Chiuso “Parliamone sabato” dalla Rai

Chiuso “Parliamone sabato” dalla Rai, Campo Dall’Orto: “Le scuse non bastano, tradita mission aziendale”

Pubblicato: 20/03/2017 09:55 CET Aggiornato: 20/03/2017 17:38 CE

Aggiornamento ore 17:13.
La Rai ha deciso la chiusura di Parliamone Sabato, programma in onda su Rai1. “Gli errori si fanno, e le scuse sono doverose, ma non bastano”, dichiara il Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto. “Occorre agire ed evolversi. La decisione di chiudere Parliamone Sabato non è infatti solo la semplice e necessaria reazione ai contenuti andati in onda lo scorso sabato, contenuti che contraddicono in maniera indiscutibile sia la mission del Servizio Pubblico che la linea editoriale che abbiamo indicato sin dall’inizio del mandato. È anche – prosegue il DG – una decisione che accelera la revisione del daytime di Rai1 sulla quale peraltro stavamo già lavorando da tempo. Questo – conclude – al fine di rendere i contenuti Rai sempre più coerenti ai valori che ne ispirano la missione”.

Esistono dei motivi per cui per un uomo italiano è preferibile innamorarsi di una donna dell’est Europa invece che di un’italiana? Secondo il programma “Parliamone Sabato” condotto da Paola Perego parrebbe proprio di sì. È stato questo, infatti, uno dei temi trattati durante la trasmissione in onda su Rai 1, in cui è stata anche mostrata un’infografica sulle motivazioni per cui è preferibile, per gli uomini, non scegliere un’italiana. Ma su internet è montata la polemica per una scelta che è parsa a molti sessista.

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“Sempre sexy, niente pigiamoni”, “perdonano il tradimento”, “sono disposte a far comandare l’uomo”: questi alcuni delle ragioni del fascino irresistibile delle donne dell’est Europa, che – evidentemente – deriva dall’essere sottomesse al partner e dal soddisfare incondizionatamente i suoi istinti sessuali. Un argomento di dibattito, quello scelto dagli autori della rubrica di “La vita in diretta”, che è stato discusso con diversi ospiti in studio (Fabio Testi, Manila Nazzaro e Roberto Alessi), a cui è stata chiesta un’opinione in merito.

È morto Alfredo Reichlin, partigiano, dirigente del Pci: dall’Unità al Pd una vita a sinistra

Pubblicato: 22/03/2017 08:13 CET Aggiornato: 22/03/2017 08:13 CET
REICHLIN

E’ morto all’eta d’ 91 anni Alfredo Reichlin, storico dirigente della sinistra. Il 14 marzo 2017 sul sito internet ‘Nuova Atlantide’, una community on line che si occupa di politica e cultura, il suo ultimo articolo: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”. “Sono afflitto – scriveva l’ex direttore dell’Unità e membro della direzione del Pci – da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe”.

“Mi sento – spiegava Reichlin che tra l’altro è stato partigiano, allievo di Togliatti, membro della direzione del Pci, parlamentare e dirigente anche del Pd – di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese”.
“Non ci sono – osservava – più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la quale si rivela impotente quando deve affrontare non i giochi di potere ma la cruda realtà delle ingiustizie sociali, quando deve garantire diritti, quando deve vigilare sul mercato affinchè non prevalga la legge del più forte”.

Reichlin è stato un giornalista, politico e partigiano italiano. Ancora minorenne si trasferì a Roma dove partecipò alla Resistenza partigiana tra le Brigate Garibaldi.

Ottenuta la Maturità classica al Liceo “Torquato Tasso”, nel 1946 si iscrisse al Partito Comunista Italiano, di cui fu uno dei dirigenti più importanti per circa trent’anni. Allievo di Palmiro Togliatti, fu vicesegretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e nel 1955 entrò all”Unità, di cui dopo un anno diventò vice-direttore. Promosso a direttore nel 1958, negli anni sessanta si avvicina alle posizioni di Pietro Ingrao, le più a sinistra nel partito.

Da segretario regionale del PCI in Puglia fu molto attento alla questione meridionale, alla quale dedicò anche le sue opere “Dieci anni di politica meridionale. 1963-1973” (1974) e “Classi dirigenti e programmazione in Puglia” (1976).
Deputato nazionale fin dal 1968, durante gli anni Settanta entrò nella direzione nazionale del partito e collaborò gomito a gomito con Enrico Berlinguer. Successivamente fu favorevole alle trasformazioni del partito da PCI in Partito Democratico della Sinistra prima, da PDS in Democratici di Sinistra poi, ed infine da DS in Partito democratico. Dal 1989 al 1992 fu “Ministro dell’Economia” del governo ombra del Partito Comunista Italiano.

Alfredo Reichlin è stato il presidente della commissione per la stesura del “Manifesto dei Valori” del Partito Democratico. Sposato con la militante comunista (espulsa nel 1969 per aver aderito al gruppo de il manifesto) Luciana Castellina, ha avuto due figli: Lucrezia e Pietro.

Lo Stadio della Roma si farà, c’è l’accordo su Tor di Valle.

Lo Stadio della Roma si farà, c’è l’accordo su Tor di Valle. Il direttore generale giallorosso: “Un giorno storico”

La struttura nascerà dove voleva il costruttore, ma senza torri e a cubature ridotte. Soddisfatto il Dg della Roma Baldissoni. Pallotta: ‘Comincia una nuova era’

Virginia Raggi con il direttore generale dell'AS Roma, Mauro Baldissoni
Virginia Raggi con il direttore generale dell’AS Roma, Mauro Baldissoni

Dopo il malore e il rientro in Campidoglio, Virginia Raggi annuncia in serata l’accordo per realizzare lo stadio della Roma a Tor di valle. Una svolta a sorpresa rivendicata come un grande successo dalla sindaca M5S: “via le torri”, i grattacieli Libeskind, e un taglio delle cubature di circa la metà sul progetto originario, che prevedeva quasi un milione di metri cubi di cemento; opere pubbliche che restano ma divise ‘in due fasi di realizzazione’.

Un’intesa raggiunta dopo una riunione rinviata per ore per il problema di salute di Raggi, che costringe la sindaca ad accertamenti in ospedale, e poi anche per un incontro con la sua maggioranza. Quindi l’annuncio con il direttore generale della Roma Mauro Baldissoni, che parla di “giornata storica”. “Oggi inizia un nuovo capitolo”, afferma il presidente Usa giallorosso James Pallotta. Il Colosseo moderno tanto voluto da Francesco Totti e James Pallotta quindi si fara’.

(La sindaca Raggi e lo stadio della Roma)

“Uno stadio fatto bene”

“Uno stadio fatto bene”, il tweet della Raggi, subito rilanciato da Beppe Grillo, che pure aveva detto ‘no’ a Tor di Valle. “Tre torri eliminate; cubature dimezzate, addirittura il 60% in meno per la parte relativa al Business Park – scrive Raggi su Facebook -; abbiamo elevato gli standard di costruzione a classe A4, la più alta al mondo; mettiamo in sicurezza il quartiere di Decima che non sarà piu soggetto ad allagamenti; realizzeremo una stazione nuova per la ferrovia Roma-Lido. Abbiamo rivoluzionato il progetto e lo abbiamo trasformato in una opportunità”, aggiunge la sindaca.

