“È tempo di riparare la Terra”.

 L’appello del Papa per una decrescita consapevole

Messaggio di Bergoglio per la Giornata per la cura del creato. Appello a intervenire sui disastri climatici, contro la “avidità sfrenata dei consumi”, per “stili di vita più semplici e sostenibili”, per “cancellare il debito dei Paesi più fragili”

ALBERTO PIZZOLI VIA GETTY IMAGES

 ”È tempo di riparare l’armonia originaria della creazione”, “restituire alla Terra il riposo che le spetta”, “cancellare il debito pubblico dei Paesi più fragili” piegati dalla pandemia. Lo sostiene Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, un messaggio denso di contenuti ambientali e sociali che delineano la via per una decrescita consapevole.

“Rinnovo il mio appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili alla luce dei gravi impatti delle crisi sanitarie, sociali ed economiche che devono affrontare a seguito del Covid-19. Occorre pure assicurare che gli incentivi per la ripresa, in corso di elaborazione e di attuazione a livello mondiale, regionale e nazionale, siano effettivamente efficaci, con politiche, legislazioni e investimenti incentrati sul bene comune e con la garanzia che gli obiettivi sociali e ambientali globali vengano conseguiti”.

Nel messaggio, Francesco invita a “ristabilire relazioni sociali eque, restituendo a ciascuno la propria libertà e i propri beni, e condonando i debiti altrui”. “Non dovremmo dimenticare la storia di sfruttamento del Sud del pianeta – prosegue – che ha provocato un enorme debito ecologico, dovuto principalmente al depredamento delle risorse e all’uso eccessivo dello spazio ambientale comune per lo smaltimento dei rifiuti”. ”È il tempo di una giustizia riparativa”, aggiunge il Pontefice.

Bergoglio invita a “trovare stili equi e sostenibili di vita, che restituiscano alla Terra il riposo che le spetta, vie di sostentamento sufficienti per tutti, senza distruggere gli ecosistemi che ci mantengono”. Per il Papa, “l’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili. La crisi, in un certo senso, ci ha dato la possibilità di sviluppare nuovi modi di vivere”.

Da sempre attento ai temi dell’ambiente, il Pontefice sottolinea l’urgenza di rispettare gli accordi di Parigi per evitare “una catastrofe”. “Il ripristino di un equilibrio climatico è di estrema importanza, dal momento che ci troviamo nel mezzo di un’emergenza. Stiamo per esaurire il tempo, come i nostri figli e i giovani ci ricordano. Occorre fare tutto il possibile per limitare la crescita della temperatura media globale sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi, come sancito nell’Accordo di Parigi sul Clima: andare oltre si rivelerà catastrofico, soprattutto per le comunità più povere in tutto il mondo. In questo momento critico è necessario promuovere una solidarietà intra-generazionale e inter-generazionale. In preparazione all’importante Summit sul Clima di Glasgow, nel Regno Unito (COP 26), invito ciascun Paese ad adottare traguardi nazionali più ambiziosi per ridurre le emissioni”.


“È tempo di riparare la Terra”. L’appello del Papa per una decrescita consapevole

Messaggio di Bergoglio per la Giornata per la cura del creato. Appello a intervenire sui disastri climatici, contro la “avidità sfrenata dei consumi”, per “stili di vita più semplici e sostenibili”, per “cancellare il debito dei Paesi più fragili”

ALBERTO PIZZOLI VIA GETTY IMAGES

 ”È tempo di riparare l’armonia originaria della creazione”, “restituire alla Terra il riposo che le spetta”, “cancellare il debito pubblico dei Paesi più fragili” piegati dalla pandemia. Lo sostiene Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, un messaggio denso di contenuti ambientali e sociali che delineano la via per una decrescita consapevole.

“Rinnovo il mio appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili alla luce dei gravi impatti delle crisi sanitarie, sociali ed economiche che devono affrontare a seguito del Covid-19. Occorre pure assicurare che gli incentivi per la ripresa, in corso di elaborazione e di attuazione a livello mondiale, regionale e nazionale, siano effettivamente efficaci, con politiche, legislazioni e investimenti incentrati sul bene comune e con la garanzia che gli obiettivi sociali e ambientali globali vengano conseguiti”.

Nel messaggio, Francesco invita a “ristabilire relazioni sociali eque, restituendo a ciascuno la propria libertà e i propri beni, e condonando i debiti altrui”. “Non dovremmo dimenticare la storia di sfruttamento del Sud del pianeta – prosegue – che ha provocato un enorme debito ecologico, dovuto principalmente al depredamento delle risorse e all’uso eccessivo dello spazio ambientale comune per lo smaltimento dei rifiuti”. ”È il tempo di una giustizia riparativa”, aggiunge il Pontefice.

Bergoglio invita a “trovare stili equi e sostenibili di vita, che restituiscano alla Terra il riposo che le spetta, vie di sostentamento sufficienti per tutti, senza distruggere gli ecosistemi che ci mantengono”. Per il Papa, “l’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili. La crisi, in un certo senso, ci ha dato la possibilità di sviluppare nuovi modi di vivere”.

Da sempre attento ai temi dell’ambiente, il Pontefice sottolinea l’urgenza di rispettare gli accordi di Parigi per evitare “una catastrofe”. “Il ripristino di un equilibrio climatico è di estrema importanza, dal momento che ci troviamo nel mezzo di un’emergenza. Stiamo per esaurire il tempo, come i nostri figli e i giovani ci ricordano. Occorre fare tutto il possibile per limitare la crescita della temperatura media globale sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi, come sancito nell’Accordo di Parigi sul Clima: andare oltre si rivelerà catastrofico, soprattutto per le comunità più povere in tutto il mondo. In questo momento critico è necessario promuovere una solidarietà intra-generazionale e inter-generazionale. In preparazione all’importante Summit sul Clima di Glasgow, nel Regno Unito (COP 26), invito ciascun Paese ad adottare traguardi nazionali più ambiziosi per ridurre le emissioni”.

La Cina riconosce Biden.

Ci sarà meno conflittualità, ma cambierà poco

Sarebbe un errore credere che le relazioni degli Usa con Pechino torneranno allo status quo pre-Trump

ANSA FOTO
Usa/Cina

Con Biden alla Casa Bianca la politica statunitense nei confronti della Cina è destinata a cambiare. Ma non troppo. Di fronte alla potenza di fuoco economica sui mercati e alla capacità tecnologica della Cina in crescita, e alla necessità di confrontarsi con un’agenda politica sempre più assertiva a Pechino, la gestione delle questioni bilaterali sarà centrale per la politica estera americana sotto la guida democratica. In questo senso, molte cose sono già chiare.

In primo luogo, le politiche di Biden saranno meno conflittuali. Dobbiamo aspettarci che l’accesa retorica e il bullismo dell’era Trump si attenui e che il discorso sul disaccoppiamento svanisca. La guerra commerciale, attualmente in pausa, potrebbe anche essere ritardata mentre il team di Biden sta già riconsiderando la strategia tariffaria degli ultimi quattro anni.

Indicazioni positive, ma sarebbe un errore credere che, in una presidenza Biden, le relazioni USA-Cina torneranno allo status quo pre-Trump. Sotto il presidente Barack Obama, gli Stati Uniti stavano già perdendo la pazienza, e lo si era visto chiaramente con le restrizioni al commercio e agli investimenti in Cina varate da quella amministrazione. Trump ha portato il confronto a un nuovo livello, allo scontro aperto, con la sua guerra commerciale, le restrizioni sugli investimenti cinesi in entrata e il controllo delle attività cinesi nei campus statunitensi. In questo modo, Trump ha esteso la portata del conflitto con Pechino oltre il commercio e gli investimenti convenzionali, con una crescente attenzione alla sicurezza nazionale e al confronto geopolitico. Alla sua agenda The Donald ha aggiunto le tecnologie considerate spionistiche di Huawei, le catene di approvvigionamento sicure e il disaccoppiamento sistemico.

Anche se le relazioni politiche tra le due superpotenze sicuramente miglioreranno, questi problemi non scompariranno. A Washington, infatti, c’è una notevole sintonia tra le due parti – democratici e repubblicani – sul fatto che una linea più dura con la Cina sul commercio e l’accesso al mercato vada perseguita senza tentennamenti. E anche se in molti hanno messo in discussione l’efficacia delle strategie tariffarie dell’amministrazione Trump, in realtà c’è un ampio sostegno in quella direzione. Basti pensare alla legislazione approvata nel 2018, che ha aumentato l’autorità della commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, dotandola del potere di rivedere gli investimenti in entrata per scopi di sicurezza nazionale – stimolata dalla preoccupazione per l’accesso della Cina a tecnologie sensibili – che ha avuto un sostegno bipartisan.

Altre questioni estremamente delicate, poi, come la resistenza della Cina all’indagine internazionale sulle origini del coronavirus, le sue politiche riguardo agli uiguri, la sua attività nel Mar Cinese Meridionale e le mosse per limitare la libertà di espressione a Hong Kong, restano sul piatto e lo stesso governo cinese non si fa illusioni su questi temi, come ha spiegato molto bene, nei giorni scorsi, un’editoriale del giornale voce del Partito Comunista Cinese al potere, il Global Times.

