Salvini: “È giusto che chi guadagna di più paghi meno tasse, spende di più”

Salvini: “È giusto che chi guadagna di più paghi meno tasse, spende di più”

“Con la flat tax ci guadagnano tutti”. Questa la promessa del ministro dell’Interno

 

Con la flat tax “ci guadagnano tutti”. Così il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha risposto a ‘Radio Anch’io’ a chi gli chiedeva se la riforma fiscale ipotizzata nel contratto fosse iniqua e consentisse maggiori guadagni ai ricchi.

“Se uno fattura di più e paga di più è chiaro che risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più – ha aggiunto il ministro – Non siamo in grado di moltiplicare pani e pesci. Ma l’assoluta intenzione è che tutti riescano ad avere qualche lira in più in tasca da spendere”. Perché il problema del nostro paese, ha concluso Salvini, “è che le esportazioni vanno bene grazie ai nostri eroici imprenditori, che nonostante tutto e tutti tengono alto il made in Italy nel mondo, ma devono tornare a comprare anche gli italiani. E per farli tornare a comprare occorre che tornino a lavorare dignitosamente e che abbiano in tasca qualche lira”.

Smonteremo la legge Fornero

Smontare la legge Fornero “è un impegno sacro”, ha ribadito Salvini parlando della riforma del sistema pensionistico. “L’impegno è di smontarla pezzetto per pezzetto – ha aggiunto – ripartendo da quota cento ed avendo l’obiettivo di tornare a quota 41 anni di contributi”.

Lotta all’abusivismo

“Stiamo preparando un dossier su ‘spiagge sicure’, per evitare almeno in parte il dramma dell’abusivismo che colpisce commercianti e bagnanti”, ha annunciato infine il ministro dell’Interno indicando uno dei temi temi su cui sta lavorando in questi primi giorni al Viminale.

Sergio Marchionne è morto, aveva 66 anni

Sergio Marchionne è morto, aveva 66 anni

Il manager che ha salvato la Fiat e ha creato Fca era ricoverato in Svizzera da fine giugno

Sergio Marchionne è morto all’UniversitatsSpital, l’ospedale universitario di Zurigo, dove era ricoverato dalla fine di giugno. Aveva 66 anni. Lascia due figli, Alessio Giacomo e Jonathan Tyler, e la compagna Manuela. Il manager, che da ieri ha passato le consegne da tutti gli incarichi, era in condizioni disperate, considerate irreversibili.

Il manager si era sottoposto a un intervento chirurgico, ma durante il decorso post operatorio sono sopraggiunte complicazioni che hanno compromesso la situazione. L’annuncio “con profonda tristezza” del gruppo Fca della impossibilità per Marchionne di riprendere la sua attività lavorativa ha destato commozione e attestati di stima in tutto il mondo. La sua ultima uscita pubblica era stata il 26 giugno scorso, per la consegna della Jeep Wrangler all’Arma dei Carabinieri.

Sergio Marchionne era il manager dei due mondi. Nato a Chieti nel 1952, cresciuto in Canada, residente in Svizzera, fino al successo professionale in Italia.

Il padre Concezio era maresciallo dei Carabinieri, a lungo in servizio in Istria a cavallo delle due guerre e oltre. Lì conosce la madre Maria, la cui famiglia fu tragicamente perseguitata nello scontro etnico fra italiani e slavi. Per questo i due si rifugiano dalla famiglia di lui, in Abruzzo. Lì nasce Sergio, e lì resterà fino ai 14 anni. Poi il padre, raggiunta la pensione, decide di prendere armi e bagagli e ricominciare in Canada.

Marchionne prende due lauree (Filosofia all’università di Toronto, Legge alla Osgoode Hall Law School of York University) e un Mba (Università di Windsor). Lavora come commercialista e avvocato, si forma in diverse esperienze aziendali. La prima svolta arriva nel 2002, quando diventa a.d. di Sgs a Ginevra e si fa notare da Umberto Agnelli, che lo coopta nel Cda di Fiat nel 2003. Il primo giugno 2004 da perfetto sconosciuto veniva chiamato a gestire la Fiat. Al suo fianco c’erano il presidente Luca Cordero di Montezemolo e il vice John Elkann. Le sue prime parole furono queste: “Fiat ce la farà”. Da quel momento e per 14 anni, il nome Fiat (e poi Fca) e quello di Sergio Marchionne sono stati indissolubilmente legati.

Anoressia nervosa, viaggio nell’inferno della “filosofia” Ana.

Anoressia nervosa, viaggio nell’inferno della “filosofia” Ana. “Fino a vedere le tue splendide ossa”

Consigli folli, regole ferree e lesioni autoinflitte per dimagrire a qualunque costo. Huffpost è entrata in blog e chat “pro Ana”, vere e proprie trappole manipolative: “Io sono la tua vocina…”

GETTY IMAGES/EYEEM

“Senti una voce che ti dice di farlo? Sono io la vocina. Io so tutto… sono la tua Ana”. “Ana” sta per anoressia nervosa. È bastato lasciare il numero telefonico su un blog individuato tramite Google per ritrovarsi precipitati in una realtà sommersa, sconosciuta ai più. Una realtà in cui conta solo dimagrire a qualunque costo, digiunando a oltranza o vomitando dopo aver mangiato, ingoiando lassativi o sfinendosi con la ginnastica. Sempre più giù, “fino a vedere le tue splendide ossa”, recita uno dei comandamenti della “filosofia Ana”, sorta di culto, in realtà manifestazione di patologie complesse e pericolose, in cui la magrezza diventa l’unico indicatore di bellezza e successo. In questo mondo invisibile, ma tutt’altro che parallelo, si aggirano migliaia di giovani e giovanissimi, alle prese con i Dca, disturbi del comportamento alimentare.

