Il dono di Renzo Piano alla sua Genova

LA RICOSTRUZIONE DEL PONTE

Il dono di Renzo Piano alla sua Genova

Il governatore della Liguria, Giovanni Toti con l'architetto Renzo Piano (Ansa)
Il governatore della Liguria, Giovanni Toti con l’architetto Renzo Piano (Ansa)

Quarantatre lampioni che si illuminano nella notte: uno per ogni vittima del 14 agosto, il giorno del crollo del ponte Morandi di Genova. Renzo Piano, stella mondiale dell’architettura, ha deciso di regalare alla sua cittàil progetto di un nuovo ponte. Piano, 81 anni, ha già presentato un plastico dell’opera al commissario per l’emergenza e governatore della Regione Liguria Giovanni Toti. Il concept non ha nulla a che vedere con il vecchio viadotto e vuol essere un omaggio alla «genovesità», ma soprattutto un momento di riscatto da una pagina dolorosissima per la storia del paese.

Nel frattempo, vanno avanti indagini e polemiche politiche sul disastro del vecchio viadotto. La Guardia di Finanza haeseguito un decreto di sequestro emesso dalla procura di Genova che riguarda tutta la documentazione relativa al ponte Morandi, mentre il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli insiste sulla revisione completa del sistema delle concessioni autostradali (per usare le sue parole, «stiamo smontando un sistema malato»).

La tempesta sui mercati emergenti

EFFETTO DOMINO

La tempesta sui mercati emergenti

L’Argentina è di nuovo ad un passo dal baratro finanziario (foto: AFP)
L’Argentina è di nuovo ad un passo dal baratro finanziario (foto: AFP)

L’epicentro è in Argentina e Turchia, ma le onde sismiche stanno investendo tutti i maggiori mercati emergenti: dall’Indonesia al Sudafrica, dal Brasile all’India. L’agosto bollente che ha travolto Buenos Aires e Ankara è ora diventato un settembre di timori globali. Due i fattori scatenanti di questa bufera valutaria: il rialzo dei tassi di interesse delle grandi banche centrali, Fed in testa, che ha calamitato i flussi di investimento globali in direzione soprattutto del dollaro, ai massimi da 14 mesi; e i venti di guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che fanno temere un rallentamento degli scambi mondiali di cui i Paesi emergenti sarebbero le prime vittime.

In particolare debolezze vecchie e nuove hanno costretto l’Argentina a chiedere risorse al Fondo monetario internazionale. Anche se l’accordo sottoscritto potrebbe portare a un avvitamento della crisi economica. E rendere concreto il rischio di un default in stile 2002.

Vaccini, la maggioranza ci ripensa

Vaccini, la maggioranza ci ripensa: i bambini non immunizzati restano fuori dalle classi

Nuovo emendamento al decreto Milleproroghe. Esulta il Pd: “Retromarcia di M5s e Lega”

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Pronto un emendamento della maggioranza per confermare l’obbligo delle vaccinazioni per la frequenza scolastica. La maggioranza sta infatti valutando una serie di emendamenti presentati da diversi gruppi parlamentari che abroga dal decreto Milleproroghe il comma che rende non obbligatori i vaccini per i bambini di materne e asili. I relatori delle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali, Giuseppe Buompane e Vittoria Baldino, che stanno esaminando il provvedimento, potrebbero dare parere positivo.

“Oggi abbiamo presentato un emendamento al Milleproroghe in materia di vaccini che sopprime quello già approvato ad agosto al Senato – afferma Baldino -. Questo al fine di trattare le politiche vaccinali con un provvedimento normativo ad hoc: il ddl che abbiamo già depositato al Senato e di cui si inizierà l’esame nel più breve tempo possibile”.

