Escalation e migliaia di morti: ecco perché gli Usa non colpiscono la Corea del Nord

Escalation e migliaia di morti: ecco perché gli Usa non colpiscono la Corea del Nord

Esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud in territorio sudcoreano
Esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud in territorio sudcoreano

NEW YORK – I tamburi di guerra tornano a farsi sentire nella penisola coreana. Ma qualunque “opzione militare” esaminata e messa a punto dal Pentagono non può finora sfuggire a una tragica realtà che tiene l’America e il mondo in allarme: ogni tentativo di colpire Pyongyang, anche con attacchi “chirurgici” destinati a disinnescare i suoi programmi atomici, appare destinato a scatenare un conflitto senza precedenti per le ultime generazioni. Con un bilancio delle vittime stimato probabilmente in centinaia di migliaia di persone, tra la Corea del Sud e il Giappone che sono oggi nel mirino delle artiglierie e dei missili nordcoreani.

Bilancio inaccettabile
Un bilancio, insomma, inaccettabile per Washington e i suoi alleati e che è il simbolo della paralisi della crisi, un’impasse della quale l’amministrazione di Donald Trump non riesce a venire a capo. I generali americani impegnati in manovre militari di rappresaglia simbolica con Seul hanno dichiarato di essere pronti se necessario a marciare, indicando che solo «l’autocontrollo”» resta come barriera. Ma lo stesso Trump è tornato questa mattina a suggerire l’altra strada maestra per affrontare Pyongyang, quella politica e diplomatica che passa per la Cina, anche se finora non ha prodotto risultati apprezzabili.

Ecco i tweet presidenziali, diventati veri aforismi della politica estera statunitense: «Gli Stati Uniti hanno firmato alcuni dei peggiori accordi commerciali nella storia del mondo. Perché dovremmo continuare queste intese con Paesi che non ci aiutano?». La criptica domanda riceve una risposta che chiarisce il tutto dopo pochi minuti: «L’interscambio tra Cina e Corea del Nord è cresciuto di quasi il 40% nel primo trimestre. E pensare che la Cina aveva detto di voler lavorare con noi – ma dovevamo provarci!». Numeri a parte – la cifra riflette solo un mese di blocco cinese dell’import di carbone di Pyongyang, scattato il 26 febbraio – il messaggio politico sembra chiaro: Pechino non sta facendo abbastanza per contenere il pericoloso alleato nordcoreano e deve fare di più.

Trade between China and North Korea grew almost 40% in the first quarter. So much for China working with us – but we had to give it a try!

Trump in Europa per il G20
Poco dopo Trump è partito alla volta dell’Europa, dove nel fine settimana parteciperà a un cruciale vertice del G20 durante il quale la Corea del Nord sarà tra i tempi più caldi e dove vedrà il leader cinese Xi Jinping. «Faremo molto bene» al G20 ha detto a chi gli chiedeva quali sono le aspettative. Con Xi però non sarà facile trovare una comunanza di strategie: la principale preoccupazione cinese è quella di non de-stabilizzare Pyongyang e la penisola coreana.

Se i focolai di tensioni al summit internazionale non mancheranno – dalle divergenze sull’ambiente con gli alleati europei all’incontro con Vladimir Putin all’ombra di Siria, Ucraina e interferenze nelle elezioni americane – Pyongyang occupa il posto d’onore a causa del peggioramento continuo della crisi e alle sue implicazioni per l’Asia e il mondo. Il generale Vincent Brooks, capo delle forze armate americane in Corea del Sud, ha avvertito che «l’autocontrollo, che è una scelta, è tutto ciò che separa l’armistizio della guerra» riferendosi al cessate il fuoco che nel 1953 pose fine allo scontro aperto senza mai ufficialmente risolvere il conflitto nella penisola. Riferendosi a esercitazioni congiunte con la Corea del Sud ora effettuate, Brooks ha aggiunto che «siamo in grado di cambiare questa scelta quando riceviamo l’ordine. Sarebbe un grave errore per chiunque credere il contrario».

I timori dei generali Usa
In realtà, a fermare quell’indice sul grilletto è ben più che autocontrollo. È il conto, cortesia delle stesse forze armate statunitensi, delle vittime e delle devastazioni che una eventuale nuova guerra lascerebbe sul terreno. Un attacco a Pyongyang provocherebbe una reazione immediata di migliaia di batterie di artiglieria nordcoreane – ottomila capaci di 300.000 lanci in un’ora, tra le quali sistemi Koksan e lanciarazzi – piazzate nelle regioni di confine e puntate su Seul, città di dieci milioni di abitanti, a soli 50 chilometri della frontiera. Metà di tutta la popolazione del Paese vive in un raggio di 80 chilometri dal nemico, un’area dove Pyongyang ha minacciato un «mare di fuoco». Prima che americani e sudcoreani possano zittire simili arsenali, anche rapidamente con i loro sofisticati arsenali, la tragedia sarebbe compiuta.
Senza contare che Pyongyang dovrebbe avere a disposizione anche arsenali chimici e biologici e almeno una dozzina di bombe nucleari e missili che, prima ancora del recente test di ordigni intercontinentali alla radice dell’ultima escalation della tensione, potrebbero raggiungere non solo la Corea del Sud ma il Giappone. Lanci multipli potrebbero essere difficili da intercettare completamente dai sistemi di difesa anti-missilistica americani.

L’attacco simulato di Usa e Sudcorea in risposta a Pyongyang

Il precedente
L’ultima volta che il Pentagono ha seriamente considerato azioni militari contro Pyongyang, nel 1994, le ha rapidamente abbandonate. L’allora segretario alla Difesa William Perry, sotto il presidente democratico Bill Clinton, chiese un piano contro un reattore nucleare, archiviato all’ombra di possibili centinaia di migliaia di morti. Più di recente, nel 2012, un’analisi del Nautilus Institute for Security and Sustainability ha calcolato che una risposta nordcoreana su obiettivi militari ucciderebbe in poche ore forse tremila persone, una rappresaglia su target civili almeno 30.000. Le vittime salirebbero a 60.000 nel primo giorno intero di conflitto contro obiettivi bellici. Nel caso di una guerra totale alla popolazione civile le vittime potenziali potrebbero superare le 300.000 nel giro di pochi giorni. L’attuale Segretario alla Difesa James Mattis si è detto cosciente della posta in gioco nei mesi scorsi: «Sarebbe probabilmente il peggior conflitto della nostra vita».

Onu, duro scontro Usa-Russia su sanzioni 
Intanto al Consiglio di Sicurezza Onu è scoppiato durissimo il braccio di ferro tra Usa e Russia sulle sanzioni alla Nord Corea. L’ambasciatore di Mosca Vladimir Safronkov ha detto che «le sanzioni non risolveranno la crisi nordcoreana e non possono essere la soluzione». L’ambasciatrice Usa Nikki Haley, invece, ha risposto che «se la Russia non vuole sostenere misure più severe contro Pyongyang deve mettere il veto alla bozza di risoluzione» che presenterà nei prossimi giorni. Ma in questo caso, gli Stati Uniti «andranno per la loro strada».

