I repubblicani in fuga da Trump: 36 parlamentari lo denunciano. E lui: «Ipocriti moralisti»

I repubblicani in fuga da Trump: 36 parlamentari lo denunciano. E lui: «Ipocriti moralisti»

Donald Trump (Ap)
Donald Trump (Ap)

NEW YORK – Per tanti e forse troppi nel Grand Old Party, nel partito repubblicano che fu di Lincoln, Donald Trump ha passato il punto di non ritorno. Le prese di distanza dal loro candidato alla Casa Bianca si stanno trasformando in una drammatica fuga di influenti leader nazionali e locali per cercare di salvare il salvabile, per evitare di essere travolti assieme a lui alle urne dell’8 novembre perdendo oltre alla faccia e alla presidenza anche la maggioranza al Congresso. «Ipocriti moralisti», li ha definiti Trump in un tweet al veleno.

Ma il presidente della Republican Conference del Senato, l’organizzazione ufficiale che rappresenta i senatori in Congresso, ha chiesto che Trump lasci il posto al candidato alla vicepresidenza, Mike Pence. Il senatore John Thune, del South Dakota – il cui ruolo è distinto da quello del leader della maggioranza repubblicana in Senato Mitch McConnell – è il repubblicano più alto in grado nel partito a chiedere un passo indietro del candidato ufficiale.

The media and establishment want me out of the race so badly I WILL NEVER DROP OUT OF THE RACE! No matter how many crazy things I say. A

Il conto dei “disertori” ad oggi ha raggiunto quota 36 soltanto tra i membri del Congresso, un tradimento senza precedenti durante una campagna presidenziale.

Tuttavia per i repubblicani la crisi è profonda, perché cacciare Trump dal ticket – a meno che sia lui a rinunciare e lui assicura di no «neppure tra un milione di anni» – è pressoché impossibile: a meno di un mese dalle elezioni si sono già avvalsi del voto anticipato oltre 400.000 americani in 18 stati e spesso sono passate le scadenze per ristampare le schede elettorali con qualunque cambiamento.

Altrettanto difficile è immaginare, nonostante le speranze dei suoi consiglieri, che Trump riesca a ribaltare la situazione con il dibattito di questa sera in Missouri, il secondo scontro conHillary Clinton, dopo che ha già perso il primo. Hillary tradizionalmente fa bene in questi incontri mentre Trump, anche al meglio di sé, preferisce i comizi. Anche se ha promesso nuovi attacchi e rivelazioni su scandali a carico dell’ex presidente e marito Hillary, Bill Clinton, scelta che a sua volta minaccia di diventare un boomerang perché gli americani, se non amano Hillary, hanno finora dimostrato di non avere interesse a rivangare la presidenza di Bill Clinton perché non è lui a correre per la Casa Bianca.

Il vice di Trump, Mike Pence, ha detto in queste ore a un gruppo di grandi finanziatori repubblicani di essere ancora del tutto a fianco di Trump, ma è stato costretto a dargli lui stesso una specie di ultimatum: deve riscattarsi questa sera dalle volgarità che è stato costretto anche lui a denunciare pubblicamente – altro atto senza precedenti per un vice. E il Segretario generale del partito, Reince Priebus, se ufficialmente sostiene ancora Trump ha già ordinato all’organizzazione repubblicana di stornare i fondi disponibili a favore delle corse parlamentari e statali, immagina do di rinunciare ormai di fatto alle presidenziali.

Brucia, in particolare, il ritiro ufficiale dell’appoggio di una icona del partito quale il senatore dell’Arizona John McCain, che lascia solo l’anziano Bob Dole tra gli ex candidati alla Casa Bianca o presidenti repubblicani a fianco di Trump. Leader del partito hanno ormai paragonato la crisi a quella sofferta dai repubblicani negli anni Settanta con lo scandalo Watergate e il processo di impeachment contro Richard Nixon.

Prima ancora delle ultime rivelazioni di oscenità e abusi nei confronti delle donne registrate in video e audio nel 2005 dalla trasmissione Access Hollywood e pubblicate dal Washington Post, Trump arrancava nell’opinione pubblica: gli ultimi sondaggi lo davano indietro di 12 punti in Pennsylvania e di tre punti in Florida, stati in precedenza incerti. Ora deve fare i conti con la sconfessioni da parte dell’intero partito repubblicano dello Utah, dal governatore a senatori e deputati. Il partito del New Hampshire ha comunicato formalmente che non ci saranno ripercussioni per qualunque politico locale che scarichi Trump e così ha fatto quello dell’Ohio.

L’antibiotico-resistenza è come un “lento tsunami”

L’antibiotico-resistenza è come un “lento tsunami”

Superbatteri uccidono ogni anno 700.000 persone. Entro il 2050 questa cifra potrebbe salire fino a 10 milioni

L’antibiotico-resistenza è come un “lento tsunami”
Redazione Tiscali

L’antibiotico-resistenza per la salute globale è paragonabile a un “lento tsunami”. A dirlo è stata il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Margaret Chan nel corso dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, che visto l’approvazione di un documento congiunto sottoscritto da 193 Paesi. Alcuni dati, ricorda l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) sul sito web, mostrano quanto siano gravi le ripercussioni dell’antibiotico-resistenza: un’epidemia di tifo multiresistente si sta diffondendo in diverse regioni dell’Africa, in 105 Paesi si registrano forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, mentre sono circa 200.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa dei cosiddetti super-batteri.

