LA GUERRA CIVILE NELLE FORZE DELL’ORDINE

LA GUERRA CIVILE NELLE FORZE DELL’ORDINE

 

di comidad

 

A distanza di mesi, il Dipartimento di Stato USA non è stato ancora in grado di fornire un brandello di versione ufficiale sui fatti di Bengasi dell’11 settembre scorso, che avrebbero portato all’uccisione dell’ambasciatore Stevens. Pochi giorni fa, le conclusioni di un’indagine “indipendente” hanno indicato responsabilità della CIA nella mancata messa in sicurezza della sede diplomatica. Attraverso un roboante tono accusatorio, la cosiddetta indagine depista tutta la questione su un aspetto marginale, evitando così di fornire le informazioni essenziali, cioè chi, come, e perché abbia attuato l’attacco [1].

Non c’è neppure bisogno di essere al corrente del fatto che l’agenzia Ansa e la Qatar-News costituiscono un unico cartello informativo dal settembre scorso; basterebbe anche solo far caso a queste omissioni ed a queste lacune sul caso Stevens, per farsi venire dei sospetti ogni qual volta l’informazione ufficiale lancia notizie tanto dettagliate su bombardamenti attribuiti con assoluta certezza ad Assad.

Queste certezze sono tanto più sospette, se si considera che le versioni lacunose non riguardano solo i fatti di Bengasi, ma anche recentissime vicende sanguinose accadute in Italia. In questi giorni l’opinione pubblica è stata distratta da Mario Monti e dall’impudica esibizione dei suoi dubbi amletici: candidarsi o non candidarsi, questo è il problema; se sia più nobile rischiare di farsi trombare alle elezioni, oppure presentarsi di nuovo come il salvatore della patria dopo aver boicottato Bersani; ecc., ecc. La comoda posizione di senatore a vita consente a Monti di mantenere l’ambiguità, giocando sulle divisioni nel PD. L’opinione pubblica di sinistra, sempre più sconcertata, è così costretta a riscoprire ogni volta l’acqua calda, cioè che il Mortal Kombat fra Bersani e Renzi era solo un videogame interattivo; ed anche il fatto che “destra pulita” e “borghesia responsabile” non esistono. Ci si trova perciò, ogni volta, a doversi stupire di ovvietà, come i comportamenti da manigoldo di un Monti, il quale usa spudoratamente le sedi istituzionali e le visite ufficiali per farsi la propria propaganda personale.

In questo carosello mediatico di mitologie, di disincanti e sempre nuove illusioni, una notizia molto più rilevante, del 23 dicembre scorso, è passata quasi inosservata. A distanza di oltre quaranta anni dal “suicidio” di Giuseppe Pinelli nella Questura di Milano, quella stessa Questura è diventata la scena di un altro “suicidio”, stavolta di un ispettore di polizia, morto per un colpo di pistola. A quanto pare, nelle Questure neanche i poliziotti sono più al sicuro [2].

La morte di questo ispettore di polizia giunge dopo vari episodi recenti di omicidi plurimi che hanno invece riguardato dei carabinieri all’interno delle loro caserme. Vi è stata una sparatoria con tre morti, fra cui la moglie di un carabiniere, nello scorso ottobre, in una caserma di Porto Viro in provincia di Rovigo. Un’altra sparatoria fra militi, con due carabinieri morti, si è verificata in una caserma di Mignano Montelungo, in provincia di Caserta, a giugno, sempre di quest’anno [3].

Il 7 dicembre ultimo scorso, a Zelo Buon Persico, in provincia di Lodi, c’è stato il caso di un maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, “suicida” con un colpo di pistola alla testa, all’interno della caserma di cui era comandante. Il maresciallo era stato collaboratore di un’altro carabiniere, ucciso per le strade di Lodi, in circostanze rimaste misteriose, appena un mese prima, il 3 novembre 2012. Inizialmente gli inquirenti avevano cercato di spiegare questo caso di Lodi con un tentativo di rapina, ma poi la versione non ha trovato riscontri [4].

Di fatti strani nelle caserme delle forze dell’ordine ne sono sempre accaduti; episodi probabilmente inquadrabili nei fenomeni endemici dell’illegalità poliziesca e del relativo regolamento di conti interno. Nel settembre del 2005, un carabiniere era morto per un’esplosione in una caserma di Latina; si disse che era successo mentre maneggiava una bomba di ignota provenienza. Nell’ottobre del 2006, un poliziotto era rimasto ucciso per un colpo d’arma da fuoco all’interno di una caserma di Taranto. Nel maggio del 1999, a Roma, anche un finanziere era stato sparato e ferito gravemente da un collega all’interno della caserma; quel finanziere ferito sparì dalle cronache insieme con il suo sparatore. Tutte queste vicende non erano mai state chiarite [5].

Ma nell’ultimo periodo non si è più di fronte ad episodi. La serie delle strane uccisioni ha infatti preso un andamento più incalzante, coinvolgendo anche l’altro importante corpo di polizia, la Guardia di Finanza. Ad Aversa, in provincia di Caserta, alla fine del giugno di quest’anno, un finanziere è stato trovato ucciso per due colpi di arma da fuoco vicino alla caserma in cui lavorava. Il fatto che i colpi mortali fossero due, non ha impedito l’ipotesi del suicidio anche in questa circostanza. Il 16 ottobre di quest’anno, a Frosinone, un altro finanziere avrebbe tentato il “suicidio” all’interno della sua caserma. Ricoverato in gravi condizioni per ferita d’arma da fuoco, il finanziere è poi scomparso anche lui dall’informazione ufficiale [6].

