La Fallaci lo scrisse: “Il crocifisso sparirà'”, Islam moderato non esiste

La Fallaci lo scrisse: “Il crocifisso sparirà'”, Islam moderato non esiste

26 Agosto 2014. Politica

 

“Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare: ‘Troia brucia, Troia brucia”. Anni che ripeto che la verità sul Mostro e sul complici del  Mostro. Che come nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna” E’ quanto scriveva la grande giornalista Oriana Fallaci all’indomani del famoso 11 settembre del 2001 ed oggi riproposto dal Giornale. “Mi volevano portare in Svizzera in manette accusata di razzismo e processare in Italia per vilipendio all’Islam, prosegue. Libere idee e per le quali la sinistra al caviale e la destra al foia gras ed anche il centro al prosciutto mi hanno deidrata, vilipesa, messa alla gogna  insieme a coloro che la pensano come me”. L’odio per l’occidente, il fallimento dell’integrazione: nelle parole della Fallaci sembra di leggere la cronaca di oggi. Il suo pensiero di fondo era che alla fine il Crocifisso sparirà e che non esiste un Islam moderato. Per loro la jihad rimane comunque una guerra santa. Forse si vogliono vendicare dei tempi delle Crociate. Certo allora l’occidente era più forte

Ancora mistero sui rapitori di Vanessa e Greta, Giro: “Non sono in mano all’Isis”

Ancora mistero sui rapitori di Vanessa e Greta, Giro: “Non sono in mano all’Isis”

Vanessa Marzullo e Greta Ravelli “non sono in mano ai tagliagole e sono in una situazione diversa da quella dei ‘decapitabili'”. Dunque ci sono “ragionevoli motivi” per pensare che possano essere riportate a casa sane e salve. Lo 007 non si sbilancia oltre ma le sue parole confermano quanto affermato ufficialmente dal governo con il sottosegretario agli Esteri Francesco Giro: “al momento non risulta” che le due giovani rapite lo scorso 31 luglio alla periferia di Aleppo, in Siria, siano nelle mani dei jihadisti dell’Isis. “Stiamo facendo tutto il possibile affinché si possa arrivare alla loro liberazione” ha aggiunto Giro ribadendo l’invito già rivolto sulle colonne del quotidiano cattolico ‘L’Avvenire’ a mantenere in questo momento il “massimo riserbo” sull’intera vicenda.
Sequestro alle battute finali – La buona notizia non vuol dire però che il sequestro sia alle battute finali. E, soprattutto, che le due giovani cooperanti non possano finire nelle mani dei fondamentalisti che hanno giustiziato il giornalista americano James Foley. Chi le ha attualmente in mano, molto probabilmente un gruppo diverso da quello che le ha rapite e appartenente alla galassia dei gruppi ribelli che combattono il regime di Assad, potrebbe infatti puntare a ‘gestire’ il sequestro, facendo il doppio gioco, e decidere poi di passare di mano Vanessa e Greta, incassando così dagli uomini dell’Isis un riconoscimento importante sia dal punto di vista politico che economico.
Muoversi con cautela – Ecco perché si sta cercando di accelerare, anche se in queste situazioni la prima cosa da fare è muoversi con assoluta cautela per non mettere a rischio la vita degli ostaggi e per individuare il ‘canale’ giusto con cui trattare. “Siamo in uno scenario assolutamente fluido – conferma lo 007 – e non possiamo escludere il rischio che la situazione possa precipitare”. Al di là delle normali preoccupazioni, un contatto con chi ha ben chiara la situazione sarebbe stato stabilito e una trattativa sarebbe già in corso. Ecco perché ci sono “ragionevoli motivi” per pensare che le due ragazze possano essere riportate a casa. Due giorni fa, tra l’altro, il quotidiano panarabo ‘Al Quds al Arabi’, che si pubblica a Londra, scriveva che le ragazze stanno bene, riportando una fonte dei ribelli di Ahran ash Sham, uno dei gruppo di opposizione ad Assad.
Il governo lavora sottotraccia – Il governo continua dunque a lavorare sottotraccia in stretto contatto con le intelligence di altri paesi, in particolare con quelle che hanno già avuto a che fare con i sequestri dell’Isis e quelle dei paesi confinanti, come Turchia e Giordania. Ma le preoccupazioni dell’esecutivo riguardano anche la situazione interna. La visita del premier Matteo Renzi a Baghdad ed Erbil e la decisione di inviare le armi ai peshmerga curdi, hanno inevitabilmente esposto l’Italia a rischi maggiori. Rischi che hanno spinto il Dipartimento della pubblica sicurezza ad inviare nei giorni scorsi una circolare a prefetti e questori con cui si chiede di innalzare la vigilanza sugli obiettivi sensibili, di attivare tutte le fonti sul territorio e di monitorare con particolare attenzione i circuiti dell’estremismo islamico.
I “lupi solitari” jihadisti  – A preoccupare sono in particolare i cosiddetti ‘foreign fighters’, vale a dire gli europei che dopo aver combattuto in Siria e in Iraq tornano nei loro paesi d’appartenenza, e quelli che il ministro dell’interno Angelino Alfano ha definito ‘lupi solitari’, jihadisti individuali radicalizzatisi soprattutto sul web che potrebbero dar vita a eventuali iniziative estemporanee. Stando alle ultime informazioni dell’antiterrorismo e dell’intelligence, sarebbero una trentina i combattenti partiti dall’Italia per andare in Siria. Tra loro ‘vecchi arnesi’, veterani delle guerre dei Balcani, e giovanissimi pronti a sacrificarsi per la jihad.
Reti di reclutamento – Qualcuno, fanno notare fonti qualificate, potrebbe rientrare a breve per costituire reti di reclutamento, pianificare attentati terroristici grazie all’esperienza operativa acquisita, portare su posizioni radicali i soggetti più deboli. Ed è su questi soggetti che si concentra l’attenzione. “Rientri significativi al momento non ce ne sono – dice un investigatore – ma stiamo seguendo con attenzione la situazione per evitare sorprese”. Anche su questo fronte gli scambi di informazioni con gli omologhi degli altri paesi, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania che hanno numeri molto più alti con cui confrontarsi, sono continui e costanti. L’obiettivo dell’Italia, su questo fronte, è promuovere a livello europeo delle squadre multinazionali di investigatori dedicate esclusivamente al fenomeno.

