Anoressia nervosa, viaggio nell’inferno della “filosofia” Ana.

Anoressia nervosa, viaggio nell’inferno della “filosofia” Ana. “Fino a vedere le tue splendide ossa”

Consigli folli, regole ferree e lesioni autoinflitte per dimagrire a qualunque costo. Huffpost è entrata in blog e chat “pro Ana”, vere e proprie trappole manipolative: “Io sono la tua vocina…”

GETTY IMAGES/EYEEM

“Senti una voce che ti dice di farlo? Sono io la vocina. Io so tutto… sono la tua Ana”. “Ana” sta per anoressia nervosa. È bastato lasciare il numero telefonico su un blog individuato tramite Google per ritrovarsi precipitati in una realtà sommersa, sconosciuta ai più. Una realtà in cui conta solo dimagrire a qualunque costo, digiunando a oltranza o vomitando dopo aver mangiato, ingoiando lassativi o sfinendosi con la ginnastica. Sempre più giù, “fino a vedere le tue splendide ossa”, recita uno dei comandamenti della “filosofia Ana”, sorta di culto, in realtà manifestazione di patologie complesse e pericolose, in cui la magrezza diventa l’unico indicatore di bellezza e successo. In questo mondo invisibile, ma tutt’altro che parallelo, si aggirano migliaia di giovani e giovanissimi, alle prese con i Dca, disturbi del comportamento alimentare.

Si incontrano in spazi virtuali, definiti “pro Ana” e “pro Mia” a seconda che vi si celebri l’anoressia o la bulimia. Condividono consigli, regole autoimposte, fotografie di corpi emaciati e braccia sfregiate, si supportano nel mantenimento di propositi malati, amplificando i rischi, concretissimi, che queste patologie, che possono condurre alla morte, in espansione come altri disturbi alimentari, si cronicizzino e si diffondano.

Siti web – secondo le stime ufficiali oltre trecentomila – blog su Tumblr, profili su Facebook, Twitter e Instagram. Ma soprattutto, con il diffondersi delle app di messaggistica, gruppi su Whatsapp e Telegram, rigorosamente “chiusi” per non essere intercettati, nei quali, come HuffPost ha verificato, non è difficile entrare, ma non è sempre facile restare. Bisogna rispettare delle regole, spesso restrittive. Dalla mattina alla sera, come in una sorta di propaganda costante, incessante, della malattia, come la rete sfuggente ai controlli, si discute di calorie, limitazioni e diete dimagranti spesso improvvisate, si pubblicano fotografie per alimentare la “thinspiration” (da “thin”, magro e “inspiration” ispirazione).

Nessuna voglia o intenzione di condividere emozioni, esperienze: l’unico interesse è perdere peso, come si dice in gergo, “raggiungere l’obiettivo”. Paura di vomitare? “Io mi infilo lo spazzolino in gola”, è il consiglio. “Cena coi parenti, prevedo abbuffata”. “Legati un elastico al polso e fallo schioccare quando hai fame”. E ancora: “Se proprio devi mangiare butta i bocconi nel tovagliolo o nelle maniche della felpa”.

L’importante è che il numero sulla bilancia non salga. Qualcuno si definisce proprio così “un numero”, sui blog gira l’immagine di un frigorifero aperto, dentro solo bottiglie di acqua, con la didascalia: “Il mio frigo quando vivrò per conto mio”. Niente cibo, la perfezione. Magre e belle. Da morire.

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Il viaggio, tra blog e chat. Il primo contatto arriva poco dopo aver lasciato nome e numero di telefono in tre blog: uno, “Anailmioinferno”, trovato attraverso Google, due su Tumblr. In otto giorni, vissuti con lo smartphone sempre a portata di mano – in queste comunità si interagisce anche di notte – saranno dieci, due i gruppi Pro Ana su Whatsapp in cui saremo ammessi, mentre una ragazza ci proporrà di aprirne “uno insieme”. Abbiamo scritto di avere sedici anni: nessuna delle “amministratrici” si è preoccupata di avere a che fare con una minorenne. Prima domande come “Quante volte ti pesi al giorno?”, “Sai a cosa vai incontro?” “Come e perché hai scelto Ana?”, dopo la richiesta della foto – “anche solo viso” – come “controllo antispie”. Sull’età nessuna obiezione.

