valutazione della domanda, a partire dal domicilio della famiglia dell’alunno.

Fonte: Ansa

Presentazione Facebook: Nuovo motore di ricerca interno

 

Presentazione Facebook: Nuovo motore di ricerca interno

 

 

Articolo pubblicato il 16 gennaio 2013

Presentazione Facebook: Nuovo motore di ricerca interno

FratelloGeek ti parla della presentazione di Facebook avvenuta ieri 15 gennaio! Scopri ulteriori dettagli circa il nuovo motore di ricerca interno nel resto dell’articolo!

Ricordi che FratelloGeek ti aveva parlato di una misteriosa presentazione che Zuckerberg aveva programmato per il 15 gennaio 2013?

Era l’enigmatico invito rivolto ai giornalisti: “Venite a vedere cosa stiamo costruendo”.

Tale conferenza era molto attesa, soprattutto per scoprire quale sarebbe stata la risposta della società alla luce del variabile andamento della società in Borsa.

Ebbene, le novità sono arrivate!

Cosa riguardano?

 

 

Un inedito motore di ricerca di Facebook!

Il funzionamento è simile a quello di Google, ma cambia il dominio della ricerca: infatti non riguarda più l’infinito Web, ma solo i post pubblicati sul più popolare Social Network!

Nel dettaglio, le aree principali di intervento sono quattro: persone, foto, luoghi ed interessi.

Se non ci sono riposte da proporre agli utenti, non si resta con le mani in mano, grazie alla profonda integrazione con Bing di Microsoft.

Secondo te, questo può influire sull’influenza di Google nel Web?

Meglio precisare, non si tratta di un Web search: “Sono due cose molto diverse”.

Allora in cosa cambia?

Risponde sempre Zuckerberg: “La cosa che fa la differenza sono i filtri”.

Infatti, Graph Search “è pensato per rispondere a domande specifiche e ricevere risposte”, magari conoscere “che locali frequentano gli amici”.

Si tratta quindi di “un modo completamente nuovo per ottenere informazioni su Facebook”.

Che ne pensi?

Facebook lancia Graph Search: persone, interessi, luoghi e foto le grandi aree di ricerca previste

Facebook lancia Graph Search: persone, interessi, luoghi e foto le grandi aree di ricerca previste

In questo articolo

Argomenti: Internet | Graph Search | Mark Zuckerberg |San Francisco

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Facebook vara la sua visione di ricerca: Graph Search ha le radici nell’insieme di connessioni all’interno di una piattaforma con più di un miliardo di utenti attivi. Trasforma il social network in una straordinaria macchina per rispondere a domande articolate. E scoprire collegamenti tra persone, fotografie, interessi e luoghi. Immersi in un’unica rete. È un vasto esperimento di ricerca semantica. Diventa accessibile a partire da oggi in lingua inglese e per alcuni contenuti, ma sarà sviluppato in modo graduale nei prossimi mesi. Graph Search affianca l’esplorazione del web: Facebook rinnova l’alleanza con Bing se un utente non trova le risposte nel social network e ha bisogno di navigare oltre i confini della rete sociale online. 

Cambia il modo di immaginare la ricerca: gli utenti sono in grado di porre domande non soltanto per parole chiave, ma in modo più articolato. Ad esempio, possono trovare “ingegneri informatici che vivono a San Francisco e a cui piace sciare”. È anche uno spazio di recruitment, come nel caso del quesito “persone che sono state product manager e sono state fondatori”. 

 
 

Graph Search amplia gli orizzonti a un album di immagini globale. Gli utenti troveranno, ad esempio, “foto dei miei amici scattate prima del 1999”, raccolte dagli iscritti del social network che in media ottiene 300 milioni di fotografie al giorno. Sono ricercabili secondo le impostazioni degli strumenti per gestire la privacy. E i tag associati (come, ad esempio, il luogo) permettono di scandagliare su larga scala l’ampio network online.

