QUELLO CHE DOVRESTI SAPERE SULLA VIVISEZIONE

QUELLO CHE DOVRESTI SAPERE SULLA VIVISEZIONE

 

di Marcello Pamio – 28 giugno 2013 – pubblicato da Effervescienza inserto della rivista “Biolcalenda”

 

Siamo stati – dicono – sulla Luna, abbiamo inviato sonde su alcuni pianeti del sistema solare e la tecnologia sta facendo letteralmente sognare l’uomo. Nonostante questi indubitabili passi da gigante, c’è una parte della scienza che è rimasta ferma al Medioevo e forse ancor prima: la ricerca in ambito medico.

Nell’epoca dei computer tascabili, ogni anno vengono uccisi milioni di animali per sperimentare farmaci, vaccini e nello sviluppo di apparecchiature! Centinaia di milioni di esseri viventi, tra cui topi, ratti, e cavie, ma anche conigli, cavalli, pecore, uccelli, cani, gatti e primati, vengono per così dire, immolati ogni anno, sull’altare della cosiddetta scienza, il tutto ovviamente per il nostro benessere, almeno questo è quello che ci dicono. Ma è proprio così?

Forse no, visto che, nonostante i 58.000 farmaci, gentilmente messi a disposizione dall’industria farmaceutica, per le 40.000 malattie diverse, continuiamo a morire per patologie cardiovascolari, tumorali e cronico-degenerative.

Per capirne di più, siamo andati ad intervistare il dottor Stefano Cagno, alla presentazione del suo ultimo libro “Tutto quello che dovresti sapere sulla vivisezione”, organizzata a Padova dalla LAV (Lega Anti-Vivisezione), con la presenza della d.ssa Maria Concetta Digiacomo.

Cagno è un medico chirurgo specializzato in psichiatria e lavora a Milano come dirigente ospedaliero.

 

DOMANDA. Dottor Cagno, perché un libro simile? Com’è nata l’idea?

RISPOSTA. «L’idea non è stata mia ma di Viviana Ribezzo, l’editrice delle Edizioni Cosmopolis. Un giorno mi propose di scrivere un libro semplice sull’argomento, ma all’inizio, per via dei troppi impegni, declinai. Poi col passare del tempo, mi sembrò una buona idea e alla fine accettai. La sperimentazione animale – basata su preconcetti – è nata in tempi lontanissimi, dove la maggior parte delle persone non sapevano neanche leggere, ed è sopravvissuta grazie all’ignoranza, cioè alla non conoscenza delle persone. Perché non offrire a tutti uno strumento snello per cominciare ad informarsi correttamente sulla vivisezione?».

 

D. Quanto è importante la conoscenza del fenomeno?

R. «Se le persone sapessero realmente cosa accade nei laboratori di sperimentazione; se sapessero solo alcune cose, probabilmente sarebbero tutti contrari a tale abominio, e non mi riferiscono solo gli animalisti, ma a tutti quanti, anche a coloro che detestano gli animali. Se queste persone venissero a sapere che il 92% delle sostanze chimiche che superano brillantemente la sperimentazione sugli animali NON superano poi la sperimentazione umana (obbligatoria per legge), come si comporterebbero? Questi sono dati FDA (Food and Drug Administration). Nel 92% dei casi, le sostanze chimiche che risultano “sicure” per gli animali, non diventeranno MAI un farmaco, e questo perché nell’uomo risultano essere tossiche o non funzionano, o entrambe le cose. Rimane un banale 8%. Ma il 51% di questo 8%, cioè oltre la metà delle sostanze che superano la sperimentazione animale e anche quella umana, secondo l’Associazione dei medici americani, presentano gravi reazione avverse. In pratica il 51% dei farmaci che vengono commercializzati inducono pericolosi problemi sanitari. Tradotto in numeri: 100.000 statunitensi muoiono ogni anno per quei farmaci che risultano essere sicuri negli animali! Questo le persone devono sapere».

 

D. Perché parla di preconcetti?

R. «La vivisezione sopravvive oggi grazie ai preconcetti che i mass-media hanno trasmesso nei decenni e nei secoli passati alle persone. Uno di questi preconcetti è che grazie al “sacrificio” degli animali, si può procedere a scoperte scientifiche che potranno fare il bene della nostra specie. Quindi è giusto e doveroso sacrificare gli animali per il bene dell’uomo! Questo è un vero e proprio preconcetto: non solo non c’è alcuna dimostrazione scientifica di questa affermazione, ma esistono sempre più studi che affermano il contrario, ossia che dal sacrificio degli animali si ottiene un danno agli animali stessi, e poi un danno all’uomo».

 

D. È più corretto parlare di vivisezione o sperimentazione animale?

R. «Sperimentazione animale e vivisezione sono due sinonimi. Paradossalmente molte persone che sperimentano su animali dicono di essere contrari alla vivisezione perché loro “sperimentano su animali”, “non sezionano gli animali da vivi”, quindi questo non li farebbe soffrire. Ma la sofferenza di un animale non la si provoca solo sezionandolo dal vivo: ci sono mille modi diversi per farlo soffrire. Stare in una gabbia, spesso minuscola, senza relazioni sociali con la stessa specie, con la luce sempre accesa, e già questa una forma di sofferenza. Altra cosa che dicono i ricercatori è che durante gli esperimenti “gli animali non soffrono perché vengono applicate tutte le precauzioni”… Questo è molto interessante, perché gli stessi dati ufficiali britannici smentiscono tali affermazioni: nel 70% dei casi non viene dato né anestesia, né analgesia e nella maggioranza del rimanente 30% viene dato solo un antidolorifico».