Usa, una bimba di nove anni uccide con una mitraglietta Uzi l’istruttore di armi

Usa, una bimba di nove anni uccide con una mitraglietta Uzi l’istruttore di armi

Una bimba di 9 anni ha sparato con una mitraglietta, uccidendo per sbaglio il suo istruttore di armi mentre le stava mostrando l’utilizzo dell’Uzi automatica. La tragedia è accaduta in località Lake Havasu City, in Arizona.

Al poligono di tiro con i genitori – La vittima, Charles Vacca, 35 anni, era in piedi vicino alla bambina nel poligono di tiro a White Hills, quando la piccola ha premuto il grilletto e per il rinculo lo ha colpito alla testa. L’uomo è stato trasportato con l’eliambulanza a Las Vegas, ma è morto poco tempo dopo l’arrivo. La bambina, la cui identità non è stata rivelata, era al poligono di tiro con i suoi genitori.

Nuovo orrore jihadista: 4 decapitati in un video shock in Egitto

Nuovo orrore jihadista: 4 decapitati in un video shock in Egitto

Un nuovo video shock dei jihadisti filo al Qaida: quattro persone vengono decapitate con un coltello dal loro boia a volto coperto. Poi le teste vengono appoggiate sui cadaveri, mentre la sabbia del deserto si tinge di sangue. E’ il filmato pubblicato sul web dai jihadisti del Sinai (Egitto) che accusavano i quattro di essere spie del Mossad.
Le minacce – Il video, di oltre 29 minuti, si apre con una minaccia alle “spie”: “La porta del pentimento è aperta. Il nostro obiettivo non è tagliare teste ma impedire i danni ai musulmani”, recita una scritta. Poi, dopo una lunga parte dedicata ai “martiri” tra le file dei jihadisti – 4 miliziani uccisi da un missile mentre si trovavano a bordo di un’auto – la scena cambia. Nove jihadisti armati, con i pickup in bella mostra, a volto coperto. Uno inizia a sciorinare le accuse contro le presunte spie: “Dio ci ha consigliato di non essere amici di ebrei e cristiani e chiunque contraddice l’ordine divino sarà come loro. Gli ebrei devono capire che la nazione islamica si è risvegliata, tutti i loro piani e complotti sono noti. Per voi sarà l’inferno”.
L’esecuzione – Il capo del gruppo afferra un coltello. Spinge a terra con il piede il primo sventurato. Gli mozza la testa. Così con gli altri. Il sangue cola ovunque, le teste vengono appoggiate sui cadaveri. Il video si chiude, porta la firma delle “forze di sicurezza” di Ansar, che nel Sinai si considera alla guida di uno Stato autonomo.