D’altra parte, sono tantissimi i ragazzi con meno di diciotto anni – in uno dei gruppi, una quarantina di partecipanti, alcune ragazzine scrivevano di averne 13 e 14 e un ragazzo 16 – che, lasciando alla mercé della rete dati anagrafici completi e numero telefonico, chiedono di entrare in queste comunità virtuali, quando non le gestiscono direttamente, o che attraverso i loro blog, veri e propri diari di un’ossessione mortifera, invitano altri a unirsi al loro gruppo. Né dei nostri 16 anni si è preoccupata la sedicente venticinquenne presentatasi come “Ana”, “la vocina nella tua testa”, che ha liquidato disgusto e timori per il vomito con un deciso: “Ti devi solo abituare…vedrai che più lo fai e più ti verrà facile. Devi allenarti molto e pensare a quanto sarai perfetta con Ana”. Parole agghiaccianti, seguite da ancor più inquietanti domande “Ti punisci mai? Io mi taglio. Non l’hai mai fatto?” e richieste: “Fatti delle foto nuda davanti e dietro, completa dal viso ai piedi”.

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Per gli esperti consultati da HuffPost dinamiche non estranee ai gruppi a favore dell’anoressia. “Le modalità manipolatorie messe in atto sono come quelle di una setta. In un gruppo pro Ana sei protetto, ma anche controllato e la richiesta di foto spesso risponde a questa logica – fa notare la psichiatra Laura Dalla Ragione, direttore della Rete servizi dei Disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria e docente presso il Campus Biomedico di Roma – Dietro questo gioco perverso ci sono persone malate che negano la patologia, facendo passare il messaggio che è una scelta di vita legittima”. Ogni giorno bombardati da immagini di modelli glamour e magrissimi – “ma la visione di una foto non può far ammalare”, precisa Dalla Ragione – gli adolescenti che pensano solo a dimagrire a tutti i costi ricercano la perfezione non mangiando, sovente punendosi per quelli che considerano “sgarri” alle loro diete sballate con tagli o bruciature sulle gambe e sulle braccia, “che esibiscono in foto condivise come trofei di guerra. Dietro questa ricerca – puntualizza la psichiatra – c’è la ribellione al mondo degli adulti e di quanti riconoscono in loro la malattia”.

Farglielo notare non serve: in uno dei gruppi in cui HuffPost è entrato, qualcuno ha provato a scrivere che scendere sotto le 500 calorie al giorno è rischioso per la salute: si è beccato del “moralista”. “Abbiamo già un disturbo alimentare, non sarà un gruppo Whatsapp ad aggravarlo”, l’obiezione più condivisa. E in tante – tra loro anche una tredicenne – hanno deciso di abbandonare il gruppo e aprirne uno nuovo, “con regole più severe”, che spesso significa un numero limitatissimo di calorie al giorno – quando non digiuni prolungati – e controlli settimanali del peso, gli esiti provati tramite foto. Chi non raggiunge l’obiettivo è fuori.

I gruppi vengono aperti e chiusi con grande velocità, come i blog, proibiti – qualche giorno dopo la nostra iscrizione, la pagina del blog “Anailmioinferno” risultava cancellata. Ma altri ne sorgeranno: nel 2012 Instagram ha bannato una serie di hashtag pro anoressia e bulimia, ma dopo poco si è registrato un incremento nella creazione di nuovi hashtag.

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L’EPIDEMIA – Forme di ribellione pericolosissime, negli ultimi due anni sono morte oltre seimila persone di anoressia nervosa e bulimia. I disturbi del comportamento alimentare interessano 3,2 milioni di persone tra 12 e 17 anni e trecentomila bambini tra 6 e 12 anni hanno problemi con il cibo. Per Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero della Salute per i Dca, “una vera e propria epidemia. Inoltre, l’età di esordio si è abbassata, vengono colpite bambine di 8-10 anni”. E sempre più maschi, oggi il 20 per cento del totale. “La stragrande maggioranza dei nostri pazienti ricoverati è passata attraverso il circuito di spazi virtuali in cui ci si supporta per non mangiare – aggiunge Dalla Ragione – Ma la rete e i social, se ben utilizzati, possono veicolare messaggi positivi”.