A orientare l’esplorazione possono essere anche gli interessi. Ad esempio, la “musica che piace ai miei amici”, “le nazioni dove sono stati i miei amici”, oppure “trovare musica che piace alle persone che hanno espresso una preferenza per Obama” e ancora una domanda più complicata e generica come “film che piacciono alle persone che sono registi”. Emergono immense possibilità combinatorie che possono essere raffinate attraverso un pannello dove selezionare gli elementi in modo da filtrare i risultati desiderati. Inoltre, Graph Search abilita la ricerca a partire dai luoghi: non è soltanto “un ristorante a San Francisco”, ma “un ristorante a San Francisco che piace al Culinary Institute of America graduates”. La capacità di raccogliere i “segnali sociali” di chi esprime un “mi piace” contribuisce alla qualità dei risultati. Ma possono essere esaminati soltanto “contenuti che sono stati condivisi con noi”, osserva Mark Zuckerberg durante la conferenza nella sede principale di Facebook a Menlo Park.

Un’anteprima di Graph Search è accessibile da qui (https://www.facebook.com/about/graphsearch): avrà una barra in alto visibile in ogni pagina, dove gli utenti potranno restringere il campo di ricerca in modo progressivo. È per desktop e la versione destinata ai dispositivi mobili è stata rallentata dall’impegno degli ingegneri di Facebook nello sviluppo delle applicazioni. Sarà l’inizio di un progetto più ampio che richiederà anni di evoluzione. Lascia intravedere una complessa intelligenza artificiale. Può contare sul social network più grande del mondo e sul grafo sociale costruito dai suoi iscritti. È un lungo viaggio avviato con l’Open Graph. E apre un altro fronte nel duello con Google che accelera la rincorsa con il suo social network Google+.

AMERICA: LO “CHOC” CHE NON ESISTE

AMERICA: LO “CHOC” CHE NON ESISTE

 

di Massimo Mazzucco

 

La mattina del 24 (due giorni fa) ho dato un’occhiata alle news in Internet, e ho visto che molti siti (CNN, Huffington Post, BBC) riportavano la notizia di un altro massacro, avvenuto poche ore prima nello Stato di New York: uno squilibrato ha dato fuoco ad una casa, poi ha aspettato che arrivassero i pompieri e si è messo a sparare all’impazzata su di loro.

Due pompieri sono rimasti uccisi, altri due feriti gravemente. Lo squilibrato si era poi suicidato, prima che arrivasse la polizia.

Vado ad accendere il televisore, convinto di trovare le “breaking news” su ogni canale. Mi dicevo “questa è grossa, sommata alla faccenda di Newtown la faranno diventare l’argomento di fine anno”. Invece, non c’era ancora niente.

Ho pensato “come è lenta la televisione, rispetto ad Internet. Probabilmente stanno mandando i reporter sul posto, e ci vorrà ancora un po’ prima che stabiliscano il collegamento”.

Torno su Internet, e c’era già un primo aggiornamento con il nome dell’assassino, e la sua storia personale: nel 1980 aveva ammazzato sua nonna, poi aveva fatto 17 anni di galera ed era tornato in libertà. Nessuno evidentemente aveva valutato il suo equilibrio psichico.

Torno davanti alla televisione, dopo un’ora, ma non c’era ancora niente.

Fox News, CNN, NBC, ABC, CBS, nessuno dei grandi network dava ancora la notizia. “Che strano – mi dico – nemmeno un elicottero che inizi a mandare immagini dall’alto, in attesa che arrivino i reporter?” (Di solito gli elicotteri delle TV locali fanno a gara ad arrivare per primi, per poi dare la diretta a tutta la nazione).

Torno nuovamente in Internet, e c’era già in rete la registrazione della drammatica telefonata fatta da uno dei pompieri feriti, che si era nascosto sotto il proprio camion: “Sono ferito alla schiena e a una gamba, perdo sangue, sento che cominciano a mancarmi le forze. Sbrigatevi ad arrivare!”.

Sono tornato ancora davanti alla tv, aspettando pazientemente che parlassero di questo fatto, ma nessuno dava la notizia. Le ore passavano, ma c’erano soltanto i documentari sul Natale, quelli su Gesù Cristo e quelli – i più spinti di tutti – sulla “vera storia di Maria Maddalena”. Ma dei pompieri massacrati quel mattino nulla.

A quel punto ho capito: la nazione non doveva sapere. I grandi networks – probabilmente d’accordo, o ciascuno per conto proprio – avevano deciso che questa notizia sarebbe stata troppo per una nazione già pesantemente scioccata dal massacro di Newtown.

A parte chi frequenta Internet, quindi, la grande massa degli americani ha passato il Natale senza sapere nulla, in tranquillità, grazie a questo gesto di “premurosa compassione” a reti unificate.