“Basta melina”

L’obiettivo del vertice era trovare un compromesso tra i proponenti – As Roma e il costruttore Luca Parnasi, proprietario dei terreni a Tor di Valle – e l’amministrazione M5S, su posizioni diverse, a sette giorni dalla scadenza del 3 marzo della Conferenza di servizi. L’intesa c’e’, a placare la base ecologista M5S e i tanti tifosi romanisti che volevano uno stadio nuovo per la propria passione e le proprie ambizioni. Un gruppo si era riunito davanti al Campidoglio al grido di ‘Virginia famo sto stadio’ e lo striscione di sapore calcistico ‘Basta melina’. Basta temporeggiare, insomma. Le opere pubbliche essenziali per portare avanti la conferenza dei servizi resterebbero tutte. Diversamente sarebbe a rischio il prosieguo della conferenza dei servizi. Ad essere diversificati sarebbero i tempi di realizzazione: alcune opere come il potenziamento della Roma Lido, gli interventi sulla via del Mare e sul fosso di Vallerano andranno realizzate necessariamente prima dell’apertura dello stadio. Altre come il ponte e lo svincolo della Roma Fiumicino potrebbero essere fatte anche dopo l’apertura dell’impianto.

I nuovi “alleati”

I proponenti, ora diventati “alleati” di Virginia Raggi, in ogni caso chiederanno una sospensione di 30 giorni della conferenza dei servizi che a questo punto si potrebbe concludere a inizi aprile. L’accordo chiude una vicenda precipitata negli ultimi tempi, tra il rischio di penali milionarie richieste dai proponenti, in caso di stop alla delibera, e la base M5S più ortodossa sulle barricate per una riduzione drastica del progetto in chiave eco-sostenibile. In questo difficile percorso la giunta ha anche perso l’ormai ex assessore all’urbanistica Paolo Berdini: caduto per le dichiarazioni contro la sindaca carpite da un giornalista, era tra i più critici proprio sulla location dello stadio.

Dj Fabo è morto, l’annuncio di Cappato: “Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese non suo”

Dj Fabo è morto, l’annuncio di Cappato: “Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese non suo”

Dj Fabo è morto, l’annuncio di Cappato: “Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese non suo”

DIRITTI
Fabiano Antoniani era da domenica in Svizzera dove aveva affrontato le procedure per accedere al suicidio assistito. Nel suo ultimo messaggio audio i ringraziamenti a chi lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio e le accuse allo Stato italiano. Fabo aveva 40 anni e dal 2014, dopo un incidente stradale, era cieco e tetraplegico: ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale. Dalla politica alla Chiesa, le reazioni alla notizia della sua morte

Fabo è morto alle 11.40. Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”. Lo scrive su Twitter il radicale Marco Cappato. Lunedì mattina l’ultimo audio del dj, cieco e tetraplegico dal 2014 dopo un grave incidente stradale, pubblicato su Facebook: “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato”. Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, 40 anni, era da domenica 26 febbraio in Svizzera, dove aveva affrontato le procedure per accedere al suicidio assistito. Il dj ha dedicato parte del messaggio proprio a Cappato, promotore della campagna Eutanasia legale, che lo ha accompagnato oltreconfine: “Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore – ha detto Dj Fabo – Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco, grazie mille”. Cappato, da parte sua, ha raccontato così gli ultimi attimi di vita del 40enne: “Dj Fabo ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci. Poi però ha anche scherzato” ha raccontato il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni all’Ansa. Cappato, poi, ha annunciato le sue prossime mosse: “Al mio rientro in Italia, nella giornata di martedì, andrò ad autodenunciarmi, dando conto dei miei atti e assumendomene tutte le responsabilità“. Il reato che si configurerebbe, a sentire Cappato, sarebbe quello di ‘aiuto al suicidio‘.

Fabiano Antoniani morto nella clinica Dignitas, a 10 chilometri da Zurigo
Dj Fabo è stato raggiunto dalla mamma, dalla fidanzata e da alcuni amici nella clinica elvetica. “Non prendetemi per scemo ma devo chiedervi un favore: mettete sempre le cinture. Non potete farmi un favore più grande” ha detto ai tre amici presenti. “Fabiano ha pronunciato queste parole da solo, senza aiuti. Ha trascorso i suoi ultimi momenti in vita con gli amici ed i familiari più stretti. Fino a poco prima che ci lasciassimo – ha raccontato Cappato – ha continuato a ringraziarmi”. La struttura dove Antoniani ha deciso di morire è la Dignitas di Forck, ad una decina di chilometri da Zurigo. Chiaro il messaggio che si legge sul sito della clinica: “Benvenuti da DIGNITAS – Vivere degnamente – Morire degnamente. La nostra associazione di pubblica utilità si impegna per l’autodeterminazione, la libertà di scelta e la dignità fino alla fine”. Fra le altre informazioni compare anche il video appello di Fabiano Antoniani rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per ottenere il diritto a morire in Italia. “Il nostro concetto di consulenza sull’assistenza palliativa, la prevenzione del suicidio, le direttive del paziente e l’accompagnamento alla morte volontaria gettano le basi decisionali per organizzare la vita fino alla sua conclusione. Dal 1998 – si legge sulla pagina web dell’associazione – operiamo per la realizzazione dell’ultimo diritto umano”. Sulla stessa pagina compaiono anche le associazioni affiliate alla struttura: Exit Italia, Libera Uscita e Associazione Luca Coscioni, del tesoriere Marco Cappato.

Quest’ultimo “rischia 12 anni di carcere”, perché si è “preso la responsabilità di tale atto” ha detto Filomena Gallo, avvocato e segretaria dell’associazione Luca Coscioni, di cui Cappato è tesoriere. Gallo ha quindi ricordato come molti malati siano “costretti ad emigrare per ottenere l’eutanasia e ciò è discriminatorio anche per i costi che ciò richiede, fino a 10mila euro”. In un video-appello del mese scorso “Fabo per vivere #LiberiFinoAllaFine“, Antoniani spiegava di “non essere depresso e di mantenere tutt’ora il senso dell’ironia“, ma di sentirsi umiliato dalle proprie condizioni: “Immobile e al buio, considera la propria condizione insopportabile, consapevole che potrebbe durare per decenni”. Per questo aveva fatto più volte appello a politica e istituzioni, a partire dal capo dello Stato. Negli ultimi due mesi il testo sul testamento biologico in discussione in Parlamento è stato rinviato per tre volte. Nel frattempo, la salma di dj Fabo si trova ancora all’interno della clinica Dignitas. Per il rientro in Italia, potrebbero servire fino a 48 ore per espletare le procedure amministrative previste dalla legge svizzera.

Il comunicato dell’associazione Luca Coscioni: “Esilio della morte è una condanna incivile”
L’associazione Luca Coscioni, che tramite il tesoriere Marco Cappato ha accompagnato Fabo nel suo ultimo viaggio, in una nota stampa ha sottolineato che “l’esilio della morte è una condanna incivile” perché “compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali. La politica, ha ricordato l’associazione “deve comprendere che il vuoto normativo porta all’illegalità”. Da qui l’appello: “Chiediamo che il Parlamento affronti la questione del fine vita per ridurre le conseguenze devastanti che questo vuoto normativo ha sulla pelle della gente. Siamo in piena ‘zona nera‘ fatta di clandestinità e soprusi – hanno aggiunto – La strada è semplice: sostituire l’eutanasia clandestina con l’eutanasia legale. L’opinione pubblica è pronta, il Parlamento meno, ma almeno non ci si imbrogli con la guerra delle definizioni“.