Nell’epoca di Internet ben poco può essere tenuto nascosto, ma il brusio mediatico può riuscire a distrarre anche da fatti di rilievo. In questo caso si è riusciti a far perdere di vista addirittura il fatto che, nel corso di quest’anno, la scia di cadaveri nelle sedi delle “forze dell’ordine” abbia assunto ormai cadenze afgane, paragonabili cioè con le perdite di un teatro di guerra. C’è però una significativa differenza, poiché i militari caduti in Afghanistan vengono ricondotti in Italia per solenni funerali con l’aura di eroi, mentre le vittime della guerra intestina fra componenti delle forze dell’ordine sono seppellite in silenzio ed alla chetichella.

IL FISCAL CLIFF È UN DIVERSIVO. (LO TSUNAMI DEI DERIVATI E LA BOLLA DEL DOLLARO)

IL FISCAL CLIFF È UN DIVERSIVO. (LO TSUNAMI DEI DERIVATI E LA BOLLA DEL DOLLARO)

 

di Paul Craig Roberts

 

Fonte: www.globalresearch.ca

Link : http://www.globalresearch.ca/the-fiscal-cliff-is-a-diversion-the-derivatives-tsunami-and-the-dollar-bubble/5316082

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Reio

 

Il “fiscal cliff” è un’altra bufala per distogliere l’attenzione di politici, dei media e del pubblico più attento, sempre che ce ne sia, da problemi piccoli e grandi.

Il fiscal cliff è un taglio automatico alla spesa ed un incremento delle tasse, con il fine di ridurre il deficit di una cifra insignificante nei prossimi 10 anni, se il Congresso non prenderà direttamente l’iniziativa di tagliare la spesa ed aumentare le tasse. In altre parole, il fiscal cliff ci sarà comunque.

Guardando il problema dal punto vista dell’economia tradizionale il fiscal cliff consiste in una doppia dose di austerità in un’economia già vacillante ed in recessione. Da John Maynard Keynes in poi molti sono gli economisti che hanno capito che l’austerità non è la risposta a recessioni e depressioni.

In ogni caso, il fiscal cliff è poca roba se comparato allo tsunami dei derivati, o alla bolla del mercato azionario o a quella del dollaro. Il fiscal cliff richiede tagli da parte del governo federale di 1,3 trilioni di dollari in 10 anni. Il Guardian riporta che questo significa che il deficit federale deve essere ridotto di 109 miliardi di dollari ogni anno cioè del 3% del budget annuo. Più semplicemente basta dividere 1.300 miliardi per 10 e otteniamo i 130 miliardi di dollari di saving richiesti ogni anno. Ma si potrebbe ottenere tranquillamente lo stesso risultato se Washington si prendesse tre mesi di ferie l’anno dalle sue guerre.

Lo tsunami dei derivati e la bolla delle obbligazioni e del dollaro invece hanno un peso diverso.

Lo scorso 5 giugno, su “Collapse At Hand”, feci notare che secondo il rapporto del quarto trimestre dell’Office of the Comptroller of Currency del 2011, circa il 95% dei 230 trilioni di dollari di esposizione sui derivati degli Stati Uniti erano detenuti da quattro istituti finanziari statunitensi: JP Morgan Chase Bank, Bank of America, Citibank e Goldman Sachs.

Prima della deregolamentazione finanziaria, in pratica l’abolizione del Glass-Steagal Act e la non-regolamentazione dei derivati – un risultato ottenuto dalla collaborazione tra l’amministrazione Clinton con il Partito Repubblicano – Bank of America e Citibank erano le banche commerciali che prendevano i versamenti dei depositanti e facevano prestiti al mondo degli affari e ai consumatori poi, con i fondi residui, compravano i titoli del Tesoro.

Con l’abolizione del Glass-Steagall queste oneste banche commerciali hanno cominciato a giocare come in un casinò, come la Goldmann Sachs che, pur essendo una banca di investimenti, si è messa a scommettere non solo i suoi soldi, ma anche quelli dei depositanti facendo scommesse senza avere i soldi, sui tassi d’interesse, sul mercato dei cambi, sui mutui, sulle materie prime e sulle azioni.

Questo giochetto in breve tempo non solo ha superato di molte volte il PIL degli Stati Uniti, ma addirittura il PIL mondiale. Infatti le scommesse della sola JP Morgan Chase Bank sono pari al valore di tutto il PIL mondiale.

Stando al rapporto del primo quadrimestre del 2012 del Comptroller of the Currency, l’esposizione delle banche statunitensi sui derivati è diminuita, a 227 trilioni di dollari, in modo insignificante rispetto al trimestre precedente. E l’esposizione delle 4 banche statunitensi ammonta quasi al totale dell’esposizione e supera di molte volte il loro asset o il loro capitale di rischio.

Lo tsunami dei derivati è il risultato della manipolazione di un gruppo di ufficiali pubblici pazzi e corrotti che hanno deregolato il sistema finanziario statunitense. Oggi solo quattro banche americane hanno una esposizione sui derivati pari a 3,3 volte il PIL mondiale. Quando ero un funzionario del Tesoro USA, una circostanza come questa era considerata fantascienza.

Se tutto andrà bene, gran parte delle esposizioni sui derivati in qualche modo si compenseranno tra loro, così che l’esposizione netta, che rimarrà comunque sempre superiore al PIL di molti Paesi, non è dell’ordine di centinaia di miliardi di dollari. Comunque, la situazione sta preoccupando molto la Federal Reserve che dopo aver annunciato un terzo QE, che consiste nello stampare soldi per comprare titoli – sia del Tesoro degli Stati Uniti che dei derivati-a-fregatura delle banche – ha appena annunciato che raddoppierà i suoi acquisti del QE3.