Il mondo si prepara per la minaccia del secolo

Secondo una previsione del governo del Regno Unito, se attualmente, a livello globale, sono circa 700.000 le persone che, a causa dell’antibiotico-resistenza, muoiono di sepsi, tubercolosi e altre malattie, entro il 2050 questa cifra potrebbe salire fino a 10 milioni. Articolato in quindici punti, il Documento sottoscritto prevede lo sviluppo di piani nazionali per frenare l’uso degli antibiotici nelle aziende agricole, lo sviluppo di nuovi farmaci e la formazione del personale sanitario e dei pazienti, per incoraggiare un cambiamento culturale verso un utilizzo più responsabile di questi medicinali. Si è inoltre deciso di istituire un organismo di coordinamento, che si riunirà a settembre 2018 per un confronto sui progressi raggiunti.

Ma per alcuni esperti non si sta facendo abbastanza

Non mancano tuttavia le critiche, riprese in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di The Lancet. Secondo Ramanan Laxminarayan, direttore del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy a Washington, ad esempio, gli impegni assunti dai governi sarebbero ancora troppo generici e deboli.

E’ pronto il transistor più piccolo del mondo realizzato senza silicio

E’ pronto il transistor più piccolo del mondo realizzato senza silicio

La miniaturizzazione effettua un balzo in avanti

Il professor Ali Javey (sinistra) con lo studente Sujay Desai
Il professor Ali Javey (sinistra) con lo studente Sujay Desai
Redazione Tiscali

Sempre più piccoli ma dalle prestazioni sempre più grandi. Sono le caratteristiche richieste ai componenti di computer e smartphone, sempre più potenti, veloci e a basso consumo energetico. In quest’ottica un team di ricercatori dell’Università del Texas, a Dallas, ha sviluppato un transistor dalle dimensioni impensabili, il più piccolo finora mai realizzato, in grado di consumare meno energia rispetto ai suoi predecessori. Il dispositivo, descritto sulla rivista Science, potrebbe segnare l’addio al silicio e un ulteriore passo avanti nella miniaturizzazione dei dispositivi elettronici.

E’ il più piccolo transistor finora costruito

Il prototipo, evidenziano i creatori, il professor Ali Javey e lo studente Sujay Desai, è il più piccolo transistor finora costruito senza utilizzare il tradizionale silicio, con materiali semiconduttori. Quest’ultimi, indicati dalla sigla Tdm (dicalcogenuri), sono metalli dalle proprietà straordinarie, con caratteristiche intermedie tra i materiali bidimensionali, come il grafene, e quelli tridimensionali, come il silicio. Una peculiarità che rende questi metalli, oltre che estremamente versatili e magnetoresistenti, anche in grado di raggiungere dimensioni piccolissime.

Superati i limiti del silicio

“I transistor di silicio si stanno avvicinando al loro limite dimensionale”, ha osservato Moon Kim, dell’Università del Texas e autore dello studio. “La nostra ricerca – ha aggiunto – fornisce nuove informazioni sulla possibilità di andare oltre il limite di scala ultimo della tecnologia dei transistor a base di silicio”. Al progetto, coordinato dal Lawrence Berkeley National Laboratory, hanno partecipato le Università della California a Berkeley e di Stanford. Il team californiano ha fabbricato il transistor ed eseguito simulazioni teoriche, mentre la squadra dell’Università del Texas ha fisicamente caratterizzato il dispositivo utilizzando un microscopio a risoluzione atomica.

Porte “in miniatura”

Il passaggio della corrente nei transistor è consentito da una ‘porta’, che controlla il flusso di elettroni, chiudendosi o aprendosi in una frazione di secondo. E la porta è un elemento che definisce le dimensioni del transistor. “I più piccoli transistor di silicio disponibili oggi in commercio – ha spiegato Kim – hanno una porta più grande di 10 nanometri”, ossia maggiore di 10 millesimi di millimetro. “Il nostro dispositivo invece ha una porta della dimensione di 1 nanometro. In più, ha la caratteristica di avere un consumo energetico ridotto rispetto ai transistor in silicio”. “Ciò significa – ha spiegato ancora – che un cellulare costruito con questa tecnologia non dovrebbe essere ricaricato molto spesso”. Tuttavia prima che si arrivi alla produzione su vasta scala di tali dispositivi, ha avvertito Kim “ci vorrà tempo e sarà necessario superare molte sfide tecniche”.

Roberto Cota e le mutande verdi, quando l’assoluzione è sinonimo di impunità

Roberto Cota e le mutande verdi, quando l’assoluzione è sinonimo di impunità

Roberto Cota e le mutande verdi, quando l’assoluzione è sinonimo di impunità

Giustizia & Impunità
di  | 10 ottobre 2016
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Innanzitutto corre l’obbligo di smentire una volta per tutte la leggenda metropolitana: non erano mutande, bensì pantaloncini verde-padania quelli acquistati e finiti per errore nella rendicontazione di spese dell’ex-Presidente piemontese Cota, a sua insaputa: “Ero a Boston a un corso intensivo di inglese, ho offerto un pranzo al professore che mi aveva portato a visitare il Mit e siccome il ristorante era in un centro commerciale, nelle spese ci sono finiti dentro anche i pantaloncini. Io consegnavo gli scontrini al gruppo consiliare ai miei collaboratori chiedendo loro di fare una cernita, quei 40 dollari non sono stati spuntati per sbaglio, senza che io ne sapessi nulla”. Sbagli reiterati e frequenti, quelli dei consiglieri. All’esplodere dello scandalo, per evitare guai peggiori, lo stesso Cota oltre allo scontrino dei pantaloncini ha rimborsato alla Regione altri 32mila euro di acquisti aventi – si può ipotizzare – equivoca natura.