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di

Libia nel caos: ‘Le aziende italiane hanno crediti per 1 miliardo, rischiano di perderlo’

Gian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica, lancia l’allarme: “Le nostre imprese sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico, ma i governi degli ultimi due anni non hanno fatto nulla per prevenire il disastro”. Gabriele Iacovino, capo analista del Cesi: “Le realtà economiche risentono della mancata stabilizzazione del paese: senza sviluppo, il Paese fallirà”

libia

Un miliardo di euro in fumo: potrebbe essere uno dei costi della crisi libica per l’Italia. Un miliardo di euro di cui le imprese italiane sono creditrici nei confronti di aziende sotto controllo statale libico e che con il caos in corso rischiano di non essere mai saldati. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.itGian Franco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica: “Per la precisione si tratta di circa 350 milioni di euro risalenti ancora agli anni Novanta e di 650 milioni degli anni Duemila. Si sapeva quello che stava per succedere. C’erano state informative dei servizi, già a maggio Marco Minniti aveva lanciato l’allarme, dicendo che c’erano sei mesi di tempo per salvare la Libia, ma non si è fatto nulla per prevenire il disastro. Si è trattato quanto meno di indolenza da parte dei nostri governi degli ultimi due anni. E le imprese italiane ne vanno di mezzo”.

Sono circa 150/200 le aziende nostrane presenti in Libia, con numeri variabili e una presenza fissa di almeno un centinaio, operanti in svariati settori, dalle infrastrutture alle costruzioni, dallatecnologia alle telecomunicazioni, dal food a quella ittica che stava partendo in questi mesi. Nonostante la crescente e invasiva presenza turca e cinese, il made in Italy continua ad essere apprezzato. “Nei primi mesi dell’anno il flusso di traffico dall’Italia verso la Libia era aumentato, ma anche in direzione contraria c’era molto movimento: è un aspetto sottovalutato, questo, ma sono molti i privati che vengono a fare shopping da noi, e che spesso lamentano le pastoie burocratiche e la difficoltà di avere visti. Ora purtroppo è tutto fermo. Quando telefono giù, sento la gente stanca, che ha voglia di ricostruire. Distruggere la propria capitale e le sue infrastrutture è un gioco al massacro che il 95% dei libici non comprende”. Damiano prosegue ritenendo l’impostazione data finora dalla Nato sbagliatissima e ribadisce: “Le imprese in silenzio resistono, alcune continuano a lavorare tra mille difficoltà, ma solo lasciate sole. Le istituzioni non ci sono. Per i big esistono le relazioni intergovernative, ma la piccola e media impresa, quella che paga le tasse, non ha capacità di lobby ed è bistrattata”

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Ma quali sviluppi può avere la situazione? “L’aeroporto di Tripoli, al centro degli scontri in atto, è un importante hub economico – spiega a IlFattoQuotidiano.it Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti per il Medio Oriente del Cesi – Centro Studi internazionali – se non funziona ne resta compromesso tutto il paese, dato che su Bengasi ci sono pochissimi voli ed è difficile entrare dal confine tunisino. Mai come ora le autorità di Tripoli sono state in difficoltà. Lo scontro in corso, ovviamente, non è solo per il controllo dell’aeroporto, ma è un conflitto profondo tra islamisti e laici”. Su quali conseguenze ciò possa avere per il nostro paese, Iacovino è chiaro: “La sicurezza energeticaitaliana non è particolarmente a rischio, per ora. I danni sono circoscritti, perché negli ultimi anni i rifornimenti di petrolio e gas dalla Libia sono stati ridotti e non c’è stata una ripresa netta dell’industria estrattiva rispetto al pre Gheddafi. In una nuova escalation di violenza potrebbero esserci ripercussioni, ma comunque circoscritte”.

“Allargando il discorso alla stabilizzazione della Libia – prosegue – dovremmo fare lo sforzo di guardare alla Libia non solo come bacino energetico, ma come un partner economico e finanziario a 360 gradi, le realtà attive sono numerosissime, il problema è che dal punto di vista politico manca la forza di supportare la stabilizzazione del paese. Potrebbe essere una partnership ben oltre il rapporto energetico, un volano per lo sviluppo reciproco, non solo per noi ma soprattutto per loro: senza sviluppo economico e politico, la Libia è destinata ad essere un nuovo Stato fallito“. Che tipo di intervento servirebbe? “Se ci fosse un coraggio maggiore da parte della nostra politica estera nel prendere la leadership nel processo di ricostruzione politica, si otterrebbero indubbi vantaggi per la popolazione libica, ma si creerebbero anche i presupposti per relazioni istituzionali ed economiche: due bacini economico-finanziari a incastro, con interessi reciproci”.