Emma Bonino insiste: “Portano i migranti in Italia per colpa dei nostri accordi sbagliati con l’Europa”

Emma Bonino insiste: “Portano i migranti in Italia per colpa dei nostri accordi sbagliati con l’Europa”

“Sottoscrivendo le operazioni Triton e Sophia abbiamo congelato il diritto internazionale marittimo. Perché se un migrante sale su nave battente bandiera di uno Stato straniero, quello è lo Stato da considerarsi di primo approdo”

Emma Bonino insiste: 'Portano i migranti in Italia per colpa dei nostri accordi sbagliati con l'Europa'

“Su Dublino può anche avere ragione Renzi ma per la legge del mare, per il diritto internazionale marittimo se un migrante viene raccolto da una nave battente bandiera francese, per esempio, quel migrante si trova su territorio francese. Ma noi, ribadisco, abbiamo fatto altri accordi”. Emma Bonino insiste, non molla la presa. L’aveva detto un paio di giorni fa: “Il fatto che nel 2014 e nel 2016 abbiamo chiesto che il coordinatore fosse la Guardia costiera di Roma e che gli sbarchi avvenissero tutti in Italia è un dato assodato. Lo abbiamo chiesto noi, ripeto, violando Dublino” (il video).

Ad Emma Bonino, ha voluto replicare l’ex premier Matteo Renzi. Intanto, scaricando la responsabilità di Dublino ai governi di Silvio Berlusconi e di Enrico Letta: “Accettare il regolamento di Dublino del 2003 e del 2013 è stato un errore clamoroso”. Ma Dublino affronta solo la questione del diritto dei migranti di chiedere protezione umanitaria o asilo politico allo Stato che per primo ha accolto lo stesso migrante. Ribadisce Emma Bonino: “L’Italia, sottoscrivendo le operazioni Triton e Sophia ha voluto congelare il diritto internazionale marittimo. Bene ha fatto Laura Ravetto, presidente del Comitato Schengen, a ricordarlo. Se un migrante sale su nave battente bandiera di uno Stato straniero, quello è lo Stato da considerarsi di primo approdo del migrante”.

La situazione è complicata. Perché lunedì a Varsavia, alla riunione chiesta da noi con Frontex e gli Stati che partecipano alle missioni Triton e Sophia, chiederemo di rinegoziare le due missioni. Per cambiare i loro termini, abolendo per esempio la deroga al principio del diritto internazionale marittimo, occorre l’unanimità di tutti gli Stati. E dopo la riunione informale di Tallin sembra molto difficile raggiungere questo obiettivo.

Il segretario del Pd Renzi avverte l’Europa: “L’Italia non contribuirà a pagare i 20 miliardi al bilancio comunitario se i Paesi che si sono impegnati per l’accoglienza non lo fanno”. Commenta Emma Bonino: “L’ennesimo bluff. Minaccia di non pagare le quote nel 2019….”. Il nuovo Renzi si spinge dove finora non si era mai esposto il governo Gentiloni e il ministro dell’Interno, Marco Minniti: “Basta con il buonismo e il terzomondismo”.

Una posizione che sicuramente è legittima e anche di buon senso. Ma intanto è iniziato il week end e se le previsioni non sono sballate, saranno drammatiche. Si annunciano altri migliaia di migranti in partenza. Sapremo reggere all’urto di migliaia di sbarchi? Alla fine, questa vicenda si pone esattamente in questi termini: soccorso internazionale e accoglienza italiana. Noi siamo in una fase critica. E non è detto che riusciremo a superare la prossima emergenza. Per chi si volta dall’altra parte o fa finta di non capire, in fondo è una questione di numeri (Renzi propone il numero chiuso).

L’intercettazione in hotel che inguaia l’ex presidente del “Sole 24 Ore”

[Esclusiva] L’intercettazione in hotel che inguaia l’ex presidente del “Sole 24 Ore” Benedini. La procura sospetta una tangente per favorire la camorra

Le carte dell’inchiesta sul legame tra clan e corruzione che tiene insieme un personaggio di spicco dell’economia lombarda e una speculazione immobiliare voluta dal clan Mallardo. Ma il Gip nell’autorizzare un sequestro di 250 mila euro a Benedini e all’ex sindaco di Giuliano nega l’aggravante mafiosa: “Tre pentiti accusano ma non ci sono altri elementi”

[Esclusiva] L'intercettazione in hotel che inguaia l'ex presidente del 'Sole 24 Ore' Benedini. La procura sospetta una tangente per favorire la camorra

L’ex presidente del Sole 24 Ore, Benito Benedini, pagava tangenti per favorire la camorra. Lo sostiene la procura distrettuale antimafia di Napoli che gli ha appena sequestrato 250 mila euro, dopo averlo inscritto nel registro degli indagati con l’accusa di corruzione con l’aggravante del favoreggiamento esterno ad associazione mafiosa. Benedini avrebbe ammesso davanti agli inquirenti napoletani di essere il gestore di fatto di una società che a sua volta – secondo i pm – sarebbe collusa con il clan Mallardo. Scopo dell’affare era quello di dare corso ad una speculazione immobiliare nel territorio di Giuliano, in Campania. A intascare la tangente da 250 mila euro sarebbe stato l’allora sindaco del paese campano ed ex consigliere regionale, Giovanni Pianese.

L’intercettazione captata nell’hotel Vesuvio a Napoli

La prova regina, secondo la procura, è un’intercettazione ambientale captata all’interno dell’hotel Vesuvio a Napoli proprio tra Benedini e Pianese, durante un incontro avvenuto nel febbraio 2011. Un dialogo cruciale che è agli atti dell’inchiesta e che Tiscali.it è in grado di documentare. Eccolo. Benedini: “Ho risolto il problema, che la riguarda. Siccome ho fatto un affare ultimamente di cui una parte ho ancora, contanti che non sono rintracciabili… proprio… allora io posso disporli a chi vuole lei, come fossero i suoi. 250 mila di cui lei ne può fare… naturalmente con la dovuta cautela…”. Risponde Pianese: “Va bene, è chiaro”. Benedini: “Conti su questo, ok perfetto”. A questo punto sembra battere le mani per indicare che il discorso è chiuso. “Oltrettutto – prosegue Benedini – sono tranquillissimi. Arrivano, poi lei…”. Pianese: “La ringrazio per la disponibilità”.

Il capo d’accusa della Procura

La lottizzazione di un’area del Comune di Giugliano

Al centro delle indagini l’approvazione del piano di lottizzazione di una vasta area del Comune di Giugliano, nella zona di Lago Patria, denominata “ex Terre di Ferlaino”, ed oggetto di un progetto presentato dalla società Progetto Grano S.p.A., che di fatto sarebbe stata gestita da Benito Benedini. “In particolare, nell’ambito di più vaste indagini condotte dal Gico della Guardia di Finanza di Napoli sul clan Mallardo, veniva approfondita la procedura finalizzata a consentire la lottizzazione di questa vasta area insistente del territorio di Giugliano, e convenzionalmente denominata ex “Terre di Ferlaino” precisano i finanzieri.

“Pianese assicurava a Benedini diverse attività”

“Pianese – sostengono i pm – assicurava a Benedini diverse attività. Sollecitava una richiesta di accelerazione da parte dello stesso Benedini al Comune di Giugliano per l’approvazione del piano, assicurava l’approvazione della delibera definitiva, assicurava i| suo ausilio ai tecnici di Benedini per la predisposizione delle contro-deduzioni da assoggettare a delibera di Giunta Comunale, assicurava il monitoraggio della procedura sulle infrastrutture. Benedini (soprannominato il “principe dell’inchiostro” per aver guidato le attività europee dell’Inmont come vice presidente) è stato presidente di Cabefin SpA e del cda del Sole 24 Ore (dall’aprile 2013). Già presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro (dal 2007 al 2013), di Federchimica (da giugno 1993 a giugno 1997) e di Assolombarda (da giugno 1997 a giugno 2001). Oggi ha 82 anni, Benedini ed è uomo di fiducia del governatore lombardo Roberto Maroni. Resta un tutti un interrogativo: cosa lega un personaggio di spicco dell’economia lombarda come Benedini al clan Mallardo?