Non è un caso, del resto – e se ne sono accorti subito a Pechino – che una delle primissime mosse di Biden quale presidente eletto sia stata quella di chiamare, giovedì, i leader di Corea del Sud, Giappone e Australia, per enfatizzare la disponibilità alla collaborazione americana al mantenimento della pace nell’area del Mar Cinese Meridionale, oggetto delle ambizioni territoriali della Cina e al centro di una disputa con Pechino sempre sul filo del rasoio, che da tempo mostra tutte le potenzialità di sfociare in un confronto militare aperto con le altre parti in causa: Taiwan, Vietnam, Filippine e anche la stessa Australia. Uno scenario estremamente preoccupante nel quale, Biden lo ha fatto chiaramente intendere, gli Stati Uniti non potrebbero restarsene alla finestra a guardare. E infatti ha voluto subito rassicurare Tokyo sul fatto che l’America sotto il suo comando rispetterà senza esitazioni il trattato di sicurezza e cooperazione militare firmato tra le due nazioni.

Il risultato è che un’amministrazione Biden non sarà sicuramente tenera con la Cina e alla fine non si allontanerà troppo dal tavolo che Trump ha allestito in questi quattro anni. La preoccupazione per le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti cinesi nelle aziende tecnologiche statunitensi continuerà, così come il controllo delle attività cinesi nei campus americani, la pressione su Hong Kong e il sostegno a Taiwan.

Le tensioni pregresse sull’accesso al libero mercato rimarranno sul tavolo, così come la ferma critica statunitense agli effetti distorsivi delle sovvenzioni statali cinesi e la loro incompatibilità con gli impegni presi dalla Cina al momento del suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Hong Kong resterà una spina nel fianco, anche se il neo presidente gestirà quest’ultimo tema – delicatissimo e particolarmente urticante per Pechino – con molta meno animosità e sovrapposizione retorica, rispetto alle sparate di Pompeo.

In generale, nei confronti dell’antagonista cinese, il suo approccio sarà meno unilaterale e più multilaterale – utilizzando molto più di Trump le istituzioni internazionali, e costruendo accordi con partner che la pensano allo stesso modo su strategie comuni per affrontare questioni condivise con la Cina. Ma non si tirerà indietro.

Quando Biden si insedierà ufficialmente, gli Stati Uniti e la Cina avranno una finestra di opportunità per ripristinare le loro relazioni, resettandole – ma solo in parte, come abbiamo detto – a una situazione pre-Trump. L’amministrazione Biden sarà pragmatica e ci si può aspettare che cerchi aree di dialogo in cui entrambi i paesi possano cooperare, come la salute globale e il cambiamento climatico. Tuttavia, la Cina non dovrebbe aspettarsi che le relazioni USA-Cina tornino al loro status prima che Trump entrasse in carica. Dovrebbe anche evitare di mettere in discussione la determinazione della nuova amministrazione sui punti di attrito, o di scambiare quello che è stato un processo elettorale controverso per debolezza o mancanza di volontà.

Il cambio di amministrazione offre ad entrambe le potenze l’opportunità di un ripristino che può riportare le relazioni USA-Cina su un nuovo piano. Ciò aiuterebbe entrambe le economie e rassicurerebbe i partner globali danneggiati pesantemente dalla guerra commerciale scatenata da Trump.

Nel prossimo futuro sapremo se l’America di Biden nei suoi rapporti con la Cina darà effettivamente il via a un nuovo corso, aprendo le porte a un nuovo dialogo verso una relazione più stabile e produttiva, oppure sarà un cambio solo apparente, dal sapore “gattopardiano”: “bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com’è”

La Croce Rossa è diventata un bersaglio.

Aumentano falsità e negazionismi, la Croce Rossa è diventata un bersaglio

CRI lancia una campagna. Il vero bersaglio resta il virus, ma senza i nostri soccorritori sarà ben difficile sconfiggerlo

ANSA

Oltre al Covid-19, circola un virus ugualmente aggressivo: quello della disinformazione o delle vere e proprie fake news. Albert Einstein diceva che le bugie si possono riconoscere molto più facilmente rispetto alla verità. Ma non siamo tutti Einstein e, oggi più che mai, le sofisticate metodologie di diffusione delle notizie false, rendono il compito di discernimento molto complesso.

Dobbiamo tutelarci e tutelare, soprattutto in un momento storico come questo, perché qualunque messaggio distorto o scorretto può avere un’amplificazione e delle conseguenze inimmaginabili. Invito chiunque abbia dubbi, a rivolgersi sempre e solo a canali ufficiali, compresi i nostri.

Preoccupanti anche le posizioni dei cosiddetti “negazionisti”, altri agenti di caos e generatori di (comprensibile) paura in chi incorre in questo tipo di manipolazioni. Alcune delle fake news sul Covid-19 sono considerate credibili da una fetta consistente della popolazione, e dove la percentuale di chi crede alle ‘bufale’ cresce, sale anche quella di chi è scettico nei confronti del sistema sanitario nazionale, degli operatori sanitari o dei vaccini.

È nostro dovere condannare, segnalare e arginare questo malcostume, che ferisce e avvilisce non solo i nostri ma tutti gli operatori sanitari del Paese, sfiancati da un lavoro snervante che dura da mesi.

Dal video girato da un automobilista che segue un’ambulanza della Croce Rossa Italiana vicino Napoli, di rientro dopo un servizio e pronta a effettuarne subito un altro (ragione per cui ha le sirene accese) e che diviene virale come “prova” del tentativo di seminare panico tra la popolazione, alle notizie false sui circa 2000 euro che spenderebbe lo Stato per ogni paziente Covid ricoverato, fino alle foto e video sugli ospedali vuoti. Solo per fare qualche esempio di falsi comprovati.

Tutto questo, oltre a distruggere quanto stiamo facendo, ha portato a nuovi incredibili risvolti: le stesse figure professionali che a marzo abbiamo definito “eroi”, oggi sono additate – da troppi – come nemici e seminatori di panico. In più, assistiamo a un incremento preoccupante di episodi di violenza insensati: sono aumentati gli atti vandalici ai danni di nostri mezzi e strutture, come testimoniano i fatti della provincia di Firenze, Napoli, fino a Levico Terme. Che senso ha rendere inutilizzabili tende per tamponi rapidi, mezzi di soccorso o strutture che potrebbero servire, un domani, anche ai vandali?

Da anni la Croce Rossa Italiana attraverso una campagna condivisa da tutte le sigle del soccorso, ribadisce che gli operatori sanitari “Non sono un Bersaglio”. I nostri volontari di certo non sono un bersaglio, il vero bersaglio resta il virus. Ma, senza la loro assistenza, sarà ben difficile sconfiggerlo.

Aumentano falsità e negazionismi, la Croce Rossa è diventata un bersaglio

CRI lancia una campagna. Il vero bersaglio resta il virus, ma senza i nostri soccorritori sarà ben difficile sconfiggerlo

ANSA

Oltre al Covid-19, circola un virus ugualmente aggressivo: quello della disinformazione o delle vere e proprie fake news. Albert Einstein diceva che le bugie si possono riconoscere molto più facilmente rispetto alla verità. Ma non siamo tutti Einstein e, oggi più che mai, le sofisticate metodologie di diffusione delle notizie false, rendono il compito di discernimento molto complesso.

Dobbiamo tutelarci e tutelare, soprattutto in un momento storico come questo, perché qualunque messaggio distorto o scorretto può avere un’amplificazione e delle conseguenze inimmaginabili. Invito chiunque abbia dubbi, a rivolgersi sempre e solo a canali ufficiali, compresi i nostri.

Preoccupanti anche le posizioni dei cosiddetti “negazionisti”, altri agenti di caos e generatori di (comprensibile) paura in chi incorre in questo tipo di manipolazioni. Alcune delle fake news sul Covid-19 sono considerate credibili da una fetta consistente della popolazione, e dove la percentuale di chi crede alle ‘bufale’ cresce, sale anche quella di chi è scettico nei confronti del sistema sanitario nazionale, degli operatori sanitari o dei vaccini.

È nostro dovere condannare, segnalare e arginare questo malcostume, che ferisce e avvilisce non solo i nostri ma tutti gli operatori sanitari del Paese, sfiancati da un lavoro snervante che dura da mesi.

Dal video girato da un automobilista che segue un’ambulanza della Croce Rossa Italiana vicino Napoli, di rientro dopo un servizio e pronta a effettuarne subito un altro (ragione per cui ha le sirene accese) e che diviene virale come “prova” del tentativo di seminare panico tra la popolazione, alle notizie false sui circa 2000 euro che spenderebbe lo Stato per ogni paziente Covid ricoverato, fino alle foto e video sugli ospedali vuoti. Solo per fare qualche esempio di falsi comprovati.

Tutto questo, oltre a distruggere quanto stiamo facendo, ha portato a nuovi incredibili risvolti: le stesse figure professionali che a marzo abbiamo definito “eroi”, oggi sono additate – da troppi – come nemici e seminatori di panico. In più, assistiamo a un incremento preoccupante di episodi di violenza insensati: sono aumentati gli atti vandalici ai danni di nostri mezzi e strutture, come testimoniano i fatti della provincia di Firenze, Napoli, fino a Levico Terme. Che senso ha rendere inutilizzabili tende per tamponi rapidi, mezzi di soccorso o strutture che potrebbero servire, un domani, anche ai vandali?