Ho passato due giorni pensando che non ci sia niente di più vergognoso di qualcuno che, all’alba del 2013, si arroghi il diritto di decidere quello che la gente deve sapere e quello che non deve sapere.

Oggi invece ho scoperto che qualcosa di più vergognoso esiste: si chiama “inventarsi le notizie”. Sull’Ansa di oggi infatti compare il titolo: “Gli USA sotto choc per il killer dei pompieri”.

Bisognerebbe istituire una regola per cui viene tolta la licenza di fare giornalismo a gente che dimostri chiaramente di pubblicare falsità come questa.

CARTA DI CREDITO PIÙ GIOCO D’AZZARDO FA RECUPERO CREDITI

CARTA DI CREDITO PIÙ GIOCO D’AZZARDO FA RECUPERO CREDITI

 

di comidad

 

L’ennesima sortita del Buffone di Arcore è servita ancora una volta ad accreditare il mito personale di Mario Monti, ed anche ad avallare la falsa impressione di una discontinuità del governo attuale con quello precedente. Tutto questo prestigio personale – che potrebbe favorire un rilancio politico per la prossima legislatura – Monti lo ha ottenuto grazie ad una sfiducia parlamentare che gli costa appena un mese e mezzo di governo in meno. Un affare.

In realtà uno degli atti più recenti del governo Monti è stato quello di concedere mille licenze per siti di gioco d’azzardo online, e ciò in applicazione di un decreto del Ferragosto 2011, emanato proprio dal governo che lo ha preceduto [1].

Il gioco d’azzardo è l’unico settore che non conosce recessione, e si trova ormai ai primi posti per consistenza del business. Con il gioco d’azzardo online bastano una carta di credito ed un codice fiscale per rovinarsi l’esistenza standosene comodamente a casa [2].

La carta di credito sta diventando ormai il documento fondamentale per esibire uno status di cittadinanza. Esiste un network mondiale, l’AFI (Alliance for Financial Inclusion), per dotare tutti, ma proprio tutti, di carta di credito. L’alibi fiabesco secondo cui i poveri governi sarebbero costretti obtorto collo a salvare banche “troppo grandi per fallire”, s’infrange contro l’evidenza di questo network (o racket?) planetario, in cui i governi e le banche centrali dell’area G-20, ma non solo, si danno da fare per allestire, a pro dei bombanchieri, il mega-business del denaro elettronico. Da qui a qualche anno, milioni di persone che non hanno visto neanche il denaro contante, dovrebbero trovarsi forzosamente integrate in sistemi creditizi elettronici [3].

Dato che c’è sempre da imparare da Paesi più civili del nostro, sarà utile sapere che il governo scozzese ha elaborato un piano educativo “a favore” dei senzatetto, e non certo per dar loro una casa (magari li impigrirebbe), ma una carta di credito. L’accedere ad una carta di credito, secondo il governo scozzese, potrebbe responsabilizzare gli homeless e renderli persino capaci di trovarsi un’abitazione. Questa affermazione è fatta dal governo scozzese in tono assolutamente serio [4].

L’inconveniente che impediva di concedere la carta di credito agli homeless era la mancanza di un domicilio stabile; ma la tecnologia elettronica galoppa, e la vecchia card a banda magnetica ora è già in via di sostituzione con “smart card” dotate di microchip. Quindi oggi i senzatetto potrebbero essere oggetto di sperimentazione di nuove tecnologie di credito che li rendano sempre identificabili e reperibili.

Che tra financial inclusion e gioco d’azzardo online vi sia qualcosa di più di un rapporto casuale, ma addirittura un nesso causale, è dimostrato dalla vicenda di un certo Brian Pomeroy, che è stato chiamato a far parte sia della “task force” (sic!) del governo britannico per la financial inclusion (ovvero la carta di credito obbligatoria per tutti), sia della commissione per il gioco d’azzardo [6].

Il denaro elettronico rende questo tipo di business molto più agevole, poiché l’assenza di contanti non determina rischi di caduta di liquidità in caso di insolvenza dei debitori. Ma i debiti vanno comunque riscossi, e non certo con le buone maniere.

Ecco quindi che si apre più spazio per un altro business, sempre più interessante: il recupero crediti. Recuperare crediti era considerato una volta un business da crimine organizzato, ma oggi è anche un crimine legalizzato, dotato di un lobbying ufficialmente riconosciuto.