Si incontrano in spazi virtuali, definiti “pro Ana” e “pro Mia” a seconda che vi si celebri l’anoressia o la bulimia. Condividono consigli, regole autoimposte, fotografie di corpi emaciati e braccia sfregiate, si supportano nel mantenimento di propositi malati, amplificando i rischi, concretissimi, che queste patologie, che possono condurre alla morte, in espansione come altri disturbi alimentari, si cronicizzino e si diffondano.

Siti web – secondo le stime ufficiali oltre trecentomila – blog su Tumblr, profili su Facebook, Twitter e Instagram. Ma soprattutto, con il diffondersi delle app di messaggistica, gruppi su Whatsapp e Telegram, rigorosamente “chiusi” per non essere intercettati, nei quali, come HuffPost ha verificato, non è difficile entrare, ma non è sempre facile restare. Bisogna rispettare delle regole, spesso restrittive. Dalla mattina alla sera, come in una sorta di propaganda costante, incessante, della malattia, come la rete sfuggente ai controlli, si discute di calorie, limitazioni e diete dimagranti spesso improvvisate, si pubblicano fotografie per alimentare la “thinspiration” (da “thin”, magro e “inspiration” ispirazione).

Nessuna voglia o intenzione di condividere emozioni, esperienze: l’unico interesse è perdere peso, come si dice in gergo, “raggiungere l’obiettivo”. Paura di vomitare? “Io mi infilo lo spazzolino in gola”, è il consiglio. “Cena coi parenti, prevedo abbuffata”. “Legati un elastico al polso e fallo schioccare quando hai fame”. E ancora: “Se proprio devi mangiare butta i bocconi nel tovagliolo o nelle maniche della felpa”.

L’importante è che il numero sulla bilancia non salga. Qualcuno si definisce proprio così “un numero”, sui blog gira l’immagine di un frigorifero aperto, dentro solo bottiglie di acqua, con la didascalia: “Il mio frigo quando vivrò per conto mio”. Niente cibo, la perfezione. Magre e belle. Da morire.

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Il viaggio, tra blog e chat. Il primo contatto arriva poco dopo aver lasciato nome e numero di telefono in tre blog: uno, “Anailmioinferno”, trovato attraverso Google, due su Tumblr. In otto giorni, vissuti con lo smartphone sempre a portata di mano – in queste comunità si interagisce anche di notte – saranno dieci, due i gruppi Pro Ana su Whatsapp in cui saremo ammessi, mentre una ragazza ci proporrà di aprirne “uno insieme”. Abbiamo scritto di avere sedici anni: nessuna delle “amministratrici” si è preoccupata di avere a che fare con una minorenne. Prima domande come “Quante volte ti pesi al giorno?”, “Sai a cosa vai incontro?” “Come e perché hai scelto Ana?”, dopo la richiesta della foto – “anche solo viso” – come “controllo antispie”. Sull’età nessuna obiezione.

D’altra parte, sono tantissimi i ragazzi con meno di diciotto anni – in uno dei gruppi, una quarantina di partecipanti, alcune ragazzine scrivevano di averne 13 e 14 e un ragazzo 16 – che, lasciando alla mercé della rete dati anagrafici completi e numero telefonico, chiedono di entrare in queste comunità virtuali, quando non le gestiscono direttamente, o che attraverso i loro blog, veri e propri diari di un’ossessione mortifera, invitano altri a unirsi al loro gruppo. Né dei nostri 16 anni si è preoccupata la sedicente venticinquenne presentatasi come “Ana”, “la vocina nella tua testa”, che ha liquidato disgusto e timori per il vomito con un deciso: “Ti devi solo abituare…vedrai che più lo fai e più ti verrà facile. Devi allenarti molto e pensare a quanto sarai perfetta con Ana”. Parole agghiaccianti, seguite da ancor più inquietanti domande “Ti punisci mai? Io mi taglio. Non l’hai mai fatto?” e richieste: “Fatti delle foto nuda davanti e dietro, completa dal viso ai piedi”.

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Per gli esperti consultati da HuffPost dinamiche non estranee ai gruppi a favore dell’anoressia. “Le modalità manipolatorie messe in atto sono come quelle di una setta. In un gruppo pro Ana sei protetto, ma anche controllato e la richiesta di foto spesso risponde a questa logica – fa notare la psichiatra Laura Dalla Ragione, direttore della Rete servizi dei Disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria e docente presso il Campus Biomedico di Roma – Dietro questo gioco perverso ci sono persone malate che negano la patologia, facendo passare il messaggio che è una scelta di vita legittima”. Ogni giorno bombardati da immagini di modelli glamour e magrissimi – “ma la visione di una foto non può far ammalare”, precisa Dalla Ragione – gli adolescenti che pensano solo a dimagrire a tutti i costi ricercano la perfezione non mangiando, sovente punendosi per quelli che considerano “sgarri” alle loro diete sballate con tagli o bruciature sulle gambe e sulle braccia, “che esibiscono in foto condivise come trofei di guerra. Dietro questa ricerca – puntualizza la psichiatra – c’è la ribellione al mondo degli adulti e di quanti riconoscono in loro la malattia”.

Farglielo notare non serve: in uno dei gruppi in cui HuffPost è entrato, qualcuno ha provato a scrivere che scendere sotto le 500 calorie al giorno è rischioso per la salute: si è beccato del “moralista”. “Abbiamo già un disturbo alimentare, non sarà un gruppo Whatsapp ad aggravarlo”, l’obiezione più condivisa. E in tante – tra loro anche una tredicenne – hanno deciso di abbandonare il gruppo e aprirne uno nuovo, “con regole più severe”, che spesso significa un numero limitatissimo di calorie al giorno – quando non digiuni prolungati – e controlli settimanali del peso, gli esiti provati tramite foto. Chi non raggiunge l’obiettivo è fuori.

I gruppi vengono aperti e chiusi con grande velocità, come i blog, proibiti – qualche giorno dopo la nostra iscrizione, la pagina del blog “Anailmioinferno” risultava cancellata. Ma altri ne sorgeranno: nel 2012 Instagram ha bannato una serie di hashtag pro anoressia e bulimia, ma dopo poco si è registrato un incremento nella creazione di nuovi hashtag.