Non è mancata la denuncia di quanto il parlamento poteva fare, non ha fatto o ha fatto male. In tal senso, l’Associazione ha fatto notare come “la Commissione Affari Sociali ha aggiunto alcune espressioni ambigue che rischierebbero di svuotare di fatto il carattere vincolante delle disposizioni, in questo contravvenendo al principio costituzionale dell’autodeterminazione individuale e del diritto a non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la propria volontà”. Il riferimento è “alla ‘tutela della vita’, alle ‘cure condivise‘ tra medico e paziente, al ricorso a un giudice per dirimere controversie tra medico e fiduciario e, infine, al riferimento alla ‘deontologia professionale‘ innalzata a fonte del diritto. Temiamo – hanno accusato i vertici del sodalizio – che si tratti di formule che, se non chiarite anche in sede di dibattito parlamentare, e ove possibile superate, possano aprire la strada a contenziosi infiniti contro le scelte libere e responsabili dei malati. Infine – hanno concluso – è importante che la ‘sedazione continua profonda’ debba divenire un diritto esplicitamente previsto, al quale corrisponda dunque un dovere preciso che non lasci spazio a soprusi e arbitrii“.

LE REAZIONI – Mina Welby e Beppe Englaro sono con Fabo
“Sono accanto a Valeria e la stringo forte. Fabo ha avuto la sua scelta libera, purtroppo in Svizzera e non era il suo paese e mi dispiace”. Sono queste le parole utilizzate da Mina Welby, la moglie di Piergiorgio Welby, morto nel dicembre del 2006 dopo una grave e lunga malattia, per commentare la notizia della morte di Dj Fabo. “I cittadini italiani dovrebbero essere vicini a lui e a Valeria – ha detto ancora la donna – Credo che, con me, si possa fare una battaglia per ottenere una legge sul testamento biologico, sulle disposizioni sui trattamenti sanitari”. Sulla stessa posizione Beppe Englaro, padre di Eluana Engalro che ha vissuto per 17 anni in stato vegetativo prima di morire, nel febbraio 2009: “Esprimo il massimo rispetto per la sua coscienza personale. Eluana – ha ricordato – rivendicava un diritto fondamentale costituzionale. Noi, per trovare questa possibilità abbiamo dovuto attendere 15 anni e nove mesi, fino alla sentenza della Cassazione del 2007 che ha stabilito che l’autodeterminazione terapeutica non può conoscere limite, anche se ne provoca la morte“.

LA POLITICA/1 –  CHI STA CON FABO
Di Lello (Pd): “#iomivergogno”. Gigli (Centro): “Ogni vita è anche la nostra vita”

La notizia della morte di Fabiano Antoniani ha provocato tutta una serie di reazioni politiche. Da sottolineare la presa di posizione del deputato Pd Marco Di Lello: “Dj Fabo ha realizzato il suo desiderio di morire. Ma lo ha potuto fare soltanto lontano dal suo Paese, perché in Italia non siamo ancora stati capaci di fare una legge sul biotestamento – ha spiegato – La Svizzera continua a essere la destinazione di quanti vogliono consapevolmente porre fine al loro dolore di vivere una vita senza speranza ma piena solo di sofferenza”. Poi una sorta di mea culpa: “Sì Fabiano, #iomivergogno e, come me, spero tutti i parlamentari, per quello che non si è riusciti a fare – ha sottolineato Di Lello – Già la scorsa settimana con quindici colleghi deputati del Pd abbiamo depositato una mozione sui Diritti civili che sollecita l’approvazione in tempi brevi della legge sul fine vita. Noi 15 ci abbiamo provato e non molleremo – ha aggiunto – ma continueremo a combattere per la libertà di vivere e di morire. Mi auguro che questa morte scuota le coscienze di tutti per rendere il nostro un Paese in cui venga restituita la libertà di scelta”. Accuse politiche anche da parte di Luigi Di Maio, del M5s: “I nostri iscritti hanno votato e sono d’accordo ma non è questo il problema: questo Parlamento non esiste.La proposta l’abbiamo calendarizzata – ha detto ancora – ma non è questo il problema: non esiste un Parlamento che lavora, c’è un Parlamento che galleggia”.

“Saluto Fabiano (dj Fabo) che ci lascia. Ha sofferto, ha lottato, ha vissuto. Ci lascia con una battaglia da continuare e un assetto legislativo da completare” ha detto il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che poi ha aggiunto: “So perfettamente che le sensibilità sul tema sono diverse e non semplici da conciliare. Ma dico anche che un Paese forte e libero deve trovare un modo per assicurare ai suoi cittadini – ha concluso – la possibilità di essere forti e liberi anche nei momenti più dolorosi”. Diverso il punto di vista di Matteo Salvini: “Dolore, rispetto e una preghiera per la morte, e per la nuova vita, di Dj Fabo – ha detto il leader leghista – Garantire la libera scelta di ogni cittadino, ma soprattutto assicurare una vita dignitosa a chi invece vuole continuare a combattere e ai suoi familiari: questo dovrebbe fare un Paese serio, cosa che oggi l’Italia non è”. Per Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera, quella di Fabo è “una scelta che va rispettata”. “Dispiace – ha scritto Rosato su Facebook – che per essere libero abbia dovuto andarsene lontano. Lontano anche dai suoi affetti nel momento più difficile. E dobbiamo riflettere su questo. La politica ha il compito di guardare in faccia i problemi delle persone. La legge su #testamentobiologico va in questa direzione. Perché – ha specificato – si potrà scegliere, attraverso delle disposizioni anticipate, come vivere la propria vita fino all’ultimo. Una buona base di partenza sulla strada di una maggiore libertà e rispetto della dignità umana. Vogliamo fare di questa una legislatura dei diritti. Vogliamo essere al fianco delle persone. Prime fra tutte le persone che soffrono e non hanno voce. Proprio come dj Fabo“.

LA POLITICA/2 – CHI STA ‘CONTRO’ FABO
Famiglia Cristiana: “Perdonaci, non siamo riusciti a darti nessuna ragione per vivere”
“Eutanasia, addio Fabo, e perdonaci perché non siamo riusciti a darti nessuna ragione per vivere”. ha scritto Famiglia cristiana sul proprio account di Twitter. Sul sito, invece, si legge: “La morte di un uomo è sempre una sconfitta. Nel caso di dj Fabo non perché l’Italia non gli ha dato la possibilità di morire ma perché nessuno di noi è stato in grado di offrirgli una ragione per vivere e andare avanti. Da qui, forse, bisogna ripartire – ha scritto il settimanalecattolico – Di fronte al dolore, al limite, alla sofferenza una società davvero civile non dà l’eutanasia ma si sforza di dare un senso alla fragilità dell’uomo”. Una posizione condivisa anche da alcuni parlamentari, come il deputato Gian Luigi Gigli (gruppo parlamentare ‘Democrazia Solidale-Centro Democratico’), presidente del Movimento per la Vita Italiano: “In Svizzera si chiamerà pure ‘suicidio assistito’, in Italia si chiama ‘omicidio del consenziente’. Con la morte di dj Fabo siamo tutti più poveri, perché ogni vita è anche la nostra vita”.

