Brexit, atto terzo: rinvio breve, lungo o no deal? |
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Theresa May (Ap) | ||
Ci risiamo. A 12 giorni esatti dall’avvio ufficiale della Brexit, il macchinosissimo divorzio tra Londra e la Ue, non è ancora chiaro a nessuno cosa sarà del Regno Unito e della sua rottura con i vecchi partner comunitari. Il 29 marzo è dietro l’angolo, ma lo scenario è del tutto aperto. Vi siete persi? È legittimo, quindi proviamo a fare un po’ d’ordine. O meglio… |
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Order! Order! |
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Rinvio lungo o breve? Questo è il dilemma |
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Per approfondire/No-deal? Ecco tutti i danni all’economia europea |
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La mozione, dopo due bocciature, torna nella «fossa dei leoni» di Westminster il 20 marzo, sottoponendosi ancora una volta al vaglio dei parlamentari: in caso di responso favorevole, May chiederà un rinvio entro il 30 giugno; in caso di esito sfavorevole, la premier chiederà un’estensione più lunga, brandendo anche lo spettro di una partecipazione del Regno Unito alle elezioni europee del maggio 2019. |
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L’ormai celebre speaker della Camera dei Comuni, John Bercow (Reuters) | ||
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Il presidente dell’«Euco», Donald Tusk, sta facendo di tutto per ammansire i colleghi europei più indispettiti del tira-e-molla della Gran Bretagna, assicurando che spingerà perché sia garantita l’approvazione del rinvio. In caso contrario, tanto per cambiare, potrebbe succedere di tutto: dall’uscita no-deal a un tentativo di rinegoziazione, da un (quarto!) voto sull’accordo May-Europa a un secondo referendum. Il tutto sempre entro al 29 marzo. |
Archivio mensile:marzo 2019
VIA DELLA SETA
La Belt & Road initiative (B&RI) è stata varata dal presidente cinese Xi Jinping nel marzo del 2013 per creare un ponte tra Cina ed Eurasia. Ci sono una “cintura” (Belt) che corre per strada, lungo la vecchia Via della Seta, e una strada “marittima” (Road) che raggruppa tutti i porti cinesi con quelli asiatici.
GUARDA IL VIDEO / Via della Seta, pressing Usa su Roma
Per la sua portata questa strategia è stata accostata al Piano Marshall, anche per la dote e gli strumenti finanziari, tra i quali rientrano la Banca asiatica di sviluppo delle infrastrutture (Aiib) e il Silk Road Fund.
Entrare da protagonisti in una strategia tanto ambiziosa e complessa, con investimenti infrastrutturali dell’ordine di circa 300 miliardi di dollari Usa all’anno, è un’impresa complicata.
Annunciata dal presidente cinese Xi Jinping sei anni fa per dar vita a un’area economica costituita da una settantina di Paesi situati geograficamente su una direttrice terrestre (la «Silk Road Economic Belt») e una marittima (la «21stCentury Maritime Silk Road»), la Belt&Road initiative punta a migliorare la cooperazione e i rapporti economici e commerciali in quest’area.
Gli strumenti di finanziamento sono due. Da una parte, l’Asian Investment Infrastructure Bank (Aiib), la Banca asiatica multilaterale di sviluppo promossa da Pechino con una intensa pipeline di progetti e di cui l’Italia è socio fondatore: vanta, infatti, il 2,57% del capitale versato pari a 514 milioni di dollari, quinto socio non regionale e dodicesimo in assoluto. Dall’altra, il Silk Road Fund, che la Banca centrale ha dotato di 40 miliardi di dollari Usa. La Belt&Road ha sviluppato finora almeno 1.400 progetti per un totale di 292 miliardi di dollari, coinvolto 65 Paesi pari al 60% del Pil mondiale, con 4,5 miliardi di persone.
