Tromba d’aria all’Ilva: crolli e feriti

Tromba d’aria all’Ilva: crolli e feriti Gru in mare: disperso un operaio Rischio esplosioni: evacuazione Gru in mare. 40 feriti. Scuola danneggiata: otto bimbi in ospedale Video VIDEO tromba d’aria 1 Tromba d’aria all’Ilva, l’azienda: “Gravi danni strutturali da quantificare”. Sommozzatori all’opera per il disperso Violenta tromba d’aria s’abbatte sull’Ilva di Taranto Il tornado visto dalle finestre delel case di Taranto (youtube) Il tornado visto dalle finestre delel case di Taranto (youtube) Taranto, 28 novembre 2012 – Situazione drammatica nello stabilimento Ilva di Taranto sconvolto da una tromba d’aria che si è abbattuta su Taranto questa mattina. Ci sarebbero almeno una ventina di feriti e si teme addirittura che ci siano morti: un operaio risulta disperso, sommozzatori all’opera. L’azienda conferma un disperso e comunica: “Gravi danni strutturali ancora da quantificare”. E la tromba d’aria ha fatto danni anche in una scuola di Statte: sei bambini sono stati portati in ospedale per fortuna nessuno di loro è grave. Articoli correlati Summit Monti-Napolitano GENOVA In corteo con il caterpillar di Gabriele Moroni Cancellieri: “Problema di ordine pubblico” GLI INTERVENTI Vendola Clini Bozza decreto: “L’attività può proseguire” Segui le notizie su Facebook Condividi Sono 40 in tutto i feriti per la tromba d’aria verificatasi stamane nella zona dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, in generale in tutta l’area industriale ma anche nella vicina cittadina di Statte, ex frazione del capoluogo jonico. Non tutti sono stati ricoverati. Due hanno riportato un trauma cranico. Otto bambini, rimasti lievemente feriti nella scuola elementare di Statte, sono stati medicati all’ospedale ‘Moscati’. Intanto le strade cominciano a essere liberate. IL VIDEO CHOC 1 – GUARDA IL VIDEO CHOC 2 – GUARDA IL VIDEO CHOC 3 Secondo quanto si apprende la tromba d’aria ha causato il crollo di un capannone all’imbarco prodotti e della torre faro, e’ crollato anche il camino delle batterie uno e tre. Considerato il rischio di esplosioni, lo stabilimento è stato evacuato. Sul posto si sono portati ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco, carabinieri e polizia. Multimedia correlati VIDEO tromba d’aria 2 VIDEO tromba d’aria 3 VIDEO Le fiamme FOTO tromba d’aria Alta tensione FOTO Ingressi bloccati a Taranto Tromba d’aria all’Ilva di Taranto: riprese da un balcone Un fulmine e’ caduto su una delle ciminiere, i cui pezzi si sono riversati su due tralicci dell’alta tensione. Attualmente e’ bloccata la linea ferroviaria Bari-Taranto. I feriti provocati dalla tromba d’aria sarebbero una ventina. C’è anche il rischio che si verifichino esplosioni. A quanto riferisce all’Adnkronos Mimmo Panarelli, responsabile territoriale dei metalmeccanici della Fim Cisl, all’Ilva ha detto che i dispersi potrebbero essere tre. DISPERSO – Un operaio risulta ufficialmente disperso. Secondo quanto si apprende dai vigili del fuoco, l’uomo era al lavoro nella cabina di una gru finita in mare dopo la tromba d’aria. A Taranto stanno arrivando le squadre dei sommozzatori per le ricerche. Al momento sarebbero una ventina i feriti lievi ricoverati in infermeria e due portati in ospedale. La gru è stata ritrovata. Il mezzo e’ caduto in mare nei pressi del quarto sporgente del porto industriale. Era sotto venti metri, piena di fango. DANNI – La scena all’Ilva è drammatica. Lamiere e detriti hanno travolto un bus privato in transito davanti all’Ilva al passaggio della tromba d’aria. I vetri del mezzo sono andati in frantumi e l’autista e’ rimasto ferito. Sono stati abbattuti muretti, alberi e guard-rail. Ingenti i danni anche a una stazione di rifornimento carburanti. Sulla strada Taranto-Statte alcune auto si sono rovesciate. Intanto il ministro Clini afferma: “Tre miliardi in due anni per ripulire l’azienda. Chiudere lo stabilimento avrebbe effetti negativi sull’ambiente e sarebbe un favore ai concorrenti”.

BERSANI-RENZI, MERCOLEDÌ IL DUELLO IN TV SU RAI1

BERSANI-RENZI, MERCOLEDÌ IL DUELLO IN TV SU RAI1

 

 

Mercoledì sera su Rai1 il duello in tv tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi impegnati nel ballottaggio per la candidatura a premier nel centrosinistra. Stasera, uno dopo l’altro, il sindaco di Firenze e il segretario del Pd sono stati ospiti da Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’. Se è stata comune la soddisfazione per l’andamento del voto di domenica nel primo turno delle primarie (hanno partecipato 3,1 milioni di cittadini) i due competitor hanno ricominciato a incrociare a distanza i ferri e iniziato a far capire dove rivolgeranno le loro attenzioni elettorali da qui a domenica 2 dicembre per vincere la competizione. Bersani guarda ovviamente a Vendola per confermare e rinforzare il risultato ottenuto (1,400.000 voti) – il governatore della Puglia e leader di Sel lo appoggerà, ha già detto, “ma non in modo incondizionato” – mentre Renzi per incrementare il milione e 100.000 voti presi pensa a rosicchiare un pò di consensi proprio nel campo del segretario Pd, e in quello della Puppato e di Tabacci. Ma conserva anche la speranza che non tutto il Sel riverserà i suoi voti su Bersani… “E allora, visto che partiamo da zero a zero, ce la giochiamo” ha detto il ‘rottamatore’. Bersani ha contestato quel dato di partenza citato da Renzi, che non è proprio uno zero a zero. Stasera sono stati infatti diffusi i dati ufficiali del primo turno delle primarie: Bersani ha raccolto il 44,9% dei consensi, Renzi il 35,5, Vendola il 15,6%, Puppato il 2,6 e Tabacci l’1,4%. Un distacco ta il primo e il secondo di 9,4% (non il 5% evocato dal sindaco di Firenze), cioè circa 290.000 voti che sarà arduo recuperare. Vedremo mercoledì quanto sposterà il duello all’americana in tv che sarà moderato da Monica Maggioni.