 

D. Dopo quello che ha appena detto, come fanno i vivisettori a studiare sugli animali un farmaco contro il dolore senza farli soffrire?

R. «Per studiare i farmaci antidolorifici, si deve studiare il dolore, e come si fa a studiare il dolore senza indurlo nell’animale? È così ovvio che è perfino banale: se non fanno soffrire un animale, non riescono a valutare se il farmaco funziona oppure no! Per esempio, per studiare le fratture, vengono spezzate le zambe agli animali. Come si fa a dire che non soffrono? Io faccio lo psichiatria e detto tra noi, psichiatri, psicologi e fisiologi sono le categorie peggiori, quelli che fanno gli esperimenti più perversi. Uno degli esperimenti classici in psichiatria e psicologia consiste nel prendere un animale, di solito un gatto, e impiantargli elettrodi nella testa e successivamente fargli passare la corrente elettrica. Possiamo ancora negare che quell’animale soffra?».

 

D. I vivisettori per studiare gli antidolorifici inducono il dolore negli animali, ma cosa fanno per studiare gli psicofarmaci? Come possono estrapolare dati utili per l’uomo, studiando un farmaco per il disturbo bipolare, schizofrenia o depressione su dei poveri animali?

R. «Gli scienziati odierni hanno la presunzione di estrapolare i dati dagli animali agli esseri umani, o da una specie ad un’altra. Questo è, per usare le parole del grande Pietro Croce, un “errore metodologico”.  Io in ambito psichiatrico parlo di doppio errore metodologico, perché non solo non si ha lo stesso substrato biologico, ma con gli animali non condividiamo neppure la stessa modalità di comunicazione. Non siamo in grado di comprendere il linguaggio degli animali, quindi non possiamo capire esattamente cosa vogliono comunicarci quando miagolano, ragliano, ecc. Come fanno a studiare le patologie psichiatriche negli animali che non parlano? Vi spiego un trucco da vero prestigiatore che finora ha funzionato bene… Vengono date agli animali delle sostanze chimiche, per esempio allucinogeni, che fanno cambiare il loro comportamento, e poi si presume che tale cambiamento del comportamento sia indice di una malattia mentale paragonabile a quella umana. Da sempre ci continuano a dire che i vivisettori utilizzano gli animali perché sono differenti da noi, perché non hanno lo stesso sviluppo cognitivo, ecc. Ma quando studiano per esempio la depressione, la schizofrenia, l’ansia negli animali non gli riconoscono un mondo emotivo? Se questi animali non hanno un mondo emotivo, non vivono emozioni e non soffrono, allora il discorso decade da solo. Viceversa, se ce l’hanno, allora bisogna anche porsi il problema della sofferenza. Ma non finisce qua, perché la cosa veramente incredibile è che tutti gli psichiatri del mondo per fare una diagnosi usano il DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. In tale manuale c’è scritto che per ogni diagnosi devono essere soddisfatti certi criteri. Alla fine sono riportati i cosiddetti “criteri di esclusione”. Questi criteri escludono la diagnosi quando vengono soddisfatti. Sapete qual è il criterio di esclusione uguale per tutte le patologie psichiatriche? “Bisogna escludere l’assunzione di sostanze psicoattive o malattie internistiche che possono essere responsabili di quei sintomi”. È chiaro? In pratica, i criteri stessi attraverso i quali si creano degli animali psicotici, depressi o ansiosi, in realtà per i clinici, sono esattamente i criteri per escludere quelle stesse malattie! In parole povere se un essere umano è allucinato perché ha assunto un allucinogeno dico che è drogato e non schizofrenico, se invece ad un animale somministro un allucinogeno dico che è schizofrenico. Che tipo di rapporto, vicinanza o relazione c’è tra un modello che viene creato utilizzando dei criteri che sono escludenti la stessa condizione nell’uomo? Questa, visto l’argomento, è follia pura o totale irrazionalità».

 

D. Per i farmaci tradizionali c’è la sperimentazione su animali e poi sull’uomo: vale la stessa cosa per gli psicofarmaci?

R. «L’iter della sperimentazione degli psicofarmaci è identica a quella per i farmaci. Se una casa farmaceutica vuole mettere sul mercato un nuova sostanza chimica, prima la sperimenta negli animali, dopo su persone che hanno un disturbo specifico e su volontari sani, che accettano di diventare “cavie umane” per denaro…».

 

R. Alla fine la sperimentazione a chi serve?

D. «La sperimentazione su animali serve soprattutto alle industrie farmaceutiche, perché possono cambiare specie animale e cambiando specie, ottengono tutto e il contrario di tutto, quindi selezionando la specie giusta possono sempre ottenere ciò che vogliono. Possono dimostrare che la diossina è tossica, come nell’uomo, oppure totalmente innocua. Per il porcellino d’india per esempio la diossina è letale come per l’uomo, mentre per il criceto è innocua. Quale animale le case farmaceutiche utilizzeranno per studiare la diossina: il criceto o il porcellino? Razionalmente e fisiologicamente siamo più vicini ad un porcellino d’India o a un criceto? Quando si hanno dati decisamente opposti, come si fa a stabilire qual é il modello per l’uomo? Si sperimenta sull’uomo che diventa così la vera “cavia” sulla quale otteniamo le informazioni corrette! Dire NO alla sperimentazione animale ha quindi un valore etico e morale nei confronti del mondo animale, da una parte, e dall’altra salutare per l’essere umano. Ma quali sono le alternative alla vivisezione? Gli strumenti sono moltissimi, la farmaco-genomica è una. La farmaco-genomica è quella branca della scienza che associa l’assetto genetico di una persona ad una possibile risposta ad una determinata sostanza. Se ho un gene di un tipo piuttosto che un altro, con questa tecnica posso capire se potrò avere un vantaggio o uno svantaggio da quella sostanza specifica. Attraverso la farmaco-genomica potrei stabilire a priori chi è allergico o no alla penicillina tanto per fare un banale esempio.