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L’EPIDEMIA – Forme di ribellione pericolosissime, negli ultimi due anni sono morte oltre seimila persone di anoressia nervosa e bulimia. I disturbi del comportamento alimentare interessano 3,2 milioni di persone tra 12 e 17 anni e trecentomila bambini tra 6 e 12 anni hanno problemi con il cibo. Per Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero della Salute per i Dca, “una vera e propria epidemia. Inoltre, l’età di esordio si è abbassata, vengono colpite bambine di 8-10 anni”. E sempre più maschi, oggi il 20 per cento del totale. “La stragrande maggioranza dei nostri pazienti ricoverati è passata attraverso il circuito di spazi virtuali in cui ci si supporta per non mangiare – aggiunge Dalla Ragione – Ma la rete e i social, se ben utilizzati, possono veicolare messaggi positivi”.

QUANDO LA RETE È AMICA – Sandra Zodiaco ne è la prova vivente. Veneta, quasi ventotto anni, collaboratrice presso l’Università Ca’ Foscari, ha combattuto l’anoressia nervosa per nove anni. “Mi facevo del male, ho pensato al suicidio”, racconta ad HuffPost. Poi, un giorno, navigando in rete, si è imbattuta in un post, pubblicato sul blog dell’associazione che lotta contro i Dca, “Mi nutro di vita”, di una ragazza che raccontava di aveva vinto la sua battaglia. “Dopo aver letto quel post ho deciso di farmi aiutare – aggiunge Sandra – Per uscirne bisogna affidarsi a chi possiede gli strumenti per aiutarci”. Oggi quel blog lo gestisce lei e crede nelle potenzialità positive della rete. Come Federica Sartini, trentotto anni, oltre dieci passati a combattere l’anoressia. Nella tesina di laurea ha approfondito la relazione tra social network e diffusione dei disturbi alimentari. E, con il supporto dell’associazione “RunLovers”, vuole provare a organizzare delle ultra maratone di sensibilizzazione con l’hashtag #iocorrocontroanoressiaebulimia. “La corsa è metafora della voglia di vivere – fa notare – al pieno delle proprie energie, quelle che l’anoressia toglie, rendendo ciascuno estraneo anche in casa propria”.

I decaloghi mortiferi condivisi negli spazi pro Ana contengono indicazioni per ingannare genitori e parenti – l’ultimo, definitivo, è “negare sempre”. Consigli che possono rinforzare patologie come i disturbi alimentari. A novembre scorso una blogger che istigava all’anoressia attraverso un blog è stata denunciata, ma una legge ad hoc manca.

Le proposte presentate in Parlamento – l’ultima, il Ddl 438, è della senatrice di Forza Italia, Maria Rizzotti – prevedono anche pene detentive. Ma quasi sempre chi istiga a un disturbo alimentare ne è anch’egli affetto: per questo, per Dalla Ragione, la pena va commutata in percorso di cura. La pensa così anche Stefano Tavilla, che ha fondato “Mi nutro di vita” dopo la morte, a 17 anni per bulimia, della figlia Giulia. “Reprimere e punire col carcere non serve – spiega ad HuffPost – Bisogna educare con campagne mirate, a partire dalle scuole. Nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, i Dca sono inseriti tra le malattie psichiatriche. Devono conquistare un loro posto, così da obbligare ogni Regione a organizzarsi per fornire servizi adeguati agli ammalati e ai loro familiari”.

LE CARENZE DEL SISTEMA – In Italia le strutture, compresi ambulatori e reparti ospedalieri, sono 138 (fonte disturbialimentarionline.it), “ma in realtà il sistema è carente”, dice Tavilla. E c’è chi come M. F., sessant’anni, è costretto a macinare migliaia di chilometri per raggiungere, dalla Liguria, la clinica in Lombardia dove hanno preso in cura la figlia diciottenne, anoressica. Una malattia da affrontare anche in famiglia. “La collaborazione tra i genitori è fondamentale – aggiunge – È devastante vedere un figlio che ti sparisce davanti, ma intervenire si può, cogliere dei segnali anche. Ai genitori dico: parlate con i vostri figli, state attenti ai telefonini, ai tablet e ai loro cambi d’umore. Se soffrono per un disturbo alimentare sforzatevi di tenere distinte la persona dalla malattia. Io vedo i segni sulle braccia di mia figlia, ma non mi focalizzo sul sintomo della malattia. Un anoressico non è la vocina che dice di sentire e sente nella sua testa, è una persona che va aiutata a combattere la battaglia più importante, quella per la sua vita”.

“Il suo è un circo, alla fine Di Maio firmerà con Mittal”. Intervista a Carlo Calenda sul caso Ilva

“Il suo è un circo, alla fine Di Maio firmerà con Mittal”. Intervista a Carlo Calenda sul caso Ilva

L’ex ministro: “Se la gara è viziata deve annullarla. A me l’Avvocatura diede tre pareri positivi, a differenza sua li ho resi pubblici”. Critiche alla Fiom

“Di Maio ha messo su un circo, non un’azione di governo. Alla fine di questa sceneggiata si siederà al tavolo per firmare l’accordo con Mittal”. Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico, è l’imputato numero uno del “delitto perfetto” contro l’Ilva di Taranto evocato da Luigi Di Maio. Accuse pesanti, quelle del nuovo titolare del Mise, che partono dalle criticità che sarebbero state evidenziate dall’Avvocatura dello Stato nel parere sulla validità della gara.

Di Maio parla di “delitto perfetto” compiuto dallo Stato. Non la cita direttamente, ma la gara per l’Ilva si è svolta quando lei era ministro. Si sente colpevole?

“Assolutamente no. Il delitto perfetto è quello che Di Maio ha fatto alla nostra intelligenza quando dichiara ‘la gara è illegittima ma non posso annullarla’”.