In altre parole, l’intera politica economica degli Stati Uniti è basata sul salvataggio di quattro banche troppo grandi per fallire. Le banche sono troppo grandi per fallire solo perchè la deregolamentazione ha permesso una concentrazione finanziaria, come se l’Anti-Trust Act non fosse esistito.

Lo scopo del QE è quello di mantenere alti i prezzi dei debiti, che supportano le scommesse delle banche. La Federal Reserve dichiara che lo scopo di questa massiccia monetizzazione del debito è quello di aiutare l’economia facendo scendere i tassi di interesse ed facendo aumentare la vendita delle case. Ma la politica della Fed sta facendo male all’economia perché sta togliendo ai risparmiatori, e sopratutto ai pensionati, il reddito dei loro interessi sui risparmi, forzandoli a prosciugare il loro castelletto di risparmi. Infatti i tassi reali di interesse pagati sui certificati di deposito, sui fondi di investimento e sui titoli sono inferiori al tasso d’inflazione.

Inoltre, i soldi che la Fed sta creando nel tentativo di salvare le quattro banche sta facendo innervosire i possessori di dollari, sia in patria che all’estero. Se gli investitori abbandoneranno il dollaro ed il suo cambio crollasse, anche il prezzo degli strumenti finanziari che gli acquisti della Fed stanno sostenendo crollerebbe ed il tasso di interessi aumenterebbe. L’unico modo che ha la Fed per sostenere il dollaro è quello di aumentare il tasso di interesse. In quel caso, i detentori di titoli verrebbero spazzati via, e l’indebitamento per interessi del debito del governo esploderebbe.

Con una catastrofe come quella che seguirebbe al collasso della borsa e della bolla immobiliare, la residua ricchezza della popolazione verrebbe spazzata via.

Ma gli investitori stanno già abbandonando le azioni per “salvare” il Tesoro. È per questo che la Fed può mantenere i prezzi dei titoli così alti mentre il tasso di interesse reale è negativo.

La paventata minaccia del fiscal cliff è nulla se comparata con il rischio che incombe con i derivati, con la minaccia sulla tenuta del dollaro e con quella di un mercato azionario che dipende dall’impegno della Fed a salvare le quattro banche americane.

Ancora una volta, i media e il loro maestro, il governo degli Stati Uniti, nascondono il problema vero dietro un problema fasullo.

Il fiscal cliff per i Repubblicani è diventato l’unico modo di salvare la nazione dalla bancarotta, distruggendo così la rete di aiuti sociali messa in piedi negli anni ’30 e migliorata dalla “Great Society” di Lyndon Johnson a metà degli anni ’60.

Ora che non c’è lavoro, che i redditi delle famiglie sono stagnanti se non addirittura in declino da decenni, ed ora che i redditi e la ricchezza sono concentrati in poche mani è il momento, dicono i Repubblicani, di distruggere la rete di aiuti sociali: in questo modo si eviterà di cadere sotto il fiscal cliff.

Nella storia umana, questo modo di governare ha prodotto rivolte e rivoluzioni, e questo è quello di cui gli Stati Uniti hanno disperatamente bisogno.

Forse, dopo tutto, i nostri stupidi e corrotti politici ci stanno facendo un favore.

Berlusconi e la Lega. La strada obbligata di Maroni e il sogno del Cavaliere infranto da Albertini

Berlusconi e la Lega. La strada obbligata di Maroni e il sogno del Cavaliere infranto da Albertini

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Silvio Berlusconi parla di lui come di un uomo «colto da improvvisa ambizione personale», che «si comporta in maniera francamente inaccettabile e incomprensibile». Gabriele Albertini gli risponde definendosi «persona umilissima che si mette a disposizione della sua Regione, del suo Paese, avendo garbatamente rifiutato di occupare un seggio al Senato generosamente offertomi da quel signore» (Berlusconi, ndr). Tra l’ex premier e l’ex sindaco la liaison è proprio finita. La questione lombarda con la decisione dell’europarlamentare di correre per il Pirellone, al leader Pdl non va giù.

Ma Albertini non è l’unico boccone indigesto per Silvio Berlusconi che ormai da settimane aspetta una risposta all’ex alleato Roberto Maroni
La Lega aveva posto una condizione: sì all’accordo, nazionale e in Lombardia, solo se il candidato premier fosse stato Angelino Alfano. Che aveva rispedito la richiesta al mittente, perché il Pdl, aveva detto, non «è disposto ad accettare veti dagli ex alleati di Governo». 

La partita negli ultimi giorni invece che stemperarsi si è complicata. Gabriele Albertini ha sciolto la sua riserva con una lettera aperta a Silvio Berlusconi nella quale ha definitivamente detto no a ogni ipotesi di ritiro dalla corsa per Regione Lombardia, svelando anche di aver rifiutato la candidatura al Senato che il Cavaliere gli aveva offerto. L’ex sindaco conta di convogliare su di sé non solo voti centristi, ma provenienti anche da Comunione e Liberazione e dal Pdl, soffiando una parte del consenso che nel corso di questi anni è andato al partito di Silvio Berlusconi.