Meno di due mesi fa, un consulente del primo ministro britannico Cameron, tale Luff Jonathan, ha lasciato l’incarico governativo per diventare lobbista di Wonga, la più grossa agenzia di prestiti e di recupero crediti della Gran Bretagna, ed anche quella più chiacchierata per i suoi metodi sbrigativi e fraudolenti. L’ennesimo caso di quella che i britannici chiamano “revolving door”, è servito a far capire per chi stia davvero lavorando il governo Cameron. Ammesso che ce ne fosse bisogno [7].

La vicenda dei clochard impiantati di microchip di credito inseguiti dai sicari del recupero crediti, avrebbe potuto costituire sino a qualche tempo fa uno spunto narrativo per storie di fantascienza-incubo; ma oggi un racconto così si troverebbe ad essere già superato dall’attualità.

I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

   

 

 

I PERSUASORI OCCULTI E IL NEUROMARKETING

 

di Marcello Pamio – 27 novembre 2012 – tratto da Effervescienza nr. 46 l’inserto di Biolcalenda mese ottobre 2012 – www.labiolca.it/effervescienza

 

“La pubblicità può essere descritta come la scienza di fermare l’intelligenza umana abbastanza a lungo da ricavarne denaro”, Stephen Leacock

 

Nel 1957 il giornalista Vance Packard scrisse “I persuasori occulti”, un libro che svelava i trucchi psicologici e le tattiche usate dal marketing, per manipolare le nostre menti e convincerci a comprare.

Libro inquietante per l’epoca. Oggi però, i pubblicitari sono diventati più bravi, furbi e spietati.

Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato.

Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare.

Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”.

Il Kids marketing

Gran parte del budget del marketing è impiegata per impiantare i brand (marchi) nel cervello dei piccoli consumatori, perché le nostre preferenze per i prodotti attecchiscono dentro di noi ancora prima di nascere. Il linguaggio materno è udibile dall’utero, ma quello che non si sapeva è che la musica lascia nel feto un’impressione duratura in grado di plasmare i gusti che avranno da adulti.

Le ultime scoperte confermano che ascoltare reclame e jingle pubblicitari nell’utero ci predispone favorevolmente nei confronti dei brand associati. Il marketing lo sa e ha iniziato ad escogitare modi per capitalizzare tale spregiudicato fenomeno…

Con il kids marketing si coinvolgono i bambini nei giochi, monitorando il loro comportamento e preferenze, il tutto per aggiornare gli assortimenti dei supermercati: ridisegnare forma e colore degli scaffali, arricchire i totem posizionati di fianco alle casse, ecc. Non a caso giocattoli e merendine sono disposti a circa un metro da terra, alla portata dei più piccoli.

I bambini sotto i tre anni (guardano 40.000 spot pubblicitari all’anno e conoscono più nomi di personaggi pubblicitari che animali), solo negli USA, rappresentano un mercato da 20 miliardi di dollari!

A 6 mesi i bambini sono in grado di formarsi un’immagine mentale di loghi, e infatti i biberon e passeggini vengono decorati con personaggi ad hoc. I loghi riconosciuti a 18 mesi saranno preferiti anche da adulti.

Per finire, condizionando i bambini agli acquisti si condizionano anche i genitori: il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto a un bambino e una madre su due compra un alimento che è stato chiesto dal figlio.

Marketing della paura e nostalgia

La paura è un’emozione che stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del combatti o fuggi. Tale riflesso produce a sua volta un altro ormone, l’epinefrina che determina un piacere estremo. Il sangue affluisce ad arti e muscoli, per cui il cervello ne sarà privato, e questo ci rende incapaci di pensare con lucidità: la paura è persuasore molto efficace (psicofarmaci, vaccini, ecc.). Le case farmaceutiche spendono decine di miliardi di dollari per inventare nuove malattie e alimentare le nostre paure. Risultato? Le vendite di farmaci da ricetta in America raggiungono i 235 miliardi di dollari all’anno.

Spesso l’approccio consiste nell’evocare emozioni negative, indi presentare l’acquisto del prodotto come l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione. Pubblicità più sofisticate adoperano invece l’umorismo come rinforzo positivo: far ridere è un ottimo mezzo per far simpatizzare con il prodotto.