Nei prossimi 57 anni gli investimenti arriveranno a mille miliardi di dollari. L’Italia, come altri Paesi, potrà cogliere le opportunità dell’iniziativa con una strategia condivisa da tutti i soggetti interessati, e ha maggiori spunti di interesse per le nostre imprese nei settori dell’ingegneria, delle infrastrutture, dell’energia e dei trasporti. Da tempo Confindustria ha avviato un progetto specifico favorendo la partecipazione di aziende italiane ai progetti e il coinvolgimento di Ance, Anie, Anima, Animp e un selezionato numero di imprese. I vertici di Confindustria a Roma hanno incontrato il presidente di Aiib, e hanno preso parte ad altri appuntamenti correlati, tra cui il Forum Belt&Road a Hong Kong, un evento in calendario anche il prossimo autunno.
Pechino a sua volta è alle prese con le riforme interne necessarie per adeguare l’impianto normativo, le Finanze hanno chiarito molti punti operativi e varato con gli Esteri e il Commercio un piano congiunto chiamato «Vision and Actions on Jointly Building Silk Road Economic Belt and 21st Century Maritime Silk Road» che ha lo scopo di attivare questo progetto ambizioso, ricorrendo anche a misure apparentemente neutre come la riduzione dei dazi doganali per incentivare le adesioni dei Paesi e l’interscambio commerciale.
Lo scontro all’interno delle élite
Lo scontro all’interno delle élitedi supermarco |
Dopo la prima parte scritta qui (https://terracinasocialforum.wordpress.com/2019/01/24/cosi-parlo-alessandro-baricco), proseguiamo la nostra analisi sulle élite.
Come inizia il suo articolo Alessandro Baricco?
“Dunque, riassumendo: è andato in pezzi un certo patto tra le élites e la gente, e adesso la gente ha deciso di fare da sola. Non è proprio un’insurrezione, non ancora”.
Sarà vero?
Noi riteniamo di no.
Prima di tutto, torniamo alle parole di Daniel Estulin, da noi citate nel nostro articolo.
Il suo riferimento al nome Frescobaldi.
Sicuramente molti di voi saranno stati in vacanza a Firenze, a Siena, a Venezia ed avranno ammirato estasiati gli innumerevoli monumenti ed opere d’arte presenti in quelle splendide città.
Chi ha fatto sì che quelle città diventassero dei gioielli?
Antiche famiglie nobili che si sono arricchite con le banche (invenzione italiana) e con i commerci (le famose Repubbliche Marinare).
Sono ancora quelle famiglie che comandano.
Per capire il concetto, tornate con la memoria al 2011. L’Italia è sotto attacco speculativo, lo spread aumenta, il governo Berlusconi è costretto ad approvare ben due manovre finanziarie durante l’estate.
Valenti esperti più volte chiedono al premier di introdurre una tassa patrimoniale, ma Berlusconi, da fedele Cavaliere quale è, non lo fa: avrebbe creato seri danni economici proprio a quelle antiche famiglie nobili che ancora comandano.
Di Berlusconi gli ambienti angloamericani si libereranno qualche mese dopo con un altro attacco speculativo, questa volta mirato direttamente contro le sue aziende.
La colpa del Cavaliere?
Aver dato ragione a Putin riguardo alla guerra in Georgia del 2008.
Ma l’aspetto che a noi preme sottolineare è la mancata approvazione di una tassa patrimoniale per risanare i conti pubblici.
Per capire chi sono le élite, bisogna tornare alle fondamenta, all’abc dell’economia politica, poste nel 1700.
Bisogna analizzare chi sono i fattori della produzione.
All’epoca (lo ribadiamo, nel 1700), i fattori della produzione sono dati (e lo sono tuttora) da:
a) terra;
b) capitale;
c) lavoro.
Ai fattori della produzione corrispondono, rispettivamente, tre remunerazioni:
– per la terra, la rendita;
– per il capitale, il profitto;
– per il lavoro, il salario.
Bisogna intendersi sul concetto di “terra” e contestualizzare. Nel 1700 non era ancora esplosa in tutta la sua devastante potenza la rivoluzione industriale, per cui agricoltura, allevamento e pesca erano i settori trainanti.