L’intercettazione chiave

Il gip nega l’aggravante mafiosa: “Tre pentiti accusano ma non ci sono altri elementi”

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli nell’accogliere la richiesta di sequestro della Procura alleggerisce la posizione di Pianese e Benedini negando l’esistenza del favoreggiamento alla camorra. Come si evince dall’estratto del documento.

Il bed & breakfast occulto, le minacce del clan e i lavori nel palazzo crollato.

Il bed & breakfast occulto, le minacce del clan e i lavori nel palazzo crollato. Dove era meglio stare zitti

“E’ il momento che i responsabili vengano allo scoperto” dice il parroco durante i funerali delle otto vittime. C’è una storia di silenzi e complicità da chiarire

Il magistrato Andreana Ambrosio sul luogo del crollo (Ansa)
Il magistrato Andreana Ambrosio sul luogo del crollo (Ansa)
Redazione Tiscali

“I passi di Dio nella nostra città li abbiamo sentiti, ma ci siamo nascosti. È il momento di venire allo scoperto; se ci sono persone responsabili, e in questo momento desidero rivolgermi proprio a loro, sarebbe un atto onorevole riconoscere le proprie colpe e dire ‘ho sbagliato, mi assumo le responsabilità'”. Così don Ciro Cozzolino, parroco della Santissima Trinità, a Torre Annunziata (Napoli), commentando dall’altare il crollo dell’edificio che ha provocato otto morti fra cui due bambini. Parole forti pronunciate nell’omelia davanti a numerosi fedeli presenti alla messa mattutina. “Di fronte a ciò che stiamo vivendo in queste ore, dentro di noi c’è una specie di senso di colpa per quello che avremmo potuto fare, dovuto fare e non abbiamo fatto” ha aggiunto. “Se il crollo fosse avvenuto nella zona sud per certi versi non ci saremmo meravigliati perché è veramente fatiscente. Ma qui è stato un pugno nello stomaco. Questa è Torre nord, fiore all’occhiello”. In queste ore c’è dolore “però questo pugno nello stomaco dovrebbe farci risvegliare dal sonno”. Nel mentre spuntano i retroscena del crollo che ha stroncato quelle vite.

“Fatti i fatti tuoi e stattene tranquillo”

”Un B&B occulto dietro il crollo. Torre Annunziata, la pista dei lavori di ristrutturazione all’ombra dei clan’ è il titolo dell’inchiesta del quotidiano Il Mattino che spiega il crollo dell’edificio nella città oplontina. Viene ricostruita la ‘storia’ dell’edificio, le procedure amministrative in relazione ai lavori in corso, alcune passaggi proprietari, con particolare attenzione al secondo piano, non crollato così come il primo. ”Lavori avviati da circa due mesi al secondo piano che negli ultimi tre giorni prima della tragedia si sono fatti più intensi” si legge nella ricostruzione. Appartamento ”venduto ad una famiglia nota in città per più motivi che, secondo più di una voce che ricorre nella cittadina vesuviana, aveva intenzione di farne un B&B”. E ancora: ”I lavori sarebbero partiti di gran lena, anche con martelli pneumatici. Ma come mai l’architetto Giacomo Cuccurullo, proprietario dell’attico all’ultimo piano ed esperto dipendente dell’Ufficio tecnico del Comune, non ha mai avuto sospetti su interventi che avrebbero potuto intaccare l’equilibrio del palazzo in tufo che abitava da una decina d’anni con la famiglia?”.

Per chi lavorava quell’impresa?

Lavori, secondo Il Mattino, ”eseguiti da una ditta su cui gli inquirenti hanno intenzione di verificare sospetti di eventuali legami indiretti con clan torresi. Dice Giosuè Starita, e sindaco di Torre Annunziata per 10 anni e avvocato: ‘C’è chi ipotizza contatti sospetti dell’impresa che effettuava i lavori al secondo piano. Elementi che potranno verificare con certezza solo gli inquirenti”. Starita sospetta anche ”la manomissione di ‘una putrella’ nei lavori al secondo piano. Il silenzio di Cuccurullo? Starita avanza un sospetto: ‘E se qualcuno gli avesse fatto capire che doveva farsi i fatti suoi e starsene tranquillo?”.

Salvatore e Francesca sono i due fratellini di 8 e 11 anni morti sotto il crollo, estratti per ultimi. Inchiesta della procura

L’ultimo saluto alle otto vittime

Pensieri e dediche alle ìvittime del crollo dell’edificio in via Rampa Nunziante a Torre Annunziata (Napoli) si leggono sugli striscioni e sui fogli di carta appesi ai muri di via Gino Alfani, a pochi metri dalla parrocchia della SS. Trinità, non lontano dal luogo della tragedia. “Vivrai per sempre nei nostri cuori, piccola guerriera”, “ora sarete gli angeli più belli. Torre piange per tutti voi”. E ancora, “sarai la stella più bella del paradiso, non smettere mai di brillare”, rivolto alla piccola Francesca (‘Chicca’). Tante le persone che, da ieri sera, stanno lasciando pensieri. Su un lenzuolo bianco, di fronte alla parrocchia, si legge ‘Dedicati a voi questi baci nel vento che arriveranno lì insieme ad altri 100″.

“La mafia perdente sfregia la memoria di Falcone perché ora comandano altri”

“La mafia perdente sfregia la memoria di Falcone perché ora comandano altri”

Attilio Bolzoni, uno dei più grandi giornalisti italiani esperti di mafia, ha commentato con Tiscali.it quanto accaduto a Palermo

'La mafia perdente sfregia la memoria di Falcone perché ora comandano altri poteri'
Giovanni Falcone
di Michael Pontrelli   –   Twitter: @micpontrelli

Palermo si accanisce contro uno dei simboli più importanti della lotta alla mafia: Giovanni Falcone. Nel quartiere Zen una statua del magistrato posta davanti ad una scuola primaria a lui intitolata è stata devastata. La testa mozzata e il busto usato come ariete contro un muro. Poche ore dopo un suo ritratto è stato bruciato davanti ai cancelli della scuola elementare Alcide De Gasperi.

(La testa mozzata e danneggiata della statua di Giovanni Falcone)

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Semplici atti di vandalismo? No. E il primo a chiarirlo è stato Leoluca Orlando. “La memoria di Falcone – ha affermato il sindaco del capoluogo siciliano – non potrà essere scalfita in nessun modo da alcuno. Proprio dalla sua memoria e dalla scuola, che con questo gesto è stata offesa, è iniziata la riscossa del popolo italiano e siciliano contro la mafia. Si è trattato di un atto vile da parte di chi tenta selvaggiamente di opporsi all’irreversibile cambiamento culturale, alla sempre più efficace opera di repressione e non si rassegna all’ inevitabile sconfitta”.