Però l’Europa è già intervenuta in passato. “I paesi che portarono alla caduta del regime e poi si tirarono indietro, soprattutto la Francia di François Sarkozy, ma anche gli Usa dietro le quinte, inevitabilmente lasciano l’Italia e l’Europa in prima linea nella gestione dell’agenda libica, col rischio che senza un intervento rapido, possiamo ritrovarci un paese fallito. Le conseguenze sarebbero molto difficili da gestire dal punto di vista economico, ma anche di sicurezza: la Libia sta diventando sempre più un paese non governato, in balia di traffici illegali (dalla droga al traffico di esseri umani), paradiso di terroristi nordafricani e criminali. Ed è proprio questo il problema principale”.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia.

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

Secondo i media americani a bordo dell’imbarcazione affondata a 60 chilometri da Tripoli c’erano più delle 200 persone ipotizzate inizialmente. Tra i corpi riaffiorati c’era anche quello di un bimbo di 18 mesi, mentre tutti gli altri rimangono dispersi

Migranti, erano 250 sul barcone naufragato a largo della Libia. Recuperati 20 corpi

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Sarebbero oltre 250 i migranti all’interno del barcone di legno naufragato il 22 agosto a 60 chilometri dalla Libia. È quanto riferiscono i media americani, secondo i quali a bordo dell’imbarcazione salpata da Guarakouzi e diretta in Europa, c’erano più persone rispetto alle 200 ipotizzate inizialmente. I corpi senza vita di 20 migranti, tra cui un bimbo di 18 mesi sono riaffiorati venerdì nelle acque a largo di Tripoli, mentre tutti gli altri rimangono dispersi. A dare notizia della tragedia era stato Abdellatif Mohammed Ibrahim, della guardia costiera locale che venerdì aveva riferito di aver trovato ”a pochi passi dalla spiaggia i resti di un’imbarcazione di legno a bordo della quale si erano imbarcati circa 200 migranti”, precisando di essere riuscita a “salvare 16 persone”, e di averne trovati “15 morti“.

Intanto continuano le tragedie sulle coste italiane. Oggi al largo di Lampedusa la Marina Militareha recuperato i corpi di 18 migranti affogati, che erano a bordo di un gommone, arrivato sull’isola con 73 persone a bordo. Sulle coste di Pozzallo invece sono arrivati sabato 355 migranti: 183 uomini, 65 donne e 107 bambini. E’ il secondo sbarco in meno di 24 ore nel porto in provincia diRagusa: venerdì, infatti, erano giunti 200 migranti di nazionalità siriana. Gli agenti della squadra mobile di Ragusa e gli uomini della Capitaneria di porto hanno diretto le operazioni di sbarco. Gli immigrati si trovavano in difficoltà nelle scorse ore durante la traversata nel Mediterraneo ed erano stati soccorsi da un mercantile che li ha trasportati fino a Pozzallo. Sono in corso le indagini per individuare gli scafisti. Intanto, al porto di Catania sono sbarcati altri 196 migranti, soccorsi da nave Foscari della Marina militare nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum.

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Sul fronte politico non accennano a placarsi le polemiche tra Germania e Italia, dopo le parole del ministro dell’Interno bavarese Joachim Hermann che ha affermato, in merito agli sbarchi di profughi, che “Roma non prende dati personali o impronte perché così gli stranieri possono chiedere asilo in un altro paese”. Oggi (sabato 23 agosto) è arrivata a risposta del sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione (guarda), secondo cui il problema è che i migranti “preferiscono non farsi identificare” perché significherebbe avviare una lunga procedura di riconoscimento deldiritto d’asilo. Cosa che rallenterebbe il loro viaggio verso i paesi di destinazione, che molto spesso sono quelli del Nord Europa. Per questo – secondo Manzione – vanno rivisti “gli accordi di Dublino”, in modo che la procedura per l’ottenimento dell’asilo venga avviato solo una volta raggiunto il paese desiderato, una soluzione che consentirebbe ai migranti appena sbarcati in Italia di “farsi identificare tranquillamente e poi raggiungere i posti dove vogliono andare”.