L’Ilva chiude gli impianti Giovedì incontro governo-sindacati

L’Ilva chiude gli impianti
Giovedì incontro
governo-sindacati
Sciopero dei metalmeccanici

Convocate anche le istituzioni locali. Clini: col blocco grande rischio ambientale

L’Ilva ha comunicato che il sequestro della produzione “comporterà in modo immediato e ineluttabile la cessazione di ogni attività”. Stefanelli: “Lavoratori non abbandonino i loro posti”. Vendola: “Mai pressioni sul direttore dell’Arpa Puglia”

 
Ilva, gli operai dopo la chiusura dello stabilimento
Ilva, gli operai a Taranto dopo il blocco degli ingressi

Taranto, 26 novembre 2012 – L’Ilva, in una nota, dice che il sequestro della produzione disposto dalla magistratura ‘’comportera’ in modo immediato e ineluttabile l’impossibilita’ di commercializzare i prodotti e, per conseguenza, la cessazione di ogni attività nonchè la chiusura dello stabilimento di Taranto e di tutti gli stabilimenti del gruppo che dipendono, per la propria attività, dalle forniture dello stabilimento di Taranto’’. Gli operai “a casa” sarebbero circa 5mila.

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Ilva ribadisce “con forza l’assoluta inconsistenza di qualsiasi eccesso di mortalità ascrivibile alla propria attività industriale, così come le consulenze epidemiologiche sopraccitate inequivocabilmente attestano”. E’ quanto si legge in una nota dell’azienda. “Per chiunque fosse interessato – prosegue la nota – Ilva mette a disposizione sul proprio sito le consulenze, redatte da i maggiori esponenti della comunità scientifica nazionale e internazionale, le quali attestano la piena conformità delle emissioni dello stabilimento di Taranto ai limiti e alle prescrizioni di legge, ai regolamenti e alle autorizzazioni ministeriali, nonché l’assenza di un pericolo per la salute pubblica”.

GIOVEDI’ L’INCONTRO COL GOVERNO – Il governo ha convocato per giovedì alle 15 a palazzo Chigi le parti sociali e le istituzioni locali per discutere della situazione di Ilva. Lo annuncia l’Ufficio stampa attraverso twitter.

SCIOPERO – I sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm hanno deciso stasera lo sciopero immediato dei lavoratori dell’Ilva in segno di protesta per la decisione dell’azienda di fermare tutta l’area a freddo dopo il blocco e il sequestro delle merci disposti oggi dalla Magistratura. I sindacati parlano di “rappresaglia” dell’azienda “contro i lavoratori”.

LA GIORNATA – UILM – La Uilm aveva chiesto al governo di convocare al più presto il sindacato a palazzo Chigi per “la situazione tragica” dell’Ilva, altrimenti, in assenza di risposte, giovedi prossimo sarà sciopero nazionale. “La siderurgia nazionale oggi ha ricevuto un duro colpo e riteniamo indifferibile – afferma Mario Ghini, segretario nazionale della Uilm – risposte chiare da parte del governo: deve dire se ha intenzione di salvaguardare un patrimonio industriale e occupazionale essenziale per il Paese. Come sindacato, riteniamo necessaria una convocazione a Palazzo Chigi nelle prossime ore e, se ciò non avverrà, siamo pronti a proclamare uno sciopero nazionale di tutto il gruppo siderurgico per giovedì 29 novembre”. “La situazione – sottolinea – è tragica: Ilva vuol mettere in libertà a Taranto tutti i 5mila lavoratori occupati nell`area a freddo; nei siti di Genova e Novi Ligure ci sono rispettivamente scorte di materiale da lavorare per una e due settimane. Invitiamo il governo a prendere posizione”.

FIOM – Il segretario della Fiom Cgil di Taranto Donato Stefanelli: “L’azienda sta comunicando in questo momento che da stasera fermano gli impianti di tutta l’area a freddo. Noi invitiamo invece i lavoratori che devono finire il turno a rimanere al loro posto e a quelli che montando domani mattina di presentarsi regolarmente’’.

CLINI – “Stiamo facendo accertamenti, vogliamo sapere se in queste condizioni nuove è possibile per l’Ilva realizzare gli interventi e gli investimenti necessari per rispettare l’Aia o no. In caso di no dobbiamo prendere provvedimenti per far rispettare la legge’’. Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Corrado Clini sull’Ilva. “Chi oggi si assume la responsabilità di chiudere l’Ilva a fronte dell’autorizzazione integrata ambientale che abbiamo rilasciato si assume la responsabilità di un rischio ambientale che potrebbe durare anni e potrebbe non essere risanabile nel breve periodo”.

ARRESTI E SEQUESTRI – La Guardia di finanza ha eseguito una serie di arresti e sequestri a Taranto nei riguardi dei vertici dell’Ilva e di esponenti politici nell’ambito dell’inchiesta ‘Ambiente venduto’. Sotto la lente degli investigatori una serie di pressioni che l’Ilva avrebbe effettuato sulle pubbliche amministrazioni per ottenere provvedimenti a suo favore e ridimensionare gli effetti delle autorizzazioni ambientali. Accuse a vario titolo di associazione per delinquere, disastro ambientale e concussione. In particolare, secondo quanto si apprende, le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal Gip di Taranto, chiamerebbero nuovamente in causa la famiglia Riva, e anche funzionari e politici di enti locali pugliesi.

Tra le persone raggiunte dalle misure cautelari ci sono Fabio Riva, vicepresidente del gruppo Riva e figlio di Emilio Riva (già ai domiciliari dal 26 luglio scorso) e fratello di Nicola Riva (anche lui ai domiciliari dal 26 luglio); Anche il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante e il direttore generale dell’azienda, Adolfo Buffo, sono coinvolti nell’inchiesta che ha portato all’emissione di sette ordinanze di custodia cautelare e al sequestro dei prodotti finiti/semilavorati. I due dirigenti hanno ricevuto altrettanti avvisi di garanzia. In carcere sono finiti Fabio Riva, ammistratore delegato dell’Ilva, Luig Capogrosso, ex direttore delle stabilimento l’ex consulente Girolamo Archinà.

SEQUESTRATA LA PRODUZIONE DEGLI ULTIMI MESI – La procura di Taranto ha posto sotto sequestro tutta la produzione dell’Ilva degli ultimi quattro mesi. L’intera produzione stoccata nell`ex yard Belleli e nei parchi della zona portuale di Taranto è finita sotto sequestro preventivo richiesto dalla procura di Taranto. Sotto sequestro sono finite migliaia di lastre di acciaio e coils, grossi cilindri di materiale finito pronti per essere spediti alle industrie. La merce sequestrata non potrà essere commercializzata perché si tratta di prodotti realizzati in violazione della legge. Secondo la procura ionica, costituiscono profitto di reati perché realizzati durante i quattro mesi in cui l`area a caldo dello stabilimento era sotto sequestro senza alcuna facoltà d`uso.