Da anni la Croce Rossa Italiana attraverso una campagna condivisa da tutte le sigle del soccorso, ribadisce che gli operatori sanitari “Non sono un Bersaglio”. I nostri volontari di certo non sono un bersaglio, il vero bersaglio resta il virus. Ma, senza la loro assistenza, sarà ben difficile sconfiggerlo.

Aumentano falsità e negazionismi, la Croce Rossa è diventata un bersaglio

CRI lancia una campagna. Il vero bersaglio resta il virus, ma senza i nostri soccorritori sarà ben difficile sconfiggerlo

ANSA

Oltre al Covid-19, circola un virus ugualmente aggressivo: quello della disinformazione o delle vere e proprie fake news. Albert Einstein diceva che le bugie si possono riconoscere molto più facilmente rispetto alla verità. Ma non siamo tutti Einstein e, oggi più che mai, le sofisticate metodologie di diffusione delle notizie false, rendono il compito di discernimento molto complesso.

Dobbiamo tutelarci e tutelare, soprattutto in un momento storico come questo, perché qualunque messaggio distorto o scorretto può avere un’amplificazione e delle conseguenze inimmaginabili. Invito chiunque abbia dubbi, a rivolgersi sempre e solo a canali ufficiali, compresi i nostri.

Preoccupanti anche le posizioni dei cosiddetti “negazionisti”, altri agenti di caos e generatori di (comprensibile) paura in chi incorre in questo tipo di manipolazioni. Alcune delle fake news sul Covid-19 sono considerate credibili da una fetta consistente della popolazione, e dove la percentuale di chi crede alle ‘bufale’ cresce, sale anche quella di chi è scettico nei confronti del sistema sanitario nazionale, degli operatori sanitari o dei vaccini.

È nostro dovere condannare, segnalare e arginare questo malcostume, che ferisce e avvilisce non solo i nostri ma tutti gli operatori sanitari del Paese, sfiancati da un lavoro snervante che dura da mesi.

Dal video girato da un automobilista che segue un’ambulanza della Croce Rossa Italiana vicino Napoli, di rientro dopo un servizio e pronta a effettuarne subito un altro (ragione per cui ha le sirene accese) e che diviene virale come “prova” del tentativo di seminare panico tra la popolazione, alle notizie false sui circa 2000 euro che spenderebbe lo Stato per ogni paziente Covid ricoverato, fino alle foto e video sugli ospedali vuoti. Solo per fare qualche esempio di falsi comprovati.

Tutto questo, oltre a distruggere quanto stiamo facendo, ha portato a nuovi incredibili risvolti: le stesse figure professionali che a marzo abbiamo definito “eroi”, oggi sono additate – da troppi – come nemici e seminatori di panico. In più, assistiamo a un incremento preoccupante di episodi di violenza insensati: sono aumentati gli atti vandalici ai danni di nostri mezzi e strutture, come testimoniano i fatti della provincia di Firenze, Napoli, fino a Levico Terme. Che senso ha rendere inutilizzabili tende per tamponi rapidi, mezzi di soccorso o strutture che potrebbero servire, un domani, anche ai vandali?

Da anni la Croce Rossa Italiana attraverso una campagna condivisa da tutte le sigle del soccorso, ribadisce che gli operatori sanitari “Non sono un Bersaglio”. I nostri volontari di certo non sono un bersaglio, il vero bersaglio resta il virus. Ma, senza la loro assistenza, sarà ben difficile sconfiggerlo.

Aumentano falsità e negazionismi, la Croce Rossa è diventata un bersaglio

CRI lancia una campagna. Il vero bersaglio resta il virus, ma senza i nostri soccorritori sarà ben difficile sconfiggerlo

ANSA

Oltre al Covid-19, circola un virus ugualmente aggressivo: quello della disinformazione o delle vere e proprie fake news. Albert Einstein diceva che le bugie si possono riconoscere molto più facilmente rispetto alla verità. Ma non siamo tutti Einstein e, oggi più che mai, le sofisticate metodologie di diffusione delle notizie false, rendono il compito di discernimento molto complesso.

Dobbiamo tutelarci e tutelare, soprattutto in un momento storico come questo, perché qualunque messaggio distorto o scorretto può avere un’amplificazione e delle conseguenze inimmaginabili. Invito chiunque abbia dubbi, a rivolgersi sempre e solo a canali ufficiali, compresi i nostri.

Preoccupanti anche le posizioni dei cosiddetti “negazionisti”, altri agenti di caos e generatori di (comprensibile) paura in chi incorre in questo tipo di manipolazioni. Alcune delle fake news sul Covid-19 sono considerate credibili da una fetta consistente della popolazione, e dove la percentuale di chi crede alle ‘bufale’ cresce, sale anche quella di chi è scettico nei confronti del sistema sanitario nazionale, degli operatori sanitari o dei vaccini.

È nostro dovere condannare, segnalare e arginare questo malcostume, che ferisce e avvilisce non solo i nostri ma tutti gli operatori sanitari del Paese, sfiancati da un lavoro snervante che dura da mesi.

Dal video girato da un automobilista che segue un’ambulanza della Croce Rossa Italiana vicino Napoli, di rientro dopo un servizio e pronta a effettuarne subito un altro (ragione per cui ha le sirene accese) e che diviene virale come “prova” del tentativo di seminare panico tra la popolazione, alle notizie false sui circa 2000 euro che spenderebbe lo Stato per ogni paziente Covid ricoverato, fino alle foto e video sugli ospedali vuoti. Solo per fare qualche esempio di falsi comprovati.

Tutto questo, oltre a distruggere quanto stiamo facendo, ha portato a nuovi incredibili risvolti: le stesse figure professionali che a marzo abbiamo definito “eroi”, oggi sono additate – da troppi – come nemici e seminatori di panico. In più, assistiamo a un incremento preoccupante di episodi di violenza insensati: sono aumentati gli atti vandalici ai danni di nostri mezzi e strutture, come testimoniano i fatti della provincia di Firenze, Napoli, fino a Levico Terme. Che senso ha rendere inutilizzabili tende per tamponi rapidi, mezzi di soccorso o strutture che potrebbero servire, un domani, anche ai vandali?

Da anni la Croce Rossa Italiana attraverso una campagna condivisa da tutte le sigle del soccorso, ribadisce che gli operatori sanitari “Non sono un Bersaglio”. I nostri volontari di certo non sono un bersaglio, il vero bersaglio resta il virus. Ma, senza la loro assistenza, sarà ben difficile sconfiggerlo.

“La mia rabbia contro le infamie della politica”.

Intervista a Roberto Saviano

“Il peso del disprezzo paternalistico con cui sono stati trattati i cittadini non verrà mai cancellato”

FRANCO ORIGLIA VIA GETTY IMAGES
VENICE, ITALY – SEPTEMBER 05: Roberto Saviano attends “ZeroZeroZero” photocall during the 76th Venice Film Festival on September 05, 2019 in Venice, Italy. (Photo by Franco Origlia/Getty Images)

Roberto Saviano, partiamo proprio dal titolo del tuo ultimo libro, Gridalo, un elogio di chi resiste a voce alta. Voglio chiederti proprio questo: in Italia urlano tutti, ma il dissenso chi lo grida?

A voce alta, hai detto bene, ma senza fare ammuina. Urlare per fare ammuina non serve a nulla, ed è quello che invece sistematicamente accade. In Gridalo parlo di chi non sbraita, ma fa, agisce. E l’azione si fa grido, spesso solitario, spesso disperato. Ci sono vicende che crediamo di conoscere e che invece sono entrate o entrano nelle nostre vite come meteore; è su queste vicende che invito a riflettere. Da Ipazia uccisa dai fondamentalisti, allo speaker radiofonico che, con il gossip e con metafore sessuali, infiamma gli animi e spinge alla carneficina… esempio lampante del potere dei media.

Sintetizzo, il grido di chi prova a cambiare le cose.

Esattamente, le grida di chi ha materialmente provato a cambiare il mondo in cui viviamo. Quello che volevo dimostrare è che chi prova a cambiare non fallisce, ci riesce, ma ha la vita distrutta.

L’ammuina è l’opposto del conflitto, quello salutare nelle democrazie. Io quello, il conflitto sano, non lo vedo. Vedi anche tu il prevalere di un elemento di conformismo, il non disturbare il manovratore, nulla che faccia scandalo, dal commissario alla sanità in Calabria al responsabile di Innovapuglia che mostra un amuleto anti-Covid?

Ma lo scandalo c’è ed è evidente… C’è da chiedersi se non ci siamo piuttosto assuefatti allo scandalo. Certo la fase che stiamo vivendo è eccezionale, quindi la tentazione di stigmatizzare ogni critica a chi la sta gestendo è molto forte: c’è qualcuno che addirittura ha tirato fuori l’accusa di disfattismo. Purtroppo chi si sforza di ragionare con la propria testa finisce per essere schiacciato tra i cortigiani del governo e gli sciacalli dell’opposizione.

Si dice, c’è Salvini. Questo governo è nato per paura di Salvini, poi ha trovato il suo ubi consistam nell’emergenza. Dunque, si dice, non si può criticare sennò si fa la parte di chi vuole un salto nel buio. Basta la paura del salto nel buio a governare il paese?