(Leoluca Orlando)

L’oltraggio alla memoria di Falcone per Orlando sarebbe dunque un gesto di debolezza di una mafia morente. E’ proprio così? Cosa Nostra sarebbe davvero con le spalle al muro? Lo abbiamo chiesto ad Attilio Bolzoni, uno dei più grandi giornalisti italiani esperti di mafia. Per Bolzoni la realtà coincide solo in parte con quanto dichiarato dal sindaco di Palermo. Il giornalista ha spiegato a Tiscali.it che “effettivamente la mafia rozza e violenta Corleonese è stata travolta dalla repressione ed oggi prova a farsi sentire colpendo la memoria di Falcone. Una mafiosità che non si arrende e che vuole far sapere a tutti che esiste ancora”. Ma, ha spiegato il giornalista, Cosa Nostra non è stata affatto sconfitta. La mafia rozza e violenta “è stata sostituita da un nuovo potere mafioso meno appariscente e sofisticato che unisce il centro della città delle banche, degli avvocati e dei commercialisti con le periferie degradate che forniscono la manovalanza”.

(Attilio Bolzoni)

La mafia dunque è ancora viva e vegeta. Ha semplicemente cambiato pelle ma non natura. Un potere criminale con cui bisogna fare i conti nonostante le dichiarazioni rassicuranti di Leoluca Orlando. E la testa danneggiata della statua di Giovanni Falcone, a 25 anni dalla terribile strage di Capaci, pur se opera di una mafia morente e perdente ce lo ha ricordato.

(Le terribili immagini della strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone) 

Riciclaggio, sequestrato 1 milione a Gianfranco Fini.

Riciclaggio, sequestrato 1 milione a Gianfranco Fini. Il post agghiacciante di Storace. Lui: “No comment”.

L’ex presidente della Camera si trincera nel silenzio, per lui parlano gli avvocati. Per il gip Simonetta d’Alessandro è “una vicenda dalle implicazioni inquietanti”. Storace, parole choc su Facebook

Riciclaggio, sequestrato 1 milione a Gianfranco Fini. Il post agghiacciante di Storace. Lui: 'No comment'.
di Redazione

“Non ho niente da dire. E’ sufficiente che legga il comunicato dei miei avvocati”. Con un laconico no comment Gianfranco Fini affronta l’ennesima bufera che si scatena sulla sua testa dopo la disposizione del sequestro preventivo, da parte del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (Sico) della Guardia di Finanza, di un milione di eurorelativo a due polizze vita del valore di 495 mila euro ciascuna, nell’ambito dell’indagine che ha portato in carcere l’imprenditore Francesco Corallo e nella quale lo stesso Fini e’ indagato per concorso in riciclaggio.

“Il provvedimento di sequestro non e’ diretto in prima persona nei confronti di Gianfranco Fini. Sono state sequestrate le polizze intestate alle figlie sulla base dell’incapienza del patrimonio che doveva essere oggetto di sequestro nei confronti di Giancarlo Tulliani”, affermano gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno, difensori dell’ex vicepremier ed ex ministro. Il provvedimento di sequestro, chiesto ed ottenuto dal pm Barbara Sargenti, sara’ “impugnato al Tribunale del Riesame, davanti al quale verra’ riaffermata l’assoluta estraneita’ dell’onorevole Fini ai fatti che gli sono contestati”, aggiungono gli avvocati.

Gli sviluppi dell’indagine: Fini al centro della vicenda

Il sequestro è scattato in seguito ad un approfondimento investigativo dell’indagine che già aveva portato, il 13 dicembre 2016, all’arresto di Francesco Corallo e dei suoi presunti sodali Alessandro La MonicaRudolf Theodoor,  Anna BaetsenArturo Vespignani e Amedeo Laboccetta, accusati di essere promotori e partecipi di un’associazione a delinquere a carattere transnazionale dedita ai reati di peculato, riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Il profitto illecito dell’associazione, oggetto di riciclaggio, una volta depurato, sarebbe stato impiegato da Corallo in attività economiche e finanziarie ed in acquisizioni immobiliari che hanno visto il coinvolgimento di membri della famiglia Tulliani, a loro volta indagati per riciclaggio e reimpiego e già destinatari, lo scorso 14 febbraio, di un provvedimento di sequestro del valore di 7 milioni di euro.Secondo gli inquirenti il sequestro di oggi trova fondamento nella “centralità progettuale e decisionale” assunta da Fini nella vicenda.

Il Gip: “Risvolti inquietanti in parte ancora da disvelare”

“Una vicenda dalle implicazioni inquietanti, il cui disvelamento pare, ad oggi, ancora solo embrionale, pur se foriero di imprevisti e piuttosto tumultuosi sviluppi”, lo scrive il gip Simonetta D’Alessandro nel decreto di sequestro di due polizze intestate a Gianfranco Fini per un valore complessivo di 1 milione di euro. Nel provvedimento il giudice scrive che Fini “concorrendo con i Tulliani nei rispettivi delitti contestati, puo’ essere destinatario del provvedimento ablativo in proprio nonche’ in virtu’ del principio solidaristico operante in materia, con riferimento ai reati commessi in concorso con Tulliani il cui patrimonio si e’ rivelato insufficiente a coprire valore del profitto illecito determinato”.

Il 10 aprile scorso, quando e’ stato sentito dai magistrati della Procura di Roma che lo avevano indagato per concorso in riciclaggio, Gianfranco Fini aveva negato ogni accusa, precisando come il suo coinvolgimento fosse “frutto delle false dichiarazioni rese da Amedeo Laboccetta (ex parlamentare, ndr) e delle millanterie di Giancarlo Tulliani (il cognato, ndr) nei confronti suoi e della sorella Elisabetta, per accreditarsi con Francesco Corallo”, il ‘re delle slot’. Adesso, a seguito della parziale ‘discovery’ di quell’atto istruttorio contenuto nel decreto di sequestro preventivo firmato dal gip Simonetta D’Alessandro di due polizze a lui intestate, si viene sapere che “quella negatoria di Fini e’ del tutto inverosimile”, per chi indaga, “ove si pensi al capo di imputazione contestato, vicenda cruciale e nevralgica, snodo essenziale, reato fondante dell’intera serie criminosa ricostruita”. Si tratta del riciclaggio attribuito all’ex presidente della Camera in concorso con Giancarlo ed Elisabeta Tulliani, titolari delle societa’ offshore Printemps, Timara e Jayden Holding: i tre, d’intesa, “mettevano a disposizione i conti correnti di queste societa’ per ricevere ingenti somme di denaro dal conto corrente acceso presso Fcib ed intestato alla societa’ offshore Dawn Properties riconducibile a Francesco Corallo su cui era delegato ad operare in qualita’ di director Rudolf Baetsen, con la consapevolezza della provenienza delittuosa (associazione, peculato), consentendo la realizzazione del segmento finale del flusso finale tra Italia, Olanda, Antille Olandesi, Principato di Monaco, Santa Lucia”.

Le parole choc dell’ex compagno di partito

 Dure parole contro Gianfranco Fini da parte di Francesco Storace. L’ex presidente della Regione Lazio ha infatti commentato con un post su Facebook il sequestro di circa 1 milione di euro all’ex presidente della Camera. “Se l’induzione al suicidio non fosse reato, suggerirei a Fini di spararsi.” scrive Storace. E prosegue: “Diceva di essere un coglione. Forse qualcosa di peggio‬”. Il commento è accompagnato da una foto di Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento Sociale Italiano da cui poi nacque Alleanza Nazionale, il partito guidato proprio da Gianfranco Fini.