 

Ringraziamo il dottor Stefano Cagno per la gentile disponibilità, ma soprattutto per la competenza e semplicità con cui ha spiegato queste delicatissime tematiche.

Da questa intervista sorgono alcune domande: l’attuale crescita esponenziale di patologie è forse il prezzo che stiamo pagando per uno stile di vita innaturale? La sofferenza che infliggiamo a miliardi di innocenti esseri, sia tramite assurde abitudini alimentari, sia attraverso la sperimentazione e i prodotti di quest’ultima: i farmaci, ci sta tornando indietro come un boomerang?

Sembra proprio di sì: l’italiano medio in un anno mangia oltre 250 Kg di proteine di animali, tra cui carne, uova, pesce, latte e derivati, e ingolla oltre 30 scatole di medicinali (434 euro all’anno, dati Osmed 2011).

 

È arrivato il momento di prendere coscienza del gravissimo problema, iniziando a comportarsi di conseguenza, e cioè vivendo con coerenza, in maniera naturale e semplice, senza creare inutile sofferenza!

E’ morta Margherita Hack

E’ morta Margherita Hack: l’astrofisica aveva 91 anni, era ricoverata da una settimana

 L’astrofisica Margherita Hack è morta la notte scorsa all’ospedale di Cattinara dove era ricoverata da una settimana. Aveva compiuto 91 anni il 12 giugno scorso.
Era ricoverata da sabato scorso – La Hack è morta la notte scorsa alle 4,30 nel polo cardiologico. Era stata ricoverata sabato scorso in seguito al riacutizzarsi dei problemi cardiaci che la affliggevano. Con lei c’erano il marito, Aldo, con il quale era sposata da 70 anni, Tatiana, che la assisteva da tempo, la giornalista Marinella Chirico, sua amica personale, e il responsabile del polo cardiologico, Gianfranco Sinagra.
Era nata a Firenze – Astrofisica di fama mondiale, la Hack era nata a Firenze nel 1922 e si era trasferita a Trieste nel 1963, dove viveva in una casa nel quartiere di Roiano. Senza figli, donna impegnata socialmente, vegetariana da sempre, grande divulgatrice, la Hack era anche una appassionata animalista: aveva otto gatti e un cane. Il suo ricovero era stato tenuto segreto per sua volontà, così come ha lasciato indicazioni di essere sepolta nel cimitero di Trieste senza alcuna funzione né rito ma con una cerimonia esclusivamente privata. Le persone che gli sono state vicine fino alla fine hanno riferito che per rispettare le sue volontà non saranno resi noti né giorno né orario della sepoltura.
“Amica delle stelle” – Toscana Doc e atea convinta, Margherita Hack – ‘amica delle stelle’ come si era essa stessa definita in una sorta di autobiografia pubblicata nel 1998 – ha trascorso buona parte della sua vita a Trieste. Qui ha diretto per oltre 20 anni l’Osservatorio astronomico, portandolo a un livello di rilievo internazionale, ed ha insegnato nell’università dal 1964 al 1992. Nota al grande pubblico soprattutto per le due doti di divulgatrice, nel mondo della ricerca ha occupato una posizione di primo piano fin dall’inizio della sua lunga carriera. Celebri anche le sue battute taglienti ed i modi schietti, conditi dal forte accento toscano che non ha mai abbandonato, così come la sua grande gentilezza.
Laureata sotto il fascismo – Nata da genitori vicini alle dottrine teosofiche, al termine della seconda guerra mondiale si é laureata in astrofisica sotto il fascismo, cui non ha mai aderito, con una tesi sulle Cefeidi, le stelle ‘pulsanti’ che si sono rivelate fondamentali nella misurazione delle distanze delle galassie. A Firenze aveva anche conosciuto il marito Aldo quando avevano, rispettivamente 11 e 13 anni, e al quale è stata vicina per 70 anni. Dopo aver ottenuto alcune collaborazioni in Italia e incarichi in università straniere, tra cui Berkeley, Princeton, Parigi, Utrecht e Ankara, a 42 anni aveva ottenuto la cattedra di astronomia nell’Istituto di Fisica Teorica all’Università di Trieste, assieme all’incarico all’osservatorio. Nel 1978 ha fondato la rivista ‘L’Astronomià ed ha scritto decine di libri divulgativi. Grazie alla sua popolarità ha saputo avvicinare la scienza al grande pubblico negli innumerevoli incontri dal vivo in rassegne e festival, in teatri e auditorium, nelle partecipazioni televisive.
L’amica: “I suoi ultimi giorni sono stati sereni” – Sono stati sereni e “vissuti con leggerezza”, come aveva sempre fatto nella sua vita, gli ultimi giorni dell’astrofisica Margherita Hack. I problemi cardiaci dei quali soffriva da tempo “erano molto pesanti, ma li viveva con una leggerezza assoluta”, racconta Marinella Chirico, molto vicina alla ricercatrice e alla sua famiglia. La malattia si era riacutizzata una settimana fa, tanto da rendere necessario il ricovero. Margherit Hack lascia il marito Aldo, 93 anni, che aveva conosciuto a Firenze, dove erano nati entrambi e dove si erano incontrati ai giardini quando Margherita aveva 11 anni e lui 13. Si erano sposati 70 anni fa, “la prima e l’ultima volta che era entrata in una chiesa”, racconta l’amica di famiglia. Non hanno avuto figli e vivevano con otto gatti e un cane. Della morte non ha mai avuto paura, nemmeno negli ultimi giorni: “quando ci sono io non c’é la morte – le piaceva ripetere – e quando c’é la morte non ci sarò io”.