E prima di Salvini c’era Berlusconi… andando avanti così si finirà sempre per credere di star proponendo come alternativa il meno peggio per arginare un pericolo maggiore. Non ho visto il Pd portare avanti politiche illuminate, perché la contrapposizione ai Salvini e ai Berlusconi deve avvenire nei fatti, non solo presentandosi come alternativa.

Un aggettivo per definire il Pd.

Pavido. Sempre ostaggio di qualcuno, che sia Berlusconi, Salvini o i voti di De Luca.

Tu sei uno che Salvini e il salvinismo lo ha combattuto e lo combatte. Si può dire che, in questa fase storica, il problema è più grande di Salvini? Il collasso del paese per assenza di visione, perché questo è il punto: una drammatica rincorsa degli eventi, senza un discorso di verità. Condividi?

Ma il problema è sempre stato più grande di Salvini. Ciò che di Salvini ho combattuto e combatterò sono i suoi post razzisti e sponsorizzati. Questa è la chiave per capire Salvini: scrive che gli immigrati sono delinquenti e mette soldi sui social perché questo suo pensiero raggiunga più persone, perché le convinca. È ovvio che il problema non è Salvini in sé, ma sono le reazioni che le sue parole generano. Da quando, chissà se anche per quei famosi 49 milioni di euro, ha iniziato una campagna elettorale perenne e costosa, fatta di violentissimo razzismo, la vita degli immigrati in Italia è peggiorata.

Qui veniamo al problema delle radici della rabbia, perché il tema è sempre tutto lì. Per combattere la destra ne devi prosciugare le ragioni. 

Sull’altra parte politica invece sembra pendere ormai da decenni la condanna all’assenza di visione, alla miopia delle classi dirigenti, all’incompetenza nella migliore delle ipotesi, alla malafede nella peggiore.

Come sta impattando l’emergenza sul comportamento delle classi dirigenti? Vedi più responsabilità, più riflesso d’ordine o più populismo? Parlo in generale, di maggioranza e di opposizione. 

Non si può far finta che questi tempi siano normali, quindi è evidente che avere all’opposizione degli sciacalli aumenta il rischio in maniera esponenziale. Ma il problema degli sciacalli non riguarda solo le opposizioni. Se si pensa al teatrino vergognoso imbastito nelle ultime settimane da De Magistris e De Luca, viene da pensare che se entrambi si ritirassero a vita privata per la Campania sarebbe un buon inizio. È incredibile che quanto più in alto si sale, più potere si amministra, più la dignità viene meno: è proprio un rapporto inversamente proporzionale.

Poi ci arriviamo, alla Campania. Vorrei rimanere ancora sulla logica della mancanza di alternative. Non pensi che proprio la logica del salto nel buio sia pericolosa? Le mafie, in questo paese, facevano quello che volevano proprio perché non c’era alternativa. 

Le mafie in questo paese fanno ancora ciò che vogliono perché manca lo Stato.

Manca lo Stato o il degrado della politica è un elemento che avvantaggia le mafie che si fanno Stato? 

Le azioni di polizia e i processi sono solo una parte del contrasto, manca la prevenzione, mancano leggi, manca protezione, manca un dibattito politico sul tema che sia costante e serio. Le mafie sparano e uccidono? Due giorni di indignazione. Stop. E stop, perché guai che si pensi che siamo il paese delle mafie. Eppure le mafie ci sono e traggono profitto da tutto, anche dalla pandemia. Ma si fanno notare in piazza accanto a chi legittimamente grida il proprio dissenso. E allora diventa difficile capire con cosa abbiamo a che fare… sì perché le mafie portano pacchi spesa e fanno in modo che i cravattari, gli strozzini, gli usurai abbassino gli interessi per andare incontro a chi non ha più uno stipendio, alle famiglie ridotte alla fame, ma poi sono loro a dissanguare intere regioni, dove i diritti puoi solo comprarli, anche il diritto alla salute.

Pensi che dietro questa storia dei dati sui contagi ci sia solo negligenza e inefficienza o sospetti che sia qualche “manina”, diciamo così opaca? 

In molte Regioni le organizzazioni criminali gestiscono larga parte sia la sanità pubblica che quella privata senza che le forze politiche abbiano mai pensato di scardinare quelle dinamiche, più spesso sono state complici disinvolte, come dimostrano le numerose inchieste e le altrettanto numerose condanne. Altre volte si è deciso di attaccare i segmenti più folkloristici, come la gestione criminale dei parcheggi di alcuni ospedali totalmente gestiti dalla camorra. Peccato che oltre quello non si vada.

Ti piace l’idea di Gino Strada come commissario alla Sanità in Calabria?

Io spero che nessuno pensi di tirarlo per la giacchetta e soprattutto che non lo faccia il presidente del Consiglio, solo per cancellare mediaticamente l’onta dell’errore nella nomina di Cotticelli. Conte è esperto a smarcarsi, e questo lo abbiamo capito. Ma Gino Strada in Calabria correrebbe gli stessi rischi che correva Dalla Chiesa in Sicilia negli anni ’80 e purtroppo sappiamo bene come è andata a finire. Questo deve essere chiaro. Soprattutto a Giuseppe Conte, che purtroppo su questo versante mi pare essere uno dei meno attrezzati dell’intero Governo.

Covid e mafie. Tu hai detto che, in questa situazione, le mafie stanno conquistando potere perché “comprano”, approfittando della crisi di liquidità delle imprese. Un’analisi non dissimile da quella del capo della Polizia Franco Gabrielli e del procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho. Che cosa dovrebbe fare il Governo che non ha fatto?

Dare soldi a pioggia, individuare i settori più esposti e finanziarli, ma subito, non in ritardo, non a singhiozzo. Pianificare investimenti a lungo termine nel sistema sanitario e nella ricerca scientifica: l’Europa in questa fase non censura la possibilità di spendere, anzi, incoraggia i paesi a farlo. Ma è evidente che è la qualità della spesa pubblica a fare la differenza, quindi non ci si può lamentare dell’Europa se l’unico obiettivo, di brevissimo termine, è distribuire soldi per “acquistare” voti.

Facile dire così. I soldi non sono infiniti.

E se i soldi non dovessero bastare che si faccia una patrimoniale. La situazione attuale dimostra che i Paesi che hanno ancora un welfare state (e tra questi, con le criminali differenze tra i territori, ci siamo anche noi) hanno la possibilità, con tutti i limiti del caso, di pianificare una strategia di contrasto. Laddove è solo il mercato a dominare, se sei ricco va bene, altrimenti non ti resta che lo stato di natura. E buona fortuna.

Ti giro l’obiezione che ti farebbe Zingaretti: parli facile tu, prima c’era un Governo che era una catastrofe, nelle condizioni date abbiamo fatto un Governo che tiene l’Italia in Europa, se ci fosse stato Salvini saremmo tutti morti. E la fai facile tu, in questo casino senza precedenti in cui tutti, in tutto il mondo, vanno a tentativi.

Ovviamente non basta dire di essere in Europa. In Europa bisognerebbe esserci davvero, e se il metro per valutare questo Governo deve essere il Governo precedente, allora davvero Zingaretti e io abbiamo poco da dirci. E anche le condizioni date bisogna sempre capire chi le ha determinate. Qui abbiamo a che fare con persone che fanno politica da decenni, che hanno ricoperto e ricoprono posizioni strategiche, eppure sembra sempre che siano gli ultimi arrivati e che abbiano ereditato da una vecchia zia uno stabile fatiscente. Nessuno ha ereditato nulla perché le elezioni non sono un terno al lotto e le condizioni date Zingaretti ha contribuito a determinarle.

Beh insomma, ha preso il Pd dopo la peggiore sconfitta della sua storia. Mi sembra, il tuo un giudizio ingeneroso. 

C’è una cosa che francamente mi ha colpito di Zingaretti e cioè il fatto che, nonostante la drammaticità senza precedenti della situazione, sia rimasto allo stesso tempo segretario politico del Pd e presidente della Regione Lazio, quindi a capo di un ente che gestisce uno dei sistemi sanitari più grandi del Paese.

A onor del vero i dati del Lazio, rispetto ad altre Regioni, dicono che la sanità e il sistema dei tracciamenti funziona. Che avrebbe dovuto fare?

Mi aspettavo maggiore serietà e non, come al solito, l’idea di dover sempre e comunque restare aggrappati alla poltrona. Questa situazione peraltro è divenuta ancora più odiosa quando Zingaretti non ha esitato a difendere a spada tratta De Luca, anche quando quest’ultimo ridicolizzava e offendeva cittadini che stanno pagando una confusione tra i livelli istituzionali inaccettabile. Lo ha fatto perché il disprezzo dei cittadini è la linea politica del Pd o perché doveva difendere il collega governatore? Purtroppo, nonostante le parole di Mattarella in risposta a Johnson, sia Zingaretti che Speranza (con la vicenda allucinante del libro in uscita e poi no) sono la dimostrazione del fatto che la serietà è un valore per pochi.

A proposito di De Luca. C’è un De Luca 1, lo sceriffo, decisionista, arrogante, alfiere delle chiusure. E un De Luca 2 che non vuole più la zona rossa. In mezzo la manifestazione del 23 ottobre a Napoli, con infiltrazioni di camorra e cassonetti bruciati. Pensi che abbia pesato nel cambio di atteggiamento del governatore? Insomma, senza tanti di parole. De Luca si è messo paura della camorra, ha temuto di sfidarla fino in fondo, sotto il profilo dell’ordine pubblico e dei suoi interessi?