Adesso che fioccano assoluzioni per molti – ma non tutti – tra le centinaia di consiglieri regionali protagonisti di “rimborsopoli”, incluso lo stesso Cota, è forse il momento delle pubbliche scuse? No, affatto. Anzi, il contraccolpo giudiziario delle assoluzioni e le voci bipartisan che si vanno levando a reclamare un lavacro garantista per l’onore infangato dei consiglieri regionali dimostrano, ancor più della vicenda del discutibile impiego privato di fondi pubblici, la bancarotta morale di una cospicua componente della classe politica italiana. Che oggi, per iniziativa di un deputato leghista, propone una legge “per imporre pubbliche scuse da parte dei pubblici ministeri”, così da “restituire piena dignità, anche a livello mediatico, a chi per anni è stato ingiustamente messo alla gogna mediatica”; e per bocca diun ex presidente della Camera plaude alla sconfitta della “‘società giudiziaria’, una società di mezzo tra quella civile e politica, che comprende cittadini comuni, politici, mezzi di comunicazione e settori della magistratura. E che si basa sull’idea di fondo che la magistratura sia il grande tutore della vita pubblica”.

 

Ma la vicenda di rimborsopoli, al pari di troppe altre storie dimalagestione di risorse pubbliche, non esaurisce le proprie implicazioni nella sfera – oggettivamente slargata – della tentatarepressione penale. Paradossalmente, proprio la politica corrotta finisce per risultare alla lunga la prima beneficiaria di questa delega abnorme di una funzione di “controllo della virtù” dei rappresentanti eletti, che per forza d’inerzia in Italia è stata attribuita a una magistratura non sempre consapevole dei propri limiti, nel vuoto pneumatico di partiti latitanti e nel silenzio di una società civile che – per citare il don Raffaé di De André– di solito “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. Un potere solitario di controllo e (ipotetica) sanzione che ha generato l’illusione ottica di cui oggi scontiamo le ricadute: l’assoluzione in tribunale (o la prescrizione) come dimostrazione di “innocenza” anche in termini di responsabilità politica ed etica. Nonostante le statistiche giudiziarie mostrino al di là di ogni ragionevole dubbio come la combinazione perversa di norme inadeguate o ambigue e diabili strategie difensive di imputati eccellenti abbia generatoun’impunità di massa dei colletti bianchi. Immunità che nel caso di rimborsopoli è stata favorita proprio dalla natura di prassi diffusa e consolidata nel tempo dell’impiego opinabile – per usare un eufemismo – di fondi destinati all’attività dei gruppi consiliari. Le pessime abitudini dei politici, quando sono generalizzate, cancellano l’elemento soggettivo del reato di peculato, il dolo, ossia l’intenzione consapevole di appropriarsi di risorse pubbliche. La strategia autoassolutoria del “così fan tutti” di craxiana memoria, che si rivelò fallimentare quando in ballo c’erano mazzette, nel caso degli scontrini sta risultando giudiziariamente vincente.

Oltre alla biancheria di Cota, le cronache documentano un impiego fantasioso dei fondi consiliari per banchetti di nozze, regali di Natale, fiori, pneumatici, passeggini per bambini, profumi, gioielli, acquisti di pesce, lavatrici, viaggi. Condotte che in molti casi non sono associabili ad alcuna fattispecie penale. Ma superano per questo il vaglio degli standard accettabili di condotta per un amministratore pubblico? Sono condotte coerenti con i principi elementari di etica pubblica richiesti a chi si visto affidare la cura dei beni collettivi? Per quella classe politica che con poche eccezioni ha fatto quadrato attorno agli inquisiti e oggi stappa champagne per le assoluzioni, evidentemente sì. Per una quota non irrilevante della società civile, che all’epoca insorse e oggi assiste perplessa alla glorificazione dei prosciolti, evidentemente no.

Le regole che dettano l’insieme di condotte politicamente ammissibili non coincidono, né possono essere artificiosamente sovrapposte a quelle del codice penale. Non è così in Europa. Almeno, in quei paesi europei che svettano nelle classifiche sulla trasparenza. Si prendano due casi-fotocopia di rimborsopoli. Nel 2009 in Gran Bretagna l’accesso agli atti garantito dal Freedom of information act e una fonte confidenziale interna alla House of Commons permisero al Daily Telegraph di lanciare una campagna sulle spese impropriamente risarcite ai deputati. Emersero irregolarità tali da indurre una veemente reazione popolare, l’istituzione di un’autorità parlamentare indipendente per sanzionare gli abusi, il rafforzamento dei meccanismi di rendicontazione pubblica – tutte le spese parlamentari, persino quelle di pochi spiccioli, sono oggi consultabili online. Pochissimi i casi di rilevanza penale, ma nella successiva tornata elettorale lo spauracchio dei collegi uninominali indusse partiti ed elettori a un drastico ricambio dei politici implicati nella vicenda.

In Svezia nel 1995 lo “scandalo del Toblerone” affossò le aspirazioni alla leadership del partito socialdemocratico di Mona Sahlin, che aveva indebitamente caricato sulla carta di credito di servizio una serie di piccole spese voluttuarie effettate a titolo personale, tra cui quella della nota barretta di cioccolato. Le dimissioni obbligate dall’incarico ministeriale e una quasi decennale eclissi politica furono il prezzo che il suo partito le fece pagare percondotte penalmente insignificanti, ma che nel giudizio dei colleghi avevano infangato la loro reputazione collettiva. In nessun caso si parlò di “gogna mediatica”, perché tale non sono il pubblico scrutinio e la riprovazione per le modalità disdicevoli – in base a criteri sui quali l’opinione pubblica è sovrana – con cui viene esercitato il potere delegato agli amministratori politici.