“Sui vaccini il nostro Paese ha bisogno di una disciplina organica e razionale. Per questo motivo si è deciso di affrontare questo lavoro nello strumento del ddl liberando il Milleproroghe, che assolve a funzioni diverse, da questa incombenza. In questo modo potremo definitivamente superare il Decreto Lorenzin, un testo di carattere emergenziale, causa dei malfunzionamenti e del caos che abbiamo dovuto affrontare fino ad oggi”, prosegue Baldino.

“Il nuovo disegno di legge sui vaccini sarà in grado di definire un quadro normativo completo e coerente, che andrà di pari passo con l’istituzione dell’indispensabile Anagrafe vaccinale. L’obbligo e le eventuali sanzioni verranno quindi discussi nella sede opportuna, come è giusto considerata l’importanza di tali temi”.

“Il Milleproroghe contiene anche altri importanti provvedimenti in materia di giustizia, prorogando l’entrata in vigore della riforma Orlando sulle intercettazioni, e di enti locali, a cui viene dato maggior respiro finanziario e possibilità di fare investimenti attraverso, ad esempio, l’attribuzione di un miliardo di euro ai Comuni virtuosi. Inoltre”, conclude la portavoce del MoVimento 5 Stelle, “sono inserite norme per favorire la ripresa dei territori colpiti da eventi sismici e andare incontro alle esigenze della popolazione interessata, prorogando i termini per il pagamento delle fatture relative ai servizi energetici, idrici, assicurazioni e telefonia associati ai fabbricati dichiarati inagibili”.

Esulta il Pd, per bocca del capogruppo dem in commissione Affari sociali, Vito De Filippo: “La maggioranza M5s-Lega della commissione Affari sociali – dice – ha proposto la soppressione del comma 3 dell’articolo 6 del decreto legge che prevede la proroga dell’obbligo di vaccinazione per l’iscrizione scolastica. Si tratta di una clamorosa retromarcia e di una straordinaria vittoria della buona politica, della scienza e del buon senso”.

De Filippo continua: “Ieri, durante le audizioni, i medici, i pediatri e gli esperti degli istituti superiori di sanità, avevano contestato nel merito le ragioni di una scelta che metteva a rischio la salute dei bambini. È un successo importante ottenuto anche grazie al contributo decisivo dei parlamentari del partito democratico”.

Si dice felice dell’emendamento l’immunologo Roberto Burioni:

Roberto Burioni

@RobertoBurioni

Ho detto che avrei giudicato il governo solo in base ai fatti. Sono felice che la ragione abbia prevalso, lo prendo come un segno di buon auspicio per tutto il resto.

Massimiliano Coccia@maxcoccia

Il Governo comunica in commissione sanità il ritiro del Decreto Vaccini con cui si sospendeva l’obbligo vaccinale. Abbiamo vinto, bene così. #vaccini @RobertoBurioni

In tutta Italia controlli dei Nas per verificare la veridicità dei certificati

In questi giorni sono in corso in molte città italiane controlli da parte dei carabinieri dei Nas nelle scuole per verificare la veridicità della documentazione presentata dalle famiglie in merito alle vaccinazioni obbligatorie per legge per la frequenza scolastica. I controlli, secondo quanto si apprende, sono partiti da ieri in asili nido e scuole materne e proseguiranno nei prossimi giorni anche negli altri istituti scolastici selezionati a campione.

Mattarella da Ariano Irpino: “Sbagliato diffidare della scienza”

“Nei confronti della scienza non possiamo esprimere indifferenza o diffidenza verso le sue affermazioni e i suoi risultati”. Così il capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo intervento all’apertura del meeting ‘Le due culture’ nel centro di ricerca Biogem. Parole accolte dall’applauso della platea.

Siglato l’accordo sull’Ilva.

Siglato l’accordo sull’Ilva. Intesa con Mittal per 10.700 assunzioni subito

Nel nuovo accordo raggiunto in nottata anche un bonus da 100mila euro lordi per gli esodi volontari. Le parti si riaggiorneranno alle 13

È stato raggiunto e siglato al ministero dello Sviluppo economico l’accordo sull’Ilva da sindacati, azienda e commissari, alla presenza del vicepremier e ministro Luigi Di Maio. I sindacati poi sottoporranno il testo al referendum tra i lavoratori.