Il provvedimento, firmato dal gip Todisco sulla base del secondo comma della legge 321 (quella sulla responsabilità amministrativa delle società) collegato al 240 del codice penale, riguardante la confisca di beni, riguarda anche eventuali produzioni del futuro e pone uno stop definitivo alla produzione dell`acciaieria che dal 26 luglio, giorno del primo sequestro, è ugualmente andata avanti nonostante l`ordine della magistratura. Sette le misure cautelari eseguite questa mattina dalla guardia di finanza. Agli arresti domiciliari è finito anche il docente dell`università di Bari, Lorenzo Liberti, che secondo i pubblici ministeri avrebbe ricevuto pressioni dall`Ilva per ammorbidire una perizia che due anni fa stava elaborando per conto della procura ionica.

PM: CONTATTI TRA ARCHINA’ E VENDOLA – Dalle nuove indagini sull’Ilva emergono ‘’numerosi e costanti contatti di Girolamo Archinà, direttamente, e di Fabio Riva, indirettamente, con vari esponenti politici tra cui il governatore della Puglia Nichi Vendola’’. E’ quanto scrive il gip di Taranto nell’ordinanza di custodia cautelare per i vertici dell’Ilva.

“Il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato può raccontare se ha mai subito o pressioni o tirate d’orecchie da parte mia. Le mie pressioni sono andate sempre nella direzione di essere inflessibili in termini di ambientalizzazione’’ Lo ha detto poco fa il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.

LA MAZZETTA – L’ex consulente della procura di Taranto Lorenzo Liberti, già preside della Facoltà di Ingegneria a Taranto, secondo la tesi dell’accusa, sarebbe il destinatario di una ‘mazzetta’ di 10mila euro che Archinà gli avrebbe consegnato nel marzo 2010 in una stazione di servizio lungo l’autostrada Taranto-Bari. I soldi dovevano servire, sempre secondo l’accusa, ad attenuare la perizia che Liberti, assieme ad altri esperti, stava conducendo su incarico della Procura di Taranto relativamente all’impatto dell’inquinamento da diossina sulle condizioni di vita e salute della popolazione tarantina. L’Ilva ha sempre smentito che si trattava di una tangente a Liberti ma ha affermato che quei soldi Archinà avrebbe dovuto versarli come donazione alla Diocesi di Taranto.

Primarie, a ‘Che tempo che fa’ abbraccio tra Bersani e Renzi Scontro su dati e alleanze

Primarie, a ‘Che tempo che fa’
abbraccio tra Bersani e Renzi
Scontro su dati e alleanze

Il sindaco di Firenze: “No all’Udc”
Bersani: “Ho vinto grazie alla gente”

E’ tregua, per qualche minuto, tra i due rivali alle primarie del centrosinistra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, che si sono incontrati stasera per qualche minuto dietro le quinte di “Che tempo che fa”, ospiti di Fabio Fazio

 
Renzi a 'Che tempo che fa' (Ansa)

Renzi a ‘Che tempo che fa’ (Ansa)

Roma, 26 novembre 2012 – E’ tregua, per qualche minuto, tra i due rivali alle primarie del centrosinistra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, che si sono incontrati stasera per qualche minuto dietro le quinte di “Che tempo che fa”, ospiti di Fabio Fazio. Bersani ha raggiunto il sindaco di Firenze all’interno della sala di registrazione del programma, pochi minuti prima dell’inizio della diretta. Tra i due, che si sono abbracciati, una calorosa stretta di mano, pacche sulle spalle, sorrisi e battute. I due rivali alle primarie del centrosinistra hanno parlottato per un paio di minuti, tra battute e incursioni in argomenti più seri, affrontati velocemente. In particolare, Bersani e Renzi si sono scambiati opinioni sulle modalità registrazione al voto del ballottaggio di domenica prossima.

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RENZI – “Noi siamo quelli che dicono basta inciuci dopo vent’anni. Quelli che non voglion fare l’accordo con l’Udc”. Lo ha detto Matteo Renzi a Che tempo che fa, parlando delle differenze tra i candidati alle primarie del centrosinistra.

Prima di domenica “magari convincerò qualcuno che ha votato per Bersani a votare per me. Prima delle elezioni gli ho mandato un sms. Ci hanno dipinto come sfasciacarrozze, ma non è che siccome la classe dirigente del Partito democratico ha fallito noi non abbiamo il diritto di provarci adesso. Andremo a stanare gli elettori di Vendola e Bersani uno ad uno”. “Sono pronto a dargli una mano se vince, non chiedo niente in cambio”. Quanto ai risultati del voto di ieri, ha aggiunto: “Sono molto contento, è stato bello. Mi viene voglia di andare a cercare tutti quelli che dicevano che le primarie rovinerebbero il centrosinistra. A Firenze ho fatto due ore di coda perché a si erano un po’ ingegnati per ridurre i seggi, ma vabbé… .Comunque è stata una cosa particolarmente commuovente”.

“Con Bersani ci siamo incontrati fuori dal bagno l’ho aspettato e gli ho fatto bu bu. Si è spaventato? Non per così poco, anche se la mia faccia dopo tre mesi non è un gran che…”. Poi Renzi è tornato a parlare dei rapporti con alcuni degli storici dirigenti del Pd: “Nessuno vuole negare la storia, ma facendo politica costruisci il futuro. Ho grande rispetto per loro, ma arriva un momento in cui il problema sono il futuro e i prossimi venti anni”. Poi ha spiegato come spera di convincere gli elettori a sostenerlo al ballottaggio delle primarie: “E’ arrivato il momento di avere fiducia in una classe dirigente nuova, non siamo quelli che volevano sfasciare la ditta o fare gli sfasciacarrozze, come ci hanno dipinto molti. Proveremo a stanare gli elettori, uno per uno”. Infine una battuta: “Emilio Fede ha detto che voterà Bersani, mi son tolto un peso e sono sereno…”.

BERSANI – ‘’La responsabilita’ maggiore e’ guardare i cittadini all’altezza degli occhi e non un uomo al comando. I cittadini decidono davvero, non c’e’ trucco. Anche quello che dice Matteo che io ho il voto degli apparati, e’ sbagliata. Ho vinto nelle città dove c’è la gente e non gli apparati’’. Così Pier Luigi Bersani confuta, a ‘Che tempo che fa’, l’allusione del suo rivale al sostegno degli apparati del partito a Bersani. Il successo delle primarie è la dimostrazione che “non il ghe pensi mi” e l’uomo solo al comando sono il futuro della politica. Ma la partecipazione è il futuro. Dobbiamo comporre collettivi in chiave moderna. Sono finiti i personalismi”.