BIMBO MORTO PER OTITE

BIMBO MORTO PER OTITE: L’OMEOPATA CHE LO CURAVA CREDEVA NELLA FINE DEL MONDO, NON NEGLI ANTIBIOTICI

Come riferisce “Il Corriere Adriatico”, il dottor Mecozzi “era un fervente credente, seguace del gruppo di preghiera del Roveto Ardente” che riteneva il mondo sarebbe finito nel 2008

Massimiliano Mecozzi in un'immagine pubblicata da 'La Nazione'

Massimiliano Mecozzi in un’immagine pubblicata da “La Nazione”
Redazione Tiscali

Francesco è morto a 7 anni sabato scorso, dopo due giorni di coma provocati dalle complicazioni di un’otite curata solo con farmaci omeopatici, i genitori hanno dato il consenso per l’espianto dei suoi organi che salveranno tre bambini e oggi, nell’ospedale di Ancona, è prevista l’autopsia. Questa è la cronaca, restano le domande quelle che si fanno tutti coloro che pensano che di otite forse non si possa morire nel 2017 in un paese civile. E una delle domande è: perché i suoi genitori, due commercianti di Cagli premurosi con Francesco come con gli altri due figli, hanno tardato tanto a portarlo all’ospedale, prima quello di Urbino, poi al presidio pediatrico ‘Salesi’ dove il piccolo ha trovato la morte?

Il nonno di Francesco denuncia l’omeopata Mecozzi

La risposta la dà il nonno di Francesco: “Il medico omeopata che aveva in cura mio nipote da 15 giorni, ha spaventato mia figlia e il marito; entrambi erano come paralizzati dalla paura. Per questo hanno aspettato prima di ricoverarlo in ospedale ad Urbino”, ha detto al sito del Resto del Carlino di Pesaro Maurizio O.. “Mia figlia e mio genero si fidavano di lui, perché anche in passato aveva già curato il piccolo con gli stessi metodi. Ma stavolta non avrebbero dovuto farlo, perché nonostante il peggioramento delle condizioni negli ultimi giorni, le febbri alte, due visite in studio e un video realizzato quando stavo entrando in coma, il dottor Mecozzi , che tra l’altro li ha costretti a scegliere tra il pediatra e lui, l’ha scoraggiata dal portare il bambino in ospedale. E quando l’ha fatto – continua il nonno del minore – era troppo tardi. Ora voglio che paghi”.

L’inchiesta della procura

Il nonno di Francesco intende quindi denunciare Mecozzi. Non gli basta l’indagine della procura di procura di Urbino che ha emesso nei confronti dell’omeopata un avviso di garanzia per concorso in omicidio colposo. Stesso avviso hanno però ricevuto madre e padre del piccolo, un provvedimento col quale si intende valutare le loro responsabilità ma pure proteggere gli altri due figli della coppia.

Francesco in una foto gentilmente concessa dal Corriere Adriatico

Perquisita le casa del medico: sequestrati farmaci, ricettari, telefoni

La procura di Urbino ha disposto la perquisizione nella casa del dottor Mecozzi, 54 anni, di Fano (Pesaro Urbino), considerato un luminare della medicina omeopatica, con una nutrita clientela che riceveva in due studi medici, uno a Pesaro, l’altro a Fano. I carabinieri hanno sequestrato farmaci, telefoni, computer e ricettari. Il dottor Mecozzi, sul quale pende ora anche un’inchiesta interna dell’Ordine del medici, seguiva il bambino da tre anni. Francesco era uno dei suoi numerosi piccoli pazienti, anche se, non risulta che avesse una specializzazione in pediatria e a tutt’oggi i medici del Salesi non sanno quali prodotti abbia somministrato. Della malattia del piccolo, sottoposto alle prime vaccinazioni, ma non al richiamo, non era stata neanche informata la pediatra di base.

La figlia di Mecozzi: mio padre non può ricevere

Il medico ora è irreperibile, ha staccato tutti i telefoni e si è rifugiato nel suo casolare di Villa Betti, tra Monteciccardo e Mombaroccio, protetto dalla sua famiglia: moglie e quattro figli. In particolare la giovane figlia fa da barriera a chiunque cerchi di carpire notizie e o impressioni: «Mio padre non può ricevere, non rilascia nessuna dichiarazione. Quando deciderà di parlare sarà lui a farsi vivo. Ma ora non insistete, non è il momento. Abbiate la sensibilità di capire quello che è successo. Grazie». Queste le parole raccolte dal Corriere Adriatico che ha spulciato nel passato del dottore per tentare di capire che tipo sia.

Un fervente credente

Mecozzi, originario di Roma dove si è laureato in Medicina nel 1996, è assai noto fra chi ha fatto la scelta dell’omeopatia. In base alle ricerche fatte dalla cronista Simonetta Marfoglia, viene descritto da chi lo conosce come un uomo religiosissimo, “anche se da collocare in frange di confine con la chiesa cattolica. Tanto da aver fatto parte in passato di gruppi di preghiera improntati a un forte misticismo come quello del Roveto Ardente, da tempo sciolto dopo essere stato al centro di un’inchiesta giudiziaria partita da Varese e conclusasi con un’archiviazione per le accuse di truffa e circonvenzione di incapace. Le cellule erano note proprio per la forte impronta mistica… lunghe sedute di preghiera di gruppo con imposizioni delle mani da parte di figure carismatiche”.

Aspettava la fine del mondo

Il gruppo del Roveto Ardente, che aveva conquistato pure diversi professionisti locali, tra loro anche il medico Mecozzi, si era fatto notare per qualche stranezza come matrimoni tra seguaci celebrati coi partecipanti vestiti alla maniera di Camelot e dei cavalieri della Tavola Rontonda, e aveva attratto pure le attenzioni della Digos. Il gruppo aveva inoltre “annunciato la fine del mondo per il 2008 e in tanti ci avevano creduto. Anche lo stesso medico, che per un periodo aveva deciso di lasciare la professione, già avviata con un discreto successo, per lavorare come magazziniere alle dipendenze di una catena della grande distribuzione”. L’apocalisse poi non arrivò e il Roveto Ardente pare si sia sciolto dopo la morte della sua leader. Così Massimiliano Mecozzi riprese la sua attività di medico, almeno fino alla morte del piccolo Francesco.

Presidente dell’Ordine: mai segnalazioni sul medico

”Convocherò il dottor Mecozzi nella sede dell’Ordine, come prevede la procedura, poi deciderò se aprire un provvedimento a suo carico, che porterò in Commissione disciplinare. La Commissione opera secondo un ventaglio di possibilità, che vanno dall’avvertimento alla censura, dalla sospensione alla radiazione dall’Ordine dei medici”. Il dottor Paolo Maria Battistini, oculista di Fano, è il presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Pesaro. Conosce bene Mecozzi, essendo stato segretario dell’organismo per 25 anni. ”So che all’Ordine non è mai arrivata alcuna segnalazione da parte di pazienti o familiari scontenti del suo operato, né alcuna denuncia”.

Mai iscritto all’elenco dei medici non convenzionali

Ora però il dottor Mecozzi è indagato per omicidio colposo. ”Non mi risulta – spiega Battistini – che il collega abbia mai trasgredito il codice deontologico, ma sarà la magistratura, alla quale assicuriamo piena collaborazione, a far luce su questa tragica vicenda”. Libero professionista, con una nutrita clientela in tutto il Pesarese, Mecozzi ”non ha mai voluto iscriversi nell’elenco dei medici che praticano la medicina non convenzionale, come l’omeopatia. Non so – spiega il presidente dell’Ordine – se per scelta personale o perché non aveva la specializzazione specifica”.