Per coltivare un terreno, ci si doveva rivolgere ad un proprietario terriero, il quale, affittando parte delle sue proprietà, intascava un affitto, la “rendita”.
In seguito, ai terreni si sono aggiunti i capannoni e gli immobili per le industrie e, successivamente ancora, i patrimoni finanziari prestati per realizzare investimenti produttivi.
C’è quindi un fattore produttivo che si limita a mettere a disposizione i propri “asset”, i propri patrimoni, in cambio di una tariffa di noleggio.
Quel fattore produttivo può permettersi di vivere di rendita.
E, quindi, non lavora, o, meglio, non produce.
Di qui il famoso scontro tra economia finanziaria ed economia reale o, in termini più facilmente intuibili, tra chi vive di finanza (quindi di rendita) e chi vive di produzione.
C’è quindi uno scontro tra popolo ed élite?
La gente si ribella al cosiddetto “establishment”?
Secondo noi, no.
Lo scontro, ferocissimo, all’ultimo sangue, è all’interno delle élite, tra chi vive di finanza e chi vive di produzione.
Il popolo o, più “scientificamente”, il fattore lavoro non conta nulla.
O, meglio ancora, viene manipolato dai contendenti.
Copiamo di seguito ciò che ha scritto un letterato di ben altro spessore, George Orwell, nel suo libro “1984”.
Fin dall’inizio del tempo che si possa ridurre alla memoria, e probabilmente fin dalla conclusione dell’età Neolitica, ci sono state, nel mondo, tre specie di persone, le Alte, le Medie e le Basse.
Esse sono state suddivise in vari modi, hanno avuto nomi diversi, in numero infinito, e la loro proporzione relativa, cosi come l’atteggiamento dell’una verso l’altra, sono stati diversi a seconda delle età: l’essenziale struttura della società non si è però, alterata. Anche dopo enormi rivoluzioni ed apparenti irrevocabili mutamenti, si è sempre ristabilito il solito schema, così come un giroscopio ritornerà sempre in equilibrio per quanto venga spinto lontano sia in una direzione, sia in quella opposta.
Gli scopi di questi tre gruppi sono del tutto inconciliabili fra loro. Lo scopo del gruppo che chiameremo delle persone Alte è quello di restare dove esse sono. Lo scopo delle persone Medie è quello di sostituirsi alle Alte. Lo scopo delle persone Basse, quando esse hanno uno scopo (perché è una peculiare caratteristica delle Basse d’esser troppo schiacciate dal peso del lavoro, durissimo e servile, che prestano per essere, se non di tanto in tanto, coscienti di qualche cosa che non siano le preoccupazioni della vita quotidiana) è quello di abolire ogni distinzione e creare quindi una società in cui tutti gli uomini siano uguali. Così la storia registra, attraverso tutte le età, una lotta, che è sempre la stessa nelle sue linee essenziali e che non fa che ripetersi, con incessante regolarità. Per lunghi periodi, gli Alti sembra che tengano sicuramente il Potere, ma prima o poi viene sempre un momento in cui perdono la fiducia in se stessi o la capacità di governare stabilmente, ovvero le perdono entrambe.
Essi vengono rovesciati, allora, dalle persone Medie, che reclutano al loro fianco le Basse, dando loro a intendere che combattono per la libertà e per la giustizia. Una volta raggiunto il loro obiettivo, le Medie respingono le Basse nella loro previa posizione servile, e divengono esse stesse Alte.
Subito senza dar tempo al tempo, un nuovo gruppo di persone Medie sbuca fuori da uno degli altri due gruppi, ovvero da tutti e due, e la lotta riprende immutata. Dei tre gruppi, soltanto quello delle persone Basse non è mai, nemmeno per breve tempo, capace di riuscire nei suoi scopi. Sarebbe una esagerazione affermare che, attraverso la storia, non ci sia stato alcun progresso di specie materiale. Anche oggigiorno, in un periodo che pure è di decadenza, l’uomo medio è fisicamente, più progredito di quanto non lo fosse pochi secoli innanzi.