Viceversa, struggersi nei ricordi migliora l’umore, l’autostima e rafforza le relazioni.

La nostra predilezione per la nostalgia dipende dal fatto che il cervello è programmato per ricordare le esperienze passate come più piacevoli di quanto le avessimo ritenute nel momento. Tendiamo a valutare gli eventi passati in una luce più rosea.

Anche la nostra età percepita è un fattore cruciale nelle decisioni di acquisto: più invecchiamo e più rimpiangiamo il passato. Il “marketing della nostalgia” è una strategia di grande efficacia, con cui i pubblicitari riportano in vita immagini, suoni e spot del passato per venderci un brand.

Le dipendenze

I cibi ricchi di grassi e zuccheri (cioccolate, patatine, merendine…) sono tra i prodotti che generano più dipendenza. Le aziende arricchiscono appositamente i loro prodotti con sostanze che creano assuefazione (glutammato monosodico, caffeina, sciroppo di mais, aspartame, zucchero).

Uno studio pubblicato su “Nature Neuroscience”, dimostra che questi alimenti agiscono sul cervello in modo quasi identico alla cocaina e all’eroina!

Lo zucchero stimola la secrezione della dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, mentre la caffeina ne inibisce il suo riassorbimento, facendoci sentire briosi e vivaci, e dall’altra stimola l’adrenalina che ci fa sentire carichi.

Anche i giochi danno una dipendenza fisiologica fortissima, il cervello infatti reagisce rilasciando più dopamina. Per questo le aziende cercano di aumentare le vendite di Playstation e Wii, anche perché hanno scoperto che quando i giochi sono progettati a dovere, non fanno sviluppare soltanto una dipendenza dal gioco stesso, ma possono riprogrammare il cervello rendendo dipendenti dall’atto di comprare, dallo shopping.

Usano i videogiochi per trasformarci in drogati dello shopping: brandwashing.

Vanity sizing

È un bieco trucco con cui alcuni negozi vendono abiti più larghi per farci credere di indossare una taglia più piccola.

Le taglie riportate nelle etichette di abbigliamento spesso non corrispondono a quelle reali: sono di una taglia più bassa. Il neuromarketing sa benissimo che ambo i sessi comprano più volentieri un prodotto che li fa sembrare più magri, anche se ciò non è vero.

Celebrity marketing

Sfruttano la fama delle celebrità (attori, sportivi, ecc.) per lavarci il cervello, perché un prodotto associato a una persona famosa esercita un ascendente subliminale potentissimo.

Il “celebrity marketing” fa leva sul fatto che sogniamo di diventare famosi, belli e popolari, vogliamo essere loro o almeno essere come loro.

Non a caso il numero delle persone famose si è moltiplicato negli ultimi anni, grazie a programmi creati ad arte: reality show, intrattenimento, ecc. Aumentano i testimonial per poterli usare per la pubblicità.

Data mining

Si tratta di un business enorme che consiste nel tracciare e analizzare il comportamento dei consumatori, per poi categorizzare ed elaborare i dati e usarli per persuaderci a comprare e, a volte, a manipolarci.

Le aziende possono conoscere le nostre abitudini, l’etnia, il sesso, l’indirizzo, il telefono, il numero dei componenti della famiglia e molto altro ancora. Il nome tecnico è “Ricerca motivazionale”, e in pratica vanno alla ricerca delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti di acquisto dei consumatori.

Analizzando i dati delle carte fedeltà e incrociandoli con quelli delle carte di credito, è possibile scoprire delle cose inquietanti su tutti noi.

I “programmi fedeltà” infatti esistono solo per persuaderci a comprare di più.

Ogni volta che usiamo tali carte, viene aggiunta al nostro archivio digitale l’indicazione di quello che abbiamo comprato, le quantità, l’ora, il giorno e il prezzo. Quando usiamo le carte di credito, l’azienda archivia la cifra e la tipologia merceologica: ad ogni transazione è assegnato un codice di quattro cifre che indica la tipologia di acquisto.

Dove questi dati vadano a finire è facile da immaginare.

Percorsi e orientamento

Sapevate che si spende di più se ci muoviamo nel negozio in senso antiorario?

Il braccio destro ha più margine di movimento per afferrare i prodotti; la guida delle auto, tranne alcuni Pesi, è a destra e leggiamo da sinistra a destra, per cui i nostri occhi tendono a seguire questo movimento anche quando si è davanti a uno scaffale.