Il suo successore parla di gara “illegittima”, sostanziando questo giudizio con i rilievi dell’Avvocatura. La gara è stata viziata da errori?

“La gara è stata monitorata costantemente dall’Avvocatura dello Stato, che ha dato tre pareri, e dall’Unione europea”.

Scendiamo nel dettaglio delle contestazioni. Di Maio accusa il suo governo di aver impedito il rilancio dell’offerta per l’Ilva e riferisce che l’Avvocatura gli dà ragione.

“Sul tema dei rilanci il parere dell’Avvocatura, che io ho chiesto prima di Di Maio, è di una chiarezza diamantina”.

Cosa dice?

“Si rileva inoltre come l’apertura di una nuova fase selettiva, nel caso di specie, ben difficilmente potrebbe essere svolta sotto forma di rilanci’. Sufficientemente chiaro direi. A differenza di Di Maio ho pubblicato il parere, lo possono vedere tutti. Per questo dico a Di Maio di tirare fuori il parere dell’Avvocatura ora, non fra un mese”.

Diamo a Di Maio la presunzione d’innocenza. In questo caso come replica?

“Io parlo del parere che è pubblico e che è precisissimo, molto puntale. Ribadisco: il parere di Di Maio lo voglio vedere. Dato che loro sono quelli del ‘desecretiamo tutto’, come hanno detto di voler fare con le concessioni autostradali, allora lo facciano davvero”.

Insisto. Se una volta pubblico il parere confermasse le anticipazioni del ministro?

“Allora l’Avvocatura dovrebbe spiegare perché un anno fa era estremamente diretta nello spiegare perché accettare i rilanci era impossibile e ora no. Ma ripeto: qui stiamo discutendo in presenza di uno squilibrio, cioè di un parere noto confrontato con uno non noto”.

Arriviamo alle conclusioni di Di Maio: la gara è illegittima ma non si può annullare. Come giudica questa valutazione?

“Caos mentale. Tu hai chiesto un parere all’Avvocatura per sapere se la gara fosse legittima o illegittima e poi dici che la gara è illegittima e non si può annullare? A quale scopo, allora, hai chiesto il parere? La realtà è che l’Avvocatura ha scritto che lui non è nelle condizioni di annullare la gara e per questo non fa vedere il parere”.

Di Maio dice che non basta l’illegittimità dell’atto per arrivare all’annullamento della gara e parla della necessità di accertare se è stato leso l’interesse pubblico. Solo allora – è il ragionamento – si può valutare l’annullamento.

“Stesso ragionamento di prima: se l’interesse pubblico è ottemperare all’esito della gara che ragione c’è di minacciare l’annullamento? Il problema è che nel Contratto di coalizione e anche prima ha promesso di chiudere l’Ilva e convertirla. Poi al ministero si è reso conto di cosa vorrebbe dire chiudere l’Ilva anche dal punto di vista di responsabilità politica. A quel punto l’unico escamotage che gli è rimasto è quello di dire “è colpa di Calenda se devo chiudere con Mittal. E sia, purchè chiuda”.

Perché politica?

“Perché se mettesse per strada 20mila famiglie, tra Taranto e Genova, verrebbe giù il Paese”-

Cosa farà ora Di Maio secondo lei?

“Proseguirà nella sceneggiata per poter dire alla fine che è obbligato a chiedere uno sforzo in più a Mittal, che lo farà”.

Pensa che Mittal sia pronta a dare più garanzie sul fronte dell’occupazione?

“Alzerà le assunzioni da 10mila a 10.500 e darà una garanzia generica per chi resta fuori alla fine dell’amministrazione straordinaria. Sarà un accordo peggiore del nostro, che prevedeva l’assunzione immediata di 10mila persone e l’impiego di altre 1.500 in una società costituita dall’Amministrazione straordinaria che avrebbe fatto i lavori di bonifica e attività, garantite per Mittal. Inoltre abbiamo offerto un incentivo volontario all’esodo consistente in 7 anni di cassa e 100.000 euro”.

Di Maio però dice che se altre aziende volessero partecipare alla gara allora si potrebbe rifare tutto daccapo. È una prospettiva credibile?

“Le sembra una cosa seria? Serio è organizzare una cordata, come abbiamo fatto noi con AcciaItalia, che poi perse perché presentò un’offerta più debole. Il suo è un circo, non è un’azione di governo. Tu sei il ministro dello Sviluppo economico: non sai se c’è qualcuno che ha un interesse per Ilva? Dai l’ok alla gara, che tu dici essere irregolare, e poi dici “se c’è qualcuno che passa..? Ma siamo seri”.

Insomma, alla fine Di Maio chiuderà con Mittal.

“Ma certo”.

Il ministro ha invitato Mittal e i sindacati a incontrarsi nuovamente e arrivare a un accordo. I contatti, informali, nei giorni di Ferragosto però sono stati tutt’altro che positivi. Perché si dovrebbe arrivare ora a un accordo?

“I sindacati sanno benissimo che Mittal non può assumere 13.600 persone perché ritiene di gestire l’Ilva con 9.500-10.000 persone dopo gli investimenti. Il tema è come garantire 3.600 persone, e noi avevamo fatto una proposta che raggiungeva l’obiettivo, ma su questo ho assistito a un cambio di posizioni davvero sorprendente”.

Di chi sta parlando?

“La segretaria della Fiom tuonava contro gli incentivi all’esodo quando guidavamo noi la trattativa. Ora dice che è favorevole. Alla fine faranno più di duemila esodi incentivati, che era la nostra proposta e la garanzia finale la darà Mittal in cambio di uno sconto sul prezzo, invece di Invitalia, che peraltro essendo azienda pubblica garantiva di più senza bisogno di sconti. La Fiom e la Cgil si sono rifiutati di negoziare dicendo che non eravamo più legittimati, perché quello era il loro regalo al governo che nasceva. Ora sono con la penna in bocca, pronti a firmare”.