BIODIVERSITÀ: IN ITALIA A RISCHIO DI ESTINZIONE 355 SPECIE

BIODIVERSITÀ: IN ITALIA A RISCHIO DI ESTINZIONE 355 SPECIE

 

Le due Liste Rosse nazionali delle specie a rischio estinzione, due volumi realizzati dal Ministero dell’Ambiente e da Federparchi nell’ambito dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN), verranno presentate a Roma il 22 maggio in occasione della Giornata mondiale della biodiversità e della Settimana europea dei parchi. Un appuntamento che s’inserisce nella più ampia cornice del rapporto di collaborazione ministero – Federparchi che si è data una serie di obiettivi comuni per la valorizzazione delle aree protette e della biodiversità.

Intanto, il Ministero anticipa alcuni dati: «Sono 161 le specie di animali vertebrati e 194 le varietà vegetali a rischio di estinzione in Italia». Le Liste Rosse presentano la valutazione del rischio di estinzione e sono stati valutati pesci d’acqua dolce, anfibi, rettili, uccelli nidificanti, mammiferi, pesci cartilaginei (squali e razze) e flora. «La valutazione del rischio di estinzione – spiega il Ministero – è basata su categorie, criteri e linee guida aggiornate periodicamente. Le valutazioni vengono effettuate tramite workshop tematici con gruppi di esperti delle diverse specie e aree del territorio nazionale, e revisionate criticamente sia nei contenuti sia nell’applicazione del protocollo secondo le linee guida».

Secondo Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi-Europarc Italia, «è stato svolto un lavoro straordinario. Le caratteristiche geografiche, climatiche e storiche dell’Italia hanno consentito nel tempo l’insediamento e la permanenza di una variegata e ricca biodiversità, inclusa una gran varietà di specie endemiche e ambienti e paesaggi esclusivi. Questa ricchezza è riconosciuta a livello mondiale. Ecco perché abbiamo la responsabilità di monitorare e salvaguardare questo capitale naturale dalle tante minacce che si profilano. Le pubblicazioni con le Liste Rosse ci dicono quali e quante specie animali e vegetali rischiano di scomparire e soprattutto quali sono le cause che possono determinare i fattori di rischio».

Un lavoro che ha preso in esame e valutato il rischio di estinzione delle specie di vertebrati in Italia, tutti i terrestri e un gruppo di vertebrati marini. «Poi – spiega il Ministero – è stata creata una base di riferimento utile in futuro a valutare la tendenza dello stato di conservazione della biodiversità in Italia. Sono state incluse nella valutazione tutte le specie di pesci d’acqua dolce, anfibi, rettili, uccelli nidificanti, mammiferi e pesci cartilaginei, native o possibilmente native in Italia, nonché quelle naturalizzate in Italia in tempi preistorici. Le specie di uccelli presenti ma non nidificanti in Italia (svernanti, migratori) non sono state valutate. Per le specie terrestri e di acqua dolce è stata valutata l’intera popolazione nel suo areale italiano (Italia peninsulare, isole maggiori e, dove rilevante, isole minori). Per le specie marine è stata considerata un’area di interesse più ampia delle acque territoriali».

Delle 576 specie terrestri e 96 marine di vertebrati valutate in questa ricerca, 6 sono estinte nella regione in tempi recenti. Le specie minacciate di estinzione sono 138 terrestri e 23 marine, il 28% delle specie valutate. Il 50% circa delle specie di vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.

«Complessivamente le popolazioni dei vertebrati italiani sono in declino – si legge nella nota – più marcato in ambiente marino che terrestre. Le conoscenze sul rischio di estinzione e le tendenze demografiche sono più carenti in ambiente marino. In ambiente terrestre le principali minacce ai vertebrati italiani sono la perdita di habitat e l’inquinamento. Il numero di specie minacciate dal prelievo e dalla persecuzione diretta è piuttosto ridotto. La principale minaccia rilevata in ambiente marino è la mortalità accidentale, ma questo dipende dal fatto che le specie qui valutate (squali, razze e chimere) hanno scarso interesse commerciale».

L’Italia, che si trova al centro del bacino del Mediterraneo, è una delle aree più importanti di biodiversità nel mondo e possiede una flora molto ricca in specie, molte delle quali endemiche. In alcune porzioni della penisola la percentuale di varietà tipiche raggiunge valori compresi tra il 13% ed il 20%. La biodiversità vegetale mediterranea è però fortemente minacciata da cambiamenti ambientali provocati dalle attuali dinamiche socio-economiche e di utilizzo del suolo. L’Italia, in questo contesto non fa eccezione e molte delle sue specie necessitano di misure di conservazione per evitare un impoverimento di biodiversità con ripercussioni su scala mondiale. Le principali minacce alla biodiversità vegetale in Italia sono rappresentate dall’urbanizzazione selvaggia (abusivismo edilizio), dallo sviluppo di infrastrutture, dall’allevamento intensivo e dal turismo. Problemi si manifestano anche nelle aree protette a causa dello sviluppo non oculato di infrastrutture e della mancanza di adeguati controlli.