I supermercati sono pensati per favorire la circolazione dei clienti da destra a sinistra, col risultato che le cose più acquistate sono sempre sugli scaffali a destra. Le grosse industrie, sapendo questo, posizionano i loro prodotti civetta sempre a destra.

La porta d’ingresso è sempre a destra, e questo è un modo subdolo nel determinare il flusso d’acquisto antiorario.

Infine i percorsi contorti all’interno servono per farci camminare lentamente, e più lentamente ci muoviamo, più prodotti vedremo… e saremo tentati di comprare.

I beni di prima necessità come sale, zucchero, ecc., sono posizionati lontanissimo dall’ingresso e difficili da scovare, obbligandoci a ripercorrere più volte le corsie facendoci girare l’intero supermercato. Addirittura in molti supermercati cambiano di posto i prodotti una volta al mese, per impedirci di trovare facilmente quello che cerchiamo.

L’istituto ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato, ha messo a punto un dispositivo per registrare ciò che il cliente guarda da quando entra a quando esce, scoprendo che l’area più osservata negli scaffali è a circa 20 centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo.

Un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima probabilità d’essere notato e quindi di essere acquistato.

La musica è servita

Quale musica è meglio: rock, metallica, samba o sinfonica?

A questo ci pensano aziende come Muzak, gli “architetti audio”, che hanno progettato 74 programmi musicali in 10 categorie diverse, che spaziano dal rock, alla classica, e tutte sortiscono un effetto psicologico ben preciso e diverso.

Anche la velocità e il ritmo sono importanti. Nei supermercati la musica è lenta perché dobbiamo muoverci più lentamente per comprare di più, mentre nei fast-food e ristoranti è più veloce allo scopo di accelerare il ritmo della masticazione, in questo modo ci spingono ad andarcene prima per servire più clienti.

I carrelli della spesa

Nel 60% dei carrelli si trovano batteri coliformi, gli stessi dei bagni pubblici. Uno studio ha trovato più batteri di tutte le altre superfici analizzate, inclusi water e poggiatesta dei treni.

Il carrello è stato inventato nel 1938, con l’unico intento di stimolare gli acquisti, e nel corso degli anni le dimensioni sono aumentate permettendo di contenere più prodotti.

Oggi si trovano carrelli di dimensione ridotta dedicati ai bambini, e in questa maniera da una parte vengono abituati e indottrinati fin da piccoli a usarlo, dall’altra possono riempirlo con i prodotti posizionati alla loro altezza.

Esposizioni

Le industrie pagano per posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente dalle persone: un metro e mezzo da terra, a destra e a fine corsia.

Posizionano a fine corsia, dove c’è anche più spazio, prodotti ad alto profitto, come le cioccolate e che ispirano acquisti compulsivi.

Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelle esposizioni di fine corsia, rispetto quelli a metà corridoio, perché si pensa che “il vero affare è alla fine”.

Attenzione agli amici

Paradossalmente il persuasore occulto più potente sono proprio gli amici. Il marketing e le aziende non possono nulla in confronto all’influenza esercitata da un consumatore sull’altro. Nulla è più persuasivo quanto osservare una persona che conosciamo e rispettiamo intenta a usare un prodotto.

Quando un brand ci è raccomandato da un’altra persona, nel nostro cervello le aree razionali e procedurali si disattivano. Tali meccanismi spiegano come mai la pubblicità basata sul passaparola ci resta in testa per settimane, mentre non ricordiamo gli spot televisivi visti alla mattina.

Conclusione

Aveva ragione Edward L. Bernay, padre della Propaganda, quando scrisse nel 1928 che “gli uomini raramente sono consapevoli delle vere ragioni che stanno alla base delle loro azioni”.

Questo articolo è incompleto perché il materiale su tali argomenti è faraonico, ma dopo questa lettura forse saremo un po’ più consapevoli del piano diabolico del neuromarketing.

La consapevolezza, assieme a un percorso di crescita evolutivo-spirituale, rimangono gli strumenti più potenti per difendersi dalla persuasione… e non solo.