Sono andate avanti per tutta la notte le trattative tra Mittal, sindacati e governo, durante la riunione fiume al Mise. La notte ha portato consiglio, nella misura di un aumento delle assunzioni previste. Diecimilasettecento secondo la nuova proposta fatta dai sindacati, appena accolta dal colosso indiano, anziché i 10.300 indicati nella bozza di accordo presentata ieri pomeriggio. Il tutto affiancato da un piano di incentivi all’esodo, volontario e anticipato, che prevede una somma di centomila euro lordi per chi decide di andarsene subito.

Novità che piacciono ai sindacati, e fanno si che stamattina al Mise si respiri un’aria positiva. Il lungo confronto notturno ha via via avvicinato le parti e smussato gradualmente i punti più controversi.

L’incontro al Ministero, presieduto dal ministro Luigi Di Maio, era cominciato ieri pomeriggio, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa migliore rispetto a quella prefigurata dall’ex ministro Carlo Calenda, tutelando l’ambiente e l’interesse pubblico. Le parti, dopo aver trattato sino alle 5 di stamatina, si sono aggiornate, e riprenderanno i lavori attorno alle 13, per poter dar tempo ai sindacati di verificare il nuovo testo integrato e provare a chiudere l’accordo in giornata.

Nell’accordo sull’Ilva con ArcelorMittal “abbiamo ottenuto quello che abbiamo chiesto sin dall’inizio, quindi siamo soddisfatti”, E’quanto spiega la segretaria della Fiom Francesca Re David – “10.700 lavoratori verranno assunti subito e sono sostanzialmente quelli che ora lavorano negli stabilimenti, ossia tutti quelli non in cassa integrazione”.

Contemporaneamente parte anche un piano di incentivi alle uscite volontarie e l’azienda “si è impegnata ad assumere tutti gli altri che restano in carico all’Ilva senza penalizzazioni e con l’articolo 18”. Molto migliorato anche il piano ambientale “che porta all’accelerazione delle coperture dei parchi e a un limite fortissimo delle emissioni. Se Ilva vuole produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio lo deve fare senza aumentare di nulla le emissioni che ci sono”. Ora, conclude Re David, sottoporremo l’intesa come sempre al giudizio dei lavoratori che è per noi vincolante, oggi sottoscriveremo l’accordo ma la firma definitiva ci sarà solo al termine dei referendum”. I tempi? “Cercheremo di farlo naturalmente entro il 15 settembre, ci mettiamo subito al lavoro”, ha ancora detto.

Intanto Antonio Calò, segretario Uilm Taranto, che sta partecipando al tavolo su Ilva al Mise, ha affermato: “Il ministro Di Maio ha dichiarato che a questo punto l’interesse pubblico è superiore a qualche vizio legittimità e quindi la gara, pur avendo qualche vizio, non viene revocata”.

Per Di Maio: “Siamo all’ultimo miglio, sono state 18 ore di trattativa in cui i protagonisti sono stati ovviamente i rappresentanti dei lavoratori, in cui si è cercato di raggiungere il miglior risultato possibile nelle peggiori condizioni possibili”. Il ministro aggiunge: “Adesso aspettiamo la firma, non dire gatto se non ce l’hai nel sacco…”.

“Anche i proletari hanno diritto alla spiaggia”

“Anche i proletari hanno diritto alla spiaggia”, a Savona lo stabilimento sociale “Raphael” a prezzi popolari