Ma nessun accrescimento della ricchezza, nessun addolcimento dei sistemi di governo, né alcuna riforma o rivoluzione, sono riusciti mai a porre innanzi d’un millimetro il sogno dell’uguaglianza fra gli uomini. Dal punto di vista delle persone che abbiamo convenuto di chiamare Basse, nessun mutamento storico ha mai significato qualcosa di più che un cambiamento dei nomi dei padroni.
Oppure, volendo fare una citazione cinematografica:
Chi sono, per noi, le élite
Chi sono, per noi, le élitedi supermarco |
Continuiamo l’analisi dell’articolo di Alessandro Baricco, iniziata qui (https://terracinasocialforum.wordpress.com/2019/01/24/cosi-parlo-alessandro-baricco) e proseguita qui (https://terracinasocialforum.wordpress.com/2019/02/08/lo-scontro-allinterno-delle-elite).
Verso la fine del suo articolo, Baricco scrive queste parole:
“Staccare la spina alle vecchie élites novecentesche”.
Abbiamo già spiegato nel primo articolo che le vere élite sono famiglie che si sono imposte svariati secoli prima.
Baricco, inoltre, scrive questa frase:
“la gente concede alle élites dei privilegi e perfino una sorta di sfumata impunità, e le élites si prendono la responsabilità di costruire e garantire un ambiente comune in cui sia meglio per tutti vivere”.
Già, ma che cosa significa la parola “gente” utilizzata dallo scrittore?
Dal sito Internet https://www.etimo.it/?term=gente:
Presso i Romani si distinguevano i cittadini in genti e famiglie; la gente comprendeva più famiglie ed era come il complesso delle persone che discendevano da uno stesso progenitore: donde che la gente atteneva al nome, la famiglia al cognome. Per esempio, i Corneli dicevano di appartenere tutti alla medesima gente Cornelia, ma distinguevansi in diverse familie, cioè dei Cinna, dei Dolabella, dei Lentuli, degli Scipioni, dei Silla, ecc. Nella Repubblica si ebbero due sorta di genti, dei patrizi e dei plebei. Però in origine i soli patrizi si distinsero in genti, in quanto essi soli potevano veramente dirsi ingenui, ossia nati in paese, di padre certo, mentre i plebei o erano servi, o figli di servi. In seguito sotto Tarquinio Prisco cominciarono ad avere una gente anche quei plebei che poterono dimostrare di esser nati da padre libero; ma i patrizi della istituzione romulea si dissero «familiae majorum gentium», cioè di prim’ordine, e quelli aggregati da Tarquinio Prisco «minorum gentium», ossia appartenenti alle genti di ordine minore.
Sorprende che una persona che vive di parole, e del significato da dare alle parole stesse, utilizzi, nella frase evidenziata prima, un termine come “gente”.
Non solo è inadatto il vocabolo “gente”, ma a nostro avviso è errato anche il concetto espresso nella frase.
Gli errori sono addirittura due:
1) non è la gente che concede alle élite dei privilegi, sono le élite che se li prendono o, meglio, li arraffano;
2) le élite non si assumono alcuna responsabilità, perché per noi sono, e sono sempre state, irresponsabili («Nella veste di operatore di mercato non mi si richiede di preoccuparmi delle conseguenze delle mie operazioni finanziarie» – scoprirete nel seguito dell’articolo chi ha pronunciato questa frase).
Noi le élite le vediamo come dei bambini viziati.
Avidi (a loro il denaro non basta mai, poverini…) e, soprattutto, assetati di potere. Di conseguenza, estremamente pericolosi.
Il loro gioco preferito è farsi guerra, poi finita una guerra iniziarne un’altra cambiando alleanze, senza porsi freni e, soprattutto, senza farsi condizionare da presunte o eventuali “responsabilità”.