“Quella di Dj Fabo è una vicenda che riempie tutti noi di tristezza e dolore. Ma questo non ha a che vedere col disegno di legge sul biotestamento che uscirà dalla Camera, che è un disegno di legge in cui concordemente l’intera commissione Affari Sociali dice no all’eutanasia” ha detto Paola Binetti. Secondo la deputata Udc “la divisione è tra coloro che vogliono che questo sia esplicitato, scritto nella legge, e coloro che dicono che la legge così com’è non ha bisogno di questa puntualizzazione perché è già una legge contraria all’eutanasia. La vicenda di Fabo dimostra quanto sia necessario che nella legge sia scritto no all’eutanasia“. Per la Binetti “questo è condiviso non solo da un largo gruppo di parlamentari, ma anche di partiti, calcoliamo perlomeno 7-8, che vanno dall’Udc all’Ncd a Forza Italia, ai fittiani, ai civici democratici. Abbraccia totalmente – ha aggiunto- un’ampia aria politica che è disposta a dire che se questa legge esplicita il suo no all’eutanasia è una legge che potrebbe essere approvata non domani, ma ieri. Se la legge contiene un no all’eutanasia in forma attiva ma anche passiva o permissiva – ha concluso – la legge si può fare molto velocemente”. “La legge non può costringerci a restare soli” ha detto il monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita che, dopo il caso Dj Fabo, ha chiesto che “si apra in Parlamento un dibattito largo e ampio tra le forze politiche, non sulla scorta del clamore mediatico“.

L’imbarazzo del baby pensionato d’oro delle Ferrovie: “Il mio assegno? No comment”

L’imbarazzo del baby pensionato d’oro delle Ferrovie: “Il mio assegno? No comment”

Cifre record percepite a soli 58 anni. Doppie rendite grazie a qualche mese di impegno in qualche sigla sindacale. Nel libro-inchiesta “Vampiri”

In pensione a 58 anni, dopo averne trascorsi 29 in servizio. Con assegno da 12.913 euro lordi. Mentre continuava a lavorare come docente all’Università La Sapienza e consulente di vari enti pubblici, tra gli altri per la Regione Emilia Romagna. La storia esemplare di Franco Marzioli, classe 1950, è contenuta in Vampiri (Mondadori) libro inchiesta di Mario Giordano, giornalista de Il Giornale e direttore del Tg4, una ricca ricostruzione delle storture del nostro sistema previdenziale, che da un lato porta a 67 anni l’età pensionabile con sistema contributivo, dall’altro deve ripianare più di un buco di cassa usando il denaro pubblico. Tanto per attenersi all’ambito delle Ferrovie, in Vampiri è riportato il caso del Fondo speciale ferroviario fondato nel 1908, in rosso dal 1973 e che nel 2000 è stato compreso nell’Inps. Mentre i baby pensionati d’oro continuano a prendere assegni impensabili per chi si trova sotto l’attuale sistema contributivo. Se quelle regole dovessero essere applicate anche a loro, i privilegiati di Stato subirebbero decurtazioni dell’assegno dal 27% al 96%. Tito Boeri, presidente dell’istituto previdenziale dello Stato, l’ha proposta l’ha fatta. Ma è caduta nel vuoto.

“No comment”

Raggiunto telefonicamente da Tiscali Notizie, Marzioli si trincera dietro il no comment. Non ha niente da dire sul suo assegno previdenziale così eccezionale, né sull’intenzione della presidenza dell’Inps di rimettere mano alle pensioni d’oro e ricalcolarle.

I privilegi dei sindacalisti

Oggi l’ex ministro Tiziano Treu (quello che diede vita al mito “pacchetto” che introdusse i co.co.co e i co.co.pro in nome della flessibilità, e generò precariato a oltranza) si dice pentito di aver varato la legge 564 del 1996, che consente a chi abbia fatto il sindacalista anche solo per qualche mese di maturare una rendita fissa in forma pensionistica. Un esempio? Il segretario nazionale amministrativo dello Snals (Sindacato nazionale autonomo lavoratori scuola) Roberto Soldato, che oltre all’assegno come ex insegnante prende quello di ex sindacalista. A Brescia, dove vive, la Guardia di Finanza ha scoperto altri undici casi come il suo. Quanti ex sindacalisti (anche per brevissimo tempo) possono contare sulla doppia pensione in ragione di quanto disposto dalla legge di Treu? In tutto il territorio nazionale, dato fornito dall’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sono 17.319.

Regole a parte rispetto a tutti gli altri lavoratori

Il paradosso documentato da Giordano in Vampiri è che i sindacalisti obbediscono a regole previdenziali diverse da tutti gli altri, possono prima del pensionamento farsi dare incrementi vantaggiosi dalle loro organizzazioni, a condizione che poi restituiscano quel surplus in tutto o in parte alle casse del sindacato d’appartenenza in forma di elargizione. Poi c’è la possibilità di ricorrere di distacchi: chi vuole impegnarsi nel sindacato può cominciare questa attività mentre il suo datore di lavoro continua a pagarlo (distacco, appunto) oppure va in aspettativa retribuita, in quest’ultimo caso con contributi figurativi a carico dello Stato. E’ questo il caso dell’ex segretario nazionale della Cisl, Sergio D’Antoni, che a 55 anni incassa una pensione da oltre cinquemila euro, più bonus e vitalizi vari. Esistono casi del genere che toccano quota 12 mila euro al mese. E per tornare ai “vampiri” ferroviari (come li definisce Giordano) il caso di Marzioli citato all’inizio di questo articolo è su un podio ideale, che vede primeggiare gli ex dirigenti Maurizio Romiti (già consigliere Rcs e molte altre cose, 16.513 euro lordi al mese) e il leader assoluto, l’indimenticato Giovanni Cobolli Gigli (che fu presidente del Cda della Juve, 17.891 euro lordi al mese).

“Noi umiliati dalla Germania”. Parlano i genitori di Fabrizia Di Lorenzo, vittima italiana della strage di Berlino

“Noi umiliati dalla Germania”. Parlano i genitori di Fabrizia Di Lorenzo, vittima italiana della strage di Berlino

Nessun risarcimento è previsto per i familiari delle undici vittime: una vecchia legge dell’85 lo esclude per i danni causati da veicoli o rimorchi.

Fabrizia di Lorenzo, vittima della strage del mercatino a Berlino
Fabrizia di Lorenzo, vittima della strage del mercatino a Berlino

“Ci sentiamo presi in giro, la Germania non si assume le sue responsabilità”. Dopo due mesi di doloroso silenzio, hanno deciso di parlare i genitori di Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni, una delle vittime della strage di Natale a Berlino, dove  morirono 11 persone sotto le ruote di un tir lanciato a tutta velocità fra le bancarelle della Breltscheldplatz, in pieno centro. A compiere l’attentato fu l’estremista islamico Anis Amri, poi rintracciato e deceduto in un conflitto a fuoco in Italia.

