La Yakuza ha i capelli grigi.

I giovani giapponesi “snobbano” la mafia made in Japan

Ormai la maggioranza dei membri è over 50. L’organizzazione ha perso l’appeal di una volta

DEVRIMB VIA GETTY IMAGES
Tattooed naked samurai’s revenge. Brave samurai and his katana sword in the japan dojo.

Ve la immaginate un’organizzazione mafiosa che per regolare i conti manda killer anziani perché non ha più reclute? Ebbene, è proprio quello che sta succedendo alla Yakuza, l’organizzazione criminale nipponica che per anni è stata la più potente in patria e che oggi ha perso a tal punto l’appeal, da essere snobbata dai giovani. I ragazzi non vedono più in essa, come invece accadeva alle generazioni precedenti, una garanzia di bella vita e successo nel lavoro. Come riportato dal quotidiano nazionale Asahi Shinbun – che non a caso titola ’The gang’s gone gray”, riferito ai capelli grigi degli affiliati in età – a fine 2019 per la prima volta nella sua storia la Yakuza ha registrato una maggioranza di membri ultracinquantenni (il 51,2%). Ma c’è di più: mentre nel 2006 solo il 2,3% dei componenti aveva 70 anni o più, dall’anno scorso la cifra è salita al 10,7%. Questi numeri sono inversamente proporzionali al dato relativo ai ventenni: nel 2006 erano il 12,6%, ora rappresentano solo il 4,3%. Molti leggono questo fenomeno come strettamente legato all’invecchiamento generale della popolazione giapponese, ma le motivazioni sono più d’una, la più importante è da accreditare agli effetti della legge anti-criminalità organizzata promulgata nei primi anni Novanta, che nel tempo ha intralciato in modo esponenziale l’organizzazione criminosa rendendo assai difficile, per chi ne fa parte, anche solo aprire un conto in banca, avere l’assicurazione o intestarsi una prepagata per lo smartphone. Per non parlare dell’impossibilità di ricevere alcuna forma di assistenza sociale anche una volta abbandonata l’organizzazione (di cui la polizia ha liste precise).

 

Il doppio volto storico della Yakuza tra legalità e illegalità

L’antropologo Alan Macfarlane nel suo saggio Enigma Giappone scrive che la Yakuza in Giappone ha sempre avuto “il permesso di esistere”, quasi come fosse “un’agenza di stato ufficialmente riconosciuta”, tanto che per anni è stata percepita come una sorta di organo di “contenimento del crimine”, usato dai decisori ufficiali e dai governi per evitare “di bandire tutti i giochi d’azzardo pubblici, i servizi sessuali a pagamento e le attività connesse alla vendita degli alcolici”, in un contesto, come quello nipponico, in cui il crimine è biasimato dall’intera società e dove vige da sempre una forte cultura moralistica e della vergogna, con conseguenti riti di espiazione che possono arrivare al suicidio. Fatto sta che l’organizzazione ha sempre avuto il permesso di reclutare apertamente i suoi membri, con tanto di uffici preposti, e le forze di polizia hanno un reparto addestrato apposta per avere a che fare con essa. Il suo volto storicamente è caratterizzato dalla doppiezza: modi pacifici e crimini cruenti, delinquenti di strada e colletti bianchi, fronte legale e dimensione illegale, con una preminenza, a differenza delle più violente triadi cinesi, degli affari dalla facciata linda. Ed ecco allora catene di alberghi, finanziarie, agenzie immobiliari e di spettacolo – tipiche attività utilizzate dalla Yakuza per riciclare il denaro – essere parte dell’economia dello Stato insulare, in una catena di mani che si stringono alimentando il sistema dell’esercizio del potere.

 

Dall’olimpo mafioso alla parodia di se stessa

La Yakuza – i cui membri sono riconoscibili dai caratteristici tatuaggi con le squame di carpa e, spesso, dalla protesi al dito mignolo dopo l’amputazione della falange come segno di fedeltà o per chiedere perdono al capo – nasce con una struttura patriarcale divisa in bande, con pochissime donne che possono dire di farne parte (con il nome di sorelle maggiori). Le regole sono rigidissime, con tanto di codice, e l’obbedienza la capo è quasi religiosa. Le origini sono incerte, ma senza dubbio antiche, con i suoi antenati samurai difensori degli indifesi e più avanti con i venditori ambulanti del Settecento. L’organizzazione andò in crisi subito dopo la seconda guerra mondiale, ma riuscì a rimettersi in piedi occupandosi della sicurezza personale dei politici più in vista (vere e proprie squadre di guardie del corpo). Nel 1963 gli affiliati arrivarono a quota 184.000 divisi in 5.200 gang, ma il passo falso di appoggiare la destra più nera gli fece perdere terreno. Il piano iniziò a inclinarsi in modo irrimediabile con l’introduzione nel 1992 della legge che dichiarò illegali tutte le associazioni che ricorrevano a violenza e intimidazione. Prima di quel momento mostrarsi palesemente membri della Yakuza era un vero e proprio blasone, con tanto di logo da esporre nelle case e nei luoghi pubblici, ritenuto inoltre, come la letteratura racconta, un efficace biglietto da visita nella conquista di simpatie femminili. Via via questa ostentazione, anche delle gerarchie interne che erano note ai più, e dell’abitudine di vestirsi con fogge costose e particolari, si è ritorta contro gli stessi affiliati, arrivando a colpire persino le sorti dei capi. Non è un caso, infatti, che nel 2015 ci sia stata la scissione dall’organizzazione della frangia Yamaguchi-gumi, che in tanti ritengono la famiglia erede del potere originario della Yakuza (di cui usa il logo).

 

I giovani preferiscono la reputation, con la mafia si finisce in galera e senza soldi

Oggi i membri della Yakuza sono crollati a 14.800, e i giovani, come dicevamo, vedono in essa la garanzia di insuccesso e marginalità sociale. Essi, diversamente, puntano al credito sociale, al nome, alla reputazione (la cosiddetta reputation per la quale esistono agenzie internazionali ad hoc), per avere un posto alla luce del sole e non doversi nascondere. Appartenere a una delle gang, ora che il marketing mafioso non riesce più a imporre lo storytelling dell’abito gessato, delle auto potenti e dello champagne, ha perso il suo fascino. Gli ex componenti parlano chiaro: “Una volta usciti dalla Yakuza, anche se non si è più iscritti nelle liste della polizia, resta lo stigma e non si riesce neppure ad avere un sussidio”. Si rischia, dunque, di finire in mezzo a una strada, senza un soldo in tasca, “senza né famiglia né risparmi”. Ultimo dettaglio: i ‘padrini’ nipponici in tempi non sospetti, prima degli anni novanta, hanno creato compagnie obbligando gli affiliati a comprare delle quote, legandoli così per sempre alla Yakuza e al suo destino. Adesso che l’olimpo vacilla, l’appartenenza a questo gruppo di potere è una zavorra che obbliga i nonni a passare la vecchiaia facendo i sicari (“Le reclute scappano dopo un anno”, racconta un fuoriuscito), mentre le nuove generazioni preferiscono la gloria dei social alla dimensione della criminalità.

La Yakuza ha i capelli grigi.ultima modifica: 2020-11-15T19:57:01+01:00da ugo565
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