Il rapporto di 64 pagine che verrà presentato il 22 maggio è il risultato di un progetto iniziato nel 2012, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e realizzato dalla Società Botanica Italiana, che ha coordinato oltre 200 botanici di tutto il Paese. La Lista Rossa parziale della flora d’Italia include tutte le 197 “policy species” italiane, specie inserite negli allegati della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” e della Convenzione di Berna, entrambe ratificate dal governo italiano e di fatto costituenti leggi nazionali. Un secondo contingente di specie, che include vascolari, licheni, briofite e funghi, tra le più minacciate d’Italia, o endemiche, è stato anch’esso valutato attraverso i criteri IUCN, definendo così le categorie di minaccia in cui ricadono.

Città della Scienza di Napoli, 20 milioni per ricostruire il museo. Cancellieri: “Una ferita per tutto il Paese”

Città della Scienza di Napoli, 20 milioni per ricostruire il museo. Cancellieri: “Una ferita per tutto il Paese”

Venti milioni di euro per la ricostruzione del museo della Città della Scienza di Napoli: lo prevede il piano del Ministro per lo Sviluppo Economico, Corrado Passera, anticipato dal Mattino. L’iniziativa è stata decisa dopo un vertice telefonico con il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, e i rappresentanti degli enti locali. 

Cinque dei 20 milioni previsti dovrebbero essere sbloccati già nella giornata di oggi. Si tratta di fondi disponibili sul conto del Provveditorato alle opere pubbliche e che dovrebbero essere girati al Comune di Napoli. L’altra parte delle risorse verrà individuata grazie alla riprogrammazione del Pac, il Piano per le aree di crisi industriale al cui interno verrà inserita l’area di Coroglio dove si è verificato l’incendio. 

Cancellieri: ferita per tutto il Paese -Quanto è accaduto alla Città della Scienza è un fatto che ha colpito molto, non solo Napoli, ma ha ferito tutto il paese. Spero che si possa la più presto ricostruire”, anche l’Ue ha dato la sua disponibilità. Così il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, all’arrivo a Bruxelles dove si trova per il consiglio Ue.

Napoli, in fiamme Citta’ della Scienza

Napoli, in fiamme Citta’ della Scienza

Ansa
Un vastissimo incendio ha praticamente distrutto la Citta’ della scienza, il museo interattivo considerato tra i gioielli culturali di Napoli oltre che uno dei suoi piu’ validi attrattori turistici, con una media di 350 mila visitatori l’anno. Ancora ignote le cause: unica certezza, al momento, e’ che all’interno della struttura non c’erano persone, grazie anche alla chiusura settimanale del lunedi’. I danni sono ingentissimi: sopravvivono solo i muri perimetrali, l’interno dei padiglioni e’ devastato. Il fronte del fuoco e’ lungo piu’ di un centinaio di metri, e dal rogo si alza una colonna di fumo visibile da buona parte della citta’. Sul posto decine di vigili del fuoco, con le forze dell’ordine che hanno chiuso al traffico via Coroglio, di fronte al mare di Bagnoli, dove sorgeva la struttura. Dei numerosi padiglioni che componevano lo ‘science center’ solo uno e’ stato risparmiato dalle fiamme. Le testimonianze riferiscono di una estensione rapidissima dell’incendio, complice la gran presenza di legno e altri materiali infiammabili. E cosi’ in pochi minuti e’ andato in fumo un polo – nato dall’intuizione di Vittorio Silvestrini, presidente della fondazione Idis – che in una dozzina d’anni aveva guadagnato consensi e credibilita’, non solo come luogo dove apprendere praticamente le leggi della scienza, grazie a decine di esperimenti pratici e dimostrazioni dal vivo, ma anche come centro congressi, centro di alta formazione, incubatore di imprese.
Il primo embrione del progetto risale agli anni Novanta; nel 2001 l’inaugurazione del vero e proprio museo interattivo, man mano ampliato da successive realizzazioni. Il tutto nell’incantevole scenario di Bagnoli, il quartiere ex industriale che, conclusa l’era dell’acciaio e dell’Italsider, aveva visto proprio in Citta’ della scienza il primo simbolo concreto di un progetto di bonifica e di rinascita del quartiere. Con la Citta’ della scienza e’ come se fossero bruciate stasera anche quelle speranze. Fuori del museo ci sono quasi tutti i 160 dipendenti, angosciati per il loro futuro occupazionale; gli stessi timori coinvolgono i tanti che lavoravano nell’indotto creato dal museo, giunti in via Coroglio dopo aver appreso dell’incendio. L’area distrutta dalle fiamme e’ stimata in 10-12 mila metri quadrati, praticamente l’intero centro a eccezione del ”teatro delle Nuvole”, un corpo separato che ospitava rappresentazioni. Il custode racconta di aver visto una colonna di fumo, e di aver dato subito l’allarme: ma in pochi minuti il fuoco ha divorato i padiglioni dall’interno, diventando indomabile. Sono state ore di sgomento anche per tutti gli abitanti di Bagnoli, che temevano di rimanere intossicati dal fumo denso e nero, poi invece sospinto dal vento verso il mare aperto. 