Uno dei più atroci attacchi compiuti in Germania, dopo il tragico precedente di Nizza, portato a segno nonostante le autorità tedesche fossero state allertate sul pericolo attentati in prossimità delle feste natalizie. Ma per Fabrizia non ci sarà nessun risarcimento da parte dello stato tedesco. La legge non lo prevede.

Nessun familiare delle persone coinvolte ha finora ricevuto alcun risarcimento, nè lo riceverà. Stando infatti ad una vecchia legge del 1985, è esclusa ogni previsione di ristoro per i danni causati alle vittime di crimini violenti commessi “con un veicolo a motore o con un rimorchio”, come appunto nel caso della strage del 19 dicembre. Così accade che, paradossalmente, abbiano accesso ai risarcimenti statali i parenti dell’autista polacco ucciso da Amri a colpi di pistola, ma non quelli di Fabrizia e delle altre vittime. Gli unici soldi a disposizione, appena 7,5 milioni, sono quelli del fondo tedesco per le vittime della strada.

“Ma come si fa ad equiparare quello che è successo ad un normale incidente stradale? Quella legge è sbagliata e va cambiata”. Protestano i genitori di Fabrizia, perchè sembra che per la burocrazia tedesca la vita della loro figlia non valga niente. “Non c’è importo che possa pagare la morte di nostra figlia”, dice Giovanna, la mamma. “Ma un risarcimento sarebbe un’ammissione di responsabilità da parte del governo tedesco, per non aver fermato un criminale noto da anni e per non aver preso precauzioni come le barriere installate solo dopo l’attentato”, spiega al quotidiano Repubblica.

Fabrizia aveva tutta la vita davanti: brillante laureata in Relazioni Internazionali e diplomatiche, un master in tedesco, da qualche tempo aveva trovato impiego in un’azienda di logistica a Berlino. Era soddisfatta del suo lavoro, ottimista e solare, la descrivono i genitori, Giovanna e Gaetano che vivono a Sulmona. Quel maledetto 19 dicembre Fabrizia aveva preannunciato di voler andare al mercatino per comprare qualche regalo prima di tornare a casa per Natale. Poi il silenzio. La tragedia si è svelata poco dopo quando al telefono la mamma di Fabrizia ha sentito rispondere una voce che non era quella di sua figlia: “Ha risposto un ragazzo in inglese. Non capivo ed ho passato il cellulare a mio figlio Gerardo al quale ha spiegato di aver trovato il cellulare per terra e che lo avrebbe portato alla polizia”, racconta la signora Giovanna. Di lì l’alternarsi di speranza ed angoscia,  i prelievi del dna, ed infine la triste conferma: Fabrizia era tra le vittime. “Al di là dell’assistenza dell’ambasciata italiana, nell’immediato e per le procedure di rimpatrio, il governo tedesco con noi non si è mai fatto sentire”, accusano ora i signori Di Lorenzo.

“Non ci hanno mai contattati, non ci hanno mai dato un interprete, ci hanno lasciato soli”. Ed ora la beffa finale del risarcimento. Anche per questo, l’avvocato Rolanf Weber, incaricato del governo per l’assistenza delle vittime, ha chiesto di modificare la famigerata legge dell’85.

Ma la parola “giustizia” sembra ancora lontana dall’essere scritta.

Consip, Alfredo Romeo arrestato per corruzione

Consip, Alfredo Romeo arrestato per corruzione: 100mila euro al funzionario pubblico in cambio di dritte su appalti

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GIUSTIZIA & IMPUNITÀ
Per gli inquirenti l’immobiliarista campano pagava il manager pubblico Marco Gasparri, definito “prototipatore” perché in cambio di soldi dava informazioni privilegiate su come superare i bandi di gara. Perquisiti Italo Bocchino (il “facilitatore”) e Carlo Russo, imprenditore toscano amico di Tiziano Renzi e indagato col padre dell’ex premier per concorso in traffico di influenze

Corruzione nell’ambito dell’inchiesta su Consip, la società del ministero del Tesoro che si occupa di controllare e gestire gli appalti per il pubblico. E’ questa l’accusa con cui la Procura di Roma ha chiesto e ottenuto dal gip l’arresto dell’imprenditore di origini campane Alfredo Romeo, che proprio oggi compie 64 anni. L’indagine che ha portato al provvedimento di custodia cautelare in carcere ai danni di Romeo è la stessa, partita da Napoli e arrivata a Roma, in cui sono stati iscritti nel registro degli indagati, seppur con ipotesi di reato diverse, il ministro dello Sport Luca Lotti, Tiziano Renzi (il padre dell’ex premier), il generale Tullio Del Sette (comandante dei carabinieri) e il generale Emanuele Saltalamacchia (comandante dei carabinieri della Toscana).

I PIZZINI PER COMUNICARE CON IL MANAGER PUBBLICO
Alfredo Romeo è stato arrestato dal comando Carabinieri tutela ambiente, dai militari dell’Arma di Napoli e dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Napoli. L’episodio contestato all’imprenditore campano è quella della presunta corruzione (per funzione) di Marco Gasparri, dirigente Consip e all’epoca direttore Sourcing Servizi e Utility, in pratica il settore che si occupa delle gare per l’acquisto dei servizi per tutte le amministrazioni. Secondo gli inquirenti, il manager pubblico era al servizio di Romeo (a Napoli indagato anche per associazione per delinquere): riceveva consistenti somme di denaro in cambio di informazioni riservate in grado di favorire le società di Romeo nell’assegnazione di alcuni bandi di gara, tra cui anche quella da 2,7 miliardi di euro da cui sono partite le indagini. Per questo motivo, è stato anche disposto il sequestro patrimoniale di 100mila euro allo stesso Gasparri: secondo gli investigatori si tratta del provento della corruzione dal 2013 a oggi. Gasparri, difeso dall’avvocato Alessandro Diddi, non è stato arrestato perché ha collaborato con gli inquirenti, ma anche perché sono venute meno le esigenze di custodia cautelare poiché il funzionario non ha più ruoli operativi all’interno di Consip. Come detto, nel suo interrogatorio Gasparri ha ammesso le proprie responsabilità e ha fornito elementi utili al prosieguo delle indagini, che in seguito si sono avvalse anche di intercettazioni (anche telefoniche) e pedinamenti. Acquisite anche alcune agende e, soprattutto i pizzini con cui Gasparri e Romeo comunicavano. Tale circostanza è documentata in alcune registrazioni ambientali: i due non parlano, ma si sente nitidamente il rumore di fogli, il che ha fatto presupporre a chi indaga che i due comunicassero tramite alcuni pezzi di carta, poi recuperati dai carabinieri nella spazzatura.