“Anche i proletari hanno diritto alla spiaggia” così, nel 1971, Giovanni ‘Giuan’ Nasi, prete operaio al porto di Savona, riuscì a ottenere per sé e gli altri lavoratori la concessione demanialeper un tratto di spiaggia a pochi metri dal pontile di attracco delle navi. Oltre alla beffa di non potersi permettere le ferie, infatti, molte famiglie non avevano la possibilità di accedere agli stabilimenti. L’idea del sacerdote era anche quella di offrire l’opportunità di darsi da fare nella gestione dei bagni, accogliere i marinai provenienti dall’estero e di passaggio a Savona e permettendogli di prendere parte a tornei sportivi e altre occasioni di socializzazione anche per contrastare solitudine e alcolismo.
Oltre 45 anni dopo, il progetto del sacerdote è più vivo che mai, con 80 famiglie che continuano ad animare quello che oggi è il circolo Acli “Spiaggia Raphael”, “da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Se i soci più anziani rinnovano il loro sostegno anche in termini economici per sistemare e rinnovare ogni stagione la struttura, i giovani si danno da fare volontariamente come bagnini, mentre tutti si alternano nella gestione del bar riservato ai soci.
“Il segreto del nostro successo non è tanto il costo irrisorio di cabina e lettini – spiega il presidente del circolo Flavio Ermellino – ma la comunità che abbiamo creato intorno a questo stabilimento. L’allestimento delle cinque file di sdraio ombrelloni e lettini inizia ad aprile, mentre a settembre tocca smontare tutto. Un impegnonon da poco, che però ha costruito negli anni fortissimi legami e voglia di stare insieme”. Non ci sono ‘posti fissi’ ai bagni Raphael, ci si sdraia dove si trova posto e non ci sono orari, ognuno ha le chiavi dello stabilimento e può andar via anche a tarda sera, magari partecipando a una delle numerose cene sociali che il circolo organizza per autofinanziarsi, stare insieme e supportare iniziative benefiche.

Ponte Morandi, tragedia italiana

GENOVA COLPITA AL CUORE

Ponte Morandi, tragedia italiana

Il ponte Morandi crollato a Genova (Reuters)
Il ponte Morandi crollato a Genova (Reuters)

Shock a Genova: è crollato il ponte Morandi sull’A10 che attraversa il capoluogo ligure. Si temono almeno 35 morti, 440 gli sfollati. Probabile il cedimento strutturale, la Procura ha aperto un’ inchiesta per disastro colposo.

Il ponte, inaugurato nel 1967, è da sempre oggetto di polemiche e di interventi di manutenzione. Non a caso ieri il titolo del concessionario autostradale (Autostrade per l’Italia) è crollato in borsa per via delle polemiche sullo stato dell’infrastruttura, considerato da molti, in questi anni, a rischio cedimenti. Pesanti le ripercussioni anche sul traffico e i trasporti sia a Genova che in tutta la Liguria. Il presidente Mattarella: una disgrazia assurda, serve un severo esame di coscienza. Il vicepremier Salvini contro la Ue: i limiti di spesa mettono a rischio vite umane.

Salvini, Orban e il Ppe

Salvini, Orban e il Ppe: il falso populismo che serve a salvare l’establishment

Salvini, Orban e il Ppe: il falso populismo che serve a salvare l’establishment

Profilo blogger

Sociologo ed esperto di comunicazione politica (King’s College London)
Vengono spesso rappresentati come due pericolosi eversori degli equilibri europei, dei politici fascisti o quantomeno “populisti” e parafascisti, come sostenuto dai manifestanti riuniti a San Babila. Ma se Matteo Salvini e Viktor Orban – paladini della tanto discussa “internazionale populista” che va da Trump fino a Putin, passando per il gruppo di Visegrad e da poco anche dall’Italia – riunitisi in un incontro lampo ieri a Milano fossero tutt’altro? E se dietro i panni del pericoloso lupo nazional-populista, che ostentano ad ogni buona occasione e gli ha guadagnato tanto consenso, si nascondessero in realtà due pecorelle con la missione in incognito di salvare le élite della destra europea da se stesse?

