Concordia, De Falco: “Contro di me provvedimento abnorme”

Concordia, De Falco: “Contro di me provvedimento abnorme”. Ammiraglio Dell’Anna: “È una promozione”

”Ma quale mobbing, quale rimozione. Non scherziamo. Ne firmo cinquecento l’anno di questi trasferimenti. Si tratta di un normale, fisiologico avvicendamento”. Lo afferma l’ammiraglio Ilarione Dell’Anna, responsabile del personale della Guardia costiera, in un’intervista al Messaggero. ”De Falco è in quel posto da nove anni. È normale che in un’organizzazione militare si passi da un settore all’altro, si diversifichino le esperienze. Bisognava riorganizzare tutta la direzione marittima di Livorno, due ufficiali a fine anno andranno in pensione”, spiega Dell’Anna.
Nessuno è inamovibile – ”De Falco è un capitano di fregata. È stato capo servizio operativo e ora sarà responsabile dell’Ufficio studio, del controllo della gestione delle relazioni esterne della direzione marittima di Livorno. Un incarico esattamente dello stesso livello. E non ha cambiato neppure sede, ma solo sedia”, dice Dell’Anna. ”Quando trasferiamo il personale, per dirne una, da Imperia a Gela, allora che dovrebbe accadere? Piaccia o no a De Falco, nessuno nel nostro mondo può reclamare forme di inamovibilità”.
Il trasferimento serve a De Falco – La stessa opinione è stata espressa dall’ammiraglio ispettore capo Felicio Angrisano, comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto, secondo il quale il trasferimento ”non è una diminutio, ma un passo necessario per la sua carriera. Si tratta di fare l’assistente del responsabile del Dipartimento marittimo di Livorno. In questa posizione De Falco potrà mettere a frutto la sua esperienza ed essere anche a disposizione a tempo pieno della magistratura che conduce l’inchiesta sul naufragio”. In un’intervista alla Stampa Angrisano precisa che ”prima dei fatti del Giglio, De Falco era capo sezione operazioni. Subito dopo è stato avanzato d’incarico, assumendo quello di capo servizio, pur mantenendo lo stesso grado. Ora gli si chiede di maturare un’ulteriore e diversa esperienza per essere valutato per la promozione a capitano di vascello, galloni che, se assegnati, gli consentirebbero di assumere ad esempio la responsabilità dell’intero reparto operativo a Livorno, destinazione che risulta gradisca. Fa parte dell’addestramento, non esistono incarichi a vita”.
De Falco: contro di me provvedimento abnorme – Non la pensa allo stesso modo il diretto interessato invece. Per De Falco il trasferimento è ”un provvedimento abnorme. Io non voglio promozioni, voglio soltanto lavorare. E non è questione di inamovibilità, ma di competenza e di economicità amministrativa. Si spendono soldi per formare un ufficiale operativo e poi lo si spedisce in ufficio?”. In un’intervista al MessaggeroDe Falco insiste: ”Provo un senso di grande amarezza in queste ore. Perché lo Stato mi ha formato per una decina d’anni nel settore operativo e ora questa formazione si rivela non più essenziale. Un paio d’anni fa vennero anche a dirimi che sarei andato a comandare una capitaneria di porto, poi non se ne è fatto più niente. Mi spiegate voi il perché?”, dice De Falco. ”Negli uffici della Guardia costiera ho già lavorato, non posso certo disdegnarli. Ma il punto è un altro. Andatevi a vedere gli ordini di servizio: nel posto che vado a occupare, prima di me ci sono stati solo giovani e ufficiali vicini alla pensione. Questa sarebbe la rilevanza dell’incarico?”.
“Lo Stato deve rimediare” – Così Renato Roffi, ex capitano di corvetta livornese, che 23 anni fa fu trasferito nel giro di tre giorni dopo avere denunciato gli errori della Capitaneria di porto di Livorno nella gestione dei soccorsi per la tragedia del Moby Prince, commenta il trasferimento del comandante Gregorio De Falco. “E’ difficile pensare – dice al telefono con l’ANSA – che il suo provvedimento arrivi dal comando generale della Guardia Costiera, perché il comportamento di De Falco ha dato lustro al corpo, penso semmai a una decisione presa della Marina militare. E ha assolutamente ragione De Falco, che conosco appena, quando dice che in quel posto ci vanno solo ufficiali in attesa di andare in pensione o che hanno alle spalle una carriera tutt’altro che brillante. Insomma, è una deminutio capitis bella e buona”. Roffi in questi giorni rivive ciò che capitò a lui nella primavera del 1991 e da allora ha ingaggiato un lunghissimo braccio di ferro con lo Stato che lo ha visto quasi sempre vincitore: “Sono più di 20 i ricorsi al Tar vinti per valere le mie ragioni – racconta – e l’ultimo è recentissimo e impone a un comandante ormai in pensione di riscrivere le mie note caratteristiche”.