QUANDO LA RETE È AMICA – Sandra Zodiaco ne è la prova vivente. Veneta, quasi ventotto anni, collaboratrice presso l’Università Ca’ Foscari, ha combattuto l’anoressia nervosa per nove anni. “Mi facevo del male, ho pensato al suicidio”, racconta ad HuffPost. Poi, un giorno, navigando in rete, si è imbattuta in un post, pubblicato sul blog dell’associazione che lotta contro i Dca, “Mi nutro di vita”, di una ragazza che raccontava di aveva vinto la sua battaglia. “Dopo aver letto quel post ho deciso di farmi aiutare – aggiunge Sandra – Per uscirne bisogna affidarsi a chi possiede gli strumenti per aiutarci”. Oggi quel blog lo gestisce lei e crede nelle potenzialità positive della rete. Come Federica Sartini, trentotto anni, oltre dieci passati a combattere l’anoressia. Nella tesina di laurea ha approfondito la relazione tra social network e diffusione dei disturbi alimentari. E, con il supporto dell’associazione “RunLovers”, vuole provare a organizzare delle ultra maratone di sensibilizzazione con l’hashtag #iocorrocontroanoressiaebulimia. “La corsa è metafora della voglia di vivere – fa notare – al pieno delle proprie energie, quelle che l’anoressia toglie, rendendo ciascuno estraneo anche in casa propria”.

I decaloghi mortiferi condivisi negli spazi pro Ana contengono indicazioni per ingannare genitori e parenti – l’ultimo, definitivo, è “negare sempre”. Consigli che possono rinforzare patologie come i disturbi alimentari. A novembre scorso una blogger che istigava all’anoressia attraverso un blog è stata denunciata, ma una legge ad hoc manca.

Le proposte presentate in Parlamento – l’ultima, il Ddl 438, è della senatrice di Forza Italia, Maria Rizzotti – prevedono anche pene detentive. Ma quasi sempre chi istiga a un disturbo alimentare ne è anch’egli affetto: per questo, per Dalla Ragione, la pena va commutata in percorso di cura. La pensa così anche Stefano Tavilla, che ha fondato “Mi nutro di vita” dopo la morte, a 17 anni per bulimia, della figlia Giulia. “Reprimere e punire col carcere non serve – spiega ad HuffPost – Bisogna educare con campagne mirate, a partire dalle scuole. Nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, i Dca sono inseriti tra le malattie psichiatriche. Devono conquistare un loro posto, così da obbligare ogni Regione a organizzarsi per fornire servizi adeguati agli ammalati e ai loro familiari”.

LE CARENZE DEL SISTEMA – In Italia le strutture, compresi ambulatori e reparti ospedalieri, sono 138 (fonte disturbialimentarionline.it), “ma in realtà il sistema è carente”, dice Tavilla. E c’è chi come M. F., sessant’anni, è costretto a macinare migliaia di chilometri per raggiungere, dalla Liguria, la clinica in Lombardia dove hanno preso in cura la figlia diciottenne, anoressica. Una malattia da affrontare anche in famiglia. “La collaborazione tra i genitori è fondamentale – aggiunge – È devastante vedere un figlio che ti sparisce davanti, ma intervenire si può, cogliere dei segnali anche. Ai genitori dico: parlate con i vostri figli, state attenti ai telefonini, ai tablet e ai loro cambi d’umore. Se soffrono per un disturbo alimentare sforzatevi di tenere distinte la persona dalla malattia. Io vedo i segni sulle braccia di mia figlia, ma non mi focalizzo sul sintomo della malattia. Un anoressico non è la vocina che dice di sentire e sente nella sua testa, è una persona che va aiutata a combattere la battaglia più importante, quella per la sua vita”.

Anoressia nervosa, viaggio nell’inferno della “filosofia” Ana.ultima modifica: 2018-08-26T15:43:54+02:00da ugo565
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