Mario Monti sembra intenzionato a schierarsi in campagna elettorale, ma sarebbe meglio che restasse “fuori dalla mischia”, converrebbe anche a lui. Lo ha detto il segretarioPier Luigi Bersani quando gli è stato ricordato che Monti proprio ieri non ha escluso di schierarsi: “Ho colto anch’io questa sfumatura… E’ chiaro che ha tuti i diriti civili, politici, morali, anche se è un seantore a vita. Io ho sempre detto che nel futuro Monti sarà przioso e mettersi nella mischia credo che non convenga a lui nè all’Italia”. In ogni caso, “Monti farà come riterrà, noi confermiamo lealtà fino alla fine di questa vicenda. Si vedrà. Certo noi stiamo facendo le primarie per le primarie del centrosinistra, non è che stiamo qui a pettinar le bambole…”. Le parole del premier Mario Monti sulla scuola? “Sulla scuola penso che errori ne hanno fatto tutti, qualcuno anche noi. Ma non possiamo accettare che ogni sei mesi arrivi uno schiaffo alla scuola, né materiali né immateriali come questa affermazione un po’ sbrigativa”.

La partita al ballottaggio è “aperta”, ma dire che si riparte da “zero a zero” come fa Matteo Renzi non è “felicissimo”. “Sono d’accordo col concetto, non mi pare felicissima l’espressione… Più di tre milioni di persone hanno votato. La partita è aperta, i ballottaggi si fanno apposta. Ho insistito io per avere le primarie, e anche per avere il ballottaggio, Renzi non lo voleva. Non sono pentito, non mi sembra giusto che uno diventi il candidato del cs senza avere il 51%, oggi sarei il candidato ma non credo sarebbe stato una buona cosa senza il 51%”. A Pier Luigi Bersani non piace molto essere definito “usato sicuro” da Matteo Renzi: “Non mi piace moltissimo che lui dice ‘io sono l’innovatore, questo qua è l’usato sicuro’. Sicuro è una parola che mi piace molto, anche usato non lo butto via, purché si riconosca che in quell’usato ci sono state più riforme vere di quanto non si chiacchieri. Dove sono stato ho sempre cambiato”.

“Sono tranquillissimo. Continuerei a fare il segretario del partito comunque fino al congresso”, anche se domenica a Matteo Renzi riuscisse il sorpasso alle primarie e la conquista della premiership del centrosinistra. “Poi, come ho già detto, al congresso la ruota deve girare. Ed io la farò girare….”ha ribadito ancora una volta Bersani. Pier Luigi Bersani non intende riaprire a Idv, le parole pronunciate sabato in Liguria sono state fraintese. Il segretario Pd spiega la sua recente ‘apertura’: “No, francamente forse sono stato… Non mi risultava, ecco! Spiego subito: può proprio essere che tocchi a noi. Stavolta non devono esserci equivoci, ho visto dal Governo Monti in poi Idv fare un’altra scelta. Significa mettersi in un altro orizzonte, legittimo, ma che non è quello di governare. Mi pare che Idv abbia compiuto questa scelta”.

Sesso: come raggiungere sempre l’orgasmo

Sesso: come raggiungere sempre l’orgasmo


Coppia pronta a far sesso

Una coppia pronta a far sesso

Se la qualità del sesso è data dal coinvolgimento di sentimenti che una donna ha col proprio uomo è vero anche che è l’orgasmo il vero termometro che misura la soddisfazione di una coppia a letto. Insomma: il momento culminante del far l’amore è possibile non solo con un buon rapporto fisico ma anche con il raggiungimento di uno stato mentale dato da situazioni, movimenti e sentimenti.

Ecco qui alcuni piccoli suggerimenti su come far sì che l’orgasmo si accompagni sempre alsesso e all’erotismo in modo che una coppia sia soddisfatta dal punto di vista fisico, con conseguente miglioramento della stabilità e della “pax” familiare.

Il primo passo, consigliano i sessuologi, è pensare: visto che il sommo piacere è anche unaquestione mentale, immaginarsi il proprio uomo, l’attore preferito o il collega di ufficio può aiutare a vivere le proprie fantasie erotiche. E questi pensieri dovrebbero iniziare ancor prima di farlo, in modo che quando si inizia a far l’amore mente, cuore e corpo siano già caldi.

Altro segreto: perché non lasciarsi andare brevemente appena alzate o sotto la doccia? Lamasturbazione e il pensiero del sesso in maniera delicata durante le ore del giorno facilitano quei meccanismi fisici e mentali che aiutano a rendere meglio durante un incontro intimo.

La vera chiave del successo a letto, insomma, sono i preliminari. E questi non necessariamente sono fatti di carezze del proprio partner, ma sono fatti anche da pensieri, frasi sussurrate al telefono durante la giornata o prima di una riunione di lavoro o, meglio ancora, durante una cena in un bel ristorante. Così, al momento del sesso, il corpo della donna è già pronto all’incontro col proprio partner e sarà più facile raggiungere l’orgasmo.

Dalle parole, bisogna poi passare ai fatti: i preliminari sono fatti anche di baci e carezze nei punti giusti, di leggeri sfioramenti del clitoride fatti per preparare la donna al momento culminante. A proposito: i sessuologi suggeriscono di concentrarsi sulla parte più sensibile di questa zona erogena, costituita dalla parte in alto a sinistra.

«Durante un rapporto, una donna dovrebbe concentrarsi su quello che sta facendo e non pensare ad altro: la lista della spesa, la discussione con la collega o un problema di lavoro dovrebbero rimanere fuori dalla mente»-

E a proposito di fantasia, uno studio dell’Università di Austin, in Texas, effettuato su 153 donne tra i 18 e i 49 anni ha mostrato che c’è una forte correlazione tra la soddisfazione sessuale e un pensiero positivo nella mente, costituito magari da un’immagine passata: gli esperti, infatti, ritengono che per raggiungere sempre l’orgasmo sia utile pensare a sé stessi mentre si fa l’amore, immaginando il proprio seno o le proprie gambe avvolte intorno all’uomo e comunque guardando la scena dall’esterno come sei si fosse una terza persona più che immaginandola da “protagonisti”.

Altro passo chiave non è far l’amore col pensiero fisso dell’orgasmo, ma farlo gustandosi ogni momento secondo per secondo. Paradossalmente, non pensare al sommo piacere aiuta a raggiungerlo. Oltre alla mente, comunque, servono anche le mani: dato che 2 terzi delle donne non vengono solo con la penetrazione, sarebbe bene stimolarsi il clitoride o con la propria mano o con quella del proprio partner, che si ecciterà molto al partecipare a questa sorta di gioco.