La cancellazione dall’Ordine dei medici e poi la riscrizione

Quattro anni fa Mecozzi ”aveva cancellato la sua iscrizione all’Ordine dei medici”. Era andato a lavorare come magazziniere, nonostante i tentativi di Battistini di dissuaderlo dal lasciare la professione. ”Cercai di convincerlo – ricorda l’oculista -, ma lui addusse motivi personali, e se ne andò”. Un anno fa la richiesta di reiscrizione, ”ovviamente accolta”. Poi la bufera di questi giorni, che rischia di travolgere anche l’intera branca dell’omeopatia, ”una disciplina riconosciuta, che non può essere criminalizzata. Anche se io – chiarisce l’oculista – preferisco la medicina tradizionale”. L’istruttoria dell’Ordine a carico di Mecozzi ”non sarà una vera indagine, che non ci compete. Finora peraltro non abbiamo ricevuto richieste di acquisizione di atti dalla procura di Urbino, anche se immagino che arriveranno, né esposti da parte dei familiari del bambino”.

“Ecco chi sono i giganti che inquinano l’ambiente”.

[Esclusiva] “Ecco chi sono i giganti che inquinano l’ambiente”. Le accuse choc della procura nazionale antimafia

Nella relazione annuale della Dna del procuratore Franco Roberti vengono citate due grandi inchieste che riguardano due gruppi energetici di primo piano: l’Eni e la Q8. Con un colpo di scena, l’ecomafia non esiste più

[Esclusiva] 'Ecco chi sono i giganti che inquinano l'ambiente'. Le accuse choc della procura nazionale antimafia
Un estratto della relazione della procura nazionale antimafia

L’ecomafia non esiste più. La frase potrebbe suscitare proteste e sbigottimento, ma è la realtà che da anni viene fotografata dalle inchieste e da chi si occupa della questione. Certo il termine, introdotto nei primi anni novanta da Legambiente, è stato efficace, in quella stagione, per indicare le infiltrazioni dei clan nei crimini ambientali, ma oggi è desueto oltre che fuorviante perché tende a immortalare una realtà criminale che ha assunto aspetti, connotati e tratti del tutto diversi.

Basta ecomafia, è criminalità ambientale

La conferma arriva dalla relazione della direzione nazionale antimafia nel capitolo dedicato all’argomento criminalità ambientale, firmato dal magistrato Roberto Pennisi. Ancor più degli anni scorsi, la relazione è chiarissima precisando che l’essenza del fenomeno non deve essere cercata: “nelle ingerenze della criminalità mafiosa nello specifico settore, bensì nelle deviazioni dal solco della legalità, per puro e vile scopo utilitaristico”. Nel settore del crimine ambientale bisogna parlare di delitti di impresa, continuare a parlare di ecomafia, tra l’altro, produce due effetti negativi. Da un lato continua ad assegnare al crimine organizzato un ruolo che non ha più se non marginalmente, ma soprattutto non indica la vera responsabile dei disastri consumati in questi anni e scoperti dagli inquirenti: l’impresa italiana.

Un estratto della relazione della procura nazionale antimafia

Eni e Q8

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E nella relazione vengono citate due grandi inchieste che riguardano imprese di primo piano: l’Eni e la Q8. Nel primo caso il riferimento è all’inchiesta della Procura di Potenza che contesta il traffico illecito di rifiuti ad alcuni dirigenti dell’azienda e nella relazione si legge: “L’impresa dopo aver tentato neutralizzare l’intervento repressivo con un tanto infondato quanto vano ricorso per riesame, ha alla fine manifestato la disponibilità ad effettuare interventi di adeguamento degli impianti, in termini tali da far sì che lo svolgimento della attività produttiva non si sostanziasse nella violazione della normativa ambientale”.

Nel secondo caso il riferimento è all’inchiesta della Procura di Napoli per la stessa tipologia di reato che ha portato anche al decreto di sequestro preventivo per equivalente della somma di euro 326.279.779,00 emesso dal Tribunale partenopeo. Le conclusioni della relazione sono nette: “Come può notarsi dalla lettura dei capi di accusa dell’una e dell’altra indagine si è trattata di aperta violazione della normativa ambientale da parte di veri e propri “giganti” nel settore delle fonti energetiche i quali, a dispetto del prestigio connesso alla loro posizione, non hanno esitato a porre in essere quelle condotte al solo scopo utilitaristico, ovverosia di risparmiare sulle spese per il corretto smaltimento dei loro rifiuti”.

Una storia di soldi e corruzione

Tutta la storia della gestione illegale dei rifiuti, della devastazione ambientale anche riferibile al caso campano e anche in presenza di infiltrazione dei clan è una faccenda di soldi. Se si torna indietro tutto iniziò con le dazioni di denaro a politici e funzionari compiacenti, corrotti in cambio delle autorizzazioni a scaricare. Allora come oggi. Nella relazione si legge: “Accanto a quello della corruzione, si utilizza il canale del riciclaggio che, insieme con quella, dà corpo all’ulteriore lato del “triangolo maledetto” (consorterie-corruzione-riciclaggio) che oggi caratterizza ogni seria attività criminale organizzata”.

Nella relazione si ricorda un particolare singolare che troppo spesso sfugge: il ritorno dei trafficanti di veleni, protagonisti del saccheggio campano, con nuovi abiti e completamente ripuliti. “In una situazione del genere non potrà né dovrà sembrare strano che al vertice di importanti realtà imprenditoriali – scrive il magistrato Pennisi – proclivi alla sistematica violazione delle norme ambientali, e che godono della simpatia di influenti potentati politici, compaiano personaggi allenatisi nella palestra campana degli anni ’80-90, che vide il ruolo attivo delle più agguerrite organizzazioni camorristiche”. Un aspetto che imporrebbe alla commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti di scrivere un documento dettagliato sulle imprese che inquinarono e si arricchirono in quegli anni e capire quali continuano, oggi, a operare in questo settore. Documento che, nonostante l’importanza del tema, viene sempre rimandato. I clan ci sono ancora nel settore, soprattutto in Calabria e in Sicilia, ma con l’inserimento nel settore legale gestendo, attraverso aziende collegate, i servizi di raccolta dei rifiuti.

Un estratto della relazione della procura nazionale antimafia

I reati aumentano al Nord

Anche il numero delle iscrizioni nel registro degli indagati per traffico illecito di rifiuti spiega bene le caratteristiche del fenomeno. I dati sono chiari: aumentano le iscrizioni nel nord del paese e restano invariate al sud. Il ciclo illegale, quindi, resta nellostesso territorio di produzione dei rifiuti. I rifiuti vengono prodotti al nord e smaltiti illegalmente al nord. Il finale è sconfortante, ma fotografa il disastro: “Cresce, quindi, la patologia delle imprese deviate, ma anche quella connessa alla scarsa attività di prevenzione, quando addirittura non si verifichino connivenze tra imprese ed organi preposti alla vigilanza”.

L’Italia distrutta dalle fiamme, ecco chi sono i colpevoli del disastro.