Di Maio: “Su Ilva è stato commesso il delitto perfetto”

Di Maio: “Su Ilva è stato commesso il delitto perfetto”

Il vicepremier commenta il parere dell’Avvocatura di Stato: “Nella gara pochissimo di regolare, non sono stati consentiti rilanci”

“Su Ilva è stato commesso il delitto perfetto”. A dirlo è il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, durante la conferenza stampa per illustrare il parere dell’Avvocatura dello Stato sulla procedura di aggiudicazione dell’Ilva. Un “delitto perfetto” che però, secondo il vicepremier, sarebbe stato commesso “dallo Stato, creando una procedura piena di vizi e illegittimità, e non dal privato, che ha sempre agito in buona fede”.

Per Di Maio dal parere dell’avvocatura emerge che “c’è pochissimo di regolare in questa gara”. Il motivo sta nella gestione dei rilanci: “Non si è fatto fino in fondo l’interesse dello stato e dei cittadini. Questo perché non aver concesso i rilanci, secondo l’avvocatura, configura un eccesso di potere che rende illegittima la gara”. Gara che tuttavia, spiega ancora il vicepremier, “non si può annullare”, perché deve sussistere la “tutela dell’interesse pubblico concreto e attuale”.

Altro nodo cruciale del parere dell’Avvocatura, che “sarà reso pubblico”, è quello sulla concorrenza: “Se anche una sola azienda ci chiedesse di partecipare alla gara – prosegue Di Maio – ci sarebbero le ragioni di opportunità, noi potremmo revocare la gara”.

La risposta di Calenda: “Delitto imperfetto è il tuo”

Non si è fatta attendere la risposta dell’ex ministro dello Sviluppo economico Pd, Carlo Calenda: “Caro Luigi Di Maio il ‘delitto (im)perfetto’ è il tuo verso la nostra intelligenza. Se la gara è viziata annullala. ‘Potremmo se ci fosse qualcuno interessato’ e le altre fesserie del genere che ci stai propinando da mesi, dimostrano solo confusione e dilettantismo”.

Fedriga alza il “muro” alla frontiera friulana

Fedriga alza il “muro” alla frontiera friulana: “Sgomberi immediati e presidio dei forestali”

Il governatore leghista annuncia una stretta al confine con la Slovenia e l’allontamento degli irregolari

PICCOLO

Si intensificano gli arrivi in Italia dalla frontiera slovena e il governatore leghista Massimiliano Fedriga alza un “muro”.

“Dalla prossima settimana – annuncia il presidente del Friuli Venezia Giulia – la Regione metterà a disposizione il corpo forestale del Fvg per attività di supporto ai controlli lungo la fascia confinaria tra Fvg e Slovenia e, nel frattempo, grazie al pronto intervento del ministero degli Interni, mai prima d’ora così tempestivo, le autorità preposte provvederanno ad allontanare da Trieste tutti i migranti irregolari che si sono resi recentemente protagonisti di bivacchi non autorizzati sulle Rive cittadine”.

“L’intensificarsi degli arrivi attraverso la frontiera italo-slovena – evidenziano governatore e assessori regionali – è stato affrontato fin dallo scorso mese con un consistente rafforzamento della presenza di forze di Polizia nelle aree piu’ a rischio, proprio ieri nuovamente implementato con l’obiettivo di garantire la sicurezza del territorio e dei cittadini”.

“Ora – concludono Fedriga, Roberti e Zannier – il messaggio che lanciamo e’ quello di una forte sintonia tra istituzioni che, nel concreto, si traduce in azioni rapide e condivise con l’obiettivo sempre ben chiaro di bloccare gli arrivi ed alleggerire ogni forma di pressione sul Friuli Venezia Giulia perche’, va ribadito, questa regione non e’ una porta aperta ai clandestini”.

Il buonismo è fallito ma il cattivismo non deve superare i limiti.

Migranti: “Il buonismo è fallito ma il cattivismo non deve superare i limiti. Vi dico dove Salvini ha ragione”

Antonio Polito, vice direttore del Corriere: “L’arrivo indiscriminato dei migranti è sbagliato, sia per gli italiani che per gli stessi migranti perché spesso non riescono ad essere accolti in maniera degna e sono costretti a vivere in condizioni miserabili”

Antonio Polito
Antonio Polito
di Ignazio Dessì   –   Facebook: I. Dessì

Riferendosi all’argine ai migranti, al censimento Rom e alla questione armi, l’ex premier Pd Gentiloni stigmatizza lo sforzo del ministro degli Interni Matteo Salvini: “Che fatica essere cattivi”, scrive. Ma fino a che punto tutto può essere ricondotto alla separazione tra buoni e cattivi? E il mondo si divide essenzialmente tra buonisti e cattivisti, oppure esistono zone intermedie? Tra il bianco e il nero può esserci il grigio? Fino a che punto nel risultato sostanziale l’operato degli uni risulta migliore e più umano di quello degli altri? Quale atteggiamento porta più risultati riguardo al problema dei migranti? Se lo è chiesto Antonio Polito sul Corriere della Sera. Una cosa è certa a suo avviso: il buonismo ha stufato gli italiani perché ha fallito nei risultati, e questo Matteo Salvini, dal suo scranno di preposto alla loro sicurezza, l’ha ben compreso. Il buonismo intendeva combattere il traffico degli essere umani  lasciando passare tutti nella convinzione fosse giusto e ineluttabile, ma ciò si è rivelato come cercare di bloccare il contrabbando dando una mano ai contrabbandieri. Mentre, sull’altro versante, il cattivismo può perfino portare utili risultati ma talvolta trascende: ritiene di poter trascurare gli essere umani quasi fossero complici del traffico e non vittime. Si parla di “crociera”  nel Mediterraneo o di gente pronta a “godersi la pacchia”. Si urla “prima gli italiani”. Ma quanto ci vuole a ignorare come spesso si possa scadere in una guerra tra poveri, mettendo  in conflitto due innocenti e rendendoli entrambi vittime? Dove sta il confine? Abbiamo cercato di parlarne proprio con Antonio Polito, giornalista e politico, fondatore e direttore de Il Riformista e attuale vice direttore del Corriere della Sera.