Salvini e Orban si sono guadagnati una fama come irriducibilianti-sistema con la loro insistenza quasi ossessiva sul tema anti-migrazione, specie a partire dalla crisi dei rifugiati del 2015, e per le loro critiche feroci alla burocrazia di Bruxelles, accusata di intromettersi in questioni nazionali. Ma in realtà, dietro questa reputazione ribelle, costruita ad arte e alimentata dall’isteria della stampa liberal, si nascondono due politici legati a doppio filo con il sistema di potere europeo che dicono di volere abbattere.

Orban-Salvini, “Se si presentasse in Ungheria vincerebbe elezioni”
di Marion Didier

Spesso ci si dimentica che Fidesz, il partito di Orban, aderisce al Partito Popolare Europeo, quello di Andreotti, di Kohl e della Merkel, primo responsabile di tutte le politiche più “austere” della Ue! E c’è chi ha fatto finta di non sapere che la Lega sia stata alleata per oltre 20 anni di Forza Italia, principale membro italiano del Ppe e che abbia sostenuto tutte le misure neoliberiste volute da Ppe; anche l’odiatissimo pareggio di bilancio in Costituzione! Se questi sono i populisti rivoluzionari…

L’incontro tra Salvini e Orban si inserisce nei grandi giochi di riallineamento delle alleanze politiche a livello continentale, in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo.

Si vocifera che Orban voglia arruolare la Lega al Ppe, come parte di una Opa della nuova destra xenofoba sul Partito Popolare Europeo. Del resto, di fronte al crollo di Forza Italia, il Partito Popolare Europeo ha bisogno di qualcuno in Italia per riempire il vuoto.La Lega di Salvini è il candidato perfetto per sostituirlo vista la vicinanza sul fronte economico, quello veramente non-negoziabile.

Un’eventuale entrata di Salvini incontrerebbe sicuramente opposizione dentro il Ppe, specie da parte della fazione più europeista capeggiata da Juncker. Ma sarebbe difficile trovare ragioni serie per bloccarne l’entrata, visto che oltre a Orban, dentro il Ppe siedono già tanti altri famigerati populisti di destra, come il premier austriaco Sebastian Kurz, del Partito Popolare d’Austria, grande amico di Salvini e noto per le sue posizioni anti-migranti, e Horst Seehofer, leader dei cristiano-sociali bavaresi e ministro degli Interni tedesco, che ha costretto la Merkel ad accettare la linea dura sui richiedenti asilo. Inoltre, la Merkel potrebbe venire presto sostituita da un leader più anti-migrazione, per fare diga contro l’avanzata dei populisti di Alternative für Deutschland.

Insomma, lungi dal voler far saltare in aria la Ue e le sue politiche impopolari, specie sul fronte economico, i populisti di destra sembrano più intenzionati a fare da ruota di scorta per l’establishment europeo, e a un Ppe, che da popolare a ispirazione sociale diventerebbe populista di destra. Questa virata anti-migrazione, permetterebbe ai popolari di assorbire competitor, e neutralizzare gruppi con l’AfD, senza cambiamenti sostanziali sul fronte della politica economica.

Del resto ciò che unisce Orban e Salvini oltre alla linea dura sull’immigrazione, è una strategia economica in cui un limitato recupero di sovranità nazionale sull’economia è accompagnato da politiche a favore dei più ricchi di stampo neoliberista. Entrambi sono grandi sostenitori della Flat Tax, misura che Orban ha già introdotto in Ungheria e che Salvini spera di introdurre presto in Italia, Tria permettendo. Si tratta di un sistema di tassazione non progressivo adatto solo ai paesi in cui si vogliano intenzionalmente aumentare la diseguaglianza, tanto che sino ad oggi è stato introdotto solo in paesi post-sovietici, con il fine di creare una borghesia laddove non esisteva. Tutto ciò proprio in una fase storica in cui la diseguaglianza economica è alle stelle.