Di fronte all’autocelebrazione di assoluzioni spesso motivate dalla natura sistemica degli abusi la domanda da porsi è: ma qual è la concezione che questa classe politica italiana ha della propria reputazione? Persino peggiore di quella, già drammaticamente bassa, dell’opinione pubblica, verrebbe da pensare.

Giulio Regeni, rissa in consiglio comunale a Trieste per lo striscione rimosso

Giulio Regeni, rissa in consiglio comunale a Trieste per lo striscione rimosso

Giulio Regeni, rissa in consiglio comunale a Trieste per lo striscione rimosso

Politica
Spintoni e schiaffi tra forze dell’ordine e una decina di manifestanti che durante la seduta hanno protestato contro la decisione del sindaco Dipiazza. Alla fine l’Aula ha bocciato la mozione del Pd che chiedeva il ripristino. In piazza Unità centinaia di persone per la manifestazione organizzata da Amnesty International

di  | 11 ottobre 2016
E’ finito a schiaffi, spintoni e pugni lo scontro che da oltre una settimana si consuma a Trieste sullo striscione “Verità per Giulio Regeni“, rimosso dal Municipio dopo la decisione presa venerdì scorso dal sindaco di Forza Italia Roberto Dipiazza. Lunedì sera è scoppiata una rissa in Consiglio Comunale tra le forze dell’ordine e una decina di manifestanti (guarda) che protestavano contro la scelta del primo cittadino, adottata – aveva spiegato – per “evitare strumentalizzazioni politiche”.

Le tensioni in Aula sono cominciate durante la discussione di due distinte mozioni: una presentata dal gruppo del Pd, nella quale si chiedeva il ripristino dello striscione (sabato la governatriceDebora Serracchiani lo ha affisso sul palazzo della Regione in risposta a Dipiazza), e un’altra della maggioranza di centrodestra presentata da quattro consiglieri comunali di centrodestrasecondo cui “è opportuno che la permanenza sulla facciata del Palazzo municipale abbia una tempistica contenuta“, così come è successo nel caso dello striscione di solidarietà con i maròSalvatore Girone e Massimiliano Latorre, si legge nella proposta. E’ stata questa mozione a innescare la scintilla che ha scatenato le dure polemiche delle opposizioni e non solo, anche se di fatto venerdì scorso Dipiazza ha bruciato i tempi anticipando la discussione in Aula. Proprio durante l’esame del testo del centrodestra dal pubblico sono cominciati slogan, pesanti accuse agli amministratori comunali e riferimenti alle vicende dei marò. Sono seguite parolacce, tensioni, spintoni, schiaffi e qualchepugno, fino all’intervento degli uomini della Digos e della polizia municipale che hanno allontanato i manifestanti dall’Aula consiliare, con la successiva sospensione dei lavori, poi ripresi. E alla fine la mozione presentata dal Pd per ripristinare lo striscione è stata bocciata a maggioranza, con 25 voti contro e 15 a favore.

Prima della rissa in Aula, in piazza Unità (dove si affacciano sia il Municipio sia il Palazzo della Regione) si è svolta una manifestazione con centinaia di persone per protestare contro l’iniziativa di Dipiazza, che in un’intervista aveva così liquidato la discussione: “Mi sono tolto il dente cariato”.  La speranza di chi ha partecipato al presidio promosso da Amnesty International era che il Consiglio bocciasse la scelta del primo cittadino e che lo striscione venisse esposto nuovamente sulla facciata del palazzo.

In piazza nessun simbolo di partito, né bandiere, ma soli cartelli gialli con la scritta “Verità per Giulio Regeni”. Cittadini, giovani, persone comuni si sono susseguiti in brevi interventi e testimonianze. Pino Roveredo, lo scrittore vincitore del Premio Campiello 2005, non ha usato mezzi termini: “Ci fa ribrezzo questo gioco politico che va a colpire sicuramente persone che hanno sofferto. Io penso ai genitori di Giulio Regeni: quel ragazzo è statomartoriato e massacrato. Stiamo cercando una verità, non stiamo cercando dei martiri. Siamo qui per dare voce alla Trieste che non si riconosce in quella città degli amministratori, che fanno scelte che non sono assolutamente condivise da parecchie persone, anche di destra”.

Ed è vero che anche dal centrodestra la decisione di Dipiazza non è stata apprezzata. In mattinata Renzo Tondo, ex deputato forzista, ex presidente del Friuli Venezia Giulia e ora leader di “Autonomia Responsabile”, aveva chiesto che “a Giulio Regeni, autentico e giovane martire della Verità, sia intitolata una via o una stradanon solo a Fiumicello, suo paese natio, ma anche a Trieste”. Per Tondo, la tragedia di Giulio Regeni è talmente crudele da “gelare il sangue”, ma “è paradossale” che a chiedere la verità a un paese come l’Egitto sia “una nazione come l’Italia che da mezzo secolo non trova la verità sulle stragi e gli assassinii più orrendi”, come piazza Fontana, la strage di Bologna, l’assassinio di Aldo Moro o il caso “certamente meno intricato di Stefano Cucchi”.

Un appello era arrivato anche dal senatore Francesco Russo (Pd) affinché, fermo restando “il grave errore del sindaco di Trieste”, “la politica ritrovi unità”, “non usi strumentalmente vicende così terribili per dividersi e – conclude Russo – se c’è un modo per tornare indietro si trovi. Non trasformiamo anche questo in una campagna elettorale”.