Terrorismo: le ragioni del nemico

Terrorismo: le ragioni del nemico

Terrorismo: le ragioni del nemico

Non condivido i commenti critici, in genere ipocriti e tendenziosi, alle recenti dichiarazioni del deputato M5S Di Battista a proposito del terrorismo. Infatti, Di Battista ha sostenuto che c’è un legame fra ingiustizia sociale e terrorismo e che il terrorismo dei gruppi fondamentalisti costituisce la risposta a un altro terrorismo precedente, quello delle Potenze occidentali che si concretizza nei bombardamenti indiscriminati, nelle torture, ecc. Inoltre ha sostenuto la necessità del dialogo, che costituisce comunque a mio avviso un elemento fondamentale in ogni situazione.

Direi di più. Allargherei cioè il discorso al fatto che il terrorismo è un prodotto inevitabile di questo sistema mondiale oppressivo basato sul dominio di una minoranza sempre più piccola di sfruttatori su una maggioranza sempre più ampia di sfruttati. Bisogna peraltro intendersi preliminarmente sul significato del termine “terrorismo”. A suo tempo ho proposto una definizione basata sull’identificazione della natura e degli effetti delle azioni violente intraprese. Sono di naturaterroristica tutti gli attacchi violenti volti a colpire in modo indiscriminato la popolazione civile, a terrorizzarla per ottenere risultati utili dal punto di vista politico.

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Applicando tale criterio, l’unico giuridicamente possibile e proficuo, avremo certamente delle sorprese, specie dal punto di vista dell’ortodossia della cosiddetta ragione dominante. Vanno infatti qualificati di natura terroristica gli attacchi compiuti da Israelecontro la popolazione di Gaza che hanno fatto oltre duemila vittime in poche settimane, come pure i bombardamenti effettuati impiegando fosforo bianco e altre armi ad effetti incontrollabili da parte delle forze statunitense a Falluja e in altre località dell’Iraq a suo tempo occupato. Come pure gli attentati costantemente organizzati a Cuba da parte dei gruppi anticastristi di Miami, organizzati, finanziati ed addestrati da parte della Cia.

Certamente anche la risposta che ne è derivata può essere qualificata in taluni casi come di natura terroristica. Così per i lanci dei pur inefficaci razzi da parte di Hamas che per loro stessa natura non risultano indirizzabili su di uno specifico obiettivo in ipotesi legittimo, o le attuali imprese militaridi raggruppamenti come l’Isis caratterizzati, per di più da un’ideologia discriminatoria e fondamentalista che peraltro costituisce a sua volta la risposta a secoli di oppressione coloniale e di tentativi di rapinare le risorse naturali e di imporre sistemi estranei, da parte dell’Occidente e, per una fase, anche da quella dell’Unione sovietica.

Così non è stato invece per quanto riguarda un soggetto maturo e politicamente responsabile come ilgoverno cubano che, pur di fronte a un attacco pluridecennale sanguinoso che ha fatto fra le file del popolo migliaia di morti, ha risposto in modo pacifico e intelligente infiltrando tra le file dei terroristi di Miami gli agenti che hanno sventato ulteriori attacchi e sono stati per questo motivo incarcerati dalle autorità di Washington. Tre di essi, Gerardo Hernandez, Antonio Guerrero e Ramon Labanino, sono tuttora in carcere a quasi sedici anni dal loro arresto mentre invece meriterebbero, insieme agli altri due già scarcerati, René Gonzalez e Fernando Gonzalez, il premio Nobel per la pace.

Di fronte all’attentato alle Torri gemelle il governo degli Stati Uniti ha scelto invece un approccio del tutto opposto, lanciando, con grande giubilo del complesso militare-industriale,  la cosiddetta “guerra al terrorismo” che, quindici anni dopo, si rivela essere stata, come appare con palmare evidenza ovunque, dal Medio Oriente, all’Africa ad altre zone del pianeta, l’occasione per il rilancio di una minaccia terroristica oggi più che mai pericolosa e vitale.

“Comprendere le ragioni del nemico” costituisce d’altronde, fuori da ogni logica isterica e strumentale, un passaggio indispensabile per sconfiggerlo ovvero per concludere una pace dignitosa che ponga fine alle inutili sofferenze delle popolazioni civili.

Ciò è tanto più vero perché le radici stesse del fenomeno sono ben interne all’attuale sistema di dominazione mondiale. Bisogna partire quindi dalla necessità urgente di trasformare tale sistema, il che comporta un’inevitabile rivoluzione in Occidente. E distinguere accuratamente tra i vari tipi di terrorismo, senza dimenticare quelli di Stato, che per molti versi sono i peggiori,  e condannando ovviamente senza appello quelli di gruppi settari e reazionari come l’Isis, contro i quali va organizzata l’autodifesa delle popolazioni colpite.