Dopo le proteste a Napoli, De Luca ha smesso di invocare il lockdown e non perché in piazza ci fosse la camorra, ma perché in piazza ci stavano cittadini esasperati e allora ha pensato bene di lasciare in capo al governo l’onere della chiusura. Del resto De Luca credo abbia più paura delle persone perbene e credo dovrebbe averne anche dei genitori esasperati con i quali sta facendo un giochetto vergognoso sulla scuola. In Campania ci sono differenze tra le diverse zone, non ovunque la situazione dei contagi è la medesima eppure sono i bambini, i più piccoli, a pagare indiscriminatamente per le inefficienze del sistema De Luca.

Già, il sistema De Luca. L’emergenza finora però lo ha rafforzato. Finora. È ancora così?

Credo che Vincenzo De Luca sia arrivato in un attimo da essere all’apice della sua carriera ad essere alla fine della stessa. Con chiunque mi sia capitato di parlare negli ultimi tempi il peso del disprezzo paternalistico con il quale sono stati trattati i cittadini non verrà mai cancellato, poiché è avvenuto tutto quando le serietà e il rigore (fatto anche di silenzi e non di dirette sudamericane) dovevano prendere il posto delle buffonate. La fine di De Luca è patetica, come quella di tutti i decisionisti che aspettano che qualcuno decida al posto loro.

A questo punto meglio chiudere la Campania? Anche visto l’esito delle ispezioni del ministero della Sanità negli ospedali di Napoli.

La risposta è complessa. Le decisioni che verranno prese dal Governo non so quanto verranno comprese dai cittadini. La Campania è una Regione vastissima con differenze profonde tra le varie aree. La situazione degli ospedali di Napoli non è paragonabile a quella degli ospedali nelle altre province. Così come non lo è la mappa dei contagi. E come sempre accade, non è possibile che vengano prese decisioni sull’onda emotiva generata dal video terrificante del signore morto nel bagno del Cardarelli. Gli ospedali a Napoli sono una bomba sanitaria da sempre. Anche in tempi lontani dalla pandemia. Chi ci lavora lo sa… chi vi è ricoverato lo sa. Lo sanno i vertici della sanità campana e lo sanno al ministero della Sanità.

Tu temi, insomma, che una chiusura non sia compresa dai cittadini e si rischi il bis del 23 ottobre.

La Campania ha un tessuto economico fatto di lavoro nero, di sommerso, ecco perché non può permettersi alcuna chiusura, perché chiudere significa togliere a una larga parte della popolazione la possibilità di poter lavorare, di poter guadagnare, di poter mangiare. Non temo più rivolte di piazza, temo disperazione, sconforto, fame e un futuro irrimediabilmente compromesso.

Domanda: ma la camorra vuole o no il lockdown? Lo considera una opportunità perché mette in ginocchio il paese o ferma anche le sue imprese?

Ovviamente anche imprese gestite dalle organizzazioni criminali sono penalizzate dal lockdown, ma le organizzazioni riconvertono più velocemente di altri soggetti le loro attività legali grazie ai capitali che arrivano da attività illegali. La disponibilità di denaro fa tutta la differenza.

De Luca, Emiliano. Due forme di populismo clientelare, presentate come argine alla destra. Li vedi alternativi alla destra o espressione di uno stesso potere, interessi, logiche che si nascondono anche sotto nobili bandiere?

Le nobili bandiere stento a vederle. Sia De Luca che Emiliano sono espressione di un potere legato al territorio, un potere clientelare, la cui malta sono favori. I meme su De Luca, le sue battute colorite hanno fatto dimenticare quella meravigliosa metafora che descrisse qualche anno fa di cosa è fatto il suo consenso: frittura di pesce. De Luca è il più acerrimo nemico della Campania, il suo maggiore denigratore. Parla dei napoletani come di trogloditi che sarebbe meglio chiudere in una qualche riserva per impedir loro di fare danni. Si rivolge ai campani come se parlasse a una accolita di analfabeti capaci di recepire solo le più assurde minacce.

Tu avevi previsto che dopo Napoli ci sarebbero stati altri episodi. E così è stato. Abbiamo parlato della camorra ma, come dici anche tu, c’è tanta brava gente che non ce la fa, piegata dalla crisi. Condividi il giudizio di Minniti, su cui io e te abbiamo opinioni diverse, e cioè che è scattato “l’allarme rosso”?

Non condivido mai i giudizi di Minniti che arriva sempre, con una leggerezza che rasenta il cinismo, a mettere il carico da 100 su questioni che andrebbero affrontate in maniera completamente diversa.

Ma perché leggerezza?! Mi sembra l’opposto. Al primo segnale ha letto la portata di un fenomeno che si è ripetuto poi in altre città. Magari al Governo ci fosse la stessa consapevolezza, scusa eh!

Io vorrei che i politici italiani capissero che la devono smettere di parlare di lanciafiamme, di allarme rosso, di coprifuoco, di guerra, perché queste immagini fanno stare male le persone senza peraltro descrivere nemmeno lontanamente ciò che davvero sta accadendo. Le persone hanno paura, sono male informate perché non ci sono informazioni certe, corrette, coerenti e perché la stampa non potendo dire “non sappiamo” riempie i vuoti facendo ulteriori danni.

Anche l’immigrazione, in tempo di Covid, è un terreno sensibile. Ieri nuovo naufragio, con la Open Arms che ha recuperato un centinaio di migranti in mare. “Ecco cosa succede quando vengono abbandonati in mare”. Ti chiedo: cosa è cambiato dal Conte 1 al Conte 2 sulle politiche per l’immigrazione?

La pandemia, questo è cambiato. Per recuperare il lavoro di Mimmo Lucano, solo per citare un esempio di best practice nel settore dell’accoglienza e dell’integrazione, attenzionato prima da Minniti e poi smantellato da Salvini ci vorranno anni. Nel frattempo, come hai ricordato, nel Mediterraneo continuano i naufragi, si continua a morire e a essere seppelliti nella fossa comune più grande che io conosca. E nel frattempo si sequestrano le navi delle Ong con le motivazioni più assurde, ma si chiede alle Ong di prestare soccorso nelle aree più colpite dal Covid. Che abominio pensare e agire come se esistessero vite di serie A e vite di serie B.

Non voglio fare una discussione su Minniti e Salvini che, secondo me sono come il giorno e la notte. Imparagonabili. Voglio capire cosa è cambiato secondo te tra Conte 1 e Conte 2 proprio nel momento in cui la pandemia rende urgente la gestione dei migranti.

È cambiato poco. I migranti restano terreno di scontro su cui qualcuno fa propaganda e qualcun altro preferisce tacere. Il primo governo Conte è stato ostaggio di Salvini, mentre nel secondo governo Conte sembra che nessuno voglia mettere la faccia sull’accoglienza. Da parte della politica questo atteggiamento è vergognoso e colpevole.

Concludiamo con un invito a gridare. Cosa?

Dopo aver visto il video del naufragio diffuso da Open Arms, dopo aver visto una madre che ha perso il suo bimbo in mare, disperata; dopo aver visto un altro bambino vomitare tutta l’acqua salata che ha bevuto, il mio grido non può che essere questo: basta dare spazio ai politici infami che tutto questo lo hanno negato e manipolato.

Fondi Lega in Lombardia, arrestati tre commercialisti e un professionista

Svolta nell’inchiesta sulla vendita del capannone di Cormano alla Lombardia Film Commission, società controllata dalla Regione.

PIER MARCO TACCA VIA GETTY IMAGES
SARONNO, ITALY – AUGUST 31: The leader of the Lega Nord Party, Matteo Salvini wears protective mask arrives at the rally at Villa Gianetti on August 31, 2020 in Saronno, Italy.Matteo Salvini participates in the electoral campaign of the next administrative and regional elections in seven regions of Italy Veneto, Campania, Tuscany, Liguria, Marche, Puglia and Valle d’Aosta on 20 and 21 September. (Photo by Pier Marco Tacca/Getty Images)

I tre commercialisti vicini alle Lega e coinvolti nell’inchiesta milanese relativa alla vicenda Lombardia Film Commission e la compravendita di un immobile a Cormano nel Milanese da oggi pomeriggio sono agli arresti domiciliari. Ad eseguire l’ordinanza di custodia cautelare che riguarda anche Fabio Giuseppe Barbarossa, sono stati i militari del nucleo di Polizia economico-finanziario della Guardia di Finanza. Ai tre professionisti, Arturo Maria Scillieri, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, insieme a una quarta persona anch’essa ai domiciliari, ovvero Barbarossa, sono stati contestati a vario titolo i reati di peculato, turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

La vicenda non è per niente una buona notizia per Salvini. Infatti come scrive la Stampa:

Alberto di Rubba e Andrea Manzoni sono nomi “pesanti” nell’architettura finanziaria della Lega di Matteo Salvini: il primo è infatti amministratore al Senato del gruppo del Carroccio, il secondo è invece revisore del partito alla Camera. I nomi dei due commercialisti erano entrati pesantemente anche nell’inchiesta sulla scomparsa dei 49 milioni di fondi pubblici che la Lega avrebbe dovuto restituire allo Stato.  E poi c’è Arturo Maria Scillieri, il commercialista nel cui studio è stato fondato e domiciliato il movimento “Lega per Salvini premier”.  Barbarossa infine è cognato di quest’ultimo e, nell’inchiesta, considerato un “prestanome”.