ERANO PROPRIO METEORITI? SIAMO SICURI?

ERANO PROPRIO METEORITI? SIAMO SICURI?

 

di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine e Altrainformazione)

 

Fonte: www.liberopensare.com

Link: http://www.liberopensare.com/index.php/articoli/item/437-erano-proprio-meteoriti

 

Oltre 1.000 feriti in Russia per un insolito sciame meteorico che ha colpito una zona scarsamente abitata degli Urali

Da fonti interne dell’amministrazione USA veniamo confidenzialmente a sapere che forse le cose non stanno esattamente come ci sono state raccontate…

E anche di là dell’Atlantico qualcuno fa delle affermazioni fuori dal coro.

Ha iniziato il giornale russo Znak riportando la notizia secondo la quale il meteorite era stato intercettato dal sistema di difesa anti-missile di Urzhumka vicino a Chelyabinsk.

Poi il vice primo ministro Dmitry Rogozin, secondo il quale “è necessario sviluppare un nuovo sistema di difesa per identificare e neutralizzare minacce provenienti dallo spazio”, ha fatto nascere qualche sospetto (1).

Ma la vera “bomba” esplode quando il leader liberale Vladimir Zhirinovsky afferma pubblicamente che non si è trattato affatto di meteoriti ma del test di un’arma spaziale americana (2). Da notizie riservate pare che tale arma sarebbe stata abbattuta da un missile russo.

Secondo Zhirinovsky il nuovo segretario di Stato Americano John Kerry voleva avvisare il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov del test ma non sarebbe riuscito ad avvisarlo in tempo perché quest’ultimo era in viaggio in Africa.

Il Dipartimento di Stato USA – da parte sua – ha recentemente confermato che John Kerry non è stato in grado di parlare con Lavrov – in missione ufficiale in Africa – a proposito di “urgenti questioni internazionali”.

Immediatamente alcuni organi di stampa si sono precipitati ad enfatizzare la scarsa affidabilità di Zhirinovsky, noto per le sue posizioni ultranazionaliste.

Il Washington Post scrive che Zhirinovsky “ha accusato l’America per la pioggia meteorica di oggi” (3), WaPo sottolinea come Zhirinovsky sia noto “per la sua retorica nazionalista, anti-occidentale e alle volte bizzarra”, mentre Der Spiegel lo definisce senza mezzi termini un “clown politico”.

Al tempo stesso – manco a dirlo – coloro che hanno riportato la notizia sono stati subito etichettati come “complottisti” (4)…

Noi che non complottisti non siamo – ma neppure burattini del mainstream – un po’ di domande ce le facciamo e attendiamo fiduciosi le risposte:

– Perché meteoriti in un periodo dell’anno in cui la terra non sfiora il quadrante di cielo dove ci sono gli sciami meteorici?

– Perché un meteorite che ha fatto tanto disastro fa un buchetto sul ghiaccio di soli 6 metri di diametro?

– Perché non sono state – a oggi – mostrate tracce fisiche del meteorite mentre vi sono ben 20.000 persone che stanno lavorando a riparare i danni?

– Perché nelle sequenze di alcuni filmati pubblicati in rete si vedono degli altri oggetti che volano più velocemente del meteorite e che sembrano cercare di intercettarne la traiettoria? (5)

Addio al premio Nobel Rita Levi Montalcini, signora della scienza e dell’impegno civile

Addio al premio Nobel Rita Levi Montalcini, signora della scienza e dell’impegno civile

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Argomenti: Scienza | Presidenza della Repubblica | Rita Levi Montalcini | Svezia | Romano Prodi | Onu | Royal |Ignazio Marino | Giuseppe Levi

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Con il suo sorriso lieve e lo sguardo intenso se ne è andata una delle donne che – per rigore d’impegno civile e di dedizione alla ricerca e allo studio – rendono grande il nostro paese: Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina, è deceduta a Roma. Aveva 103 anni ed è morta nella sua abitazione in via di Villa Massimo. La scienziata era stata nominata senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il primo agosto del 2001. Come si legge sulle agenzie, il 118, intervenuto nella sua residenza, ha soltanto potuto constatare il decesso.

Rita Levi Montalcini era nata a Torino il 22 aprile 1909. Dopo aver studiato medicina all’universita’ di Torino, all’età di 20 anni entra nella scuola medica dell’istologo Giuseppe Levi e inizia gli studi sul sistema nervoso che prosegue per tutta la sua vita, salvo alcune brevi interruzioni nel periodo della Seconda guerra mondiale. Si laurea nel 1936. Nel 1938, in quanto ebrea sefardita, fu costretta dalle leggi razziali del regime fascista a emigrare in Belgio con Levi, dove continua le sue ricerche in un laboratorio casalingo.

 

I suoi primi studi (degli anni 1938-1944) furono dedicati ai meccanismi di formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Nel 1947 accetta l’invito a proseguire le sue ricerche al dipartimento di Zoologia della Washington University (nello stato Usa del Missouri), dove rimane fino al 1977. Nel 1951-1952 scopre il fattore di crescita nervoso noto come Ngf (Nerve Growth Factor), che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Per circa 30 anni prosegue le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d’azione, per le quali nel 1986 viene insignita del Premio Nobel per la medicina insieme allo statunitense Stanley Cohen. Nella motivazione del riconoscimento si legge: «La scoperta del Ngf all’inizio degli anni ’50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza, i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo».