Posto che ogni donna ha la sua posizione, è meglio sceglierne una che stimoli il clitoride magari dicendo sottovoce al proprio uomo di non puntare a una penetrazione “avanti e indietro” ma di preferirne una leggermente circolare o fatta di micromovimenti dei fianchi e del bacino in alto e in basso, a sinistra e a destra magari mentre l’osso pubico dell’uomo stimola il clitoride. Meglio poi cambiare posizione più volte, per evitare che il corpo si intorpidisca nella stessa posizione rendendo più difficile l’orgasmo.

Morbo di Parkinson, c’è poca informazione

Morbo di Parkinson, c’è poca informazione


Morbo di Parkinson

Morbo di Parkinson, si sperimenta una nuova cura per rigenerare i neuroni

La IV Giornata dell’Informazione sulla Malattia di Parkinson nasce con l’intento di diffondere la conoscenza circa questa malattia: ancora si sa troppo poco ed è necessario informare la popolazione circa le modalità con cui colpisce e i progressi fatti nella ricerca.

Si legge nella nota diramata da Limpe che «una recente indagine dell’Eurisko ha evidenziato che il 78% dei parenti di pazienti parkinsoniani non conosce i sintomi della malattia e l’87% di loro non aveva minimamente pensato alParkinson prima della diagnosi». I sintomi sono difficili da interpretare e, se in passato si credeva che nella maggior parte dei casi questi si presentassero dopo i 60 anni di età, oggi è bene sapere che in un paziente su dieci compaiono anche prima dei 40 anni.

Il Presidente della Limpe, il professore Giovanni Abbruzzese, ha però colto l’occasione per dare buone notizie circa la ricerca sulla Malattia di Parkinson: «In Italia la ricerca sulla Malattia di Parkinson sta conoscendo un nuovo impulso e riteniamo che lo studio sullaprevenzione delle cadute possa aiutare quei pazienti che si trovano nella fase intermedio-avanzata della malattia e cominciano a presentare evidenti difficoltà di deambulazione e disturbi dell’equilibrio, con elevata frequenza del rischio di cadere».

Oggi purtroppo non esistono ancora farmaci o sostanze in grado di prevenire la Malattia di Parkinson e dunque la ricerca diviene indispensabile in tal senso. L’arma più efficace è assolutamente la diagnosi precoce, anche se non è sempre semplice diagnosticare la malattia in tempo
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ITALIA: RICCHI D’ACQUA, CAMPIONI DI SPRECO

ITALIA: RICCHI D’ACQUA, CAMPIONI DI SPRECO

 

di Pietro Mezzi

 

Il nostro è uno dei Paesi più ricchi di acqua, ma ancora oggi, in diverse parti d’Italia, esiste un problema di disponibilità della risorsa idrica, specie nei mesi più caldi dell’anno. E questo avviene non solo al Sud, ma anche nel Nord, se pensiamo alle recenti emergenze idriche del bacino del Po della scorsa estate e del 2007 in particolare. Insomma, siamo ricchi d’acqua (circa 52 miliardi di mc all’anno e 921 mc per abitante sempre ogni anno, affermano i dati del 1999 dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche), ma spesso entriamo in sofferenza.

Il settore che consuma di più è quello agricolo (20-25 miliardi di mc all’anno), poi quello industriale e dell’energia (15 miliardi) e infine quello civile (9 miliardi). Il maggior consumo lo abbiamo al Nord con il 66% di utilizzo, in virtù dei processi di urbanizzazione e industrializzazione avvenuti negli ultimi cinquant’anni e della densità delle aree agricole. Il Sud consuma il 15% della risorsa, il Centro il 10 e le Isole solo l’8,5. Se consideriamo i dati più aggiornati prodotti dalla Direzione Ambiente della Commissione Europea nel 2007, in Italia viene destinata all’irrigazione il 60% dell’acqua prelevata: un dato che ci colloca al terzo posto in Europa, alle spalle di Grecia (80%) e Spagna (72) e davanti al Portogallo (59). Stime ancora più accurate (quelle dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni e dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria) collocano il dato italiano ancora più in alto: 70% dei prelievi e l’83 circa dei consumi totali di acqua a livello nazionale. Numeri impressionanti, che devono spingere il settore agricolo a una profonda riforma basata sull’efficienza e sull’aumento di disponibilità della risorsa stessa.

Dopo quello agricolo, come detto, ci sono i settori industriale e civile. Per il primo, in questi ultimi anni, grazie all’innovazione dei processi e a causa della crisi economica, si è registrata a una diminuzione dei prelievi, mentre sono aumentati quelli del settore civile. Secondo stime recenti (ISTAT 2011) il dato è pari 9,1 miliardi di metri cubi, che corrisponde a un dato medio nazionale annuo di 152 mc per abitante. Numeri che confermano la nostra distanza da una politica di efficienza e di risparmio idrico, collocandoci, nella classifica europea, davanti a Spagna (127 mc per abitante), Regno Unito (113) e Germania (62), Paese, quest’ultimo, in cui si consuma meno della metà che in Italia.

In questa teoria di dati non bisogna però dimenticare che c’è differenza tra uso e consumo d’acqua. Gli usi consuntivi sono esclusivamente quelli agricoli e zootecnici (dove l’acqua erogata viene in gran parte effettivamente utilizzata). Al contrario, l’uso civile-domestico industriale può restituire fino al 90-95% dell’acqua usata. Ma l’acqua di scarico restituita dai sistemi fognari per usi urbani e domestici e dalle industrie spesso non è trattata a dovere. In altre parole, le acque prelevate in buone condizioni vengono restituite di qualità scadente, se non addirittura pessima.

LA BICICLETTA È IL FUTURO DELLA MOBILITÀ. ECCO IL PERCHÉ

LA BICICLETTA È IL FUTURO DELLA MOBILITÀ. ECCO IL PERCHÉ

 

di Vincenzo Nizza

 

Solo negli ultimi 40 anni la produzione di biciclette nel mondo è cresciuta del 300%, molto più velocemente di quella dell’automobile (www.worldometers.info). Oggi nella sola Parigi l’esperimento del bike sharing Vélib già non è più un esperimento: 100.000 persone al giorno utilizzano il servizio. E così a Boston, come in altre città del mondo: Montgomery, Vancouver, Philadelphia, per fare riferimento a realtà oltreoceano.

Il concetto di bici in duecento anni non è cambiato molto, ma oggi il mondo comincia a rendersi conto che la bicicletta può essere messa al centro di nuovi modelli di sviluppo della città e della sua mobilità. E i motivi sono differenti.

Partiamo dalla riduzione del costo delle infrastrutture. L’incremento della densità abitativa delle città, il traffico, il sovraffollamento riducono gli spazi fisici di movimento dei cittadini. La bicicletta permette di lasciare praticamente invariata la rete stradale, più che sufficiente ad un traffico poco ingombrante, leggero e silenzioso.