C’è poi la questione aperta con la Lega. L’ex premier continua a mostrarsi convinto dell’inevitabilità dell’alleanza con i Lumbard. Ma le mosse di Maroni e di buona parte dello stato maggiore leghista sembrano andare in senso opposto. Berlusconi è esplicito tanto nell’avvertimento quanto nella promessa: «Se la Lega non confermasse l’alleanza, perderebbe influenza a livello nazionale e perderemmo non solo la Lombardia ma anche Piemonte e Veneto». Ma se invece i patti di un tempo fossero rinnovati allora «mi sembra logico che se un partito va alla presidenza l’altro abbia la vicepresidenza». Il leader del Carroccio però dice «no grazie, nessuno scambio, men che meno per poltrone romane».

La Lega ribadisce di non avere alcun timore di una corsa solitaria. «Quando siamo andati soli – sottolinea Maroni – abbiamo sempre guadagnato voti». In realtà, soprattutto in Lombardia, al segretario federale che è candidato alla presidenza della Regione, un alleanza con il Pdl avrebbe potuto far comodo. Ma non a costo di spaccare la Lega, che a cominciare dal Veneto, di un ritorno al passato con Berlusconi proprio non vuole sentir parlare. Flavio Tosi ne è convinto: «Forse insieme al Pdl perderemmo anche consensi che oggi sono liberi e che potrebbero arrivarci se Maroni corresse da solo». L’accordo sarebbe difficile pure se al posto di Berlusconi ci fosse Alfano, perché «apri la matrioska con le sembianze di Silvio e dentro c’è lui, Angelino». Nemmeno il segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini, vede di buon occhio un patto con il Cavaliere e il Pdl. Che ora, con Albertini in campo, non possono nemmeno più garantire ai Lumbard il consenso di un tempo.

 
 

Il fatto che Silvio Berlusconi sveli poi il progetto di una cena imminente con Umberto Bossi di cui stanno definendo la data, rende bene l’idea di come il Carroccio che l’ex premier ha in mente sia quello di diversi mesi fa, prima della cura maroniana. È molto difficile che ora i barbari sognanti tornino sui loro passi, se lo facessero rischierebbero di spaccare la Lega e perdere consensi dalla base, avendo poco o nulla in cambio, con il Pdl in crisi. Venerdì Maroni parla alla Berghem Frecc, la più importante delle feste invernali del movimento, ma una decisione definitiva potrebbe essere annunciata subito dopo l’Epifania, in occasione del consiglio federale.

«Salire in politica? Dovrà scendere in comunicazione». Da Freccero a Velardi, massmediologi e spin doctor «rimandano» il Prof. visto su Twitter

«Salire in politica? Dovrà scendere in comunicazione». Da Freccero a Velardi, massmediologi e spin doctor «rimandano» il Prof. visto su Twitter

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Il Cav., davanti alle telecamere di «Uno Mattina», lo ha canzonato tirando in ballo la storia del «rango inferiore». Massmediologi, spin doctor ed esperti di comunicazione lo considerano chi «un paradosso», chi un mezzo «autogol comunicativo», chi ancora l’ennesimo prodotto di «un linguaggio che resta poco emozionale».

Non c’è dubbio che il «Saliamo in politica» con il quale Mario Monti, attraverso Twitter, ha finalmente rotto gli indugi sul suo impegno nel dibattito politico italiano rappresenti il primo vero «caso» di quella che si preannuncia come una tra le più complesse campagne elettorali degli ultimi vent’anni. E così l’analisi degli addetti ai lavori potrà differire per alcune considerazioni di merito, ma concorda su un concetto: il Prof. stavolta propone una ricetta comunicativa assolutamente inedita. E, proprio per questo, si presenta come un «animale politico affascinante».

 
 

Il massmediologo 
Direttore di Rai 4, studioso di Guy Debord e massmediologo di fama, Carlo Freccero si dice «molto interessato dalle mosse comunicative di Monti. Tutto ruota intorno al “Salgo in politica”. Ma il Professore dovrebbe sapere che si tratta di un paradosso: nei prossimi due mesi dovrà infatti “scendere in comunicazione” per riuscire convincente». Tutto ciò, secondo Freccero, «significa lasciare la cattedra, perché la comunicazione è l’opposto della cattedra» e al tempo stesso «perdere del tutto quell’aura di sacralità che fino a qualche settimana fa mostrava. Non sarà facile: già proporre un’agenda significa presupporre un atto di fede da parte di chi dovrà seguirla. E questa non è una mossa comunicativa da politico». Da conoscitore di Marshall McLuhan, Freccero sa che «il mezzo è il messaggio e, anche in questo senso, trovo interessanti le mosse di Monti. Al contrario di Berlusconi, non ha parlato attraverso la televisione che è il mezzo quantitativo che parla a tutti e, quindi, raggiunge gli indecisi. S’è espresso attraverso Twitter che parla a una platea molto più circoscritta che, probabilmente, ha già deciso. Ha fatto un discorso selettivo».

Monti, Berlusconi e «I 2 Soliti Idioti» 
L’analisi di Freccero si concentra proprio sulla contrapposizione del Prof. col Cav. «Berlusconi – spiega il direttore di Rai 4 – ha incarnato il potere che abbiamo visto nella commedia all’italiana, quasi una parodia di come il potere veniva tradizionalmente inteso: era l’animale politico che viveva di assoluta empatia con il suo elettorato. Lo si votava perché un po’ ci si riconosceva in lui. Al contrario, Monti è il potere tradizionale, qualcosa di sacrale, distante, inarrivabile, come alcuni democristiani degli anni Settanta. La forza di Monti è stata ed è quella di essere arrivato dopo Berlusconi negando il berlusconismo». Ma come saranno percepiti i due contendenti da quest’Italia post politica? Freccero s’abbandona a una citazione cinematografica: «Nelle sale in questi giorni è campione d’incassi “I 2 Soliti Idioti”, un film nel quale Monti e Berlusconi in un certo senso appaiono, interpretati rispettivamente da Teo Teocoli e Ruggero De Ceglie. Credo che in questa contrapposizione si possa leggere molto bene come le giovani generazioni, fatalmente lontane dalla politica, interpretino la vera contrapposizione tra Monti e Berlusconi».