Dal 1961 al 1969 dirige il Centro di ricerche di Neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Roma in collaborazione con l’Istituto di Biologia della Washington University, e dal 1969 al 1979 il laboratorio di Biologia cellulare. Dopo essersi ritirata da questo incarico “per raggiunti limiti d’eta’” continua le sue ricerche come ricercatore e guest professor dal 1979 al 1989, e dal 1989 al 1995 lavora presso l’Istituto di neurobiologia del Cnr con la qualifica di superesperto. Le sue indagini si concentrano sullo spettro di azione del Ngf, utilizzando tecniche sempre più sofisticate. Studi recenti hanno infatti dimostrato che esso ha un’attività ben più ampia di quanto si pensasse: non si limita ai neuroni sensori e simpatici, ma si estende anche alle cellule del sistema nervoso centrale, del sistema immunitario ematopoietico e alle cellule coinvolte nelle funzioni neuroendocrine.

E forse il segreto della lucidità e vitalità fino all’ultimo giorno della sua scopritrice si celava proprio nel Ngf: la scienziata lo assunse tutti i giorni in forma di gocce oculari per problemi alla vista. Dal 1993 al 1998 presiede l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. E’ membro delle piu’ prestigiose accademie scientifiche internazionali, quali l’Accademia Nazionale dei Lincei, l’Accademia Pontificia, l’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, la National Academy of Sciences statunitense e la Royal Society. Viene nominata senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 1 agosto del 2001. Riceve numerosi altri riconoscimenti: fra l’altro tre lauree ad honorem delle Universita’ di Uppsala (Svezia), Weizmann-Rehovot (Israele) e St. Mary (Usa). Ha vinto inoltre il Premio internazionale Saint-Vincent, il Feltrinelli, e il premio “Albert Lasker” per la ricerca medica.

E’ stata sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Nel 1992 ha istituito, assieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del padre, rivolta alla formazione e all’educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario, con l’obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese. Sempre a favore dei giovani scienziati, nel marzo 2012 rivolge un appello al Governo Monti insieme al senatore Ignazio Marino(Pd), «affinché non cancelli il futuro di tanti giovani ricercatori, che coltivano la speranza di poter fare ricerca in Italia. Il decreto legge su semplificazioni cancella i principi di trasparenza e merito alla base delle norme che dal 2006 hanno consentito di finanziare i progetti di ricerca dei giovani scienziati under 40 attraverso il meccanismo della peer review, la valutazione tra pari».

Levi Montalcini è stata particolarmente sensibile anche nei confronti dei temi della difesa dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Nel 1998 fonda la sezione italiana di Green Cross International, organizzazione non governativa riconosciuta dalle Nazioni Unite e presieduta da Mikhail Gorbaciov, di cui è consigliere. Significativo l’impegno sulla prevenzione e sulle conseguenze ambientali e sociali delle guerre e dei conflitti legati allo sfruttamento delle risorse naturali, con particolare riferimento alla protezione e all’accesso alle risorse idriche. Con la vittoria dell’Unione di Romano Prodi alle elezioni politiche del 2006, la Levi Montalcini, in qualità di senatrice a vita, accorda la fiducia al governo Prodi II.

E’ morta Rita Levi Montalcini Premio Nobel, aveva 103 anni

E’ morta Rita Levi Montalcini
Premio Nobel, aveva 103 anni

Signora della scienza e senatrice a vita
Monti: “Ha dato lustro al nostro Paese”

E’ morta a Roma nella sua abitazione. Sarà seppellita a Torino, accanto alla sorella. Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici: “E’ una perdita per l’umanità intera”

 
Il premio Nobel Rita Levi Montalcini (foto Ansa)

Il premio Nobel Rita Levi Montalcini (foto Ansa)

Roma, 30 dicembre 2012 – E’ morta, a 103 anni, Rita Levi Montalcini. Nata il 22 aprile del 1909, è stata neurologa e senatrice a vita, nominata dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nel 1986 è stata premio Nobel per la Medicina. .

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MORTA NELLA SUA CASA – Il decesso è avvenuto nella sua abitazione a Roma. Rita Levi Montalcini è deceduta oggi intorno alle 13.30, riferiscono i suoi collaboratori. Stava bene, aveva anche mangiato, e nulla lasciava pensare a quello che è accaduto, spiegano. Poi ha avuto una leggera crisi respiratoria, è stato chiamato il 118, ma quando il medico è intervenuto non ha potuto che constatare il decesso. Si è spenta serenamente, quasi si fosse addormentata.

VITA E SCIENZA – E’ stata la prima donna a essere ammessa alla Pontifica Accademia delle Scienze. E’ stata socia dell’Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche e tra i soci fondatori della Fondazione Idis-Città della Scienza. Figlia di un ingegnere ebreo, Adamo Levi, e di una pittrice, Adele Montalcini, trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel capoluogo piemontese, dove frequentò anche la Facoltà di Medicina e dove, nel 1936, si laureò con 110 a lode. Durante il fascismo emigrò in Belgio per tornare poi a Torino dove continuò le sue ricerche neurologiche. Dopo un periodo trascorso nell’astigiano Rita Levi Montalcini si trasferì con la famiglia a Firenze, fino a quando nel 1944 entrò nelle forze alleate come medico.

IL CORDOGLIO DEL MONDO ISTITUZIONALE E POLITICO – Monti: “Donna carismatica e tenace”. Schifani: “Grande scienziato e grande donna”. Fini: “Profonda tristezza”.