In sintesi conclusiva, l’unica risposta vincente al terrorismo è la democrazia organizzata del popolo, che si munisce di tutti gli strumenti necessari a difendersi ed eliminare le oscure manovre dei gruppi di potere, comunque travestiti e denominati.

Assange: «Presto lascerò l’ambasciata dell’Ecuador»

Assange: «Presto lascerò l’ambasciata dell’Ecuador»

Londra, l’annuncio del fondatore di Wikileaks: «Vivo in un ambiente in cui chiunque avrebbe difficoltà»

 

Lascerò l’ambasciata “presto”. Lo ha detto Julian Assange durante la conferenza stampa presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove il fondatore di Wikileaks vive da oltre due anni. Assange non ha tuttavia fornito ulteriori dettagli. «Contro di me – ha detto – c’è un’aggressiva indagine da parte degli Stati Uniti». E ancora: «Sono stato incolpato per un delitto che non ho commesso». Guarda il servizio

Problemi di salute
A proposito di presunti problemi di salute, Assange ha spiegato di vivere in «un ambiente in cui qualsiasi persona di buona salute avrebbe prima o poi delle difficoltà». Di «essere detenuto in questo Paese senza incriminazione per quattro anni e in ambasciata per due anni senza aree esterne». Assange: «Incolpato per un delitto non commesso»

Accuse ai media
Dal numero uno di Wikileaks anche un’accusa ai media: «Spesso viene detto falsamente che io ero stato accusato in Svezia da una donna di un grave crimine, questo è falso. Nessuna donna mi ha denunciato, anzi questa donna ha smentito qualsiasi rapporto con me. Si sono fatte speculazioni – ha aggiunto – su tutta una serie di comportamenti da parte mia che non sono mai stati posti in essere. Io non sono mai stato incriminato per tali reati in Svezia».

Missouri – Una testimone filma tutto e racconta: «Lui era mani in alto»

Una testimone filma tutto e racconta: «Lui era mani in alto»

Ancora scontri nel sobborgo di St. Louis. 31 arresti. Una giovane filma la morte del 18enne afroamericano

L’arrivo della Guardia nazionale a Ferguson non è servito a placare la rabbia e le proteste per l’uccisione da parte della polizia del giovane afroamericano Michael Brown. La violenza è stata la protagonista per la nona notte consecutiva; agenti in tenuta antisommossa hanno sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere e far arretrare la folla che lanciava sassi. Almeno 31 le persone arrestate. «Cerchiamo di guarire le ferite, non di ferirci ancora» chiede il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Guarda il servizio

Spunta il video amatoriale
E a 10 giorni dalla morte del 18enne, ucciso da sei colpi sparati dal poliziotto Darren Wilson, spunta un video amatoriale che smentirebbe la versione delle forze dell’ordine: il giovane non avrebbe tentato di prendere l’arma all’agente. Sarebbe invece stato raggiunto dai proiettili mentre disarmato aveva le mani in alto. Quegli attimi concitati sono infatti stati filmati da una giovane ragazza dalla finestra della sua casa. A raccontarlo è stata la stessa testimone, Piaget Crenshaw, di 19 anni. «Avevo paura» ha detto per spiegare il perché si sia decisa solo ora a consegnare il documento, trasmesso in esclusiva dalla Cnn.

Michael Brown era disarmato e con le mani in alto
«Mi ero appena trasferita in quell’appartamento e assistere a quello che ho visto è stato scioccante», ha raccontato ancora scossa. Piaget ha spiegato di aver visto Brown e il poliziotto mentre sembrava che stessero litigando. L’agente ha cercato di tirare Michael dentro l’auto, ma lui è riuscito a divincolarsi. Quindi, secondo la giovane, il poliziotto ha sparato dal finestrino mancando Michael. A un certo punto il 18enne si è fermato, si è girato con le mani alzate e in quel momento il poliziotto ha sparato ancora. Questa volta colpendolo a morte. Le violente proteste nella notte

Reporter decapitato, la rabbia di Obama

Reporter decapitato, la rabbia di Obama: “L’Isis vuole il genocidio, faremo giustizia”. Media Gb: “Boia di Londra, suo nome John”

E’ guerra senza più alcun limite quella tra Stati Uniti e gli jihadisti sunniti dello Stato Islamico. Giallo sulla sorte di un terzo reporter Usa scomparso