ROMEO AVEVA PROPOSTO A GASPARRI DI CONCORDARE LA LINEA DIFENSIVA
Nell’ordinanza di custodia cautelare, inoltre, il gip riporta il tentativo di Romeo di sviare le indagini. In particolare, l’imprenditore propose a Marco Gasparri “di costruire una comune ipotesi difensiva per impedire il normale corso della giustizia o, meglio, di deviare le indagini per favorirlo”. La circostanza è stata raccontata dallo stesso funzionari Consip nel corso di uno dei due interrogatori davanti ai magistrati di Roma e Napoli. “Ho visto l’ultima volta Romeo nel suo ufficio il 29 novembre 2016…In quell’occasione – ha messo a verbale Gasparri – il Romeo era sudato e farfugliava e mi disse che aveva avuto un sequestro e che gli avevano sequestrato anche dei foglietti, compreso un foglio dove c’era il mio nome con dei numeri accanto. A quel punto – ha continuato Gasparri – mi disse che avremmo dovuto concordare una versione da rendere all’autorità giudiziaria che sicuramente ci avrebbe, di là a poco, convocati. Io a quel punto gli ho detto qualche brutta parola dicendo che mi aveva rovinato e me ne sono andato. Dopo un paio di giorni sono andato dall’avvocato e ho deciso di confessare tutto“. Non solo. Gasparri nel corso di uno dei suoi interrogatori ha anche spiegato per filo e per segno il suo ruolo nel metodo Romeo: “Essendo io funzionario della Consip e dirigente dell’ufficio che predisponeva i capitolati – ha rivelato  – sapevo esattamente come dovevano essere fatte le offerte tecniche. Romeo ava un ufficio tecnico inadeguato – ha detto ancora Gasparri – e io essendo uomo della Consip gli davo le indicazioni utili per la predisposizione dell’offerta tecnica” che, ha aggiunto, “sapevo esattamente come doveva essere fatta”. Il manager pubblico, inoltre, ha spiegato anche i rapporti di Romeo con la politica: “Mi disse che il suo intento di ‘avvicinare’ i vertici di Consip si erano realizzati attraverso ‘interventi politici ad altissimo livello’” è scritto nel provvedimento del gip Gaspare Sturzo. Che, descrivendo i ‘criteri per la scelta della misura’ del carcere per l’imprenditore, ha sottolineato la sua “forte capacità di attuale penetrazione nel sistema economico, imprenditoriale e politico” che “giustificano l’adozione della misura cautelare di massimo rigore”. “La forza corruttiva di Romeo – ha scritto ancora il gip – è ampliata dalla sua conclamata ‘rete’ di conoscenze istituzionali ‘ad altissimo livello’, conoscenze che, all’evidenza, utilizza in modo spregiudicato per orientare a suo vantaggio l’agire della pubblica amministrazione“.

L’INCHIESTA – PARTITA DA NAPOLI E ARRIVATA A ROMA PER COMPETENZA
L’inchiesta, come detto, è nata da un’indagine avviata nei mesi scorsi dalla Procura di Napoli per presunte irregolarità nelle assegnazioni di alcuni appalti. Un’indagine condotta dai pm della Dda, John Woodcock e Celeste Carrano: il fatto che il procedimento sia condotto dai magistrati dell’Antimafia è motivato dal presunto collegamento ai clan di alcuni dipendenti della ditta di pulizia, che fa capo al gruppo Romeo, che ottenne l’appalto per svolgere tale servizio all’ospedale Cardarelli di Napoli. Dagli accertamenti svolti dai magistrati emerse un presunto sistema di tangenti in riferimento sia all’appalto nell’ospedale Cardarelli che per altri lavori pubblici a Napoli. Gli sviluppi più importanti dell’indagine sono collegati alle intercettazioni telefoniche ed ambientali ed altre attività, come sequestri e perquisizioni (a Roma furono trovati in una discarica dei pizzini sui quali secondo l’accusa Romeo avrebbe annotato importo e destinatari delle mazzette) che hanno portato all’apertura del filone sugli appalti della Consip, la centrale di spesa della pubblica amministrazione. Ciò ha comportato una trasmissione, per competenza territoriale, di buona parte degli atti, alla Procura di Roma che sta operando in stretto contatto con i colleghi della Procura partenopea.

DA LOTTI A DEL SETTE FINO A SALTALAMACCHIA: LE PERSONE COINVOLTE
L’inchiesta Consip è stata svelata dal Fatto Quotidiano il 22 dicembre dell’anno scorso. Nel mirino dei pm c’è l’appalto più grande d’Europa: Fm4, cioé facility management, la gara indetta nel 2014 da Consip per l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione. La convenzione vale 2 miliardi e 700 milioni di euro per una durata complessiva di 36 mesi e corrisponde all’11,5 per cento della spesa annua della Pubblica amministrazione. L’appalto è diviso in lotti e Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro. Nell’ambito dell’inchiesta, il ministro Lotti è indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Il fascicolo contenente le ipotesi di reato sulle fughe di notizie è stato stralciato dal filone principale sulla corruzione ed è finito a Roma per competenza territoriale. Il braccio destro di Renzi, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio, è stato iscritto nel registro degli indagati a seguito delle dichiarazioni del suo amico Luigi Marroni, che nel suo interrogatorio come persona informata dei fatti ha tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana, indagato per le stesse ipotesi di reato. Nella fattispecie, Marroni ha detto di avere saputo dell’indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip dal presidente di Consip Luigi Ferrara, che a sua volta era stato informato dal comandante Tullio Del Sette. Poi ha aggiunto altri nomi. I più importanti sono quelli di Lotti e del generale Emanuele Saltalamacchia, suoi amici. Entrambi lo avrebbero messo in guardia dall’indagine. Dopo la soffiata Marroni fece eseguire la bonifica. Che effettivamente andò a segno.

Gli oppositori in Vaticano di Francesco ora attaccano la Madonna di Medjugorje per colpire il Papa

Gli oppositori in Vaticano di Francesco ora attaccano la Madonna di Medjugorje per colpire il Papa
La credibilità delle apparizioni potrebbe diventare un nuovo terreno di scontro per gli oppositori del Pontefice
Gli oppositori in Vaticano di Francesco ora attaccano la Madonna di Medjugorje per colpire il Papa

di Carlo Di Cicco
Le apparizioni della Madonna a Medjugorje non sono autentiche perché la Madonna non vi è mai apparsa. Questa valutazione tagliente e imbarazzante per tutto il business che si è sviluppato intorno alle presunte apparizioni dal 1982 fino ad oggi non è di una persona qualsiasi ma del vescovo di Mostar, la diocesi dove si trova anche il piccolo villaggio di Medjiugorje.

L’intervento del vescovo Ratko Peric, ferrato canonista, ha suscitato una certa sorpresa anche in Vaticano. Non perché non si conoscessero le sue posizioni, ma proprio perché queste sono state ribadite sul sito della diocesi proprio in concomitanza con la nomina e quindi alla vigilia dell’arrivo dell’inviato speciale della Santa Sede nominato dal Papa per verificare, con pieni poteri, l’andamento pastorale e l’organizzazione dell’accoglienza logistica e religiosa dei pellegrini che giungono ininterrottamente sul luogo delle presunte apparizioni. E la meraviglia di queste esternazioni, peraltro finora condivise negli anni passati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede guidata prima da Ratzinger e ora dal cardinale Gerard Muller, sta nel fatto che qualcuno lascia intravedere che la credibilità delle apparizioni potrebbe diventare un nuovo terreno di scontro per gli oppositori di Papa Francesco.