Un esempio di come le élite possano essere pericolosissime per la collettività è stato egregiamente descritto da Valentina Furlanetto nel libro “L’industria della carità” (Chiarelettere editore).
Copiamo di seguito il passaggio cruciale.
C’è poi il caso in cui le iniziative benefiche promosse da singoli filantropi o da multinazionali, se si segue con attenzione il loro tracciato, alla fine vanno semplicemente a vantaggio di chi le ha sponsorizzate.
Prendiamo George Soros, presentato al Festival dell’Economia di Trento nel 2012 come un filantropo. Nessuno può dubitare che lo sia, visto che finanzia cause umanitarie e movimenti dissidenti in diverse parti del mondo per lo più attraverso l’Open Society Institute (OSI) e la Soros Foundation. Grazie alle due fondazioni ha dato il suo appoggio economico al movimento sindacale polacco Solidarnosc, all’organizzazione cecoslovacca Carta 77, alla Rivoluzione delle Rose in Georgia e alla popolazione civile durante l’assedio di Sarajevo. L’OSI afferma che Soros abbia speso dagli anni ’70, ogni anno, circa 400 milioni di dollari in cause umanitarie.
Soros però è anche il miliardario fondatore del Quantum Fund. Come tutti gli hedge fund, Quantum Fund guadagna con ardite operazioni finanziarie, scatenando ribassi dei mercati tramite le vendite allo scoperto e sfruttando a suo vantaggio derivati sempre più complessi. Come se non bastasse, al pari di altri fondi speculativi, Quantum Fund ha sede in un paradiso fiscale, nello specifico le Antille Olandesi. Grazie a questo fondo, Soros ha accumulato, in circa quarant’anni, una fortuna personale di circa 25 miliardi di dollari. «Nella veste di operatore di mercato non mi si richiede di preoccuparmi delle conseguenze delle mie operazioni finanziarie», ha dichiarato Soros, che è stato protagonista del mercoledì nero del 16 settembre 1992, quando divenne improvvisamente famoso perché vendette allo scoperto più di 10 miliardi di dollari in sterline e anticipò (ma altri, sicuramente più malevoli, dicono causò) il crollo della Banca d’Inghilterra e l’uscita della sterlina dallo SME. Con quell’operazione Soros guadagnò una cifra stimata in 1,1 miliardi di dollari. Da allora fu conosciuto come «l’uomo che distrusse la Banca d’Inghilterra».
Ma il nome del magnate degli investimenti ricorre anche nei racconti di chi visse, sempre nel 1992, la svalutazione della lira. Altri malevoli, s’intende. In ogni caso, la Banca d’Italia, per difendere la moneta, bruciò 48 miliardi di dollari, la lira si svalutò del 30% e uscì dallo SME. Subito dopo, il governo Amato fu costretto a varare una legge finanziaria da 100.000 miliardi che prevedeva l’aumento dell’età pensionabile, l’aumento dell’anzianità contributiva, il blocco dei pensionamenti, la minimum tax, una patrimoniale sulle imprese, un prelievo sui conti correnti bancari, l’introduzione dei ticket sanitari, la tassa sul medico di famiglia, l’imposta comunale sugli immobili (ICI), il blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego e diverse privatizzazioni. Lacrime e sangue per le famiglie italiane.
Tra l’altro, online si scopre che Soros è stato condannato, in contumacia, all’ergastolo in Indonesia e alla pena di morte in Malesia per speculazione sulle monete locali.
Però quando pubblica un nuovo libro oppure rilascia un’intervista, ottiene paginate e paginate su quotidiani come Il Corriere Sionista o La Gazzetta d’Israele.
Inoltre, da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/George_Soros#Biografia) si evince che Soros è nato in Ungheria da una famiglia ebrea, vi è rimasto finché sono stati al potere i nazisti ed è scappato all’estero quando sono arrivati i sovietici.
Di conseguenza, il dubbio sorge automatico: Soros si professa ebreo e di sinistra, ma probabilmente non è né l’uno, né l’altro.