Partendo da hic et nunc, qui e ora, è molto importante essere presenti il più possibile nella nostra vita. La tv, in quanto strumento principe della manipolazione, meno la guardiamo e meglio è per tutti, soprattutto per i bambini. Infine, evitare di fare la spesa durante gli orari di pranzo e cena, perché lo stimolo della fame incentiva acquisti compulsivi, non usare il carrello e portarsi sempre la lista della spesa.

Questi consigli sono banalità o possono far tremare i polsi alle multinazionali? Lo sapremo solo se li metteremo in pratica…

Cambiare Nome su Facebook Velocemente – Come Fare

Cambiare Nome su Facebook Velocemente – Come Fare

Scritto da – 12 novembre 2012 – 08:28Nessun commento
 

Sono numerosi gli utenti che hanno la necessità di cambiare nome su Facebook e i motivi possono essere diversi. Il caso più comune è quello di persone che si sono iscritte con un nome falso per provare le funzionalità del social network e che decidono poi di volere utilizzare il sito con il proprio nome.

Cambiare nome su Facebook è possibile e risulta essere un’operazione piuttosto semplice e veloce da eseguire.

Vediamo più nel dettaglio cosa bisogna fare.
-Accedere a Facebook utilizzando nome utente e password.
-Cliccare il pulsante Account in alto a destra e scegliere Impostazioni account dal menu che viene mostrato.
-Viene aperta una nuova pagina. Cliccare l’opzione Modifica presente vicino al nome e compilare il modulo che compare inserendo il nome che si vuole utilizzare. Cliccare Salva modifiche.
-Viene chiesto di confermare l’operazione. Controllare di avere inserito i dati in modo corretto e cliccare il pulsante Conferma modifica.

Una volta completata questa operazione, il nome su Facebook viene cambiato.

Le modifiche al nome diventano effettive entro ventiquattro ore, bisogna quindi aspettare prima di potere utilizzare il social network con il nuovo nome inserito.
Risulta importante ricordare che Facebook permette di cambiare nome per un numero limitato di volte, il consiglio è quindi quello di non effettuare questa operazione troppo spesso.

Gmail super Hotmail e diventa il provider email più utilizzato al mondo!

  Gmail super Hotmail e diventa il provider email più utilizzato al mondo!

di MLotz | Scritto il 01 novembre 2012
 
 
 

ComSCore ha di recente pubblicato i dati relativi al sondaggio per il provider email più utilizzato al mondo. I dati parlano chiaro e ci portano a conoscenza di un giorno storico nell’era dell’informatica: Gmail ha ottenuto 287.9 milioni di visitatori unici mentre Hotmail risulta in calo sopratutto dopo l’entrata in “gioco” di Outlook.com con 286.2 milioni di visitatori! Al terzo posto troviamo Yahoo! Mail con 281.7 milioni.

I dati però non tengono in considerazione gli accessi da dispositivi mobile, che dunque non sono stati conteggiati, ma nonostante ciò sembra che Google sia saldamente al comando: il sorpasso è avvenuto nel Luglio di quest’anno quando Gmail h fatto registrare ben 425 milioni di visitatori mensili. Ripercorrendo brevemente la storia di Gmail, nato nell’Ottobre 2004, possiamo dire che ci sono voluti 8 anni per eseguire un sorpasso storico ai danni di Microsoft e chissà se anche Google+ dovrà aspettare un tempo simile per superare Facebook (forse di meno?).

 

 

 

A mio parere un grosso aiuto in questo successo è stato dato da Android visto che bisogna registrare/utilizzare un indirizzo Gmail per scaricare dal Play Store applicazioni e giochi.

Fatto sta che anche Hotmail e Yahoo! Mail hanno reso pubblici i loro rispettivi dati relativi agli accessi mensili e sono davvero molto vicini a quelli diffusi da ComSCore che quindi può essere preso in considerazione come valore veritiero e prova certa che Google ora è il numero uno anche nel settore delle email! A questo punto sarebbe curioso scoprire voi lettori quale provider utilizzate tra Gmail, Hotmail e Yahoo! Mail: personalmente preferisco Gmail e lo utilizzo quotidianamente, e voi?

I PIN da evitare

I PIN da evitare

 

Quali sono i Pin più facili da scoprire per un hacker e quali quelli invece più difficili? Il sito web DataGenetics.com ha pubblicato una statistica da cui emerge che, in una combinazione di quattro cifre da 1 a 9, non è affatto indifferente quale scegliamo. In qualsiasi film di spionaggio del resto, il perfetto 007 è quello che riesce a passare inosservato in quanto appare il più possibile “normale”. La password in assoluto più utilizzata è 1234, con una frequenza del 10,713%. Al secondo posto 1111 con il 6% e al terzo0000 con l’1,9%.
 