Roma, 20 agosto 2014 –  E’ guerra senza più alcun limite quella tra Stati Uniti e i jihadisti sunniti dello Stato Islamico che hanno deciso di ricattare Barack Obama uccidendo alcuni ostaggi Usa nelle loro mani. Ha suscitato orrore in tutto il mondo il video, estremamente macabro, dal titolo “messaggio all’America”, in cui il giornalista James Foley, 40enne freelance di Boston rapito nel gennaio del 2013 in Siria, è stato decapitato.
Nelle immagini si vede Foley in ginocchio con una tuta arancione, come quella indossata dai prigionieri di Guantanamo con alle spalle un uomo vestito di nero. Poco dopo – pochi i frammenti diffusi al momento – si vede il corpo di Foley con la testa insanguinata poggiata in grembo. Prima delle immagini della decapitazione si leggono delle scritte in arabo e inglese in cui si spiega che questa è la prima risposta promessa a Barack Obama per i raid aerei degli ultimi giorni contro Is. L’Fbi e la Casa Bianca ritengono che il video sia autentico.

L’IRA DI OBAMA – Il presidente Usa è sul piede di guerra: “Quando viene fatto del male a degli americani ovunque nel mondo, noi facciamo ciò che è necessario – ha detto Obama in un breve messaggio – per far si che venga fatta giustizia“. I miliziani dell’Isis, ha aggiunto, “dichiarano la loro ambizione di commettere un genocidio contro un antico popolo”. Da Martha’s Vineyard, il presidente americano ha fatto sapere di aver parlato con la famiglia di Foley: “Gli ho detto che abbiamo tutti il cuore spezzato per la loro perdita e che ci uniamo a loro per onorare Jim”. Poi ha insistito: “L’Isis non ha alcuna ideologia di qualsiasi valore per gli esseri umani. La loro ideologia è fallita. “Nessuna fede insegna alle persone a massacrare innocenti. Nessun Dio potrebbe sopportare quello che hanno fatto ieri e quello che fanno ogni giorno”. Obama ha definito l’Isis “un cancro”, che può essere eliminato “con uno sforzo comune, una cooperazione mondiale per fermare l’Isis“.

ALTRE MINACCE – Raid che hanno portato gli Usa, “su una superficie scivolosa verso un nuovo fronte di guerra contro i musulmani. Qualsiasi tuo tentativo, Obama, di negare le libertà e la sicurezza ai musulmani sotto il califfato islamico (il regime imposto da Is in parte di Iraq e Siria a fine giugno, ndr) porterà alla carneficina della tua gente”. Nel video parla lo stesso Foley che si rivolge ai cari accusando gli Usa e Obama di essere responsabili della sua morte. Dopo il guerrigliero al suo fianco, che con un coltello taglia la testa a Foley, avverte che anche un secondo americano è nelle loro mani. Presentato come Steven Joel Sotloff, corrispondente di Time, disperso dall’agosto del 2013 in Libia, è indicato come la prossima vittima: “Dipende dalle prossime decisioni di Obama”.

ACCENTO INGLESE – Il primo ministro britannico, David Cameron ha interrotto all’improvviso le vacanze in Portogallo per tornare a Londra perché nel video diffuso ieri dagli jihadisti sunniti l’aguzzino di Foley parlava con uno spiccato accento inglese. Questo elemento fa temere che si possa trattare di uno dei tanti sudditi di Sua Maestà aggregatisi agli jihadisti in Siria e Iraq. E’ stato lo stesso Cameron ha confermare che “è sempre più probabile” che la mano che ha ucciso Foley sia di un cittadino britannico. “E’ una cosa scioccante – ha aggiunto – ma sappiamo che fin troppi britannici sono andati in Siria e in Iraq coinvolti in atti di estremismo e violenza e quello che dobbiamo fare è incrementare gli sforzi per fermarli”. “E’ un atto barbaro e brutale. Un assassinio senza alcuna giustificazione” ma non cambia l’approccio del governo britannico rispetto alla situazione in Iraq, ha spiegato il primo ministro inglese . “Non è il momento per reazioni impulsive”, ha continuato ribadendo che Londra non intende essere coinvolta in una nuova guerra in Iraq. In serata il Guardian online scrive che l’estremista inglese che avrebbe decapitato Foley sarebbe il leader di una cellula di combattenti britannici che operano in Siria dove tengono in ostaggio gli stranieri. Il giornale inglese riporta la testimonianza di un ex ostaggio, rimasto per un anno nelle mani dei sequestratori a Raqqa, secondo il quale l’estremista si fa chiamare John e si sospetta possa provenire da Londra. Il testimone racconta che l’individuo britannico in questione sarebbe intelligente, istruito e seguace devoto dell’Islam radicale. Tre sarebbero i componenti della cellula estremista, chiamati ‘i Beatles’ per la loro provenienza inglese.