Quindi sarebbe forse meglio smettere di descrivere Orban e Salvini come pericolosi eversori para-fascisti, e vederli per quello che sono veramente: la giacchetta di salvataggio per un establishment di destra che spera di salvarsi, adottando una posizione più intransigente sul fronte immigrazione, sul modello della policy No Way del governo australiano, ma senza abbandonare la politica di austerità e il favoritismo verso ricchi e multinazionali. Insomma, cambiare tutto sulle politiche migratorie, per cambiare poco o niente sulla politica economica. Ma se lo schieramento opposto ai popolar/populisti di Salvini e Orban sarà quello ugualmente neoliberista ma “europeista” capitanato da Macron sappiamo già perfettamente chi vincerà.

Pedofilia, la lettera di Viganò

Pedofilia, la lettera di Viganò rischia di diventare un manifesto per i nemici di Papa Francesco

Pedofilia, la lettera di Viganò rischia di diventare un manifesto per i nemici di Papa Francesco

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Se monsignor Carlo Maria Viganò fosse stato nominato cardinale da Papa Francesco avrebbe scritto un durissimo atto di accusa contro Bergoglio chiedendone perfino le dimissioni? La domanda è più che legittima visto che quando, nel 2012, scoppiò lo scandalo Vatileaks 1 con la pubblicazione di alcuni documenti riservati di Benedetto XVI passati ai giornalisti dal suo maggiordomo, Paolo Gabriele, emerse proprio che Viganò era profondamente deluso per non essere diventato cardinale presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Delusione che, con l’elezione di Bergoglio, un Papa latinoamericano, si era tramutata nella speranza che quella porpora sarebbe finalmente arrivata per Viganò mandato, intanto, da Ratzinger nunzio a Washington.

Il durissimo atto di accusa del diplomatico vaticano rischia di diventare un vero e proprio “manifesto” di tutti coloro che nelle gerarchie ecclesiastiche sperano di archiviare presto questo pontificato. Il gesto del nunzio, infatti, rischia di essere emulato da quanti, cardinali e vescovi, coltivano una forte avversione verso Francesco e le sue scelte di governo. Viganò ormai non può più tornare indietro e può, dunque, diventare il regista di questi attacchi contro Bergoglio.

Molto fragile, per non dire goffa, è stata la campagna pro Papa messa subito in atto da coloro che, da tempo, si sono autonominati portavoce papali. Addirittura cercando di edulcorare le gravissime accuse di Viganò sostenendo che, nel 2013, Bergoglio sarebbe stato informato da lui soltanto, per usare un eufemismo, di abusi sessuali su maggiorenni da parte dell’ex cardinale di Washington Theodore McCarrick. Quasi come se già questi non fossero dei crimini gravissimi per lo più compiuti da uno dei massimi esponenti della Chiesa negli Stati Uniti. Tra l’altro nella sua lunga denuncia Viganò non precisa se abbia detto a Francesco che McCarrick era pedofilo come poi è emerso con chiarezza recentemente.

Ma il Papa non lo si difende certamente così. Lui stesso con i giornalisti che gli chiedevano un commento ha tagliato corto: “Leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così”.

Una risposta che ancora una volta ha dimostrato il grande equilibrio di Francesco che sul tema del contrasto alla pedofilia non deve prendere lezioni da nessuno. In oltre cinque anni di pontificato i suoi gesti, prima ancora delle sue parole, hanno reso sempre più concreta la linea della tolleranza zero sugli abusi sessuali su minori da parte di preti, vescovi e cardinali. Con una lunga e importante serie di mea culpa, come avvenuto anche durante il recente viaggio in Irlanda, e di incontri con le vittime dai quali il Papa ha tratto, come lui stesso ha affermato, tanti preziosi insegnamenti per il futuro.

Fa di certo molta tenerezza chi fino a ieri lodava gli “innegabili risultati di moralizzazione” attuati da monsignor Viganò e oggi lo condanna con estrema durezza. Il curriculum ecclesiastico del nunzio è di tutto rispetto e il giudizio che tanti suoi colleghi hanno sempre avuto di lui non è mai stato negativo. Anche quando, nel 2012, entrò violentemente in contrasto con l’allora Segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone. Nelle sue pagine c’è sicuramente tanto rancore, forse anche un sentimento di vendetta per non aver visto riconosciuti i suoi meriti e il suo servizio alla Santa Sede come avrebbe voluto. Ma c’è anche tanta sofferenza perché è difficile credere che un nunzio apostolico a 77 anni attacchi il Papa e la Chiesa a cuor leggero.