Passiamo all’enorme costo dei carburanti, o in generale di energia. I costi di gestione ridottissimi per chi utilizza bici e mezzi pubblici in modo intelligente ed integrato consentono grandi capacità di spostamento ai cittadini. E la possibilità di risparmiare denaro altrimenti speso, giorno dopo giorno, per restare imbottigliati nel traffico.

Rilevante anche la riduzione dell’impatto ambientale. Perché la bici non consuma carburante, non brucia oli e sostanze nocive, contribuendo alla riduzione delle emissioni in atmosfera. Emissioni che prima di tutto ci respiriamo in città.

Il benessere fisico fa la sua parte: la bicicletta fa bene ai muscoli. Movimento e attività fisica sono per l’uomo alla base di un buon quadro clinico. L’obesità è infatti uno dei disturbi più diffusi nella società contemporanea, dovuto soprattutto ad errata alimentazione e vita sedentaria. Ecco, in questo caso la bici aiuta a bruciare anche le peggiori abitudini alimentari.

E poi intervengono moda, tecnologia, design che nel mondo contemporaneo fanno spesso la parte del “leone”. Personalizzazioni estreme e “cool”, interventi estetici di grande bellezza, materiali leggeri ed ultraresistenti. Andare oggi in bicicletta non significa cavalcare 30 chili di ferro. Oggi pedalare una bicicletta affatica molto meno e ce n’è un modello per tutte le esigenze, anche negli accessori, nella comodità delle selle, nelle scelte di design e colore.

Anche l’adattamento delle infrastrutture fa la sua parte. L’integrazione bici-trasporto pubblico è oramai partita da tempo. L’esperimento è diventato un modello di crescita e molte città si stanno adeguando – in Europa motivate anche da pronunce ufficiali dell’Unione. E dove non arriva ancora il proprio Comune, arriva l’astuzia di chi compra la bici pieghevole, pratica, leggera, trasportabile in treno, autobus e metro. Se non bastasse esiste già la bici zaino (www.bergmoench.com/En/), fate un po’ voi.

C’è una bici anche per i pigroni. Le nuovissime e-bike costano sempre meno e sono ogni anno più efficienti. La predisposizione per la ricarica pubblica dei veicoli elettrici è anche questa in corso d’opera in molte città europee.

Lasciamo per ultimi i patiti. Perché per loro si sa, la bici è un cult. C’è un esercito crescente di entusiasti della bicicletta che sta facendo diventare tendenza un veicolo quasi dimenticato da intere generazioni di giovani. La cosiddetta customizzazione della propria bicicletta è più che una moda: contest, gare, esposizioni, meeting internazionali, festival cinematografici sulle due ruote più diffuse nel mondo sono all’ordine del giorno.

“Si, ok…” mi dice un amico. “Ma devo trasportare degli scatoloni, mi serve per forza la macchina, anche per fare solo un chilometro…”. Le cargo bike sono utilizzate come veicolo merci nei centri storici, a Roma e in altre città italiane ed europee, o americane, o cinesi, proprio per risolvere problemi logistici legati a consumi, parcheggi, multe, tempi di trasporto e non solo.

Con una cargo bike, oggi, si può fare un piccolo trasloco; con una pieghevole e i mezzi pubblici si può attraversare la città in tempi inferiori ad un’auto. Con la bici si può innescare un grande cambiamento per il futuro. Pedalare!

LA BICICLETTA È IL FUTURO DELLA MOBILITÀ. ECCO IL PERCHÉ

LA BICICLETTA È IL FUTURO DELLA MOBILITÀ. ECCO IL PERCHÉ

 

di Vincenzo Nizza

 

Solo negli ultimi 40 anni la produzione di biciclette nel mondo è cresciuta del 300%, molto più velocemente di quella dell’automobile (www.worldometers.info). Oggi nella sola Parigi l’esperimento del bike sharing Vélib già non è più un esperimento: 100.000 persone al giorno utilizzano il servizio. E così a Boston, come in altre città del mondo: Montgomery, Vancouver, Philadelphia, per fare riferimento a realtà oltreoceano.

Il concetto di bici in duecento anni non è cambiato molto, ma oggi il mondo comincia a rendersi conto che la bicicletta può essere messa al centro di nuovi modelli di sviluppo della città e della sua mobilità. E i motivi sono differenti.

Partiamo dalla riduzione del costo delle infrastrutture. L’incremento della densità abitativa delle città, il traffico, il sovraffollamento riducono gli spazi fisici di movimento dei cittadini. La bicicletta permette di lasciare praticamente invariata la rete stradale, più che sufficiente ad un traffico poco ingombrante, leggero e silenzioso.

Passiamo all’enorme costo dei carburanti, o in generale di energia. I costi di gestione ridottissimi per chi utilizza bici e mezzi pubblici in modo intelligente ed integrato consentono grandi capacità di spostamento ai cittadini. E la possibilità di risparmiare denaro altrimenti speso, giorno dopo giorno, per restare imbottigliati nel traffico.

Rilevante anche la riduzione dell’impatto ambientale. Perché la bici non consuma carburante, non brucia oli e sostanze nocive, contribuendo alla riduzione delle emissioni in atmosfera. Emissioni che prima di tutto ci respiriamo in città.

Il benessere fisico fa la sua parte: la bicicletta fa bene ai muscoli. Movimento e attività fisica sono per l’uomo alla base di un buon quadro clinico. L’obesità è infatti uno dei disturbi più diffusi nella società contemporanea, dovuto soprattutto ad errata alimentazione e vita sedentaria. Ecco, in questo caso la bici aiuta a bruciare anche le peggiori abitudini alimentari.

E poi intervengono moda, tecnologia, design che nel mondo contemporaneo fanno spesso la parte del “leone”. Personalizzazioni estreme e “cool”, interventi estetici di grande bellezza, materiali leggeri ed ultraresistenti. Andare oggi in bicicletta non significa cavalcare 30 chili di ferro. Oggi pedalare una bicicletta affatica molto meno e ce n’è un modello per tutte le esigenze, anche negli accessori, nella comodità delle selle, nelle scelte di design e colore.

Anche l’adattamento delle infrastrutture fa la sua parte. L’integrazione bici-trasporto pubblico è oramai partita da tempo. L’esperimento è diventato un modello di crescita e molte città si stanno adeguando – in Europa motivate anche da pronunce ufficiali dell’Unione. E dove non arriva ancora il proprio Comune, arriva l’astuzia di chi compra la bici pieghevole, pratica, leggera, trasportabile in treno, autobus e metro. Se non bastasse esiste già la bici zaino (www.bergmoench.com/En/), fate un po’ voi.

C’è una bici anche per i pigroni. Le nuovissime e-bike costano sempre meno e sono ogni anno più efficienti. La predisposizione per la ricarica pubblica dei veicoli elettrici è anche questa in corso d’opera in molte città europee.