LETTERA DAI RAPITORI: “LO AMMAZZEREMO” – Mercoledì scorso, dopo l’inizio dei raid Usa, la famiglia di Foley aveva ricevuto una comunicazione da parte dei sequestratori che il loro figlio sarebbe stato ucciso. Lo ha detto alla Nbc Phil Balboni, il direttore del Global Post, per conto del quale il reporter era in Medioriente. Balboni ha rivelato che anche il suo giornale aveva ricevuto il 13 agosto un messaggio email dallo stesso tenore da parte dei rapitori di Foley. “Facevano conoscere l’intenzione di ammazzarlo”, ha detto in tv, aggiungendo che “la Casa Bianca era stata messa al corrente della minaccia, ma non ci sono stati negoziati”.

MISTERO SUL TERZO REPORTER USA – E’ mistero sulla sorte di un terzo giornalista americano, Austin Tice, scomparso in Siria nel 2012 e la cui famiglia ha espresso nelle ultime ore le condoglianze ai genitori di James Foley, reporter statunitense ucciso barbaramente da jihadisti dello Stato islamico (Isis). Nel video choc si mostra la decapitazione di Foley e l’immagine di un altro giornalista americano, Steven Sotloff, anche lui in mano ai jihadisti che minacciano di ucciderlo. Nessuna menzione invece sulla sorte di Tice, 33 anni, scomparso il 14 agosto 2012 a nord di Damasco e a ridosso del confine con il Libano, in una regione che all’epoca era contesa tra forze del regime di Bashar al Assad e ribelli locali.

Prima di intraprendere la professione di giornalista, Tice aveva servito come marines americano in Afghanistan e in Iraq. Ed era entrato in Siria dal Libano tramite valichi informali di frontiera. Alla fine di agosto 2012, il Washington Post, giornale per il quale Tice lavorava, citava fonti bene informate, tra le quali l’ambasciatore della Repubblica Ceca in Siria che rappresentava al momento gli interessi Usa, affermando che il giovane freelance era stato catturato da forze governative e detenuto nei pressi di Damasco.

Ai primi di ottobre di due anni fa, la allora portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, aveva confermato che Washington riteneva che Tice fosse nelle mani dalle forze lealiste. In quei giorni era apparso un breve video amatoriale che mostrava Tice, bendato, accompagnato da uomini incappucciati e vestiti di bianco lungo un non meglio precisato sentiero di montagna. “Negli ultimi 635 giorni – hanno scritto i genitori Marc e Debra Tice – abbiamo dovuto condividere un terribile incubo, che ci ha fatto essere vicini alla famiglia di Foley. A cui adesso va il nostro affetto”.

LA FAMIGLIA – Jim Foley è morto da “martire per la libertà”. Lo dice il padre del giornalista americano, John, intervistato assieme alla moglie fuori dalla porta della lora casa assediata dalle tv. “Ha mostrato coraggio e accettazione fino all’ultimo ed è morto portando testimonianza. Mi ha ricordato Gesù”, ha detto la madre Diane, trattenendo le lacrime.  “Non siamo mai stati così orgogliosi di lui”, ha spiegato la donna. In un posto suo profilo Facebook, Diane Foley ha anche chiesto la liberazione degli altri ostaggi “innocenti” in mano degli jihadisti in Siria. Foley “ha sacrificato la sua vita cercando di mostrare al mondo la sofferenza del popolo siriano. Imploriamo i sequestratori di risparmiare la vita degli altri ostaggi. Sono innocenti al pari di Jim e non possono influenzare la politica del governo Usa in Iraq, in Siria come in nessun altro posto del mondo”, ha scritto la donna.

USA: INORRIDITI – “Siamo inorriditi dall’uccisione brutale di un giornalista americano innocente”, commenta la portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale Usa, Caitlin Hayden, precisando che “‘intelligence Usa sta lavorando per determinare l’autenticità del video postato dall’Isis sulla decapitazione di James Foley”.

VIDEO CONDIVISO, TWITTER BLOCCA GLI ACCOUNT – Il social network sta sospendendo gli account che hanno rilanciato il link del video della decapitazione di James Foley, lo riportano i media internazionali. Dick Costolo, amministratore delegato di Twitter, ha fatto sapere attraverso lo stesso social network: “Stiamo sospendendo gli account di chiunque scopriamo condivida quelle immagini”.