Infine, Daniel Estulin alla presentazione del suo libro sul Club Bilderberg a Roma a novembre 2009, affermò che Soros si finanzia con l’eroina afgana. Su questa specifica questione (e sul ruolo di un’altra espressione delle élite, le case farmaceutiche), rinviamo a questo efficacissimo video del giornalista Franco Fracassi:
Il fallimento della Lega è proprio sul fenomeno migratorio
Il fallimento della Lega è proprio sul fenomeno migratoriodi supermarco |
PRIMA PREMESSA
Qualche giorno fa abbiamo incontrato un politico locale di centrosinistra. Gli abbiamo chiesto che cosa propone per il futuro. Ci ha risposto: «L’antifascismo».
Noi abbiamo prontamente replicato «E poi?» e la risposta è stata «I migranti».
Dopodiché abbiamo capito perché molte persone dicono che ai giovani è stato rubato il futuro.
SECONDA PREMESSA
Noi consideriamo il salmone un cibo squisito e prelibato, inoltre le rondini ci allietano le giornate durante le belle stagioni, però, nonostante questo, siamo contrari al fenomeno migratorio.
Perché?
Perché a nostro avviso i giovani italiani non devono andare all’estero per lavorare.
Da ciò deriva il titolo di questo editoriale: il fallimento della Lega è proprio sul fenomeno migratorio.
La Lega, è evidentissimo, è totalmente appiattita sulle posizioni di Donald Trump e Steve Bannon.
Però negli USA Trump sta cercando di far tornare nella madrepatria le aziende statunitensi che avevano delocalizzato all’estero, per far crescere l’occupazione INTERNA, mentre nel nostro Paese tutto ciò non avviene, nonostante le tante belle promesse sovraniste del partito di via Bellerio.
Per averne una conferma, basta andare in una delle tante aziende agricole della Pianura Pontina: la manodopera è tutt’altro che italiana.
Nemmeno si può dire che tutti quegli indiani stiano dalle nostre parti per turismo, perché non li vediamo andare avanti e indietro sulla pista ciclabile del lungomare, piuttosto è facile incontrarli in gran numero in bicicletta, in determinati orari, lungo la SS 148 o lungo le strade Migliare che collegano la Pontina con l’Appia.
In Parlamento c’è un deputato terracinese leghista, sia pur eletto nel collegio di Frosinone. Bene, lo preghiamo di invitare il ministro dell’Interno, in uno dei suoi tanti spostamenti in giro per l’Italia nella sua perenne campagna elettorale, a visitare anche le aziende agricole dell’Agro Pontino.
Gli indiani aiutiamoli a casa loro.
Prima gli italiani?
O prima gli imprenditori?
Perché gli indiani lavorano così numerosi presso le aziende agricole locali, le quali, così facendo, non favoriscono l’occupazione di manodopera italiana? Quali sono i motivi di una così massiccia presenza?
Perché un motivo ci sarà.
Vengono pagati poco, se non addirittura sfruttati o schiavizzati?
C’è evasione fiscale?
C’è evasione contributiva?
C’è evasione fiscale da parte di chi affitta loro le abitazioni in cui dimorano?
C’è caporalato?
Non vengono rispettati i diritti umani?
Tra l’altro, uno zoccolo duro di sostenitori leghisti, a Terracina, sono gli operatori balneari.
Eppure sono proprio loro i primi ad essere pesantemente danneggiati dalla massiccia presenza, nella nostra zona, dell’agricoltura industriale, della quale la manodopera straniera è solo il rovescio della medaglia.
Gli operatori balneari (e gli operatori turistici) sono danneggiati in due modi:
1) la diffusione di pesticidi e fertilizzanti nelle acque interne, che poi confluiscono in mare, non migliora certamente la qualità dell’acqua marina (anche se, a dire la verità, nessuno, a cominciare da Goletta Verde di Legambiente, cerca di rilevare, con le analisi, la presenza di pesticidi nelle acque);
2) la sovrappopolazione di indiani in determinati quartieri dormitorio privi di servizi pubblici e lasciati nel degrado, allontana i turisti e riduce il valore degli immobili posseduti da questi ultimi.