Non a caso anche la decisione del Papa di inviare l’arcivescovo Hoser di Varsavia come inviato speciale per una verifica pastorale delle presunte apparizioni, può essere compresa come un passo ulteriore di prudenza prima di rivelare ufficialmente il suo pensiero che tutti ormai attendono come parola di equilibrio capace di ricucire la spaccatura provocata dalla vicenda tra i cattolici di tutto il mondo.

Le dichiarazioni solenni del vescovo diocesano, che con tutta probabilità sono state certamente considerate anche nel rapporto dell’ultima commissione presieduta dal cardinale Ruini sulle presunte apparizioni, ricalcano quasi interamente quelle del vescovo Pavao Zanic, che guidava la diocesi di Mostar agli inizi delle presunte apparizioni. Fu lui a nominare la prima commissione diocesana per una valutazione dell’attendibilità delle apparizioni. Ma pochi ricordano che inizialmente Zanic non bocciò completamente le apparizioni. La sua critica decisa venne qualche tempo dopo.

La commissione diocesana allargata a 15 specialisti di varie discipline concluse i lavori tre anni dopo la sua nomina. Fu seguita nel 1987 da una Commissione costituita dalla conferenza episcopale jugoslava [allora esisteva ancora la Jugoslavia]. A differenza di quella diocesana le conclusioni di quella nazionale si conclusero con una posizione attendista: a tutt’oggi non consta la soprannaturalità delle apparizioni. Ma non escludeva in tal modo che successivamente il parere potesse mutare. Per allora la decisione fu che le apparizioni non sono vere e pertanto occorre cessare dai pellegrinaggi. Anche la Congregazione per la dottrina della fede già nel 1985 chiese ai vescovi italiani di dissuadere dall’organizzare pellegrinaggi. Ma tutte queste voci autorevoli rimasero inascoltate.

L’attuale vescovo di Mostar Peric è stato fin dal 1992 vescovo coadiutore di Mostar e dall’anno successivo fu vescovo ordinario succedendo a Zanic. Conosce quindi bene l’evolversi della situazione. Sul sito della diocesi Peric scrive tra l’altro di aver rilevato come il suo predecessore “la non autenticità delle apparizioni, che finora hanno raggiunto la cifra di 47.000. Questa Curia ha cercato sempre di informarne la Santa Sede, in particolare i Sommi pontefici san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco”. A suo parere “la figura femminile che sarebbe apparsa a Medjugorje si comporta in modo del tutto diverso dalla vera Madonna; a certe domande scompare e poi di nuovo ritorna; obbedisce ai veggenti e al parroco che la fanno scendere dal colle in chiesa sebbene controvoglia. Non si sa con sicurezza per quanto tempo apparirà; permette ad alcuni presenti di calpestare il suo velo steso per terra, di toccare la sua veste e il suo corpo. Questa non è la Madonna evangelica”.

Il vescovo di Mostar vuole forse precostituire un parere autorevole per influenzare l’inviato del Papa che forse potrebbe accendere disco verde rifacendosi ai primissimi giorni delle apparizioni, salvandone il valore spirituale e magari criticando molto di quanto è accaduto dopo? Certo l’attesa dell’intervento di Francesco diventa davvero interessante e dietro le quinte si sta giocando una partita non facile.

Paolo Ferrero: “Cari grillini l’onestà non basta, nella prima Repubblica rubavano ma l’Italia andava come un treno”

Paolo Ferrero: “Cari grillini l’onestà non basta, nella prima Repubblica rubavano ma l’Italia andava come un treno”

“L’ex ministro del governo Prodi: “Il Pd non è più di sinistra, serve un nuovo polo. Ormai il Partito Democratico è una sorta di Democrazia Cristiana. Bloccare le ruberie non è sufficiente”

L’ultima scissione nel Pd ha ulteriormente aumentato il numero dei pianeti e pianetini della sinistra italiana andati a costituire un microcosmo politico oltremodo eterogeneo. Cosa succederà ora e in quale direzione si indirizzerà questa moltitudine composita che cerca nuovi spazi e nuove fisionomie? Ne abbiamo parlato con Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista ed ex ministro alla Solidarietà Sociale del Governo Prodi.

Dopo l’ultima scissione nascerà qualche nuova entità importante in questa sinistra italiana dominata dal Pd?
“Partiamo col dire che non considero più il Pd un partito di sinistra. Ormai è un partito di centro, una sorta di Democrazia Cristiana. Quindi non vedo un peggioramento da questo punto di vista. Non so per altro cosa succederà di preciso, ma le posso dire cosa propongo io e cosa proponiamo come Rifondazione comunista”.

Bene, dica.
“Noi proponiamo di costruire un soggetto politico unitario tra tutte le forze che si pongono l’obiettivo di costruire un’alternativa. Un polo che si candidi a governare il Paese in alternativa tanto al Centrodestra quanto al Pd o ai Cinque Stelle, da costruire in forme plurali e in un processo partecipato, partendo da chi ha votato no al referendum sulla Costituzione per allargarci al complesso delle rappresentanze sociali”.

Servirà anche l’elaborazione di un progetto programmatico.
“Sì, un progetto antiliberista. Il nodo infatti non sono le persone che si mettono insieme – salvo il caso del malaffare che pure non è un problema di piccolo conto – il nodo è il liberismo. Il vero disastro dell’Italia è l’applicazione di politiche liberiste che purtroppo sono condivise dal Centrodestra come dal Pd, da Salvini e in parte da Grillo. Bisogna costruire allora un’alternativa che metta al centro la distribuzione dei redditi, la tassazione delle grandi ricchezze, delle rendite, la questione dell’intervento pubblico per la creazione di posti di lavoro a partire dagli interventi  di pubblica utilità, come il riassetto idrogeologico del territorio o la sanità, per arrivare alla riduzione dell’orario di lavoro con l’abolizione della Legge Fornero e la ridiscussione del sistema pensionistico. I disoccupati oggi non sono causati dalla scarsità di risorse, come dopo la seconda guerra mondiale, ma sono il prodotto di una ricchezza mal distribuita, per cui occorre redistribuirla in modo che sia utilizzata positivamente”.

(Il segretario di RC ed ex ministro Paolo Ferrero)

Si tratta di un problema di non poco conto, non limitato per altro solo all’Italia.
“Infatti riguarda tutto l’Occidente e non solo. La crisi che il mondo moderno sta vivendo è dovuta a un’abbondanza derivante dalla grande produttività del lavoro che invece di essere utilizzata per far stare meglio tutti è piegata ad assicurare il profitto di pochi. Il fatto che il lavoro sia molto produttivo, invece di portare a una distribuzione tra tutti con riduzione secca degli orari, viene utilizzato per ricattare i lavoratori, facendo lavorare poca gente per molte ore mentre gli altri stanno fuori e patiscono la disoccupazione. In questo senso la crisi è crisi del capitalismo, ovvero di un sistema che invece di utilizzare il fatto positivo dell’aumento della produttività per apportare miglioramenti sociali, lo utilizza a fini di lucro e di profitto. Il problema, per parafrasare Berlinguer, è il capitalismo che ha esaurito la sua spinta propulsiva”.