[L’inchiesta] L’Italia distrutta dalle fiamme, ecco chi sono i colpevoli del disastro. E i numeri dello scandalo

La Sicilia, con ben 13.052 ettari di boschi e vegetazione andati distrutti non ha nemmeno un mezzo come le Marche. La Campania ha dimezzato la sua flotta, da 10 del 2007 ai 5 di oggi. Regioni virtuose il Lazio che da 7 del 2007 è arrivata a 10 di oggi, e la Sardegna che dai 5 del 2007 è passata ai 12 di oggi

Italia distrutta dalle fiamme, ecco chi sono i colpevoli

Sono loro i colpevoli. Le Regioni ritardatarie, incapaci di programmare gli interventi, di investire sul territorio. Il caldo e la siccità certo non aiutano. Anzi. Ma sono colpevoli anche i Comuni che non riescono a stilare il Catasto delle aree percorse dal fuoco. E bisogna aggiungere le inadempienze statali che creano una gran confusione su chi deve fare cosa, all’indomani della fusione del Corpo forestale nell’Arma dei Carabinieri.

È vergognoso che nella Regione dove (fonte dati Legambiente) si sono sviluppati in questi primi mesi del 2017 il maggior numero di incendi, la Sicilia, con ben 13.052 ettari di boschi e vegetazione andati distrutti, è vergognoso appunto che la Sicilia non abbia sottoscritto ancora nessuna Convenzione o contratto per avere a disposizione neppure un elicottero antincendio.

Sono loro sul banco degli imputati. I responsabili morali dei (primi) due morti calabresi per le fiamme (ieri e oggi). È proprio desolante assistere in queste ore a una Caporetto dello Stato.

“Come sempre quando le tempeste sono gravi – commenta uno storico ambientalista, Ermete Realacci, deputato Pd – sono perfette. Caldo estremo e siccità insieme provocano disastri. Nelle scorse settimane il Portogallo ha vissuto giorni drammatici e ha pianto decine di morti, per gli incendi. Ma non è concepibile essere colti dalla disattenzione. Le competenze oggi sono in gran parte delle Regioni e le Regioni si sono fatte trovare impreparate, non avendo ancora – alcune – firmato convenzioni e contratti per i mezzi aerei antincendi”.

Quella sgradevole sensazione che avevamo già espresso ieri sulla impreparazione di fronte all’emergenza incendi, purtroppo trova conferme autorevoli. Dall’ufficio stampa del dipartimento della Protezione civile arrivano alcuni numeri sconfortanti che confermano il giudizio severo di Realacci: “Nel 2007 le Regioni nel loro complesso avevano sottoscritto Convenzioni o contratti per 72 mezzi aerei (elicotteri soprattutto). Nel 2012 il numero era arrivato a 80. Oggi la somma delle flotte regionali arriva ad appena 58”.

Insomma in dieci anni registriamo un saldo negativo del 25%.

Sempre la Protezione civile: “In particolare la Sicilia è passata dagli 8 del 2007, 9 del 2012 al nulla di oggi. Come nessuno ne ha le Marche che nel 2007 ne aveva uno. La Campania ha dimezzato la sua flotta, da 10 del 2007 ai 5 di oggi. Regioni virtuose il Lazio che da 7 del 2007 è arrivata a 10 di oggi, e la Sardegna che dai 5 del 2007 è passata ai 12 di oggi”.

Quando arrivano le richieste di aiuto dalla periferia, la Protezione civile deve valutare dove inviare i mezzi di soccorso, disponendo di una flotta di Stato di 41 Canadair ed elicotteri. Un numero che non si discosta dai 43 del 2013, quando raggiungemmo il massimo numero disponibile di veicoli antincendio. Mentre il minimo storico lo abbiamo registrato nel 2013 (appena 18 mezzi) per i tagli del governo Monti.

La causa dei tagli, per un sindacalista della ex Forestale, “sta nei tagli del Patto di stabilità che in dieci anni ha ridotto del 50% la disponibilità di risorse per la manutenzione dei mezzi. E con il blocco del turnover il personale si è ridotto ed è invecchiato”.

Saranno invecchiati i volontari, i vigili del fuoco, gli ex forestali. Ma sono «bravi e generosi» e ieri sera hanno messo in salvo dieci persone tra San Leucio e Vaccheria, in provincia di Caserta, con i fuoristrada.

Il dossier di Legambiente è impressionante. In sei mesi appena sono andati distrutti oltre 26.000 ettari di superfici boschive, quasi tante quanto andarono a fuoco in tutto il 2016. Un altro aspetto critico è che le Regioni sono in forte ritardo nel varare il piano anti incendio boschivo. La Campania e il Lazio non lo hanno ancora provato, la Sicilia è la Calabria, solo in parte.

Nella classifica degli incendi di queste settimane, dopo la Sicilia si piazza la Calabria (5.826 ettari a fuoco), la Campania, il Lazio, la Puglia e la Sardegna (496 ettari).

Per far convincere i dubbiosi sull’emergenza di queste settimane, basta un raffronto: nel 2007, un anno tragico per gli incendi, arrivarono 722 richieste di impiego della flotta aerea nazionali, nel 2012, 458. Nei primi sei mesi e passa del 2017 ben 769.

Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente non è per nulla sorpreso di questa emergenza. Se l’aspettava. “Era facile prevederlo per l’inefficienza delle Regioni e dei comuni – attacca – e per la mancata riorganizzazione delle competenze dopo la fusione del Corpo forestale con l’Arma dei carabinieri. Le Regioni più colpite sono quelle che presentano i maggiori ritardi nell’approvazione dei Piani antincendi regionali.

Alcune lo hanno fatto tra maggio e giugno altri ancora no. Sono inadempienze inaccettabili”.

La legge del 2000 stabilisce che sui terreni incendiati per dieci anni non si possa più costruire, fare il pascolo e procedere al rimboschimento. “Una legge chiarissima – spiega Ciafani – che colpisce quell’industria della catastrofe che si muove dietro gli incendi. Solo che per essere efficace, la legge, i comuni devono procedere con il Catasto delle aree percorse dal fuoco. Ma il Catasto o non esiste o non viene aggiornato”.

E infine, con la fusione della Forestale dell’Arma dei Carabinieri, le competenze dovrebbero essere redistribuite con i Vigili del Fuoco. Ma ad oggi, mancano alcuni decreti attuativi.

Il Salvini tradito

Il Salvini tradito finito sul giornale di Berlusconi e le battute del Cavaliere. I cattivi pensieri del popolo leghista con i precedenti di Fini e Marrazzo

“Chi”, settimanale ad alta tiratura diretto da Alfonso Signorini, è il giornale che viene chiamato negli ambienti di Arcore “la risorsa”

Il settimanale Chi pubblica nel numero in edicola da mercoledì 12 luglio le immagini eccezionali di un tradimento clamoroso: quello della conduttrice Rai Elisa Isoardi, fidanzata da un anno e mezzo con il leader della Lega Matteo Salvini mentre bacia appassionatamente un ragazzo a Ibiza. Si tratta di Matteo Placidi, avvocato ben inserito nella movida dell’isola. Fino a pochi giorni fa la conduttrice pubblicava sui social foto e dediche per il suo compagno insieme al quale era andata al concerto di Vasco Rossi a Modena.