Il matematico, un semplice esperto di “calcoli” o un esploratore dell’infinito?

Su un totale di 10.000 possibili combinazioni le 20 più utilizzate (tra cui 1212, 7777 e 4444) sono scelte dal 26,83% delle persone. Segno evidente che non si tratta di una scelta casuale: se così fosse, ciascuna combinazione corrisponderebbe soltanto allo 0,2% di probabilità. Ma soprattutto, significa che a un hacker o a un ladro bastano 20 tentativi per avere più di una possibilità su quattro di indovinare la combinazione.Quali sono invece i Pin più difficili da indovinare? Dalla ricerca di DataGenetics.com, emerge che quello in assoluto meno frequente è 8068, che ricorre soltanto in 25 casi su 3.4 milioni, cioè lo 0,000744%.
 
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In fondo alla classifica ci sono anche 8093, 9629, 6835, 7637, 0738 … 
Un consiglio spassionato: dopo avere letto questo articolo, non correte a cambiare tutti quanti la vostra password in 8068. Anche gli hacker possono partire da questo numero anziché dal più comune 1234. L’ideale sarebbe scegliere le cifre della password sorteggiandole a caso, lanciando i dadi (che però hanno solo sei facce) o con altri meccanismi simili. E’ sconsigliato invece utilizzare gli anni di un anniversario, come 1967, 1956, 1988, e tutti quelli che iniziano per 19. Per esempio, ogni 100 Pin con 1972, ce ne sono 33 con 1472, 29 con 7272 e solo 3 con 9672.

Un matrimonio nell’era digitale

Un matrimonio nell’era digitale

Sposa al computer

Una sposa e le sue nozze al computer.

Un matrimonio non è cosa facile da organizzare. C’è da pensare alla chiesa, al ricevimento, all’abito, alle eventuali damigelle, ai testimoni, ai parenti e agli amici, alle bomboniere, alle partecipazioni e quant’altro. Tuttavia, nell’era digitale, molti processi possono essere agevolati in qualche modo, in fondo anche l’etichetta si è adeguata alle nuove tecnologie. Per esempio, anche l’acquisto delle bomboniere può avvenire su Internet, magari per dare agli ospiti un ricordo fuori dagli schemi, come degli oggettini artigianali il cui ricavato va in beneficenza oppure qualcosa di assolutamente nuovo come delle boccettine contenenti la sabbia del Sahara.

Anche le partecipazioni di matrimonio possono usufruire della pratica di Internet, anche se bisogna ricordare delle regole di stile imprescindibili. Niente social network, il matrimonio è un fatto privato: meglio usare la mail, ma sempre rispettando una certa eleganza. È bene infatti che le partecipazioni non abbiano molti colori e che sembrino quasi scritte a mano con una precisa calligrafia. Se si realizzano comunque al computer, esistono tantissimi font eleganti che imitano la calligrafia stessa, quindi il gioco è fatto.

Anche la lista nozze può essere tenuta sotto controllo via Web. La si può compilare ad esempio utilizzando il servizio di MyRegistry.com, scegliendo i regali che si piacerebbe ricevere. Se invece si opta per la lista di nozze in agenzia viaggi, esiste il sito italiano Ilmioviaggiodinozze.it, che permette di caricare fotografie che potranno essere visionate dagli invitati al matrimonio e che forniscono una descrizione dettagliata della località che gli sposi vogliono raggiungere. E naturalmente consente agli sposi di avere un file scritto in cui ci sono tutti i nomi di coloro che hanno deciso di rendere indimenticabile la loro luna di miele.

In conclusione: perché non farsi aiutare dalla tecnologia nell’organizzazione? In un’era che consente anche di acquistare il proprio vestito da sposa on line (sempre se si hanno delle misure perfette) tutto può essere d’aiuto. L’acquisto dell’abito on line è particolarmente utile se si è deciso di essere affiancate da damigelle, che devono essere abbigliate tutte allo stesso modo e con le stesse scarpe, qualcosa che diventa piuttosto dispendioso e difficile se il processo viene svolto in un negozio
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