SARA’ SEPPELLITA A TORINO – “Abbiamo appreso dalla nipote che Rita Levi Montalcini sarà seppellita a Torino accanto alla sorella“. Lo afferma il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, all’uscita dell’appartamento romano della Montalcini. “Quella della Montalcini è una perdita per l’umanità intera – ha sottolineato Pacifici -. Perdiamo un Nobel per la medicina che con le sue ricerche ha nobilitato l’umanità. La nostra Comunità si stringe al dolore della famiglia. Alcuni anni fa ci ha dato il privilegio di accettare l’iscrizione onoraria alla Comunità. La sua è anche la storia di una donna che dovette emigrare per le leggi razziste. Se ne va anche un senatore a vita, una persona che ha dato anche lustro politico al nostro paese. In questo momento dobbiamo solo inchinarci al dolore”.

IL VATICANO – “Una figura eminente non solo per gli altissimi meriti scientifici ma anche per l’impegno civile e morale che l’ha resa persona esemplare e ispiratrice nella comunità italiana e internazionale: è spontaneo e doveroso unirsi al cordoglio universale per la sua dipartita”. La Radio Vaticana commenta con le parole del portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, la scomparsa di Rita Levi Montalcini. “Aveva 103 anni. Era membro della Pontificia Accademia delle Scienze”, ricorda l’emittente della Santa Sede, sottolinenando che la sua famiglia “a causa delle leggi razziali fu costretta a emigrare in Belgio”. Socia nazionale dell’Accademia dei Lincei oltre che dell’alto consesso vaticano la scienziata, precisa l’emittente, era “laica, non credente e impegnata su molti fronti civili e sociali”.

VICINI AL SEGRETO DELL’IMMORTALITÀ

VICINI AL SEGRETO DELL’IMMORTALITÀ

 

di Kieron Monks – MWN

 

«L’uomo diventerà immortale se saprà risolvere il mistero della medusa che si rigenera», parola di Shin Kubota, lo scienziato giapponese di Kyoto che da 15 anni studia la medusa Turritopsis nutricula, unico essere vivente capace di invertire il proprio ciclo biologico e di sfuggire così alla morte. Kubota sostiene di aver isolato la chiave dell’incredibile abilità della medusa di ringiovanire, una chiave che si troverebbe nelle cellule dei suoi tentacoli e che nei prossimi 20 anni sarà compresa del tutto e trasferita sull’uomo.

La comunità scientifica concorda nel ritenere che gli studi sulla medusa possono portare grandi benefici all’umanità. «Queste cellule sono anche nei nostri corpi, ma sono dormienti», spiega a Metro il professor Matthias Obst, biologo dell’Università di Gothenburg (Svezia). «Dobbiamo solo trovare il gene che accende la proteina che si rigenera». «Ciò renderebbe gli organi umani più forti e resistenti al cancro, anche se non ci regalerebbe l’immortalità», conclude Obst, che parla di una vita che potrebbe estendersi a centinaia di anni.

Le implicazioni di un tale allungamento della vita vengono già studiate presso il British Future of Humanity Institute. «Non credo che il sovrappopolamento sarà un grosso problema», assicura il ricercatore Stuart Armstrong. «L’unico vero problema è che l’immortalità è meno eccitante se diventa reale», chiosa.

LA PLASTICA ECOSOSTENIBILE SI PRODUCE CON I GAS SERRA

LA PLASTICA ECOSOSTENIBILE SI PRODUCE CON I GAS SERRA

 

di M. L.

 

La plastica ecosostenibile che si produce con i gas serra e salva l’ambiente è già una realtà grazie ad una nuova tecnologia messa a punto dalla compagnia americana Newlight Technologies.

Per produrre plastica ecosostenibile grazie ai gas serra, l’azienda ha infatti ideato un processo industriale innovativo ed ecologico che converte l’aria ed i gas responsabili del riscaldamento globale, (tra cui il biossido di carbonio ed il metano), in materiali plastici completamente biodegradabili in grado di competere sul mercato, sia nel prezzo che nella qualità del prodotto, con le materie plastiche originate dal petrolio.

La plastica ecosostenibile che si produce con i gas serra e salva l’ambiente, denominata Airflex, viene ottenuta, in particolare, estraendo le molecole di carbonio e ossigeno dall’aria e dai gas serra solitamente emessi dalle discariche, dagli impianti di trattamento delle acque reflue, o dai classici impianti di produzione energetica. Dopo il processo di estrazione, le molecole di carbonio e ossigeno vengono quindi “riorganizzate” in polimeri termoplastici, ossia delle particolari macromolecole alla base dei principali processi di fabbricazione delle nuove materie plastiche biodegradabili (estrusione, stampaggio, iniezione, etc.).

Produrre plastica ecosostenibile con i gas serra e venderla sul mercato al posto delle materie plastiche originate dal petrolio, darà quindi un’inevitabilmente contributo positivo alla nostra società e all’ambiente. Questo perché risolverà, da un lato, il problema legato alla nostra esigenza di consumare e scartare plastica, che ha conseguenze devastanti per l’ambiente (basti pensare al fenomeno della Great Pacific Garbage Patch, la grande chiazza di rifiuti plastici del Pacifico formatasi a partire dagli anni ’50).

Inoltre, produrre plastica ecosostenibile con i gas serra risolverà, in parte, l’altro nostro grande problema: il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia, che contribuisce ogni giorno all’aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera, con conseguenze catastrofiche per il nostro clima.