“Sei italiano oppure napoletano o siciliano?”. L’assurdo questionario nelle scuole di Londra

“Sei italiano oppure napoletano o siciliano?”. L’assurdo questionario nelle scuole di Londra

La comunità italiana locale ha denunciato ed ha scritto alle direzioni scolastiche. Indignazione dell’ambasciatore italiano a Londra e la Gran Bretagna si scusa

'Sei italiano oppure napoletano o siciliano?'. L'assurdo questionario nelle scuole di Londra
di Antonio Menna

“Non sono italiana, sono napoletana. E’ un’altra cosa”. Lo ha detto anni fa Sofia Loren, durante un’intervista televisiva in inglese. Una frase che è diventata uno slogan. Quasi un distintivo. Da allora, a Napoli, la ripetono tutti. Una bandiera d’orgoglio. L’ha fatta sua, qualche anno prima di morire, anche il compianto Bud Spencer. “Non sono italiano, sono napoletano” ha ripetuto a un giornalista.  Come a dire, siamo diversi, siamo di un’altra pasta. Naturalmente, in una accezione positiva. L’autopromozione in una categoria superiore. Sono più che italiano, sono napoletano: mettiamola così.

La perplessità delle famiglie

Solo che a dirle, le cose, poi si realizzano e oggi c’è chi ha preso in parola questo vessillo di alterità fino a introdurre la provenienza dal Sud Italia come distinzione nella nazionalità. Succede in Gran Bretagna anche se nelle ultime ore sono arrivate le scuse. “Italiano, italiano siciliano o italiano napoletano?”, questa la domanda che è stata rivolta, nelle scuole del Regno Unito, ad alcuni genitori italiani che, compilando un modulo telematico, hanno iscritto i loro figli agli istituti di istruzione pubblica britannici. A rilevarlo è Enzo Vitale, sul Gazzettino. La storia gli viene raccontata direttamente da alcune famiglie, in procinto (in anticipo di un anno, come funziona in Gran Bretagna) di iscrivere i figli alle medie dopo aver completato le elementari.

Uno stato unitario

“All’inizio pensavo fosse uno scherzo – racconta Michele La Motta, sul Gazzettino – , ma me l’hanno confermato anche altri genitori”. In sostanza, se sei italiano e devi iscrivere tuo figlio alle scuole medie, devi compilare un formulario riempendo tutti gli spazi informativi e rispondendo ad una batteria di domande. Alla voce nazionalità, si aprono una serie di risposte. Ma non c’è solo “Italiano”, nel menù che scorre, come sarebbe normale. Ci sono tre voci: Italian (Any Others), Italian (Napoletan) e Italian (Sicilian). A voi la scelta. Come se si trattasse di tre provenienze diverse magari da una stessa area geografica. Forse il modello è proprio quello del Regno Unito: stato unitario ma con quattro nazioni, e fortemente identitarie. Sei scozzese, inglese, irlandese o gallese? Solo che l’Italia è uno stato unitario ormai da oltre 150 anni, con lievi – o a volte un po’ più marcate – caratterizzazioni regionali. Il regno delle due Sicilie, che pure ha ancora qualche estimatore fino al punto da alimentare una vasta nostalgia borbonica, non esiste più. Qualcuno lo ha spiegato agli inglesi?

Un italiano diverso

La comunità italiana locale, peraltro composta per lo più da meridionali, si è infastidita molto e ha cominciato a denunciare il caso ai media e a scrivere alle direzioni scolastiche. Imbarazzo da parte delle autorità britanniche e poche spiegazioni convincenti. Qualcuno ha parlato di eccesso di zelo, o di rilevamento a soli fini statistici. Altri addirittura considerano questa indicazione una forma di tutela ma non si capisce da cosa e come. Resta il fatto che la sensazione – sgradevole – è che si consideri qualcuno come un italiano “diverso”. Un po’ meno italiano degli altri, o forse un po’ di più a volerla leggere ottimisticamente. Certamente, non solo italiano. Siciliano o napoletano?

Le provenienze territoriali

“Anche a me è capitata la stessa cosa – ha dichiarato al Gazzettino, un ricercatore cagliaritano per lungo tempo in Gran Bretagna -; mi hanno chiesto di specificare la mia origine sarda, dicendo che per loro è importante conoscere non solo le nazionalità ma tutte le provenienze territoriali”. Evidentemente, quindi, è proprio una concezione tutta britannica delle origini.

Il problema, però, è che in quella modulistica, la specifica è riservata solo agli italiani. Nessuno chiede agli spagnoli se sono baschi o catalani o di dove; nessuno chiede ai francesi se sono provenzali o corsi; nessuno chiede ai tedeschi se sono bavaresi o sassoni. Ma agli italiani, sì. Siete italiani o napoletani? Sofia Loren non avrebbe dubbi. Risponderebbe napoletana, con orgoglio. Ma i nostri connazionali emigrati in Gran Bretagna, qualche fastidio, invece, lo hanno provato. Loro si sentono italiani, totalmente. Solo italiani, grazie.