‘Lotito come Monti, 20 deficienti in Lega’

‘Lotito come Monti, 20 deficienti in Lega’

Foto Getty Images/Tullio Puglia

25 gennaio alle 10:00

Il presidente del Palermo ha votato Beretta, ora lo attacca: “Inefficiente. E Berlusconi con Kakà non guadagnerà soldi”.
Zamparini: “In Lega siamo 20 deficienti”.
Non c’è soltanto lo spettro della retrocessione a tormentarlo, ma anche l’indecisione a quanto pare eterna sulla propria posizione da assumere riguardo il futuro del sistema calcio. Il presidente Maurizio Zamparini ne ha per tutti, dal presidente della Lega Maurizio Beretta a quello del Catania Antonino Pulvirenti, passando per il patron della Lazio Claudio Lotito. Dimenticandosi forse che pochi giorni fa ha espresso parere favorevole alla riconferma del Governo attuale.

Faccendieri «La Lega è diventata un gruppo di venti deficienti — ha detto Zamparini alla «Zanzara», in onda su su Radio24 —. Beretta è la fotografia dell’Italia, un presidente della Lega che fa il doppio lavoro. È una persona inefficiente, immobile, ma la colpa non è sua ma dei presidenti, come la causa dello sfascio dell’Italia sono gli italiani. In Italia c’è Mario Monti, in Lega c’è Lotito, due faccendieri che portano al disastro. Monti è meglio che torni a insegnare all’università, che è l’unica cosa che sa fare. Beretta è soltanto fortunato, non riesco a capire che soddisfazione gli dia stare lì, probabilmente la visibilità. Ma la colpa non è sua, è dei presidenti, come la causa dello sfascio dell’Italia sono gli italiani». E tra questi presidenti dovrebbe autoinserirsi visto che Zamparini, per mano e bocca del suo a.d. Lo Monaco, ha appena votato la conferma di Beretta. Il numero uno rosanero è anche intervenuto sulla querelle tra Agnelli e Pulvirenti, apostrofato dal presidente del Catania come «una zitella isterica in astinenza». «Andrea Agnelli è un signore — ha commentato Zamparini — non sarebbe mai sceso così in basso con le parole come ha fatto Pulvirenti».

Kakà un bluff Dal pallone alla politica il passo è breve. «Dirò alla gente di votare Grillo. Il mio movimento è vicino a lui, è l’unico che può salvare il Paese — ha continuato —. Berlusconi è solo un grande attore, da Michele Santoro ha fatto spettacolo. Ma è un mondo passato. Vuole comprare Kakà, ma gli dico che non porta voti e non porta vittorie. Gli italiani non sono cretini e poi se il Real Madrid lo lascia andare significa che ormai può tornare solo in Brasile, vuol dire che è finito». Un attacco tira l’altro e il mirino di Zamparini si sposta anche su Franco Carraro, l’ex presidente del Coni e della Figc ora candidato col Pdl al Senato: «Alla sua età dovrebbe pensare a mangiare salame con me in Friuli — ha sottolineato — non a fare politica. La lasci ai giovani».

Zona pericolo Il problema più pressante, però, si chiama Palermo e il penultimo posto in classifica impone la massima concentrazione. Zamparini ha dato ampio mandato all’a.d. Pietro Lo Monaco di rinforzare la squadra proprio per evitare di sprofondare in Serie B. Gli ultimi giorni, nonostante le difficoltà tipiche del mercato di gennaio, sono stati abbastanza prolifici grazie agli arrivi di Sorrentino, Formica e Boselli. Tre innesti che si vanno ad aggiungersi ad Aronica, Dossena e Anselmo.

Mal di stomaco «Se penso alla retrocessione mi viene il mal di stomaco, un dolore terribile — ha ammesso Zamparini —. Poi mi faccio forza e dico: torno subito in A. Sarebbe uno dei dolori più grandi della mia vita, ma non accadrà». E allora ecco una ventata di ottimismo che in questo periodo per i tifosi rosanero non guasta: «Faccio una promessa: ci salviamo cinque, sei giornate prima della fine del campionato».