Piero Grasso chiede l’aspettativa e si candida con il Pd, si apre la corsa alla successione all’Antimafia

Piero Grasso chiede l’aspettativa e si candida con il Pd, si apre la corsa alla successione all’Antimafia

Un altro pezzo da novanta in campo per la prossima tornata elettorale: Pietro Grasso, attuale procuratore nazionale antimafia, ha sciolto la riserva e deciso di candidarsi con il Pd. La decisione sarà resa nota e argomentata venerdì nel corso di una conferenza stampa. Il magistrato ha già presentato istanza di aspettativa al Csm, attualmente chiuso per le ferie natalizie, e la sua richiesta verrà esaminata dopo il 6 gennaio. 
Dimissioni irrevocabili – Rappresentano “una scelta senza ritorno” le dimissioni dall’ordinamento giudiziario presentate al Csm dal Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che ha scelto di candidarsi con il Pd alle elezioni. Lo si apprende da fonti vicine allo stesso Procuratore. In pratica Grasso oltre alla richiesta di aspettativa elettorale, ha presentato domanda di pensionamento anticipato a partire dalla fine di febbraio. Poteva restare in servizio sino a gennaio 2020.
Corsa alla successione all’Antimafia – A quanto si è appreso, Grasso ha presentato al Csm anche domanda di pensionamento a partire dal prossimo 28 febbraio. Tale domanda – che è una cosa distinta dalla richiesta di aspettativa per motivi elettorali – è revocabile fino a quando il Consiglio superiore della magistratura non la delibera. Dunque, a breve, si aprirà la corsa alla successione alla guida della Procura nazionale antimafia. Venerdì, come detto, la decisione del procuratore nazionale antimafia sarà formalizzata nel corso di una conferenza stampa alla quale interverrà anche Pierluigi Bersani alle 11.30 a Roma nella sede del partito.
Riunione straordinaria del Csm il 7 gennaio – Intanto dal Csm giunge la notizia che un plenum straordinario dell’organo di autogoverno della magistratura è stato fissato per lunedì sette gennaio – prima data utile dopo la pausa per le festività natalizie – e la seduta ratificherà le domande di aspettativa per motivi elettorali presentate dai magistrati in servizio tra le quali quella inoltrata dal Procuratore nazionale antimafia. Le domande non sono soggette a valutazione ma possono solo essere accettate da Palazzo dei Marescialli, come è avvenuto nel caso di quella avanzata da Antonio Ingroia. 
Quattro magistrati hanno richiesto l’aspettativa – Finora sono quattro i magistrati che hanno presentato al Csm la richiesta di aspettativa elettorale in vista delle imminenti elezioni: Antonio Ingroia e Stefano Amore hanno già ottenuto la presa d’atto dal plenum lo scorso 19 dicembre, mentre Pietro Grasso e Stefano Dambruoso sono in attesa della ratifica da parte di Palazzo dei Marescialli nella prima riunione indetta per l’anno nuovo, il sette gennaio. Amore è fuori ruolo da circa una decina di anni e attualmente è in ‘servizio’ al ministero dell’Economia. Non si esclude che per il sette gennaio pervengano al Csm altre domande di aspettativa. Ma per ora queste quattro sono le uniche ad essere arrivate.

Assegno di mantenimento d’oro per Veronica Lario: da Berlusconi 3 milioni al mese

Assegno di mantenimento d’oro per Veronica Lario: da Berlusconi 3 milioni al mese