Addio al premio Nobel Dario Fo

Addio al premio Nobel Dario Fo

dario-foSi è spento questa mattina all’ospedale Sacco di Milano Dario Fo. Era ricoverato da 12 giorni, a causa di una crisi respiratoria. Aveva novanta anni e sette mesi.
Fino all’ultimo dei suoi giorni, l’intellettuale ha continuato a lavorare, ringraziando per quella vita “esageratamente lunga”, come più volte l’aveva definita. L’ultima sua opera, “Darwin ma siamo scimmie da parte di padre o di madre?” è da poco nelle librerie, e lo stesso Fo l’aveva presentata lo scorso 20 settembre a Milano.
Fo è stato attore, drammaturgo, regista, scrittore, pittore, scenografo, attivista. Occorrerebbe una vita intera per raccontare la sua vita. E ce ne vorrebbero tre, scherzava lui, per raccontare la sua vita insieme a Franca Rame, scomparsa nel 2013. “E’ un guaio terribile – diceva – vivere senza lei. Non mi basta la memoria. Sogno tutte le notti Franca e sogno che è viva”.
L’aveva conosciuta nel ’51, in palcoscenico, e sposata tre anni dopo. E pochi mesi dopo il matrimonio nacque il loro unico figlio, Jacopo.
E’ in questi anni, dopo la guerra e dopo l’Accademia delle Belle Arti di Brera, che Fo inizia la sua carriera artistica. Lavorando alla Rai come attore e autore, scrivendo monologhi per la radio e soggetti per il cinema. Poi, nel 1962, nasce la compagnia di Dario Fo e Franca Rame, divisa tra teatro e televisione.
“Mistero Buffo”, l’opera che gli varrà il premio Nobel nel 1997, viene portata per la prima volta in teatro nel 1968. Una “giullarata” in cui Fo, unico attore sul palco, si prende gioco del potere con il grammelot, un miscuglio di suoni e parole prive di significato.
Negli anni successivi scrive oltre cento testi teatrali, connotati da un legame con l’attualità e un forte impegno politico. Che prosegue anche dopo la vittoria del Nobel, dividendosi sempre tra commedia farsesca e monologhi sul modello di Mistero Buffo.
Nel 1999 Dario Fo viene insignito con la laurea honoris causa dall’Università di Wolverhampton, insieme a Franca Rame.
Nel 2005 riceve lo stesso riconoscimento alla Sorbona di Parigi, e l’anno successivo alla Sapienza di Roma.

M5s, Pizzarotti: “Non posso non uscire dal Movimento.

M5s, Pizzarotti: “Non posso non uscire dal Movimento. Sono un uomo libero, mentre tanti continuano ad avere paura”

M5s, Pizzarotti: “Non posso non uscire dal Movimento. Sono un uomo libero, mentre tanti continuano ad avere paura”

Politica
Il sindaco abbandona i Cinque Stelle: “Non sono cambiato io, ma loro. Consumati da arrivisti ignoranti”. Attacco a vertici, Di Maio, Raggi: “Siamo passati dal ‘facciamo lo streaming’ alle riunioni a porte chiuse”

di  | 3 ottobre 2016
Il M5s non è più lui, dice Pizzarotti. Doveva aprire il Parlamentoe si chiude nelle stanze, aggiunge. Vuole governare, ma non si prende la responsabilità, perché non vuole dialogare con nessuno. E poi è cambiato, guardate “Di Maio: i lobbisti sono diventati di moda”. E ha morali diverse caso per caso, a partire da Roma dove (quasi) tutto è concesso: “Se avessi nominato io uno con la tessera del Pd o un ex impiegato di Iren, non so cosa sarebbe successo”. IlMovimento Cinque Stelle, insomma, “giustifica l’ingiustificabile”, perfino “avere un capo politico” che “è una sconfitta”. Un Movimento sostenuto da “talebani”, consumato da “arrivisti ignoranti che non sanno cosa vuol dire amministrare”.

 

Sembrava fuori da mesi, forse da anni, e invece il sindaco di Parma Federico Pizzarotti lascia solo oggi il Movimento Cinque Stelle. Beppe Grillo – a Roma perché di problemi ce ne sono tanti altri – non commenta: “Si può anche decidere di non rispondere ai giornalisti”. Roberto Fico pare un po’ troppo ottimista: “Parleranno Federico Pizzarotti e Beppe Grillo, che è il garante del Movimento”. Ma ormai sembra un po’ una velleità, è troppo tardi. Il sindaco di Parma lascia il Movimento che lo ha spinto alla vittoria alle Comunali del 2012 e che lui, d’altra parte, ha spinto alla conquista della prima grande città, quando Roma eTorino erano ancora l’ultima delle fantasie. Lascia il Movimento che, direbbe lui, ha cercato di cambiare da dentro, senza riuscirci, dopo 3 anni: “Ho preso questa decisione con grande sofferenza”. E invece è mancata sempre la “coscienza critica”. Anzi, sente di aver subito ingiustizie, ritorsioni. Perfino norme ad personam, come nell’ultima proposta di regolamento che gli attivisti del M5s potranno votare sul blog fino a fine mese. “Non ci sono norme ad personam” puntualizza Fico. Eppure Pizzarotti è rimasto appeso al nulla per oltre 4 mesi: fino a oggi è rimasto “sospeso” dal Movimento senza che ci fosse una decisione sul suo destino, dopo le contestazioni dei vertici sulla mancata trasparenza per l’inchiesta sul teatro cittadino (peraltro archiviata) e dopo le sue controdeduzioni. “Si dovrebbero vergognare come M5S per non aver saputo prendere una decisione. Avrebbero potuto anche espellermi, sarebbe stato più dignitoso”. Così uscire e sbattere la porta diventa una liberazione: l’ho fatto, dice, per me, per i cittadini, perché ho sempre anteposto la città agli interessi dei Cinquestelle. “E credo di aver fatto un favore anche al garante che così può non decidere un’altra volta”.