Chi lo condanna oggi crocifiggendolo nella gogna mediatica ne fa un martire più che un traditore. E ignora, o fa finta di ignorare, che Viganò ha almeno avuto il coraggio di metterci la faccia. Tanti cardinali e vescovi la pensano molto peggio di lui, ma si chinano ipocritamente a baciare la mano del Papa. Non a caso Francesco ha sempre ribadito che più che gli oppositori teme gli adulatori. Il rischio concreto è che la denuncia del nunzio sia l’inizio di Vatileaks 3, dopo la seconda edizione andata in onda proprio durante il pontificato di Bergoglio, nel 2015, con la pubblicazione di numerosi documenti riservati sulle finanze vaticane. Ma il Papa continuerà serenamente la sua opera di riforme. Nonostante gli oppositori e soprattutto gli adulatori.

Argentina e Turchia, la tempesta degli emergenti

TURBOLENZE VALUTARIE

Argentina e Turchia, la tempesta degli emergenti

Un uomo nel distretto finanziario di Buenos Aires (Reuters)
Un uomo nel distretto finanziario di Buenos Aires (Reuters)

Giornata al cardiopalma per i mercati valutari. Ieri il peso argentino è arrivato a perdere il 15% del suo valore: il crollo peggiore dal 2015, quando la moneta ha iniziato ad essere scambiata liberamente. Il tonfo ha costretto la Banca centrale dell’Argentina a un rialzo-monstre del costo del denaro, portato dal 15% al 60%. I mercati stanno reagendo alla richiesta, fatta dal presidente argentino Mauricio Macri al Fondo monetario internazionale, di accelerare l’esborso dei fondi previsti nel piano da 50 miliardi di dollari in tre anni accordato lo scorso 7 giugno.

A migliaia di chilometri di distanza, sull’altra sponda dell’Atlantico, la lira turca cola a picco dopo la fuga di indiscrezioni sull’addio del vicegovernatore delle banca centrale locale Erkan Kilimci. Il rumor ha scatenato un tracollo della valuta, arrivata a cedere il 4% del suo valore rispetto al dollaro. L’istituto è finito sotto nuove pressioni dopo la rielezione alla presidenza di Recep Tayyip Erdogan, sponsor di misure poco gradite ai mercati (come tagliare o tenere fermi i tassi di interesse anche a fronte di una brusca crescita dell’inflazione).

L’inaugurazione di Starbucks a Milano

IL DEBUTTO IN ITALIA

L’inaugurazione di Starbucks a Milano

Cade anche l’ultimo tabù di Starbucks: l’Italia. Il colosso americano delle caffetterie inaugura il 6 settembre il suo primo store a Milano, in piazza Cordusio, dopo mesi di battage pubblicitario su un debutto che fa la storia del brand di Seattle. Il vecchio manager della multinazionale, Howard Schultz, ama ricordare come il progetto dell’attuale catena (29mila negozi in tutto il mondo) sia stato ispirato proprio da un viaggio a Milano e dalla scoperta di una cultura del caffè del tutto estranea alle abitudini Usa.

Eppure fino ad oggi la Penisola era rimasta lontana dai radar del gruppo, intimorito dall’ingresso su un mercato così affezionato alle sue tradizioni. Nel frattempo il gruppo cresce e stimola la concorrenza, soprattutto sul mercato domestico degli States. Coca Cola ha appena acquisito per 3,9 miliardi di sterline la catena di caffetteria Costa, rispondendo così – indirettamente – all’accordo 7,1 miliardi di dollari fra la stessa Starbucks e Nestlé. Guerra del caffè in arrivo?