Direttore, allo stato attuale il buonismo sembra uscirne perdente.
“Non c’è dubbio, siamo di fronte al fallimento della retorica buonista che voleva addirittura presentare come un vantaggio per le nostre società l’arrivo indiscriminato dei migranti, un fatto non solo indolore ma perfino positivo. Una tesi dimostratasi chiaramente infondata, sbagliata perché invece ha acceso tensioni estreme di carattere culturale e sociale”.

Una barca carica di migranti

 Sbagliata anche per i migranti?
“Sia per gli italiani che hanno visto arrivare in casa i migranti, e sia per gli stessi migranti che molto spesso non riescono ad essere accolti in maniera degna e sono costretti a vivere in condizioni miserabili. Dunque l’idea del venga chi vuole, tanto siamo abbastanza grandi, ricchi e ospitali, è insensata: non funziona, è sbagliata. Ormai anche le persone più avvertite e progressiste, hanno la convinzione per cui è un male anche per gli stessi migranti incentivarli a venire con la facile premessa di poterli accogliere come se nulla fosse”.

Le prese di posizione del nuovo governo come le giudica?
“Questo fallimento ha generato una reazione che si sostanzia in alcune novità politiche che io trovo positive. Mettere l’Europa davanti alle sue responsabilità, dare la sveglia a certi Paesi abituati  ad approfittare del fatto che il problema era italiano per lavarsene le mani, è molto giusto. Come ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, chi mette piede in Italia mette piede in Europa. Chi arriva sulle coste italiane vuole andare in Europa, dunque l’Europa deve occuparsi di ospitarlo per il tempo necessario a verificare se ha diritto alla protezione umanitaria, e nel caso integrarlo”.

E l’altra reazione di cui lei parla nell’intervento sul Corriere?
“Questa è la reazione politica. L’altra reazione è quella di chi diffonde un atteggiamento culturale pericoloso, una retorica opposta al buonismo che è, appunto, il cattivismo. Quello per cui occorre non solo cambiare politica ma farlo in maniera cattiva. Un esempio lo prendo volutamente da fuori del panorama italiano, proprio per evitare di inserirlo nella nostra politica, ovvero dagli Usa: cattivismo è separare i figli dalle madri e dai genitori al confine con gli Stati Uniti, come sta facendo l’amministrazione americana, provocando perfino la reazione della signora Melania Trump. Questo è cattiveria. L’ azione di chi tende a mostrare, pur di farsi bello e forte, che non contano più i buoni sentimenti.  Di chi affronta le cose come sono, con realismo e senza indulgere nei sentimentalismi. Tale diffondersi di retorica culturale io lo trovo sbagliato e penso che i media debbano dirlo”.

Il vice direttore del Corriere della Sera Antonio Polito

Da questo punto di vista si tratta di restare umani e recuperare categorie come la misericordia verso gli altri esseri umani?
“Occorre che le scelte politiche tendano a riequilibrare una situazione dannosa sia per i residenti che per i migranti. Il punto è che le scelte vengano fatte con questo scopo non con quello di punire, di ricostruire una situazione culturale di supremazia verso gli altri. Cerco di spiegarmi meglio: l’obiettivo deve essere il vantaggio comune, il bene comune. Ci metto quindi dentro, ovviamente, anche il bene delle persone che si mettono in viaggio cercando di scampare alla fame, alle persecuzioni, alle dittature o alle guerre. Il bene comune tuttavia non può prescindere anche dal bene degli italiani che accolgono queste persone. Questo significa mettere al centro il bene comune”.

In quali casi ciò non avviene e diventa cattivismo?
“Se l’atteggiamento culturale è sostenere che bisogna fermare l’invasione, perché ce li manda il progetto mondialista dell’ebreo Soros, o i terroristi dell’Isis che ci vogliono invadere per prendere poi il potere e distruggere la civiltà occidentale, se tutto ciò si trasforma in un processo punitivo, in una guerra animata, allora questo è cattivismo. Un cattivismo che dobbiamo combattere anche nella testa della gente, nell’opinione pubblica italiana. E’ facile infatti abbandonarsi a questi estremismi e ogni tanto molti ci cascano davanti a una situazione logorante. Siamo tutti d’accordo che non si può andare avanti così, ma vediamo di essere d’accordo anche sul fatto di non farlo per proteggere la nostra etnia o la nostra razza, la nostra cultura o la nostra religione. Tutte cose che vanno tutelate ma senza aprire un conflitto con gli immigrati, perché la questione non è quella di scontrarci con queste culture. Si tratta di una questione più demografica, sociale, economica e politica. Dunque va risolta con quegli strumenti”.

M5S e Lega, che oggi esprimono il governo, hanno sempre sostenuto che occorre agire contro i trafficanti  di esseri umani e il business che sta dietro l’immigrazione.
“Come sostengo nell’articolo sul Corriere, riconosco senza dubbio che non ha senso proporsi di combattere il traffico di esseri umani lasciandoli passare liberamente. A ben considerare se uno fa l’equazione, orribile e molto sgradevole, che in questo contrabbando gli esseri umani sono (ahimè) la merce di questi contrabbandieri, non si può combattere quel traffico lasciando passare la merce. Per fermare il contrabbando e i trafficanti, bisogna anche fermare il traffico, lo spostamento di queste povere persone che spesso vengono illuse e non sono consapevoli del viaggio cui si stanno sottoponendo, dei rischi che ciò comporta. Io credo sia giusto cominciare a dire, come aveva fatto anche Minniti e non solo Salvini, che non è possibile ospitare nei porti europei ogni barca di migranti trovata di fronte alla costa libica e magari segnalata dai trafficanti. Se facciamo questo vuol dire che stiamo aiutando i contrabbandieri. Che in definitiva siamo d’accordo con loro. Che loro ci consegnano quella che chiamano merce, e noi la portiamo a domicilio. Su questo ha ragione Salvini ed aveva ragione anche Minniti. Purtroppo prima si è fatto troppo poco, perché la cosa è stata capita tardi o si è deciso di agire troppo tardi”.