Silvio Berlusconi verserà alla ex moglie Veronica Lario tre milioni di euro al mese, 36 milioni in un anno, ma manterrà la proprietà della villa di Macherio e non sarà modificato l’assetto delle società che fanno capo all’ex premier. Lo rivela il Corriere della Sera. E’ questo l’esito della causa di separazione “non consensuale” tra i due ex coniugi sancito in una sentenza depositata nei giorni scorsi e che pone fine a una vicenda durata tre anni. I due hanno rinunciato a chiedere “l’addebito di colpa” all’altro coniuge. La sentenza, secondo il quotidiano, è stata depositata dai giudici della Nona sezione civile del Tribunale di Milano, in gran segreto, il giorno di Natale.
La vicenda – Il Corriere della Sera, ripercorrendo la vicenda, ricorda che l’avvio formale della causa di separazione risale al 3 maggio del 2009, poco dopo l’invio e la pubblicazione di una lettera di Veronica all’Ansa, in cui l’ allora moglie di Berlusconi stigmatizzava la presenza dell’ex marito alla festa per i 18 anni di Noemi Letizia e definiva “ciarpame senza pudore” le ventilata candidatura di “veline” alle elezioni Europee. Ma già nel gennaio 2007 in un’altra lettera, questa volta a La Repubblica, l’ allora moglie di Berlusconi si diceva “ferita” nella sua “dignità di donna” da alcune dichiarazioni del marito durante la premiazione dei Telegatti.
Veronica Lario aveva inizialmente chiesto 43 milioni di euro l’anno – La controfferta dell’ex marito era stata di dieci volte inferiore: 300 mila euro al mese. La sentenza che assegna all’ex moglie di Berlusconi 36 milioni di euro l’anno riflette i criteri dell’articolo 156 del Codice civile che regola i parametri del mantenimento del tenore di vita analogo a quello dovuto durante la convivenza qualora sussista una disparità economica tra i due coniugi; tiene anche conto del fatto che Veronica Lario esce dalla causa senza proprietà immobiliari.
Lei soddisfatta, ma le disposizioni sono rivedibili – Veronica Lario è soddisfatta per quanto stabilito dal Tribunale di Milano anche se, come in tutti questi casi, le disposizioni potrebbero subire variazioni in sede di divorzio. Lo si apprende da fonti legali vicine ai due ex coniugi anche se sulla vicenda tutti gli avvocati interessati, Maria Cristina Morelli, per Verona Lario e Cristina Rossello, per Berlusconi, stanno mantenendo il più stretto riserbo. Dopo la separazione Veronica, pseudonimo di Miriam Raffaella Bartolini, nata a Bologna nel 1956, nel 2010 aveva lasciato la villa di Macherio e si era trasferita per parecchi mesi all’Hotel de la Ville di Monza, con vista sulla Villa Reale. E’ rimasta nella suite deluxe per quasi un anno, poi, difendendo sempre la sua privacy, ha cercato altre sistemazioni. Secondo alcune indiscrezioni sarebbe andata ad abitare in un appartamento a Milano, secondo altre sarebbe tornata per un po’ di tempo nella stessa Villa Belvedere Visconti di Modrone, a Macherio, ospite della figlia Barbara, nel frattempo diventata mamma del secondogenito, Edoardo. Una vita comunque riservata, qualche serata a teatro e molto tempo trascorso con i figli.
Fede: a Silvio la giustizia costa cara – “Questa è la riconferma del fatto che a Berlusconi la giustizia costa cara, molto, troppo cara”. Così ha commentato l’ex direttore del Tg4, Emilio Fede. “Per i miei lunghissimi rapporti di amicizia con loro preferisco non mettere dito tra moglie e marito, ma posso dire che dal punto di vista economico Veronica esce una donna miliardaria”, dice Fede spiegando che sulle cifre preferisce ragionare ancora in lire. “Questa vicenda – conclude l’ex direttore del Tg4 – dimostra che Berlusconi ha elargito e ha fatto le felicità anche economica di tante tante persone” .
Zanicchi: cifre scandalose è una vergogna – Più velenoso il commento di Iva Zanicchi, europarlamentare del Pdl: “Non si può neanche pensare a 100 mila euro al giorno. Sono cifre scandalose. E’ una vergogna. Questa – aggiunge Iva Zanicchi – è una sentenza punitiva e in questo momento preelettorale rappresenta un attacco a Berlusconi”. “E’ ovvio pensare a tutti quelli che lavorano 8 ore al giorno e portano a casa mille euro al mese, ma è la verità – prosegue -. Io sono benestante ma molti altri no e queste cifre sono un’offesa, una coltellata al cuore delle tante persone che arrancano”.

Monti battezza il nuovo centro, no alla lista unica. “Accetterò di fare il capo coalizione”, annuncia

Monti battezza il nuovo centro, no alla lista unica. “Accetterò di fare il capo coalizione”, annuncia