Gli altri partiti non c’entrano, non parlatene nemmeno, ripete una, due, tre volte. Non c’entra il Pd, non c’entra Civati, non c’entra l’Italia dei Valori, non c’entra una lista civica. C’entra il M5s e il fatto che si sia sempre sentito “un uomo libero, da uomo liberonon posso che uscire da questo Movimento 5 Stelle, da quello che è diventato oggi e che non è più quello che era quando è nato”. I 18 consiglieri che sostengono la giunta rinnovano l’appoggio al sindaco di Parma, anche se l’unico a uscire dai Cinquestelle è proprio il primo cittadino. “La conferenza stampa è stata condivisa con consiglieri e attivisti” aggiunge il capogruppo del M5s Marco Bosi. Questi restano nel Movimento, ma il sostegno al sindaco significa che “c’è una pesante critica alla gestione” dei Cinquestelle.

Un incontro di Grillo sembra un progetto remoto, visto quello che dice Pizzarotti: demolisce tutto ciò che è il Movimento oggi. “Penso agli errori di Di Maio: i lobbisti sono diventati di moda”. Il direttorio? “Chi l’ha scelto, chi l’ha votato, se è stato proposto dicendo: questi sono i migliori?”. E la collega Raggi? “Se avessi nominato io uno con la tessera del Pd o un ex impiegato di Iren, non so cosa sarebbe successo. Noi siamo stati crocifissi per molto meno”. In definitiva, “io non posso riconoscermi in questo Movimento 5 Stelle. Siamo passati dal ‘votiamo anche le leggi degli altri se sono buone’ a ‘non votiamo le leggi degli altri a oltranza’. Nel M5s o si è bianchi o si è neri, abbiamo imparato a fareopposizione e basta. Ma ci siamo dimenticati che prima ci sono le persone. Il M5S ha perso la sua umanità. Si diceva nessuno resti indietro e ora abbandoniamo le persone in base a una decisione del garante”. Da quasi due anni, racconta, spiega di non aver più paura. Dice proprio così: paura. “Paura di dire quello che si pensa. Invece questa paura serpeggia tra tante persone, ad esempioparlamentari che ti chiedono come va e dopo hanno paura di farsiuna foto insieme“.

Uno scontro che si fa frontale, una volta di più: “In questi giorni – ha detto ancora il sindaco di Parma – si sta discutendo una nuova revisione del regolamento interno. che non si sa chi lo abbia proposto, né chi lo abbia scritto, né come si possa modificare. Una volta discutevamo in rete come elaborare le proposte tutti insieme, oggi si richiedono 3000 firme cartacee degli iscritti. Ma quali sono gli iscritti?. Come nella più triste tradizione italiana, il regolamento prevede una norma ad personam, visto che sono l’unico sospeso del Movimento in Italia. E perché, mi chiedo, si prevede una sospensione da 12 a 24 mesi? Cosa significa che, dopo i lavori forzati, uno si è ravveduto ed è tornato sulla retta via?”.

Pizzarotti sostiene di aver “pagato per aver messo la mia città davanti al M5s e questo lo rifarei mille volte”. E quindi, “voglio rappresentare quello che avremmo potuto essere”, perché “manca una rete di amministratori, ma non si vuole imparare dalla propria storia”, “nonostante i risultati che abbiamo raggiunto nell’amministrazione nessuno nel Movimento 5 Stelle vuole usare la nostra esperienza. Non siamo riusciti a fare rete, il Movimento questo concetto se l’è dimenticato”. E’ mancata la “coscienza critica”, ripete, e quando l’ha esercitata lui è stato “visto come un disturbatore”. E così tutti gli altri con cui si dovrebbe dialogare: “Vogliamo governare e poi non si dialoga con nessuno. Questo non vuol dire governare. Amministrare vuol dire dialogo con altri, prendersi delle responsabilità”. E questo ha un effetto sulla base: “Quanti ne abbiamo persi in questi anni? Nel tempo sono stati abbandonati dai cosiddetti talebani, persone oltranziste che giustificano tutto e il contrario di tutto solo in base a un processo sul blog“.

E Parma? A un secondo mandato “sarebbe irreale non pensarci, però essendo soprattutto una scelta personale, io ho anche un altro lavoro, lo facciamo se ci sono le condizioni. Ma è chiaro che sarebbe auspicabile una continuità, anche per alcuni cantieri e alcuni progetti”. Nessuna lista civica, almeno per ora. “Il cappello sulla mia testa è difficile metterlo – conclude – è prematuro qualsiasi discorso e mantengo la mia autonomia”. Qui, in Emilia, e fuori, in Itaia. “E’ evidente che in Italia ci sono dei problemi, è evidente che il 50% degli elettori non vota, è evidente che ci siano delle necessità e che serva qualcuno per poterle affrontare, ma questa è tutta un’altra storia. Non c’è nessuna lista civica, non c’è nessun partito a livello nazionale né ho mai lavorato per un partito a livello nazionale perché ho sempre lavorato per il mio Comune”.