Migranti

L’Europa reagirà positivamente alle prese di posizione del nostro governo? Le ultime dichiarazioni della cancelliera Merkel sembrano indicare un certo cambio di tendenza.
“L’Europa, scossa dal fenomeno, è di nuovo in preda a una grande crisi. In parte dovuta all’azione di Salvini e dell’esecutivo che ha risvegliato le coscienze, ma anche al fatto che  questo è un problema ormai condiviso tra le opinioni pubbliche interne. In Germania il governo della Merkel sta rischiando addirittura una crisi su questo punto, perché il ministro degli interni, l’esponente bavarese della Csu Horst Seehofer, vorrebbe stringere i cordoni e respingere alla frontiera tutti i migranti che sono stati registrati prima in un altro Stato, dunque anche quelli che sono passati per l’Italia. Su questo ha costruito un asse con Salvini e il cancelliere austriaco, però – attenzione – da sola questa cosa non risolve nulla, perché Salvini e Seehofer la pensano allo stesso modo ma il risultato è che i tedeschi non vogliono far passare i migranti che vengono da noi. Invece noi abbiamo bisogno che i migranti vengano ricollocati”.

E la Spagna?
“Lo stesso vale in Spagna, dove si è riaperta la rotta dello Stretto di Gibilterra e c’è di nuovo un forte flusso di migranti. La decisione del governo spagnolo di spalancare le porte alla nave Aquarius potrebbe addirittura lanciare un segnale di apertura che riaccende il traffico in quella zona del Mediterraneo. Si tratta in definitiva di un problema di politica interna e di un fenomeno di carattere europeo e continentale”.

Il costruttore pagava i politici ma non gli stipendi ai dipendenti

Figli da piazzare e biglietti allo Stadio. Le tangenti miserabili sul disastro di Roma. Il costruttore pagava i politici ma non gli stipendi ai dipendenti

Parnasi, che pagava i politici, sputtanato dalla sua segretaria . Davanti al suo ufficio c’è la fila dei questuanti con le loro richieste: i lavoretti, la mancetta, i figli da piazzare, i 15mila euro da incassare sotto falsa fattura, il progettino per il litorale da propinare agli elettori come una grande conquista, i biglietti gratis per la Roma

tangenti stadio roma parnasi
Il costruttore Luca Parnasi

Confessa il braccio destro del costruttore Luca Parnasi, Luca Caporilli: “Pagavamo tutti, politici e anche dirigenti pubblici”. Caporilli sostiene  che il costruttore avrebbe dato 1500 euro persino al funzionario del dipartimento programmazione capitolino che redigeva materialmente i pareri del Comune sullo stadio. Pensate: 1500 euro: meno di quanto si spende per un motorino, un piatto di lenticchie.

“Non abbiamo soldi per pagare i dipendenti”

Ma nello stesso giorno arrivano anche i virgolettati della segretaria del costruttore, Elisa Melegari, che racconta ai magistrati: “Non avevano soldi per pagare i dipendenti della società. Parnasi sollecitava continuamente i bonifici per i politici e io gli dicevo: non abbiamo i soldi per i nostri!”. Dialogo sublime e drammatico. Due testimonianze trascurate rispetto alle tante altre piovute sui tavoli delle redazioni in questi giorni, perché rese da attori non protagonisti in questa inchiesta, testimoni che non fanno titolo solo con il loro cognome perché sconosciuti al grande pubblico.

La fotografia straordinaria dell’inchiesta

Come al solito, però, trascurare le seconde file con il criterio della notorietà è un grande errore,  se non altro perché in queste due frasi (e nei due lunghi interrogatori da cui sono tratte) c’è la chiave di tutto, una quintessenza che ci fa capire molto bene questa inchiesta e il mondo che racconta ed illumina con una luce vivida da romanzo neorealista.

Che fotografia straordinaria e insieme miserabile che ci consegnano Caporilli e la Melegari: il presunto corruttore ricco e indebitato, sull’orlo del fallimento ma impegnato in affari titanici, più grandi di lui. E poi la Capitale senza timone, lo stadio che si fa o non si fa, con il consulente che lavora gratis ma arrotonda, ostacolato nella delega che si scrive da solo per farsi l’incarico, dagli anonimi (ed eroici) legali dell’avvocatura del Comune che dicono: “Non si può fare”. Per quanto possa sembrare assurdo, finché non lo arrestano, in Italia un personaggio così può sembrare ed essere un vincente. Finché non lo arrestano è un potente che decide anche dei nostri soldi e delle nostre vite.

La geometria perversa di questo Paese

E così, grazie alle testimonianze attente dei suoi collaboratori, scopriamo la geometria perversa di questo paese: l’indebitato di successo che dispensa mance e pianifica piogge di denaro (non suo) mentre fuori dalla sua porta c’é questa folla che si anima, una (presunta) classe dirigente in ginocchio. Davanti all’ufficio di Parnasi c’è la fila dei questuanti con le loro richieste: i lavoretti, la mancetta, i figli da piazzare, i 15mila euro da incassare sotto falsa fattura, il progettino per il litorale da propinare agli elettori come una grande conquista, i biglietti gratis per la Roma (ma solo a chi era favorevole allo stadio), il contributo alla campagna elettorale che arriva  troppo tardi (“Dovevo far girare i soldi per le società di mamma”, dice Parnasi”), i contributi ai candidati emergenti che potrebbero vincere (il costruttore ha fiuto, vengono trombati tutti e due) e l’avvocato che riceve l’elargizione e che gli dice: “Non ho fatto in tempo a spendere i soldi, posso tenerli?”. Ma certo, caro, viene da dirgli.