Vita da esodato

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Manifestazione di esodati a Roma (Ansa) Articoli correlatiEsodati, manifestazione unitaria a Roma. Camusso: …Esodati, Carla Cantone: “La Fornero smetta dare nu…Fornero: “Per i 65mila esodati risorse sufficienti…Lavoro, Fornero: “Il governo non intende trascurar…Lavoro: sussidi ai disoccupati, come funziona in E…Alberto, una vita da esodato: “Questi vogliono cancellare i miei sogni, la notte non dormo e per la rabbia piango”di Ignazio DessìTweetCommentaL’Inps dice 400mila, lei, la Fornero, ministra del Welfare, si adombra e redarguisce l’ente: gli esodati per il governo Monti sono solo 65mila, sia chiaro. Un balletto di numeri sulla testa di uomini e donne, di lavoratori gabbati e famiglie disperate. Un dramma sulle vite di migliaia di persone, quello di chi ha lasciato il lavoro per accedere al pensionamento in base a un piano concordato con l’azienda e si è ritrovato, con la riforma, senza stipendio e senza pensione. Una delusione che conduce ai pensieri più neri e di notte lascia senza sonno, come testimonia l’ex dipendente di Poste Italiane Alberto Mundula, di Selargius in provincia di Cagliari, che la brutta esperienza la vive in tutta la sua devastante realtà.“Non ho una età troppo avanzata ma vanto 40 anni di contributi – premette Alberto – avendo cominciato a lavorare fin da ragazzino, prima in una ditta farmaceutica, per 5 anni, e poi alle Poste italiane, per 35. Il 1° luglio del 2011 l’azienda mi ha proposto l’esodo ed ho accettato. La mia pensione sarebbe scattata da giugno 2013. Poi la doccia fredda: con le nuove regole il mio appuntamento col ‘meritato riposo’ viene spostato di due anni e mezzo”. Ma non basta, per arrivare all’agognata pensione l’ex dipendente postale dovrebbe versare 27 mesi di contributi a 800 euro al mese. Con l’azienda del resto ha siglato un patto, come lui tiene a precisare, e questa non deve più versare niente. Semmai è colpa del governo che “se n’è fregato di qualsiasi esigenza di gradualità” macinando tanti lavoratori nei suoi freddi ingranaggi fatti di numeri. “Io – confessa – mi ritengo persino fortunato, perché la mia pensione si è allontanata di ‘soli’ 27 mesi, mentre altri l’hanno vista spostarsi di 6-7 anni”. Un dramma assoluto.Un ciclone che spinge verso la frustrazione e fa sentire il peso dell’ingiustizia, che si accanisce sui deboli, destinati a pagare per tutti, mentre altri si trastullano impuniti e se la ridono. Così ti sale dentro una gran rabbia mista alla sfiducia nella capacità dello Stato di essere equo. “Non avrei mai creduto, dopo tante lotte cui ho partecipato, di dover manifestare un giorno a Roma per il diritto alla mia pensione, dopo 40 anni di contribuzione”, spiega con tono amaro l’ex lavoratore che comunque spera. Potrebbe rientrare tra i 65mila “recuperati”, coloro cioè che maturano la pensione entro dicembre 2013. Si tratterà di affrontare di nuovo tutta una serie di incombenze burocratiche per dimostrare di avere il diritto, ma questo è il meno che può capitare.“Sono divorziato – spiega Mundula – e sono nonno perché i miei tre figli, tutti sposati e con un lavoro, hanno fatto in fretta a farmi sentire vecchio dandomi dei nipotini. Passo anche gli alimenti alla mia ex moglie, ma per ora tiro avanti dignitosamente”. Se però a giugno del prossimo anno non dovesse arrivare la pensione, la sua non sarebbe certo una bella situazione, perchè i risparmi fanno in fretta a prosciugarsi. “Soprattutto se dovessi essere costretto a pagare quei 27 mesi di contributi. Sarebbe come impiccarsi”, afferma Alberto. Tuttavia ci sono situazioni molto più critiche della sua: famiglie che tirano la cinghia, figli costretti a lasciare l’università, case svendute per tornare ad abitare dagli anziani genitori. “Situazioni da spararsi – precisa l’ex operatore delle Poste – Conosco uno a cui hanno spostato il pensionamento di sei anni e, poveraccio, non ha alcun reddito per poter campare la famiglia”.Quella degli esodati è una realtà logorante, dove regnano l’angoscia e la paura del futuro. E anche Alberto vive il turbamento di chi non ha certezze. “Non sarò tranquillo fino a quando non vedrò la mia prima pensione accreditata sul conto”, afferma. Poi, quasi mormorando, aggiunge: “Monti, Fornero e gli altri non si rendono conto, così facendo, di ammazzare la gente”. E’ lo sfogo di chi si sente tradito, beffato. “Mi