“Accetterò di fare il capo coalizione e darò un incoraggiamento a chi sostiene la mia agenda”, esordisce Monti in conferenza stampa sottolineando come ci sia un “consenso ampio dei centristi per prolungare l’attività di un governo sulle priorità contenute nel suo programma”. In precedenza il vertice tra il Professore ed i centristi si era concluso di fatto archiviando l’idea di scegliere come modalità operativa della aggregazione centrista la lista unica anche alla Camera, opzione che il premier avrebbe preferito. Si andrebbe invece verso la federazione di più liste. In precedenza Monti aveva incassato in mattinata la “benedizione” del Vaticano.
Le liste e la nuova formazione politica – Ci sarà dunque una sola lista che si richiama a Monti al Senato e più liste alla Camera, una dell’Udc e una civica, ha tra l’altro detto il professore nel corso di una conferenza stampa al Senato. Oggi comunque “nasce una nuova formazione politica”, sostiene Mario Monti a proposito del suo impegno in politica. “Per rispetto delle diverse identità e storie” delle forze in campo è stato deciso che “fosse più opportuno” alla Camera avere, ad esempio, “una lista dell’Udc, una delle forze politiche che ha visto per prima i limiti del bipolarismo combattivo e sostenuto l’ attività del nostro governo”, ha detto Monti aggiungendo: “ci sarà quella lista, ci sarà una lista civica, e non se ce ne saranno altre perché processo adesioni è in movimento, e ci sarà una coalizione di queste liste”. Per questo “rassemblement di diverse forze, verrà preparato uno statuto, una modalità che consenta una ordinata e proficua coesistenza e cooperazione tra associazioni, forze, individui” ha aggiunto il premier.
L’emergenza non è finita – “Ritengo che l’ emergenza non sia finita, è finita l’emergenza finanziaria ma c’é una altrettanto grave e forse più importante emergenza: quella della disoccupazione, soprattutto giovanile e della mancanza di crescita”, afferma il Professore. ” Non è tentativo di coprire posizione di centro tra una sinistra e una destra è tentativo di rompere alcune barriere e confini e introdurre nuovi criteri aggregazione: individuare chi è disposto a impegnarsi riforme rompendo forme arcaiche di sindacalismo”, dice Monti.
“Vocazione maggioritaria e nuove adesioni” – “Non immaginiamo alleanze con gli uni o gli altri, questa è un’ operazione di rinnovamento nel profondo della politica italiana che deve avere un giorno vocazione maggioritaria”. “Non ho mai pensato di creare un nuovo partito, non sono l’uomo della provvidenza”, ha detto Monti nel corso della conferenza stampa tenuta dopo il vertice con i centristi. Ci sarà un rassemblement e uno statuto ma non un nuovo partito. Ho incontrato gli aderenti alla cosiddetta Agenda Monti, altre adesioni stanno pervenendo in queste ore”.
“Il riferimento all’Europa non è servile” – “E’ ovvio che nel nostro programma il riferimento all’Europa non è un riferimento servile ma protagonistico, è centrale e condiviso da tutti”, ha sostenuto il Professore.
“La legittimazione popolare più importante di un collegio alla Camera” – “La legittimazione popolare è significativamente più importante di un collegio alla Camera. Stiamo parlando di un anno di lavoro e della missione dell’Italia”, ha affermato ancora l’uomo della Bocconi. “Ho chiesto la collaborazione di Enrico Bondi per una specie di ‘due diligence” per valutare eventuali conflitti interesse candidati. E su questo i partecipanti si sono dichiarati d’accordo”.
“Grazie, ma ci rivolgiamo a credenti e non credenti” – “Sono molto grato di ciò che stato scritto su di me, ma la nuova formazione politica che nasce oggi unisce intorno a un programma impegnativo per la crescita del Paese e si rivolge a persone di buona volontà, credenti e non credenti “, tiene a sottolineare Monti aggiungendo: “Non è su queste questioni che si articola questa nostra formazione e credo che in primis siano le coscienze individuali e la sede parlamentare le sedi in cui i valori e le iniziative debbano esplicarsi. Credo che sia molto importante rispettare la libertà di coscienza, fermo restando il doveroso rispetto della dignità delle persone”.
“Altri avranno più vocazione di me” – A Mario Monti viene chiesto poi come intenda partecipare alla campagna elettorale ed in particolare se terrà dei “comizi elettorali”. “Non mi verrà richiesto di partecipare – risponde il premier sorridendo – molti altri avranno più vocazione di me…’.
Nuove critiche al premier, frena il Pd – Intanto nuove critiche al premier arrivano da Berlusconi che giustifica la ‘salita’ in politica di Monti perché ‘di rango inferiore’. Frena il Pd che, per bocca di Franceschini, invita il Professore a non scrivere “il suo nome alla testa di una lista a noi concorrente”. Da parte sua Monti misura ogni passo, salita o discesa che sia, nelle per lui inedite vesti di leader politico di quella nuova formazione politica di cattolici e liberali moderati, saldamente ancorata al Ppe, che alle elezioni politiche 2012 e alle Regioni che allo stesso giorno andranno a eleggere il loro Presidente avrà il suo battesimo. Per il nuovo soggetto al momento sono sul tavolo del premier uscente già diverse proposte per sede, nome e logo, sia che si presenti con una lista unica alla Camera e al Senato sia che la lista unica invece ci sia solo a palazzo Madama.
 

Pensioni, scattano gli aumenti: ma per 6 milioni stop alla rivalutazione

Pensioni, scattano gli aumenti: ma per 6 milioni stop alla rivalutazione

Dal primo gennaio scattano gli aumenti del 3% per adeguare le pensioni al costo della vita ma, anche il prossimo anno, la rivalutazione non sarà valida per le pensioni superiori tre volte la soglia minima. Lo ricorda la Spi Cgil, affermando che il blocco della rivalutazione riguarda sei milioni di pensionati. Con la rivalutazione prevista una pensione minima passerà da 481 euro a 495,43, mentre una da 1.000 euro arriverà a quota 1.025 euro.
Esclusi dall’adeguamento 6 milioni di pensionati – Poiché nel 2013 sarà ancora in vigore il blocco della rivalutazione annuale introdotto con la riforma Fornero, spiega lo Spi-Cgil, sei milioni di pensionati vedranno invariato il valore della propria pensione per il secondo anno di fila. Il blocco – segnala il sindacato pensionati della Cgil – riguarda soprattutto pensionati che hanno un reddito mensile di 1.217 euro netti (1.486 euro lordi). Un pensionato che si trova in questa fascia ha già perso 363 euro nel 2012 e ne perderà 776 nel 2013. Un pensionato con un reddito mensile di 1.576 euro netti (2.000 lordi) nel 2012 ha perso invece 478 euro e nel 2013 ne perderà 1.020. La mancata rivalutazione della pensione, sommandosi a quella dell’anno precedente, porterà quindi – sempre secondo lo Spi-Cgil – quei sei milioni di pensionati a ritrovarsi nel biennio 2012-2013 complessivamente con 1.135 euro in meno.
Nel 2012 un accanimento senza precedenti sui pensionati – “In questo anno – ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone – abbiamo assistito a un accanimento senza precedenti sui pensionati, che più di tutti hanno dovuto pagare sulla propria pelle il conto della crisi. L’aumento annuale delle pensioni che scatterà nei prossimi giorni – ha continuato Cantone – è risibile e non garantisce il pieno recupero del loro potere d’acquisto. Oltretutto da questo meccanismo automatico sono stati estromessi per decreto sei milioni di pensionati, la maggior parte dei quali non possono di certo essere considerati ricchi o privilegiati. Il governo – conclude – ha scelto deliberatamente di colpire la categoria dei pensionati lasciandone in pace tante altre che potevano e dovevano contribuire al risanamento dei conti, ed è per questo che per noi la cosiddetta Agenda Monti non può di certo essere la ricetta giusta per la crescita e lo sviluppo del Paese”.