Mattia Santori: “Il popolo del Pd è più maturo dei suoi dirigenti”

 

Intervista al leader delle Sardine: “Alla Festa dell’Unità dirò a Zingaretti che ha sbagliato”. “Patetico sbandierare la paura della destra per giustificare posizioni folli”. “Non sono contro il Pd ma contro gli accordi in bianco con Di Maio”.

Mattia Santori, lei domani sarà a Modena sul palco della Festa dell’Unità. Dirà al segretario del Pd che sbaglia a votare sì al referendum?

Dirò al segretario che comprendo la posizione di coerenza rispetto all’ultimo voto in Parlamento, ma bisogna ammettere l’errore politico. Perché la base e gli elettori di centrosinistra vedono questo taglio come il culmine della propaganda populista di Di Maio. Ed è, esattamente, quello che il Pd diceva nei tre voti precedenti quando votava No.

Si sente tradito dal Pd?

Tradito non è la parola giusta, perché il nostro impegno è stato ed è gratuito, da Piazza Maggiore in poi. Noi siamo le cose in cui crediamo, punto. Non ci sono patti, convenienze, non abbiamo chiesto niente in cambio né mai le chiederemo, non abbiamo nessun legame organico col Pd. È chiaro che parliamo con il suo elettorato e, oggi, percepiamo uno scollamento e una certa delusione: sul referendum, regionali, immigrazione e temi di governo, insomma sull’identità. E questo è il risultato che si ottiene quando prima si rincorrono i sovranisti, poi si scende a patti con i populisti.

E questo è il tema, l’identità. Prima però finiamo il discorso sul referendum. La critica che vi viene rivolta, ad esempio da Marco Travaglio, è quella di essere la sinistra che favorisce Salvini.

È una critica da fuori di testa. Viene da chi arrampica sugli specchi e nega la genesi di questo referendum, che nasce nell’accordo gialloverde. Tra l’altro saremmo noi con il nostro No a favorirlo, mentre chi vota Sì come lui a combatterlo? Ho i miei dubbi. A me sembra che a qualcuno dia fastidio che gli anti-casta oggi siamo noi, non i Cinque Stelle. Su questo voto, è innegabile, si è manifestata una nuova “casta di professionisti dell’antipolitica”, che però guarda caso siedono tutti nello stesso Parlamento. Domenica saremo a Roma in Piazza Santi Apostoli proprio per dimostrare che c’è un fronte alternativo all’antipolitica molto più ampio di quello che ci vogliono fare credere.

La critica riguarda il governo: il no abbatte il principale punto dell’accordo di governo. Come fa a non avere ricadute?

Ma che c’entra… Una cosa sono le Costituzioni e la qualità dei processi democratici, un’altra sono i governi. È sbagliato legarli. E poi quell’accordo prevedeva diversi altri interventi di bilanciamento degli equilibri costituzionali e democratici. Nemmeno uno ne è stato fatto.

Quanto le dà fastidio che in Emilia ti dicono “sei il nostro popolo” e se dici No diventi uno che favorisce Salvini?

Bah, io giro per le feste dell’Unità e per la strada il popolo lo sento, ci parlo, sento tanta gente per il no e purtroppo sento anche tanta gente che non andrà a votare, e questa è la vera sconfitta per tutti, per chi crede nella politica e per quelli che pensavano che combattere la cosiddetta Casta avrebbe riavvicinato la gente alla politica.

Dicevamo, il punto è l’identità. In un post di un paio di giorni fa avete sostanzialmente accusato al Pd di essere subalterno ai populisti?

Beh, il taglio dei parlamentari, messa così, non è una battaglia identitaria del centrosinistra. La critica che arriva dalla base del Pd è che si chiede di fare l’ennesimo atto di fiducia nei confronti di Di Maio o degli squaletti della politica. Ma quando è troppo è troppo. Bonaccini dà per certa la legge elettorale, e invece si è già arenata perché Renzi non la vuole. I correttivi di cui parla Bersani? Nemmeno. La stagione di riforme di cui parla Zingaretti? La vede solo lui. I decreti sicurezza: ricorda Delrio quando disse “è fatta”? Bene, sono un miraggio. E così via.

Insomma, ha ragione Saviano quando dice “Il Pd è vapore acqueo, succube di una gravissima mancanza di identità politica”?

Sarei stato meno aggressivo, però sì, nella sostanza ha ragione. Insomma, un partito deve guidare, invece talvolta ho la sensazione che l’elettorato sia più maturo dei suoi dirigenti.

Sta dicendo, come Moretti, “con questi dirigenti non vinceremo mai”.

Non mi piace separare i dirigenti dagli attivisti o dagli elettori. Per me un soggetto politico è un corpo unico che si divide le responsabilità. Però bisogna ammettere che in questi anni non si è stati capaci di creare una spinta, un desiderio, una grande mobilitazione. Guardi i dati sul tesseramento o sulle raccolte fondi. Rivelano una difficoltà di coinvolgere, aggregare, perché non c’è un messaggio che smuove. Purtroppo a destra invece i corpi si muovono, c’è un trascinamento. Comprendiamolo e capiamo come costruire una nuova storia.

Ecco, la destra Salvini. È ancora lui il grande nemico o il Covid rende datata questa discussione, nel senso che l’emergenza è il paese con le sue paure, l’incertezza, e semmai è proprio da questi sentimenti che può sgorgare una Mucca ancora più ingombrante nel corridoio?

Questo è il punto. Io rispetto la posizione di Bersani, con cui mi sono confrontato l’altra sera, ma trovo patetico che nel 2020 si debba sbandierare la paura delle destre per giustificare una posizione folle sul referendum. Se davvero si vogliono combattere le destre bisogna avere il coraggio di raccontare una storia migliore, non accontentarsi di sminuire la storia altrui. Sul referendum parliamo nel merito: sei convinto che il taglio garantirà un beneficio nei processi democratici? Io dico di no. Non mi puoi rispondere “fa danni, ma c’è la destra”. Stessa cosa sull’immigrazione: non c’è una politica sull’immigrazione, io dico abroghiamo i decreti sicurezza, mi dici “aspetta che ora c’è la destra”. Io, voglio essere chiaro, non ce l’ho col Pd in sè, ma col Pd che mi chiede di firmare l’ennesimo accordo in bianco con Di Maio, di cui non mi fido.

Durante il lockdown avevate un atteggiamento di sostegno quasi acritico al governo. Cosa è cambiato in questi mesi?

Continuo a pensare che la gestione della pandemia è stata buona, e non oso pensare che cosa sarebbe accaduto se ci fossero stati i negazionisti al governo, adesso però ci aspetta un autunno difficile, e la retorica deve salire di maturità. Anche perché a furia di fare annunci rischi che poi la gente si illuda che la soluzione arriverà dall’alto. Non basta dire Recovery Fund per risolvere i problemi, i soldi non arriveranno subito, sarà un periodo sfidante per tutti, se non fai un discorso di verità prima, arriverà la rabbia poi. Dobbiamo spiegare ai cittadini che il cielo non risolverà i problemi. Non è stato così per il piano Marshall, figuriamoci ora.

C’è un problema di separazione della realtà. La politica pare un talk scollegato dal paese reale?

C’è eccome e non c’è percezione della maturità dell’elettorato, che si tratta come ingenuo, poco capace di assimilare questioni complesse, profonde. Siamo ancora convinti che il populismo paghi?

Senta, alle regionali che fate: un appello a votare la sinistra, intesa anche come De Luca, Emiliano, Giani? Voi avevate chiesto di cambiare e trovare figure terze per favorire un accordo coi Cinque Stelle, o sbaglio?

Non sbaglia. E sappiamo come è andata a finire: il mancato accordo è colpa dei Cinque stelle, la responsabilità sui candidati è del Pd. Ci doveva essere un rinnovamento, uno scatto. In alcuni casi c’è stato, non a caso stasera sarò con Iacopo Melio a Firenze a sostenere la sua candidatura che questo rinnovamento lo esprime, sabato saremo a Firenze a ricordare chi è la Ceccardi, perché sembra che non se lo ricordi nessuno. Ma non si possono fare miracoli, non è che arriviamo noi e diamo la patente di novità anche a chi non ce l’ha.

Prima fanno casini, poi vi chiamano in soccorso.

Lo ha detto lei.

Insomma, l’appello lo fate?

Faremo un appello a un voto per il futuro. Un appello contro il “sono tutti i uguali”, che è poi il mantra che ci ha portato al governo Salvini-Di Maio di cui ancora paghiamo i danni.

Si può dire che, comunque vadano le elezioni, non cambia niente? Che razza di messaggio è?

In gergo tecnico si chiama paraculata. In questo momento l’elezione territoriale è la spia più sensibile, perché è lì che percepisci il rapporto col paese: il sentimento, l’attaccamento, le delusioni. A prescindere da come andrà, questa è una grande occasione persa dai partiti di governo che non sono riusciti a capitalizzare un consenso che Conte, Speranza e Gualtieri hanno saputo metter insieme. Il voto ha sempre una valore politico, lo ha anche quando nessuno va a votare. Il che non significa che il risultato di questo voto farà cadere il governo, non succederà. E sinceramente non me lo auguro.

La Yakuza ha i capelli grigi.