mancavano dieci mesi ai 40 anni di contributi quando l’azienda mi ha proposto l’esodo – racconta – Per due volte ho rifiutato, poi la 3 volta ho accettato. Penso di essermi sentito come uno schiavo improvvisamente liberato. Avevo la tranquillità davanti e un po’ di risparmi in tasca. Potevo pensare a un futuro tranquillo, con la mia nuova compagna, l’affetto dei miei figli e quello dei miei meravigliosi nipotini. Mi sentivo quasi ricco, ma non di una ricchezza fatta solo di denaro”.Le nuove norme sul sistema pensionistico invece hanno fatto crollare il mondo addosso ad Alberto e a quelli come lui. “Avevo stipulato un contratto con l’azienda e la pensione me la ero pagata. Eppure qualcuno ha deciso che i miei progetti potrebbero andare accantonati – sbotta l’esodato – Lo confesso, dalla rabbia ho pianto, e l’ho fatto per giorni. Ed ora, quando mi alzo non provo serenità perché in testa ho il chiodo fisso di quel sogno che potrebbe svanire”.La delusione è cocente e a volte la frustrazione è alimentata da chi non comprende la portata del tuo dramma, dell’ingiustizia subita. Come quando “il 12 dicembre ci hanno ricevuto in prefettura a Cagliari e dicevano: ‘Anche voi però, fidarvi ad andarvene prima’. Ma come? Avevo 40 anni di contributi, come potevo pensare che ciò venisse messo in discussione?” Sarà che la pensione per la gente normale è una questione vitale, un fatto di civiltà che molto ha da vedere col concetto di società giusta. Non per nulla Hollande in Francia ha riportato a 60 anni l’età pensionabile. E ad Alberto questo non sfugge: “Come si fa a mandare la gente a riposo a 67 anni, soprattutto in certi lavori? E ciò se va bene, perché a sentire il governo si dovrebbe sollevare l’asticella di tre mesi ogni due anni. Per cui si finirà con l’andare in pensione a 70 anni. Di questo passo si smetterà di lavorare un attimo prima di entrare in una casa di riposo o del funerale. L’unica cosa che conta per questi qua (il governo ndr) è far quadrare due numeri in un bilancio, pur di stare dietro le disposizioni della Bce e i desideri dei poteri finanziari. Questo conta più della vita delle persone”.Eppure un esodato si augura poche cose dalla vita. Forse solo una. “Nonostante le mie vicissitudini – dice Alberto – sono riuscito a comprarmi una casetta di 45 metri quadri. Ho una donna che mi vuol bene, dei figli e dei nipotini, e ora vorrei solo ciò che considero mio diritto: la pensione che mi sono sudato”. Poi “vorrei riavere il mio diritto a dormire, perché – spiega l’aspirante pensionato – “dal 4 dicembre non dormo più. Ma ho paura di questo esecutivo senza bandiera, capace di assumere qualsiasi decisione sulla pelle dei lavoratori”. Lui, attivista di sinistra da sempre, ha perfino fatto pensieri impuri. “Mi è capitato addirittura di pensare ‘cacchio dovevo tifare per Berlusconi, lui questo non lo avrebbe mai fatto”. Certo, poi “rinsavisce” e conclude: “Comunque è un bene che il Cavaliere non ci sia più, anche se siamo finiti dalla padella nella brace. Un governo deve fare l’interesse di chi lavora, del popolo, non della finanza. E deve trovare soluzioni. Mi auguro si rendano conto che certe cose bisognava farle con più attenzione e gradualità”.L’animo di un esodato contiene molto fiele, eppure c’è anche spazio per una buona dose di altruismo, perchè le riflessioni di un esodato comprendono anche il prossimo, e in particolare chi sta peggio di lui. “Penso alle persone incluse nelle 400mila a cui probabilmente si riferisce l’Inps – spiega Alberto – Quelle in Cig, in mobilità, quelle per intenderci di Termini Imerese o dell’Alcoa, dell’Eurallumina o di tutte le aziende sull’orlo della chiusura. Penso ai precari e a tutti quelli rimasti senza un lavoro e per i quali l’unica speranza di sopravvivenza erano gli ammortizzatori sociali per arrivare, in molti casi, alla pensione. Con queste nuove regole, con il venir meno di quegli ammortizzatori, tutti questi poveracci cosa faranno? Quando e come arriveranno alla pensione? Come tireranno avanti le loro famiglie? I signori del governo hanno voluto far cassa agendo sui grandi numeri, sui soliti sfortunati numeri: quelli dei dipendenti e dei pensionati. E forse non si sono curati dei drammi che stavano causando”. Per questo la conclusione finale di un esodato non può che essere una e una soltanto: “Adesso basta, così non si può certo andare avanti”. 12 giugno 2012