Tangenti, 14 arresti per opere pubbliche a Milano e in Lombardia

Tangenti, 14 arresti per opere pubbliche a Milano e in Lombardia: tra i sub-appalti la linea ferroviaria di Malpensa

Tangenti, 14 arresti per opere pubbliche a Milano e in Lombardia: tra i sub-appalti la linea ferroviaria di Malpensa

Giustizia & Impunità
Inchiesta della Dda. Tra le persone finite in manette anche un dirigente di una società controllata da Ferrovie Nord. Associazione formata da “imprenditori bergamaschi e calabresi”, alcuni dei quali “contigui alla ‘ndrangheta”

di  | 3 ottobre 2016
Erano riusciti ad ottenere in subappalto i lavori, dal valore di circa 5 milioni di euro, per il collegamento ferroviario tra il Terminal 1 e il Terminal 2 di Malpensa versando mazzette a Davide Lonardoni, dirigente di Nord_Ing, (che progetta e coordina la realizzazione di tutti gli interventi di potenziamento infrastrutturale e di ammodernamento della rete ferroviaria e degli impianti di Ferrovie Nord) gli imprenditori, tra cui alcuni ritenuti vicini alla ‘ndrangheta, arrestati oggi assieme allo stesso manager e ad altre persone nell’ambito dell’inchiesta della Dda milanese e condotta dalla Guardia di Finanza. È quanto ha ricostruito l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandra Simion che ha firmato un ordine di arresto per 14 persone.

Secondo l’indagine, le diverse società operative nel settore dell’edilizia, sebbene apparentemente prive di legami tra lor facevano parte di un vero e proprio “sistema” utilizzato per alternarsi nell’aggiudicazione di subappalti con cadenza biennale, “Sistema” che ruotava attorno all’imprenditore bergamasco, ora in carcere, Pierino Zanga (definito il “dominus“), e che aveva lo scopo di eludere eventuali controlli di natura fiscale. In manette Salvatore Piccoli, imprenditore nato a Catanzaro, per le due presunte “teste di legno”, Pierluigi Antonioli e Giuseppe Colelli, per l’imprenditore bergamascoVenturino Austoni, e poi ancora per Antonio Stefano eGraziano Macrì, ritenuti dagli investigatori vicini a clan della ‘ndrangheta. E poi ancora per l’imprenditore Giuseppe Gentile, originario di Reggio Calabria, per il commercialista Giuseppe Tarantini e Alessandro Raineri, presunto “faccendiere bresciano” accusato anche di diversi episodi di millantato credito. Agli arresti domiciliari, invece, sono finiti il dipendente della Nord_Ing, Massimo Martinelli, Gianluca Binato, dipendente di della società Itinera, e l’imprenditore Livio Peloso.

La corruzione era il solito scambio a suon di mazzette “a favore di dirigenti e responsabili di cantiere di importanti società appaltatrici di dazioni in denaro, beni e utilità varie” per ottenere “agevolazioni” nell’aggiudicazione dei lavori. La Gdf ha anche accertato “violazioni penali e tributarie”, tra fatture false e “indebite compensazioni per crediti inesistenti”, per “oltre 20 milioni di euro” dal 2010 in poi. Il Tribunale ha dichiarato il fallimento di tre delle società coinvolte nell’inchiesta.

Raineri avrebbe millantato alcuni contatti e conoscenze “anche a livello romano” nei suoi rapporti con imprenditori. L’indagine avrebbe svelato una rete di “complicità e relazioni con soggetti operanti nel settore finanziario, economico ed imprenditoriale” che si sarebbe sviluppata a seguito dell’attività di Raineri, “uomo a libro paga degli imprenditori, ed in contatto con numerosi esponenti di diverse amministrazioni ed enti pubblici”. L’indagato, secondo la Procura di Milano, intascava soldi “a fronte del suo asserito interessamento a livello istituzionale” per la “risoluzione di loro problemi di varia natura”.

Premio Nobel per la fisica 2016 a Thouless, Haldane e Kosterlitz

Premio Nobel per la fisica 2016 a Thouless, Haldane e Kosterlitz per la scoperta del volto esotico della materia

Premio Nobel per la fisica 2016 a Thouless, Haldane e Kosterlitz per la scoperta del volto esotico della materia

Scienza
Lo ha annunciato l’Accademia reale delle scienze di Stoccolma. Tutti e tre gli scienziati sono britannici

di  | 4 ottobre 2016
Il Nobel per la Fisica 2016 è stato assegnato ai tre scienziati britannici David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz. L’Accademia reale delle scienze di Stoccolma ha spiegato che sono stati premiati per la scoperta del volto esotico della materia, ossia dei passaggi che avvengono da uno stato all’altro della materia in condizioni inusuali. Questi studi hanno aperto le porte alla ricerca di nuovi materiali e in particolare di quelli per la superconduttività ad alta temperatura.

 

Announcement of the 2016 Nobel Prize in Physics

 

I ricercatori premiati con il Nobel sono stati i primi a vedere che cosa succede quando si passa da un oggetto magnetizzato, come una calamita, a un oggetto che non lo è, oppure da un metallo normale a un metallo superconduttore, o ancora da un fluido normale a superfluido che non ha viscosità. Tutti e tre gli scienziati da decenni lavorano negli Stati Uniti.

Massimo Inguscio, presidente del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha commentato: “Questi nuovi materiali quantistici esotici proteggono dai disturbi dovuti a rumore, impurità e disordine. In tal modo vengono preservate quelle caratteristiche che aprono prospettive reali nello sviluppo di mattoni fondamentali per le tecnologie del futuro, ad esempio di bit quantistici estremamente stabili che potrebbero avvicinare la realizzazione di calcolatori rivoluzionari”.

Marco Grilli, del dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma ha spiegato: “Negli anni ’70 Kosterlitz e Thouless sono stati i primi a osservare i passaggi che avvengono nei materiali che hanno solo due dimensioni, scoprendo che esisteva un modo nuovo nei quali la materia poteva passare da una fase a un’altra. In particolare – continua Grilli – hanno scoperto che durante questi processi, chiamati passaggi di fase, la materia parte da uno stato ordinato per diventare disordinata. Hanno scoperto inoltre che questo passaggio avviene con la formazione di vortici che si estendono progressivamente”.