Il paragone con Mani pulite

Invece Parnasi se li deve riprendere perché non siano tracciabili, e subito dopo glielo rende, passando ancora una volta alla falsa fattura per non farsi beccare (come avrete capito li beccano lo stesso – per fortuna – grazie alle intercettazioni). Fantozzi in versione Tangentopoli. Solo che nelle inchieste di Mani pulite tutto era grande e drammatico, la corruzione, i suicidi,  l’inquisizione e la pena,  i primogreganti, persino le tangenti erano maxi.

Tangenti di quaqquaraquà

Questi sono -come si dice a Roma – soltanto “stracciaculi”, ominicchi, quaqquaraquà. C’è la destra, c’è la sinistra, ci sono quelli del M5s, ci sono le fondazioni dei partiti (Pd e Lega), ci sono – come abbiamo visto – i funzionari pubblici. Molti di questi contributi erano “erogazioni liberali”, in linea teorica legali e forse non  porteranno a nessuna condanna, se non quella politica, in questo caso del tutto legittima. Altri – invece – erano vere e proprio tangenti mascherate, ma nemmeno troppo. Gente che svende la propria vita, la propria storia, la propria identità professionale o politica per quattro spiccioli.

Un grande, drammatico, saggio sulla commedia all’italiana. Con inevitabile finale ad epitaffio: siamo uomini o Caporilli?

Tortu nella storia, battuto il record Mennea

Tortu nella storia, battuto il record Mennea

Tortu nella storia, battuto il record Mennea
di Adnkronos

Roma, 22 giu. – (Adnkronos) – L’azzurro Filippo Tortu batte il record italiano di Pietro Mennea. Il ventenne sprinter italiano ha corso i 100 metri in 9.99 (vento +0.2) al meeting di Madrid, superando così il primato nazionale che resisteva da quasi 39 anni, 10.01 a Città del Messico il 4 settembre 1979. Il velocista delle Fiamme Gialle, giunto secondo al traguardo, diventa il primo italiano della storia sotto i 10 secondi, con il secondo posto nella gara vinta dal cinese Su Bingtian in 9.91. “Sono veramente contentissimo, è quasi indescrivibile la gioia. Sapevo di potercela fare, ma per me il record di Mennea è sempre rimasto un sogno da quando ero bambino e adesso sono veramente felice. Devo ringraziare tutti quelli che sono venuti qui, che ci credevano forse anche più di me. L’obiettivo della stagione restano gli Europei, adesso non penso al tempo che ho fatto e mi concentro su Berlino. E facciamo il tifo per Fabrizio Donato!”

L’Alzheimer è il “danno collaterale” causato dalla risposta del cervello al virus dell’herpes

L’Alzheimer è il “danno collaterale” causato dalla risposta del cervello al virus dell’herpes

Trovato l’indizio che svela la stretta e pericolosa relazione

L'Alzheimer è il “danno collaterale” causato dalla risposta del cervello al virus dell’herpes
di R.Z.

Ci potrebbe essere il virus dell’herpes dietro la comparsa dell’Alzheimer, la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile. L’analisi post-mortem, fatta sul cervello di quasi mille persone malate e sane, ha mostrato infatti la presenza di due ceppi del virus dell’herpes umano in quantità doppia nei malati. A proporre quest’ipotesi – controversa e tutta da dimostrare – sulle pagine della rivista Neuron è un gruppo di ricercatori dei Dipartimenti di genetica e scienze genomiche presso la Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, guidato da Joel Dudley. I due virus, Hhv-6a e Hhv-7, possono causare herpes, encefalite e altre malattie croniche, e spesso si contraggono nell’infanzia. Anche se nel cervello sono stati trovati altri virus comuni, quelli dell’herpes sono risultati particolarmente abbondanti nei malati di Alzheimer.

Analizzati centinaia di campioni cerebrali

Attraverso l’analisi del Dna e dell’Rna di 622 campioni di tessuti cerebrali, i ricercatori hanno analizzato l’influenza di ciascun virus su determinati geni e proteine nelle cellule cerebrali, trovando dei legami tra i virus e le placche amiloidi, “ingrediente base” dell’Alzheimer. I dati degli organi sono stati messi a disposizione da tre distinte banche dati che fanno capo al consorzio Accelerating Medicines Partnership – Il morbo di Alzheimer (AMP-AD) del National Institutes of Health.

I collegamenti rilevati sembrano chiari

“Sono andato alla ricerca di bersagli farmacologici e tutto quello che ho trovato sono stati questi virus disgustosi – ha dichiarato Dudley, che è anche membro dell’ASU-Banner Neurodegenerative Disease Research Center -. Non abbiamo provato a cercare ciò che abbiamo trovato, nemmeno lontanamente, stavamo provando a cercare farmaci per curare i malati di Alzheimer, ma i modelli emersi dalla nostra analisi statistica hanno puntato tutti verso la biologia virale. Abbiamo visto come i virus interagiscono direttamente o insieme ai geni dell’Alzheimer. Non possiamo ancora dire se il virus dell’herpes sia una causa primaria di questa demenza, ma è chiaro che modifica e partecipa al meccanismo che genera la malattia”.

Alzheimer è “danno collaterale” causato dall’herpes

L’ipotesi dei ricercatori è che l’Alzheimer sia il “danno collaterale” causato dalla risposta del cervello al virus. La maggior abbondanza di questi virus nel cervello potrebbe innescare una “cascata immunitaria” che porterebbe al deterioramento e morte delle cellule, aprendo così la strada all’Alzheimer. Chi viene colpito dall’herpes labiale, ci tengono comunque a precisare i ricercatori, non deve assolutamente allarmarsi per il fatto che un domani potrebbe ammalarsi di Alzheimer, dato che dallo studio è emersa solo un’associazione statistica, e mancano tutte le solide basi scientifiche per dimostrare rapporti di causa-effetto.