Il M5S nasce dagli errori della sinistra?
“Anche, ma nasce soprattutto dal neoliberismo in un contesto in cui gli stati, la politica e il potere pubblico non hanno più peso nell’economia. In tal modo la gente finisce col pensare che la politica non serva a niente, che il problema sia soltanto quello dell’onestà o simili. Il problema vero invece è che le multinazionali e la finanza fanno ormai quello che vogliono mentre la politica non conta più nulla e non interviene a correggerne lo strapotere”.

L’onestà non basta?
“Il problema non è solo smetterla con le ruberie, i partiti della prima Repubblica rubavano ma l’Italia nel dopoguerra cresceva comunque del 5 per cento all’anno. Bisogna allora mandare in galera chi ruba, ma ciò non basta per creare posti di lavoro. Per produrre posti di lavoro occorre mandare in pensione la gente prima e ridurre gli orari di lavoro, bisogna soprattutto togliere il tema del profitto dal centro di ogni attenzione”.

E’ possibile pensare a una alleanza tra il M5S e il polo della sinistra da lei auspicato, anche alla luce del sistema proporzionale che si delinea all’orizzonte?
“Prima di tutto bisogna costruire il polo della sinistra di cui si parla, dargli consenso elettorale convincendo ad andare a votare quella parte di popolazione che non lo fa più”.

Altrimenti vince la destra?
“Vincono tutte le destre: quelle liberiste, quelle nazionaliste, quelle di centrodestra e quelle di centrosinistra”.

Andrà a votare per le primarie del Pd?
“Assolutamente no”.

Foggia, incendio in una baraccopoli. Morti due migranti

Foggia, incendio in una baraccopoli. Morti due migranti: “Non doloso”. Salvini: “Sangue sulle mani della sinistra”

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Due giorni fa era iniziato lo sgombero del cosiddetto Gran Ghetto, tra Rignano Garganico e San Severo, tra le proteste di 200 migranti. Emiliano: “Procedere senza indugio alla chiusura”

Un incendio di vaste proporzioni ha distrutto una baraccopoli nel foggiano, tra Rignano Garganico e San Severo. Nel rogo al cosiddetto ‘Gran Ghetto’, abitato da alcune centinaia di migranti impegnati nella raccolta dei prodotti agricoli nelle campagne della zona, sono morti due uomini del Mali. Molte bombole di gas, usate dai migranti per scaldarsi e cucinare, sono saltate in aria e hanno contribuito a rendere ancora più pericolosa la situazione. Dopo una mattinata di indagini, nel primo pomeriggio la procura di Foggia ha escluso la matrice dolosa. E tra l’altro non è la prima volta che il Ghetto va a fuoco: erano già scoppiati diversi roghi, e un anno fa un incendio aveva quasi distrutto l’intero complesso di baracche, fortunatamente senza morti né feriti.

Il primo marzo fa era cominciato lo sgombero da parte delle forze dell’ordine disposto dalla Dda di Bari nell’ambito di indagini avviate nel marzo del 2016 e culminate con il sequestro con facoltà d’uso della baraccopoli per presunte infiltrazioni della criminalità. Tuttavia gli agenti non hanno potuto completare lo sgombero perché alcuni dei 350 migranti che erano nella baraccopoli si sono rifiutati di lasciare il Ghetto. Ieri mattina circa 200 di loro hanno protestato davanti alla prefettura di Foggia, ribadendo di non voler lasciare il Ghetto e chiedendo udienza dal prefetto. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, che hanno trovato i due corpi carbonizzati dopo lo spegnimento delle fiamme. L’incendio si è sviluppato su un’area di oltre 5000 metri quadri e ha distrutto un centinaio di baracche. “È stato troppo violento e improvviso e quindi non si esclude che possa essere stato appiccato da qualcuno”, ha spiegato un vigile del fuoco. E tuttavia né i vigili del fuoco né gli agenti di polizia hanno avanzato l’ipotesi di incendio doloso ai pm foggiani. La procura ha infine avviato un’indagine per incendio colposo e omicidio colposo plurimo a carico di ignoti.

Le vittime sono state identificate dagli altri migranti del ghetto. Si chiamavano Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, rispettivamente di 33 e 36 anni. Konate è stato trovato disteso su una brandina, carbonizzato, mentre Doumbia è stato trovato nei pressi dell’uscita della sua baracca. Secondo gli agenti, si era probabilmente accorto dell’incendio e stava cercando di fuggire. “Noi vogliamo lavorare e dormire nel ghetto, ma ci è stato detto di andare via, perché la magistratura ha stabilito che non si può stare in questo luogo”, ha raccontato un migrante della Costa d’Avorio che da tempo vive nella baraccopoli di Rignano. Ha spiegato che le due strutture messe a disposizione in sostituzione del Gran Ghetto, con i loro 110 posti, lasceranno molti migranti senza dimora. Per questo ieri hanno protestato davanti alla prefettura, che tuttavia ha detto “che al momento questi sono i posti a disposizione” e stabilito che il ghetto dovrà essere sgomberato entro oggi.

La segreteria provinciale della Cgil di Foggia “esprime il proprio cordoglio per la perdita di due giovani vite nell’ennesimo tragico episodio che coinvolge il ghetto di Rignano” e ha fatto appello alle istituzioni per “procedere con maggior velocità e decisione allo sgombero definitivo, garantendo a tutti i lavoratori oggi lì ospitati un’accoglienza dignitosa“. La federazione regionale dell’Usb Puglia ha espresso “la massima solidarietà alle comunità dei braccianti migranti del ‘campo’”, sostenendo che “questi episodi sono proprio la conseguenza della caccia alle streghe dei benpensanti razzisti“. Secondo l’Unione sindacale di Base, infatti, le due morti “sono le conclusioni tragiche di anni di assenza di politiche reali di accoglienza e del clima di caccia all’immigrato costruito nel nostro paese e nella nostra regione”. Anche Matteo Salvini si è espresso sulla vicenda. Per il segretario della Lega si tratta di “altro sangue sulle mani lerce dei ‘buonisti‘ di sinistra, che fanno arrivare in Italia migliaia di disgraziati promettendo loro tutto”, e occorre “fermare le partenze, bloccare i barconi, espellere i clandestini, combattere mafie e caporalato, prevedere un salario minimo che impedisca schiavitù e sfruttamento”. “Si può, anzi, si deve”, ha concluso.

“La tragica morte dei due cittadini maliani conferma la necessità di procedere senza indugio alla chiusura di questa operazione richiesta dall’Autorità Giudiziaria, ma – dice il governatore della Puglia Michele Emiliano – lascia un profondo sconforto perché se avessero accettato, come tanti hanno fatto, la alternativa abitativa adesso sarebbero ancora vivi”.  E al Gran Ghetto sono arrivate le ruspe per abbattere le baracche. I migranti sono stati fatti salire a bordo dei pullman messi a disposizione dalle forze dell’ordine per essere accompagnati nelle due strutture ricettive indicate dalla Regione Puglia: Casa Sankara che si trova lungo la statale 16 a qualche chilometro da Foggia e l’Arena che si trova alla periferia di San Severo. In tutto le due strutture assicurano 110 posti. “In realtà – afferma l’avvocato Giovanni Marseglia che cura gli interessi dei migranti – ci sarebbe bisogno di 400-500 posti letto per soddisfare tutte le richieste, per questo si dicono preoccupati, non sapendo dove possono essere destinati dopo aver lasciato il ghetto”.