Siria, nuova strage di bimbi: 21 morti Un generale diserta: “Usate armi chimiche”

Siria, nuova strage
di bimbi: 21 morti
Un generale diserta:
“Usate armi chimiche”

In totale 81 vittime

Il generale Abdulaziz al-Shalal, capo della polizia militare in Siria ha dichiarato la sua defezione dall’esercito

 
Combattimenti in Siria (Reuters)

Combattimenti in Siria (Reuters)

Londra, 26 dicembre 2012 – Nuova strage in Siria. E’ di 84 uccisi il bilancio parziale delle vittime oggi: tra loro 21 bambini, 17 dei quali nel massacro di al-Qahtania, in provincia di Raqqa. Lo riferiscono i comitati locali anti-regime (Lcc).

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LA DEFEZIONE – Il capo della polizia militare, generale Abdulaziz al-Shalal, ha lasciato i ranghi dell’esercito per unirsi ai ribelli, accusando il presidente Bashar al-Assad di aver usato le armi chimiche in un attacco nella regione di Homs alla vigilia di Natale.

Lo scrive il Times, rilanciando un video registrato nella zona al confine turco-siriano in cui si vede il generale, ancora in divisa, che spiega la sua decisione.  “Sono il generale Abdulaziz al-Shalal, capo della polizia militare in Siria”, dice l’ufficiale nel video.

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“Dichiaro la mia defezione dall’esercito del regime perchè ha abbandonato la sua missione fondamentale che è quella di proteggere il Paese e si è trasformato in una banda che semina morte, distrugge città e villaggi, e commette massacri ai danni del nostro popolo innocente che chiede liberta”.

Il militare, il più alto in rango ad aver finora abbandonato il regime, spiega che voleva da tempo compiere questo gesto, ma stava aspettando il momento più opportuno, aggiungendo che molti altri ufficiali siriani sono nelle stesse condizioni. A luglio, aveva disertato il generale di brigata, Manaf Tlas, ufficiale della Guardia Repubblicana, uomo del circolo ristretto attorno ad Assad e all’inizio di agosto, aveva abbandonato il suo incarico, l’allora premier, Riad Hijab, la cui defezione è stata la più importante da quando è cominciata la rivolta.

Pietro Grasso si candida con il Pd

Pietro Grasso si candida con il Pd
In campo anche l’ex pm Dambruoso

Il procuratore antimafia chiede l’aspettativa
Il magistrato antiterrorismo vicino a Italiafutura

Domani la decisione del procuratore nazionale antimafia sarà formalizzata nel corso di una conferenza stampa alla quale interverrà anche Bersani

 
Un combo tra Piero Grasso e Pierluigi Bersani

Un combo tra Piero Grasso e Pierluigi Bersani

Roma, 27 dicembre 2012 – L’annuncio ufficiale ancora non c’è stato, ma l’evidenza dei fatti è che il procuratore antimafia Piero Grasso si candiderà con il Pd alle prossime elezioni politiche. La svolta è stata registrata questa mattina, quando dal Csm è trapelato che il magistrato aveva chiesto una aspettativa elettorale. La stessa cosa che aveva fatto il giudice Ingroia qualche giorno fa, anche se approdare a lidi diversi. Più tardi un comunicato del Pd ha sciolto in poche righe i dubbi che erano nati immediatamente sulla sua destinazione politica. Grasso, infatti, domani terrà una conferenza stampa alla presenza di Pier Luigi Bersani. “Domani alle 11.30 a Roma, nella sede nazionale Pd, interverrò ad una conferenza stampa con il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso”, ha confermato anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, su twitter.

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VALUTA ANCHE L’EX PM DAMBRUOSO – Anche l’ex pm antiterrorismo Stefano Dambruoso scende in politica e ha presentato al Csm, che ne prenderà atto il prossimo sette gennaio, domanda di aspettativa. Dambruoso è fuori ruolo e a ottobre ha firmato il manifesto di Italiafutura di Luca Cordero di Montezemolo ricevendo apprezzamento dal candidato alla presidenza della Regione Lombardia Gabriele Albertini che corre per la lista ‘montezemolina’. Di Italiafutura, Dambruoso è il responsabile del settore giustizia. Non si sa con chi scende in campo. Albertini, aveva accarezzato l’idea di avere Stefano Dambruoso come primo nome della lista civica che lo sostiene nella candidatura a presidente della Lombardia, ma non pare che sarà questo il futuro dell’ex pm antiterrorismo che ha chiesto l’aspettativa al Csm. “Sono onorato della proposta, ma e’ rimasta tale”, senza dire se si candiderà al parlamento con Italiafutura, di cui è responsabile giustizia. “Bisogna richiedere l’aspettativa entro quella data per motivi tecnici – ha sottolineato -. Io mi riservo di vedere cosa uscirà in questi giorni”. Certo “sono impegnato in quell’area”. Ed è certo anche che Dambruoso ha “quel profilo di transnazionalità che incarna uno dei requisiti” dell’agenda Monti come dimostrano gli incarichi internazionali che ha ricoperto, fra l’altro all’Onu.

QUATTRO MAGISTRATI IN CAMPO – Finora sono quattro i magistrati che hanno presentato al Csm la richiesta di aspettativa elettorale: Antonio Ingroia e Stefano Amore hanno già ottenuto la presa d’atto dal plenum lo scorso 19 dicembre, mentre Pietro Grasso e Stefano Dambruoso sono in attesa della ratifica da parte di Palazzo dei Marescialli nella prima riunione indetta per l’anno nuovo (il 7 gennaio). Amore è fuori ruolo da circa una decina di anni e attualmente è in ‘servizio’ al ministero dell’Economia.