I giovani giapponesi “snobbano” la mafia made in Japan

Ormai la maggioranza dei membri è over 50. L’organizzazione ha perso l’appeal di una volta

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Tattooed naked samurai’s revenge. Brave samurai and his katana sword in the japan dojo.

Ve la immaginate un’organizzazione mafiosa che per regolare i conti manda killer anziani perché non ha più reclute? Ebbene, è proprio quello che sta succedendo alla Yakuza, l’organizzazione criminale nipponica che per anni è stata la più potente in patria e che oggi ha perso a tal punto l’appeal, da essere snobbata dai giovani. I ragazzi non vedono più in essa, come invece accadeva alle generazioni precedenti, una garanzia di bella vita e successo nel lavoro. Come riportato dal quotidiano nazionale Asahi Shinbun – che non a caso titola ’The gang’s gone gray”, riferito ai capelli grigi degli affiliati in età – a fine 2019 per la prima volta nella sua storia la Yakuza ha registrato una maggioranza di membri ultracinquantenni (il 51,2%). Ma c’è di più: mentre nel 2006 solo il 2,3% dei componenti aveva 70 anni o più, dall’anno scorso la cifra è salita al 10,7%. Questi numeri sono inversamente proporzionali al dato relativo ai ventenni: nel 2006 erano il 12,6%, ora rappresentano solo il 4,3%. Molti leggono questo fenomeno come strettamente legato all’invecchiamento generale della popolazione giapponese, ma le motivazioni sono più d’una, la più importante è da accreditare agli effetti della legge anti-criminalità organizzata promulgata nei primi anni Novanta, che nel tempo ha intralciato in modo esponenziale l’organizzazione criminosa rendendo assai difficile, per chi ne fa parte, anche solo aprire un conto in banca, avere l’assicurazione o intestarsi una prepagata per lo smartphone. Per non parlare dell’impossibilità di ricevere alcuna forma di assistenza sociale anche una volta abbandonata l’organizzazione (di cui la polizia ha liste precise).

 

Il doppio volto storico della Yakuza tra legalità e illegalità

L’antropologo Alan Macfarlane nel suo saggio Enigma Giappone scrive che la Yakuza in Giappone ha sempre avuto “il permesso di esistere”, quasi come fosse “un’agenza di stato ufficialmente riconosciuta”, tanto che per anni è stata percepita come una sorta di organo di “contenimento del crimine”, usato dai decisori ufficiali e dai governi per evitare “di bandire tutti i giochi d’azzardo pubblici, i servizi sessuali a pagamento e le attività connesse alla vendita degli alcolici”, in un contesto, come quello nipponico, in cui il crimine è biasimato dall’intera società e dove vige da sempre una forte cultura moralistica e della vergogna, con conseguenti riti di espiazione che possono arrivare al suicidio. Fatto sta che l’organizzazione ha sempre avuto il permesso di reclutare apertamente i suoi membri, con tanto di uffici preposti, e le forze di polizia hanno un reparto addestrato apposta per avere a che fare con essa. Il suo volto storicamente è caratterizzato dalla doppiezza: modi pacifici e crimini cruenti, delinquenti di strada e colletti bianchi, fronte legale e dimensione illegale, con una preminenza, a differenza delle più violente triadi cinesi, degli affari dalla facciata linda. Ed ecco allora catene di alberghi, finanziarie, agenzie immobiliari e di spettacolo – tipiche attività utilizzate dalla Yakuza per riciclare il denaro – essere parte dell’economia dello Stato insulare, in una catena di mani che si stringono alimentando il sistema dell’esercizio del potere.

 

Dall’olimpo mafioso alla parodia di se stessa

La Yakuza – i cui membri sono riconoscibili dai caratteristici tatuaggi con le squame di carpa e, spesso, dalla protesi al dito mignolo dopo l’amputazione della falange come segno di fedeltà o per chiedere perdono al capo – nasce con una struttura patriarcale divisa in bande, con pochissime donne che possono dire di farne parte (con il nome di sorelle maggiori). Le regole sono rigidissime, con tanto di codice, e l’obbedienza la capo è quasi religiosa. Le origini sono incerte, ma senza dubbio antiche, con i suoi antenati samurai difensori degli indifesi e più avanti con i venditori ambulanti del Settecento. L’organizzazione andò in crisi subito dopo la seconda guerra mondiale, ma riuscì a rimettersi in piedi occupandosi della sicurezza personale dei politici più in vista (vere e proprie squadre di guardie del corpo). Nel 1963 gli affiliati arrivarono a quota 184.000 divisi in 5.200 gang, ma il passo falso di appoggiare la destra più nera gli fece perdere terreno. Il piano iniziò a inclinarsi in modo irrimediabile con l’introduzione nel 1992 della legge che dichiarò illegali tutte le associazioni che ricorrevano a violenza e intimidazione. Prima di quel momento mostrarsi palesemente membri della Yakuza era un vero e proprio blasone, con tanto di logo da esporre nelle case e nei luoghi pubblici, ritenuto inoltre, come la letteratura racconta, un efficace biglietto da visita nella conquista di simpatie femminili. Via via questa ostentazione, anche delle gerarchie interne che erano note ai più, e dell’abitudine di vestirsi con fogge costose e particolari, si è ritorta contro gli stessi affiliati, arrivando a colpire persino le sorti dei capi. Non è un caso, infatti, che nel 2015 ci sia stata la scissione dall’organizzazione della frangia Yamaguchi-gumi, che in tanti ritengono la famiglia erede del potere originario della Yakuza (di cui usa il logo).

 

I giovani preferiscono la reputation, con la mafia si finisce in galera e senza soldi

Oggi i membri della Yakuza sono crollati a 14.800, e i giovani, come dicevamo, vedono in essa la garanzia di insuccesso e marginalità sociale. Essi, diversamente, puntano al credito sociale, al nome, alla reputazione (la cosiddetta reputation per la quale esistono agenzie internazionali ad hoc), per avere un posto alla luce del sole e non doversi nascondere. Appartenere a una delle gang, ora che il marketing mafioso non riesce più a imporre lo storytelling dell’abito gessato, delle auto potenti e dello champagne, ha perso il suo fascino. Gli ex componenti parlano chiaro: “Una volta usciti dalla Yakuza, anche se non si è più iscritti nelle liste della polizia, resta lo stigma e non si riesce neppure ad avere un sussidio”. Si rischia, dunque, di finire in mezzo a una strada, senza un soldo in tasca, “senza né famiglia né risparmi”. Ultimo dettaglio: i ‘padrini’ nipponici in tempi non sospetti, prima degli anni novanta, hanno creato compagnie obbligando gli affiliati a comprare delle quote, legandoli così per sempre alla Yakuza e al suo destino. Adesso che l’olimpo vacilla, l’appartenenza a questo gruppo di potere è una zavorra che obbliga i nonni a passare la vecchiaia facendo i sicari (“Le reclute scappano dopo un anno”, racconta un fuoriuscito), mentre le nuove generazioni preferiscono la gloria dei social alla dimensione della criminalità.

La misteriosa arma nucleare di Trump

In un’intervista riportata nell’ultimo libro di Bob Woodward, il presidente si vanta di avere “un sistema d’armi nucleari mai visto né sentito”. La stampa Usa si interroga: spacconata o verità?

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Donald Trump (Photo by Doug Mills-Pool/Getty Images)

“Ho costruito un nucleare… un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo qualcosa che non hai mai visto né sentito. Abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo. Non c’è nessuno… quello che abbiamo è incredibile”. Donald Trump se ne è vantato in una delle interviste (tutte registrate) rilasciate a Bob Woodward, leggendario giornalista del Watergate il cui ultimo libro – “Rage”, Rabbia – contiene una serie di dichiarazioni shock del presidente Usa, dal coronavirus alla crisi con la Corea del Nord.

 

 

Trump ha parlato a Woodward di un ordigno operativo, un sistema di armi nucleari, tirando fuori la rivelazione mentre rievocava la tensione con la Corea del Nord nel 2017, quando i due Paesi erano arrivati a un passo dallo scontro. Ora la stampa americana si interroga: si tratta di una semplice ‘spacconata’ elettorale del presidente, o il Pentagono ha davvero realizzato un ordigno del genere senza che trapelasse alcuna indiscrezione? “Woodward – riporta il WP – scrive che fonti anonime gli hanno poi confermato che le forze armate statunitensi hanno una nuova armata segreta, di cui non forniscono dettagli, e che queste fonti erano sorprese che Trump l’avesse rivelata”.

Il dubbio è lecito, visto che nel libro le dichiarazioni di Trump passano agilmente dal serio al faceto. In un dialogo riportato da Woodward, ad esempio, Trump descrive la chimica con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un: “Tu incontri una donna. In un secondo sai se accadrà o meno. Non ti richiede 10 minuti o sei settimane. È come ‘wow’. Ok. Ti porta via meno di un secondo”. Il tycoon riferisce anche alcuni dettagli delle lettere che si sono scambiati. In una Kim scrive che la loro relazione è come un “film fantasy”.

Woodward cita inoltre una frase di Trump nel 2017 al suo consigliere per il commercio Peter Navarro contro i vertici militari: “i miei dannati generali sono un branco di femminucce. Si preoccupano più delle loro alleanze di quanto facciano per gli accordi commerciali”.