Lasciamo per ultimi i patiti. Perché per loro si sa, la bici è un cult. C’è un esercito crescente di entusiasti della bicicletta che sta facendo diventare tendenza un veicolo quasi dimenticato da intere generazioni di giovani. La cosiddetta customizzazione della propria bicicletta è più che una moda: contest, gare, esposizioni, meeting internazionali, festival cinematografici sulle due ruote più diffuse nel mondo sono all’ordine del giorno.

“Si, ok…” mi dice un amico. “Ma devo trasportare degli scatoloni, mi serve per forza la macchina, anche per fare solo un chilometro…”. Le cargo bike sono utilizzate come veicolo merci nei centri storici, a Roma e in altre città italiane ed europee, o americane, o cinesi, proprio per risolvere problemi logistici legati a consumi, parcheggi, multe, tempi di trasporto e non solo.

Con una cargo bike, oggi, si può fare un piccolo trasloco; con una pieghevole e i mezzi pubblici si può attraversare la città in tempi inferiori ad un’auto. Con la bici si può innescare un grande cambiamento per il futuro. Pedalare!

GAZA: UNA GUERRA VOLUTA DA ISRAELE NEL MEZZO DI UN TRATTATIVA IN CORSO DA MESI

GAZA: UNA GUERRA VOLUTA DA ISRAELE NEL MEZZO DI UN TRATTATIVA IN CORSO DA MESI

 

Tratto da www.laboratoriolapsus.it/contributi/gaza-trattativa

 

Quest’oggi proponiamo un’analisi di Lorenzo Adorni sulla ripresa delle ostilità nella Striscia di Gaza, cercando di inserire gli eventi cruenti degli ultimi giorni in un’analisi più ampia delle alleanze che ruotano attorno a questo conflitto.

 

Quando una crisi politica sconfina in un conflitto armato, prende il via il dibattito sulle responsabilità. Chi ha causato la guerra, chi “ha iniziato a sparare per primo”. Domande che frequentemente divengono retoriche prima ancora che vengano formulate. Sarebbe invece opportuno chiedersi cosa ha modificato la precedente situazione, causando il passaggio da una fase di stallo del conflitto a un’escalation militare, analizzando la situazione precedente alla crisi e cercando di comprendere cosa stesse accadendo. Il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele era sostanzialmente inalterato da due anni. Nel 2011 sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso il sud di Israele circa 700 missili causando 3 morti e 81 feriti.

Nel 2012, precedentemente allo scoppio di questa crisi, i missili lanciati si attestavano già alla medesima cifra, causando 32 feriti e i 3 morti nell’attacco di Kiryat Malachi.

Proprio in seguito a questo evento Israele ha risposto uccidendo al Jabari, una delle figure di spicco di Hamas nella Striscia di Gaza.

Durante questi due anni, con una certa frequenza, Israele ha risposto bombardando i siti di lancio dei missili, anche uccidendo alcuni uomini di Hamas. Raramente però colpendo figure di rilievo come Al Jabari. Mantenendo fermo il diritto di Israele a difendersi, restano due domande alla quali è obbligatorio trovare una risposta, ovvero: perché uccidere proprio al Jabari? Perché farlo ben sapendo che il livello di scontro si sarebbe inevitabilmente innalzato?

Pensare che sia stata una semplice risposta all’uccisione dei tre civili israeliani è errato. Allo stesso modo è fuorviante pensare che si tratti solo di una forte reazione attuata dal governo, in chiave politica, viste le elezioni anticipate del prossimo gennaio. La situazione, in realtà, prima dell’attacco di Kiryat Malachi era già molto complessa e articolata.

Per comprendere cosa è accaduto dobbiamo fare alcuni passi indietro e tornare al primo giorno di ottobre. Nella tarda serata, alla televisione di Stato siriana viene letto un comunicato dai toni infuocati. Non è rivolto contro i ribelli siriani. Nemmeno contro la Turchia o altri Stati accusati di ingerenze nella guerra civile siriana. Il destinatario di quella che appare quasi come una minaccia è Khaled Meshal, leader di Hamas.

Si è appena consumata una rivoluzione silenziosa. Una di quelle che non riempiono le piazze di manifestanti, ma sono altrettanto fondamentali per le relazioni politiche in Medio Oriente. Khaled Meshal ha appena ritirato il suo appoggio alla Siria e ad Assad, annunciando la propria “simpatia” per la causa dei ribelli siriani sunniti. Il leader di Hamas, che da anni era protetto da Damasco e Teheran, da alcuni mesi si è impegnato diplomaticamente per realizzare l’ennesimo cambiamento di alleanze, conseguendo un riallineamento di Hamas con gli Stati sunniti del Golfo. Nel comunicato letto alla televisione siriana si ricorda a Meshal quando nessuno Stato arabo era disposto ad accoglierlo. All’epoca dei fatti Israele contattò, fra gli altri, i governi di Egitto, Turchia e Qatar, esponendo il proprio disappunto per l’eventualità che i vertici di Hamas venissero ospitati nei rispettivi territori. Meshal, non potendo rientrare nemmeno in Giordania, accettò l’ospitalità siriana. Ora il lettore del comunicato televisivo, con toni forti, si rivolge a Meshal sostenendo apertamente che: “Se ora puoi tornare [negli Stati arabi sunniti] è perché non sei più una minaccia per Israele”. Il leader di Hamas viene quindi accusato di “ Aver venduto la resistenza in cambio di potere”.

Siamo giunti al culmine di una lunga serie di cambiamenti politici attuati da Khaled Meshal. Nel mese di gennaio il leader di Hamas ha dichiarato di rinunciare a future ricandidature alla guida del movimento. Una semplice mossa politica, per essere sottoposto a minori pressioni con gli interlocutori durante le trattative che lo attendevano non appena avesse abbandonato Damasco. Evento che con estrema puntualità avviene immediatamente dopo questo annuncio. Meshal si reca prima in Giordania, ove non era persona gradita fino a pochi mesi prima, per concludere degli accordi. Poi annuncia una rinnovata intenzione da parte di Hamas di riconciliarsi con al Fatah e il governo di Abu Mazen. Successivamente Meshal compare al congresso del partito del leader turco Erdogan, dove sale anche sul palco come oratore. Quindi si trasferisce al Cairo per dei colloqui con il presidente Morsi e l’intelligence egiziana. Si reca a Doha in Qatar e quindi di nuovo al Cairo. Un dinamismo eccezionale per chi fino a pochi mesi prima era obbligato ad un forzoso soggiorno damasceno.