Dicono i bene informati che mercoledì 12 il giorno stesso che il settimanale Chi ha lanciato in copertina lo scoop dell’estate – ossia il bacio “traditore” fra la conduttrice tv Elisa Isoardi e l’avvocato Matteo Placidi – Silvio Berlusconi avrebbe usato parole forti verso il fidanzato ufficiale della signora, il leader della Lega Matteo Salvini. A tavola con Gianni Letta e Licia Ronzulli, il Cavaliere sgranocchiando un riso Venere innaffiato da acqua minerale, avrebbe addirittura definito Salvini un “povero Cristo” che si sarebbe trovato ad avere a che fare con una brutta storia di tradimento. Nessuno può confermare d’aver sentito Silvio Berlusconi pronunciare quelle parole anche se gli ospiti presenti al pranzo romano spiegano, diplomaticamente, che chiunque, avendo sottomano il magazine diretto da Alfonso Signorini con quel bacio appassionato diluito in tutte le salse lungo 5 pagine di servizio, avrebbe pensato o detto le stesse cose. “Non ci credo che Silvio ha detto questa roba, certo potrebbe essere nervoso con me per altri motivi, ma arrivare a tanto, no. Berlusconi, per come lo conosco io, è una persona perbene”. Sapete chi ha pronunciato la difesa d’ufficio del Cavaliere proprietario del giornale che, scusate il francesismo, lo ha “svergognato” facendo esplodere il popolo del web al grido “lasciala, la Isoardi non ti merita”?

La copertina di Chi sarebbe stata una “vendetta” politica

Ebbene, come Tiscali.it è  in grado di rivelare in esclusiva, a smentire la tesi assai in voga nelle scorse ore – cioè che la copertina di Chi sarebbe stata una “vendetta” politica di una certa parte di Forza Italia contro il crescente consenso della Lega – è stato lo stesso Salvini. Il leader della Lega è apparso nella girandola dei comizi che lo hanno visto protagonista nelle ultime 48 ore – da Ladispoli a Todi fino all’hinterland milanese- molto tranquillo. Troppo, per un uomo innamorato che appena 3 settimane fa si é fatto immortalare con la bellissima compagna Elisa al concertone di Vasco Rossi al Modena Park. Facciamo allora chiarezza raccontandovi ciò che sappiamo. Intanto, le foto non sarebbero recentissime ma risalirebbero al periodo (tardissima primavera) in cui il vulcanico Salvini era stato paparazzato in pista al Papeete Beach della Coast romagnola insieme ad una misteriosa bionda. Amica occasionale la tipa che ballava con Matteo in discoteca, amico a cui concedere un’effusione vivace, il Matteo 2 incontrato dalla Isoardi ad Ibiza. Come dire, zero a zero, palla al centro.

Salvini: “Non c’è nulla da dire”

Raggiunto telefonicamente da noi, il numero uno della Lega nega qualsiasi commento sulla vicenda. “Grazie, ma non c’è nulla da dire” precisa. Ai collaboratori che lo hanno seguito nel tour di comizi, invece, Salvini ha spiegato che, non essendoci nulla di grave, l’atteggiamento migliore da adottare per smorzare gli inutili pettegolezzi è appunto il silenzio-stampa. Pragmatico, Matteo 1, avrebbe già chiarito ogni cosa con la sua splendida fidanzata scegliendo di comune accordo con lei di far passare la buriana per cancellare ogni traccia della tempesta mediatica (costruita ad arte o meno). “Anche se siete incavolati” avrebbe detto ieri sera dopo il comizio ai militanti leghisti che lo seguono dovunque “non vale la pena regalare il vostro tempo alla rabbia. I giorni sono troppo brevi, godetevi il buono ed il vero quando li avete fra le mani”. Oltre la pacatezza del Salvini, peró, fioriscono leggende metropolitane difficili da smentire soprattutto perché trovano fondamento in vicende o personaggi che sono appena passati alla storia del magazine mondadoriano.

Chi viene chiamato negli ambienti di Arcore “la risorsa”

Chi, settimanale ad alta tiratura diretto da quella volpe di Alfonso Signorini, è il giornale che in gergo viene chiamato negli ambienti di Arcore “la risorsa”. Berlusconi disse una sera a cena che l’archivio di “Alfo” (così lo chiama affettuosamente la figlia del Capo, Marina) era pari a quello del tabloid inglese The Sun che avrebbe foto destinate a far tremare ancora adesso la Regina Elisabetta & Buckingham Palace al gran completo. Battute divertenti, anche perché la “risorsa” come ha confidato in un salotto l’amministratore delegato Ernesto Mauri si riferisce ai profitti che il settimanale produce. Secondo Mauri, Signorini non é solo bravo a dirigere “Chi” ma avrebbe dato anche l’idea del nuovo magazine “Spy” affidato a Massimo Borgnis che sta sbancando, dopo pochi numeri, in edicola. I maligni non sono convinti di questa ipotesi. Dicono: fateci caso, quando Gianfranco Fini lasciò la moglie Daniela Di Sotto per vivere l’amore con Elisabetta Tulliani, nessuna foto venne fuori finché l’ex presidente della Camera ruppe ufficialmente con il Cavaliere. Durante il periodo bello fra i due, solo servizi posati dedicati ad esaltare il senso di Fini per la famiglia (la nuova, ovviamente non la prima composta da lui, Daniela & dalla primogenita Giuliana), estrema delicatezza anche nel trattare la news della nascita della seconda figlia (la prima avuta dalla Tulliani): l’incarico fu affidato a Renata Polverini che fu la sola ad aver accesso alla clinica dove erano ricoverate la partoriente con la neonata. Dopo la frattura con il Cavaliere, è stata tutta un’altra storia. Così come successe nell’autunno del 2009 con l’ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo che fu coinvolto in una triste storia di trans & cocaina. Le foto – prima ancora che fossero pubblicate- finirono sul tavolo del direttore di Chi. L’uso politico del giornale non è   tuttavia dimostrato.

I leghisti: “Vogliono screditare Matteo perché il Cavaliere ha paura”

Personalmente poi non ci credo, anche perché avendo lavorato con Signorini conosco la sua deontologia professionale più limpida di quanto possano dire i nemici, i maligni o semplicemente i “rosiconi” invidiosi del travolgente successo di Alfonso. Chi crede invece fermamente senza “se” o senza “ma” alla tesi della vendetta nel caso del presunto tradimento di Elisa Isoardi ai danni di Salvini è il popolo leghista. A margine della manifestazione di ieri, infatti, molti hanno fatto notare che lo scoop destinato a sminuire il loro leader è arrivato dopo che tre autorevolissimi sondaggi hanno evidenziato il “sorpasso” della Lega su Forza Italia. “Vogliono screditare Matteo perché il Cavaliere ha paura di lui” sentenzia Giorgio Benatti, leghista della prima ora, nato proprio a Pontida, patria del partito “Salvini é giovane, sincero, piace agli italiani. Sarebbe un fantastico premier perció va distrutto prima che cresca troppo”. Matteo Salvini, ha appena finito il comizio dunque capta le parole pronunciate ad alta voce dall’anziano militante, presta attenzione al tono poi ride divertito. Verosimile, segretario? “L’unica cosa certa sono i dati dei sondaggi, quelli sí. Sono ottimi per noi, al resto, ai complotti, non ci credo”. La verità spesso, secondo Salvini, é più semplice, quasi banale.  Eccolo allora il leader mentre stringe mani, riceve baci, complimenti, incoraggiamenti dai “suoi” che lo vogliono davvero – presto – premier. Che succederà domani, nessuno lo può sapere con certezza, ma chi conosce Elisa, giura che la splendida luna “postata” da Salvini sul suo straseguito profilo social sia dedicata proprio a lei. Se i due si amavano al concerto di Vasco – entrambi si sono commossi ascoltando le canzoni del cuore come Albachiara o Come le favole- come potrebbero aver smesso di amarsi “soltanto” venti giorni dopo?