Quando poi il giornalista gli chiede se come “bianco e privilegiato” non pensa di dover fare uno sforzo per capire la rabbia e il dolore degli afroamericani, il tycoon risponde: “No, non lo penso affatto, lei ha bevuto davvero il Kool-Aid”, dice usando un’espressione che significa credere ciecamente a qualcuno o in qualcosa senza mai metterlo in discussione e che ha un’origine agghiacciante: il riferimento è al suicidio di massa di Jonestown del 1978, quando più di 900 seguaci di un predicatore religioso americano obbedirono ai suoi ordini e si tolsero la vita bevendo bibite in cui era stato sciolto cianuro.

Tornando al misterioso “sistema di armi nucleari” menzionato da Trump, secondo il sito specializzato in difesa Task & Purpose è possibile che il Commander in Chief si riferisse alla testata W76-2. Quell’arma – ricorda Forbes – è stata annunciata nel febbraio 2018 come un’aggiunta relativamente “a basso costo” all’arsenale nucleare statunitense e ha una resa esplosiva inferiore rispetto alle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Le dichiarazioni, ora sotto la lente degli esperti di armi e difesa, sono contenute in una delle 18 interviste rilasciate al famoso giornalista del Watergate tra dicembre e luglio e confluite nel suo nuovo libro. Un libro pubblicizzato per fornire uno sguardo dall’interno alla Casa Bianca di Trump, ma che sta causando non pochi problemi al presidente. Il fronte più caldo resta quello del coronavirus: in un passaggio Trump ammette di aver saputo con settimane di anticipo rispetto al primo decesso negli Usa che il virus era pericoloso, trasmissibile per via aerea, altamente contagioso e “cinque volte più fatale di una forte influenza”. Ma di aver continuato a minimizzare per non creare panico e allarmismo. Un comportamento che il suo sfidante alla Casa Bianca, Joe Biden, definisce “disgustoso, quasi criminale”.

Ecco il lato oscuro dello smart working

Stress, isolamento, meno efficienza. Ecco il lato oscuro dello smart working

Utile nell’emergenza, ma abusarne è rischioso. Nel pubblico cala la produttività, nel privato manca la circolazione delle idee

Pubblicato il 6 settembre 2020 , di CLAUDIA MARIN

Non è tutto smart il “lavoro agile di massa” di questi mesi. A dispetto della mistica talvolta eccessiva che ha esaltato questa formula come la salvezza dell’economia e dello stipendio, proprio le esperienze di questa stagione mettono in evidenza anche quello che è stato definito “il lato oscuro dello smart working”. Un lato fatto di isolamento, stress, prigionia domestica, connessione continua o raddoppio dell’impegno (principalmente per le donne), ma anche di drastico crollo della produttività degli stessi lavoratori, come nel pubblico impiego, con la perdita verticale di efficienza nei servizi pubblici.

Coronavirus, il bollettino del 6 settembre. I dati e la tabella

I numeri e le ragioni dell’impennata del fenomeno sono noti. L’emergenza Coronavirus ha imposto un’accelerazione senza precedenti. E così, in pochissime settimane, ci siamo trovati a essere un popolo di smart workers: dati Istat alla mano, con milioni di addetti in cassa integrazione, si è passati dall’1,2 per cento all’8,8 in pieno lockdown per stabilizzarsi al 5,3 nella fase 2 e 3, ma con punte dell’80 per cento nel pubblico impiego. Insomma, 4-5 milioni di persone, che per la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, potrebbero arrivare a 8 milioni.

La grande sperimentazione di massa della formula, però, ha fatto emergere i limiti e le controindicazioni connesse a un passaggio travolgente avvenuto largamente senza cambi di organizzazione produttiva e di mentalità, senza tecnologie adeguate, digitalizzazione diffusa e precauzioni opportune. Tanto che, non a caso, se vi sono giganti che confermano oggi strutturalmente e per tutti la tendenza, come la Banca Schroders, altri stanno tornando indietro, almeno in parte.

Covid, lavoratori fragili. “L’età non basta per esserlo”

Se guardiamo agli effetti “negativi” a livello individuale, un sondaggio di LinkedIn ha rivelato che una quota del 46 per cento degli italiani in smart working nel settore privato ha dichiarato di sentirsi più ansiosa e stressata per il proprio lavoro rispetto a prima, manifestando disagio, fatica, stati di agitazione, insonnia, attacchi di panico. E non mancano esperti di medicina del lavoro che parlano di vera e propria sindrome da burnout da smart working.

Le lavoratrici con figli, principalmente, si sono trovate a vivere dentro slalom infernali tra gli impegni familiari e quelli dell’ufficio. Ma la gestione del tempo di lavoro (con il corollario del sempre connessi) si è trasformata spesso nel contrario della flessibilità, dell’autonomia e dell’agilità lavorative: più ore di lavoro, con giornate cominciate in anticipo e finite più tardi, senza pause. “È indubbio – osserva Emmanuele Massagli, presidente di Adapt – che vi sia anche un lato oscuro. Il riferimento è soprattutto ai lavoratori agili ‘forzati’, quelli che vorrebbero tornare a lavorare in gruppo. Per chi ha pochi locali a disposizione e allacciamento a internet scarso il lavoro agile può diventare fattore di stress e alienazione”.

Ma il lato oscuro del lavoro da casa tocca anche i risultati per le aziende. La mancanza di rapporti diretti e immediati tra i lavoratori e con i loro dirigenti può portare anche a cali di produttività e sicuramente riduce la creatività e la spinta all’innovazione. “La parte individuale – ha osservato Mariano Corso, dell’Osservatorio del Politecnico di Milano – quella più tecnica, può essere svolta ovunque. Ma c’è una parte di relazione, quella dei corridoi, del caffè alla macchinetta che non è solo socialità, ma anche spinta all’innovazione”. Se mal gestito, insomma, lo strumento può spingere in senso opposto. “È probabile – insiste Massagli – che molti vorranno tornare alla concretezza dei rapporti umani, della pausa caffè, della riunione organizzata al volo, relegando il lavoro agile in una parentesi drammatica (per le condizioni storiche) della propria esperienza”.

Alla scoperta dei tesori di Pompei

Accadde in Italia, alla scoperta dei tesori di Pompei

La pressoché totale assenza di turisti stranieri consente una visita ottimale del sito dove gli scavi continuano a portare alla luce affreschi e reperti

di Aristide Malnati

Alla scoperta dei tesori di Pompei

Alla scoperta dei tesori di Pompei

Un centro di eccellenze culturali, di svago e finanche di vizio sfrenato come pochi nel mondo antico. Infilarsi nell’intrico dei quartieri di Pompei permette un contatto diretto con la quotidianità di una città di 2000 anni fa, che la furia distruttrice del vicino Vesuvio ha fissato per l’eternità come in un’istantanea. Settembre grazie a una temperatura gradevole, mitigata dalla brezza che arriva dallo scenografico Golfo di Napoli sottostante, e grazie a un numero minore di visitatori, è momento ideale per gustare questo viaggio a ritroso nella storia, oggi arricchito dalle vestigia emerse a seguito degli scavi coordinati dal 2015 dal Sovrintendente Massimo Osanna. Ad iniziare dalle ville sontuose, a ridosso delle mura della città e che per prime si presentano in tutta la loro suggestiva imponenza a chi entra nel sito: erano proprietà di politici d’alto rango o di facoltosi commercianti e il visitatore intuisce dai mosaici o dagli affreschi delle ville meglio conservate, come quella dei Misteri o di Diomede, gli sfarzosi banchetti o i festini licenziosi, che qui venivano consumati: figure di giovani discinti amoreggiano o danzano mangiando frutta o sorseggiando coppe di Falerno (vino pregiato che veniva conservato nelle cantine, ancora visibili, di queste lussuose dimore).

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Sono gli echi lontani di una società godereccia, che però aveva anche la passione per le commedie e le tragedie dei grandi classici: il Teatro grande e il Teatro piccolo, ancora integri nel cuore dell’abitato, mettevano in scena le tragedie di Euripide, ma anche spettacoli musicali o di mimi, che richiamavano i bei nomi della cultura dell’epoca (di qui sarebbe passato persino il poeta Virgilio). Ma la peculiarità di Pompei sono le abitazioni comuni, case semplici e dignitose che conservano grazie all’azione protettrice della lava i vari ambienti, a volte affrescati, e che hanno restituito numerosi utensili di vita quotidiana (oggetti dell’arredo, attrezzi agricoli, stoviglie, statuette votive a protezione del focolare domestico, ora in mostra nel Museo archeologico di Napoli). La casa degli amorini dorati (in cui si è trovata una lamina d’oro con piccoli Cupidi dorati) o quella della facoltosa famiglia dei Vettii o ancora quella del chirurgo (che conteneva antichi strumenti chirurgici) sono monumenti parlanti: di fronte al salone, alla cucina, alle varie stanze riusciamo a ricostruire episodi di quotidianità della famiglia media pompeiana. Pompeiani che poi immaginiamo anche negli ambienti lascivi delle terme (dove la bella gioventù conveniva per incontri galanti), presenti numerose in prossimità delle ville patrizie, oppure durante gli spettacoli gladiatorii nell’imponente anfiteatro nella parte orientale del sito o ancora nel mondo vizioso dei bordelli (a Pompei ne restano almeno tre con affreschi molto espliciti sulle prestazioni offerte).