Senza considerare l’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli, che provoca allagamenti, smottamenti e voragini su strade statali. Già, perché che cosa sono le serre, se non degli enormi impermeabili stesi su vaste porzioni di territorio?
Saremmo molto curiosi di conoscere il punto di vista del ministro dell’Interno su questi temi.
Ma non solo del ministro dell’Interno.
Prima abbiamo parlato di evasione contributiva, materia di competenza del ministro del Lavoro.
Ecco, perché quest’ultimo, in compagnia del fido Dibba e di qualche altra persona, non va a farsi un giro nelle piccole cittadine di provincia, entrando in bar, ristoranti e negozi?
Attorno a loro si creerebbe immediatamente una folla di curiosi, mentre gestori e dipendenti dei locali impazzirebbero, chiedendo loro di firmare autografi e di posare per i selfie.
Bene, una volta creato quel clima di allegria, il ministro del Lavoro, dato che è una sua competenza, potrebbe chiedere ai commessi e ai camerieri se sono in possesso di un regolare contratto di lavoro, e di esibirlo possibilmente agli altri accompagnatori, che in realtà sono ispettori del lavoro.
Già, perché un giovane che lavora in nero, quando arriverà a quota 100 per andare in pensione?
Caro ministro dell’Interno, venga in visita nell’Agro Pontino.
Caro ministro del Lavoro, faccia un giro per le varie province italiane.
Addio a Fernando Aiuti
Burioni: ‘Da Grillo a Renzi, sostegno al manifesto per la scienza’.
Burioni: ‘Da Grillo a Renzi, sostegno al manifesto per la scienza’. Garante M5s: ‘Polemica su mia firma è da terrapiattisti’
Burioni: ‘Da Grillo a Renzi, sostegno al manifesto per la scienza’. Garante M5s: ‘Polemica su mia firma è da terrapiattisti’
Il documento pubblicato sul sito del virologo è rivolto a tutti i politici italiani. Il “Patto trasversale per la Scienza” è appoggiato anche da Enrico Mentana e Mina Welby. Il fondatore M5s conferma di averlo firmato (“non si può distorcere la scienza per fini politici”) ma di averlo ricevuto da Silvestri, non da Burioni. Poi in serata risponde alle polemiche: “Non c’è stata nessuna mia svolta”
di F. Q. | 10 Gennaio 2019
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Più informazioni su: Beppe Grillo, Matteo Renzi, No Vax, Roberto Burioni, Vaccini
“Oggi è successa una cosa molto importante: Beppe Grillo e Matteo Renzi hanno sottoscritto (insieme a molti altri), un patto a difesa della scienza“. Così sul suo sito il virologo Roberto Burioni , sostenitore delle recenti leggi sull’obbligo vaccinale, lancia un appello, una sorta di manifesto, rivolto a tutte le forze politiche italiane. E a firmarlo, scrive lui stesso, sono in molti, con orientamenti politici diversi: dal fondatore del Movimento 5 stelle all’ex segretario del Pd. Ma non solo, in fondo al post, pubblicato sul suo sito Medical Facts, si leggono i nomi anche del direttore del Tg La7, Enrico Mentana, e dell’attivista dell’Associazione Luca Coscioni, Mina Welby.