Hamas e il suo leader hanno definitivamente abbandonato Assad e l’alleanza con la Siria. I vertici della teocrazia iraniana, anch’essi da anni alleati strategici di Hamas, più pragmaticamente dei siriani, restano ancora ad osservare la situazione in evoluzione.

Hamas da un lato ha rinnovato le relazioni diplomatiche con gli Stati arabi sunniti, avviando una nuova fase fondamentale della propria politica estera, dall’altro lato congiuntamente, ha trattato anche con Israele, oltre che con al Fatah nella West Bank. L’intento è stato quello di giungere ad una tregua stabile con Tel Aviv. Una tregua che comporti da un lato la riduzione del lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele e dall’altro la fine del blocco attuato da Israele nei confronti della stessa Striscia di Gaza. Una tregua, non una pace vera e propria.

Poi è accaduto un fatto eccezionale. Prima che la tregua con Israele si concretizzasse, viene annunciata la visita dello sceicco del Qatar a Gaza.

Gli eventi del 23 ottobre 2012 sono di significativa importanza.

Nelle prime ore del mattino, lungo il confine con la Striscia di Gaza, alcuni soldati israeliani restano feriti dallo scoppio di un ordigno. L’attentato viene apertamente rivendicato dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Una storica formazione di sinistra, però non più frequentemente attiva nella lotta armata e nella realizzazione di attacchi contro Israele. La realtà è che il FPLP non vuole venir messo definitivamente in disparte, non vuole che si consumi l’accordo fra Hamas e il Qatar senza poter aver voce in capitolo. Nonostante la risposta militare di israeliana avvenga puntualmente, alle ore 11 lo sceicco del Qatar al-Thani varca il valico di Rafah, entrando a Gaza. Con lui c’è il leader di Hamas Isma’il Haniyeh. Lo sceicco del Qatar ha già offerto supporto ai leader in esilio di Hamas e ora garantisce anche un finanziamento da 400 milioni di dollari. Il cambio di alleanze in Medio Oriente è definitivamente sancito. Non solo i rapporti fra Hamas e Damasco sono definitivamente compromessi, ma anche Teheran guarda ora con estrema diffidenza a questa visita.

In Israele sia gli uomini di governo che i vertici dell’intelligence erano a conoscenza dell’arrivo dello sceicco a Gaza. Nonostante ciò nessuno ha gradito questo passo in avanti di Hamas, con le trattative per una tregua con ancora in corso.

A poche ore di distanza dalla visita dello sceicco al-Thani, in una base della IAF (Israel Air Force) nel deserto del Negev, si stanno per alzare in volo alcuni cacciabombardieri F15. Sono già decollati un aereo cisterna per effettuare rifornimenti, un aereo per il supporto logistico, e alcuni elicotteri con delle squadre speciali a bordo. Alcune ore dopo nella località sudanese di Yarmouk, un complesso industriale verrà gravemente danneggiato da un bombardamento.

Due giorni dopo fra le macerie di Yarmouk si aggirano volti noti: i generali iraniani Shah-Safi, Amir Ali Hajizadeh e Nasirzadeh. Questo complesso industriale era stato ampliato proprio grazie all’aiuto di Teheran e dei Pasdaran iraniani. Qui venivano prodotti munizioni e missili per Hamas. Esattamente gli stessi che vengono lanciati da Gaza su Israele in queste ore.

L’esercito di Tel Aviv aveva già avuto l’occasione di distruggere questo complesso industriale. Diverse volte nel corso degli ultimi anni. Nel 2009 e nel 2011 quando, in più occasioni distinte nello stesso Sudan, l’aviazione israeliana bombardò una colonna di automezzi addetti al trasporto di armi e missili per Hamas. Fin da allora vennero alla luce i luoghi in cui queste armi venivano prodotte. Israele, invece, ha scelto di distruggerlo ora, inviando un chiaro messaggio ad Hamas, a trattative per un cessate il fuoco in corso.

Stranamente Hamas non ha risposto troppo violentemente a questo attacco. Lo stesso può dirsi per Teheran. Le trattative con lo Stato di Israele, per giungere ad una tregua, continuano. Fino al 14 novembre 2012. Al Jabari ha appena avuto un importante incontro nella Striscia di Gaza. Gli è stata sottoposta la bozza definitiva di un accordo per una tregua con Israele. Sa che Hamas è ad un importante punto di svolta politico. Nella bozza di accordo si prevede che Israele fornisca ad Hamas informazioni di intelligence utili a fermare il lancio di missili. Indirettamente. Infatti queste informazioni verranno inviate da Tel Aviv all’intelligence egiziana e da queste girate ai leader di Hamas nella Striscia di Gaza.

Ma l’autovettura di al Jabari viene colpita da un missile lanciato da un drone israeliano, l’uomo della trattativa è stato ucciso prima che potesse compiere ulteriori fondamentali passi decisivi.

L’operazione militare è stata condotta dallo Shin Bet israeliano. La scelta politica di eliminare al Jabari ha ricevuto il via libera da due persone: Benjamin Netanyahu, primo ministro, e Ehud Barak, ministro della Difesa.

Accade a questo punto un evento strano. Solitamente governo e stampa realizzano un fronte comune quando si tratta di difendere Israele dalle minacce esterne. Differentemente in questo caso, da parte israeliana si levano voci contrarie all’operazione che ha portato all’uccisione di questo esponente di Hamas. Sulle colonne di Haaretz alcuni giornalisti parlano di al Jabari come uomo di un dialogo possibile. C’è chi giunge a scrivere “quello era il nostro uomo nella Striscia”, “abbiamo ucciso il nostro contatto per negoziare una tregua”. Al Jabari era noto alla stampa israeliana. In precedenza aveva già negoziato con Israele la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano detenuto per anni da Hamas. Anche dalle colonne del New York Times giungono le medesime critiche, sostenendo che a trattative così avanzate si è commesso “irresponsabile errore strategico”. La crisi degenera quindi in un conflitto aperto. Hamas intensifica il lancio di missili, Tel Aviv i bombardamenti nella Striscia di Gaza. Minacciando l’invasione militare di terra.

In queste ore al Cairo le trattative sono in corso, per raggiungere una tregua sostenibile nel tempo. A fianco dell’intelligence egiziana siedono i vertici di Hamas, con Khaled Meshal impegnato in prima persona. Ora, accanto a lui, sono presenti anche i vertici del movimento per il Jihad Islamico in Palestina. I due gruppi sembrano aver raggiunto un accordo fra loro, almeno in questa situazione.

Nei prossimi giorni si giungerà certamente ad una tregua. A quel punto, riguardando a questa guerra, inserendola nel contesto degli eventi che l’hanno preceduta, e che la seguiranno, ci apparirà chiaro come questa stessa guerra non sia stata nient’altro che una fase, folle, della stessa trattativa iniziata nei mesi scorsi.