Proprio la firma di Beppe Grillo ha provocato numerose polemiche. Tanto che dopo qualche ore, il garante M5s ha rivendicato sul suo blog di aver firmato il patto, ma ha anche precisato di non averlo ricevuto da Roberto Burioni (“non lo conosco”) ma dal professor Guido Silvestri: “Condivido con voi il Patto Trasversale per la Scienza – dice rivolgendosi ai lettori – perché il progresso della scienza deve essere riconosciuto come un valore universale dell’umanità e non può essere negato o distorto per fini politici e/o elettorali”. Le giustificazioni non sono bastate per una parte degli attivisti M5s che hanno visto questo gesto come un tradimento sul tema vaccini. Addirittura secondo alcune ricostruzioni, il vicepremier Luigi Di Maio avrebbe sbottato alla notizia. “Burioni no..”, ha detto secondo quanto riferito dall’agenzia Adnkronos. In ogni caso Grillo in serata ha pubblicato un nuovo articolo in cui specifica: “Trovare stupefacente che io abbia sottoscritto questo patto richiede una mentalità pari a quella dei terrapiattisti”, si legge. “Davvero io posso essere No-Vax? Per credere seriamente ad una cosa del genere bisogna avere un tipo di mentalità da terrapiattista“. Per Grillo “non c’è stata nessuna svolta, io critico l’obbligatorietà dei vaccini che è questione politica; non i vaccini in sé, che quando sono sicuri ed efficaci rappresentano il frutto della scienza” scrive. “La scienza, fra le cose umane del mondo, è il luogo in cui il dubbio ha maggiore probabilità di sopravvivenza. Obbligare o meno le persone a vaccinarsi in massa è una questione politica, come gli stessi Burioni e Silvestri hanno confermato sui media” sottolinea Grillo che spiega: “l’ideazione e messa a punto di un certo farmaco è una questione della scienza. Se questo farmaco sarà obbligatorio o meno è politica”. Chi sono allora i veri terrapiattisti? “Chiunque non introduca il dubbio nel percorso mentale, chiunque sia così certo è un potenziale terrapiattista. Al limite sono persone divertenti da ascoltare, ma prenderli ad esempio non è certo normale. Ma la riflessione obbligatoria che questo episodio, di per sé insignificante, comporta, esula da tutti i vaccini e dai pianeti del mondo!”. Quindi ha concluso replicando all’ex ministra della salute Lorenzin che ha detto di “approvare la svolta” di Grillo.“Non c’è stata nessuna svolta. Così la Lorenzin credeva che io fossi No Vax: un ragionamento da terrapiattisti radicali”
Il manifesto firmato da Grillo e Renzi
Il manifesto definisce delle linee guida, senza entrare nel merito dei provvedimenti: “Ci si può dividere su tutto, ma una base comune deve esserci. La scienza deve fare parte di questa base”, prosegue Burioni. “Perché non ascoltare la scienza significa non solo oscurantismo e superstizione, ma anche dolore, sofferenza e morte di esseri umani”, continua per poi chiudere, prima di elencare i 5 punti chiave del documento, con una citazione. “Ha detto Albert Einstein che la ‘scienza, al confronto con la realtà, è primitiva e infantile. Eppure è la cosa più preziosa che abbiamo’”, conclude, sottolineando ancora una volta i due principali firmatari del “Patto trasversale per la Scienza” (questo il nome del documento), “persone rivali e distanti che sono d’accordo sul fatto che non possiamo permetterci di buttarla via”.
Cinque, appunto, gli appelli rivolti al mondo della politica che deve impegnarsi in primis “sostenere la scienza”, come “valore universale di progresso dell’umanità, che non ha alcun colore politico e che ha lo scopo di aumentare la conoscenza umana e di migliorare la qualità di vita”. Chiesta anche una “non tolleranza” delle cosiddette forme di pseudoscienza o pseudomedicina che, si legge, “mettono a repentaglio la salute pubblica come il negazionismo dell’AIDS, l’anti-vaccinismo, le terapie non basate sulle prove scientifiche”. Fondamentale, inoltre, promuovere leggi che fermino “l’operato di quegli pseudoscienziati che creano paure ingiustificate tra la popolazione nei confronti di presidi terapeutici validati dall’evidenza scientifica e medica”. Il quarto punto, poi, si rivolge alla prevenzione, chiedendo ai politici di “implementare programmi capillari d’informazione sulla Scienza per la popolazione”. Infine, scrive Burioni, “tutte le forze politiche italiane s’impegnano affinché si assicurino alla Scienza adeguati finanziamenti pubblici, a partire da un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica di base”.