È capace o un bluff? Scopriremo presto chi è davvero Luigi

È capace o un bluff? Scopriremo presto chi è davvero Luigi
di Andrea Scanzi | 26 settembre 2017
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Chi è Luigi Di Maio? Se lo chiedeva anche il collettivo Terzo Segreto di Satira in un cortometraggio ironico di un anno fa, a cui ha partecipato anche Peter Gomez. Di Maio era tratteggiato come una sorta di creatura programmata ad arte da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, un po’ come nella recente (ed esilarante) imitazione di Maurizio Crozza. Quando si parla di 5 Stelle non ci sono quasi mai mezze misure: se sei grillino devi esultare su tutto, se non lo sei devi trattarli tutti come fascisti deficienti. Ed è anche da questi particolari – da questo continuo approcciarsi da tifosi – che si capisce come il Paese Italia non abbia la benché minima speranza.

Luigi Di Maio è stato appena proclamato “capo politico” e “candidato premier” (carica inesistente in Italia) dopo delle “primarie” farlocche e avvincenti come una mietibatti spenta. È stata una gara senza avversari, perché non si sono presentati e perché – se anche lo avessero fatto – avrebbero perso comunque. Da anni il Movimento 5 Stelle ha deciso di puntare su Di Maio. Probabilmente se lo è guadagnato sul campo, laddove il “campo” sono le piazze e i meet up, sì, ma più che altro la Camera dei deputati (di cui è il più giovane vicepresidente nella storia della Repubblica) e in tivù.

Il piccolo schermo doveva essere usato con parsimonia dai 5 Stelle: ben presto si sono però resi conto che, senza talk show, non sarebbero andati lontano. Così, giustamente o no, la selezione l’ha fatta più che altro il tubo catodico. Di Battista ha funzionato ed è diventato l’idolo, ma è un fantasista prestato alla politica: un neo-padre che non vede l’ora di tornare a viaggiare su e giù per il mondo, abbandonando i “Palazzi” che detesta dal più profondo del cuore. Fico, televisivamente, genera sonno e mestizia. Dei Giarrusso e derivati neanche parliamo, per carità di patria e umana misericordia. Non restava che Di Maio, nei confronti del quale l’informazione ha avuto un atteggiamento bipolare.

All’inizio, quando non sembrava pericoloso (cioè vincente) e Renzi pareva destinato a durare decenni come il suo maestro Silvio, ne parlavano quasi tutti bene: preparato, misurato, moderato e magari pure timorato di Dio (o di San Gennaro, vai a sapere). Poi, complici alcuni suoi errori e strafalcioni seriali, è stato trasformato di colpo in un mezzo demente fascista, razzista e ignorante. Un “miracolato”, come lo ha definito Massimo Gramellini sul Corriere della Sera in un articolo contenutisticamente discutibile ma stilisticamente godibilissimo.

Di Maio ci ha messo molto del suo: sul caso Raggi, sull’“abusivismo comprensibile”, sui famosissimi Pinochet nati in Venezuela. Eccetera. Torniamo alla domanda iniziale: chi è Luigi Di Maio? Un democristiano frainteso per grillino? Uno che, a tanti colleghi del Movimento, sta antipatico solo perché è più famoso di loro? Un killer seriale dei congiuntivi? Un ologramma della Casaleggio Associati? Oppure, e più semplicemente, un attivista più bravo e scaltro di altri? Il libro Di Maio chi? di Paolo Picone, che ha frequentato lo stesso liceo a Pomigliano d’Arco, non aggiunge molto e in ogni caso non tratteggia un futuro pericolo eversivo per la democrazia. Di sicuro Luigi Di Maio non è Churchill, ma se la Boschi ha provato a riscrivere la Costituzione e l’alternativa è Salvini, allora vale ogni cosa. La sola verità inconfutabile è che, da sabato scorso in poi, Di Maio si gioca tutto. E con lui il suo Movimento. Se è capace, lo scopriremo; se è un bluff, non tarderemo a capirlo. O ad averne conferma.
Infine, www.trenitalia.com. In alto al centro, Busitalia Fast.

Lo chiamavano libero mercato…

Gli italiani miserabili che sfruttano Amatrice e la nonnina di 94 anni che difende la sua casa abusiva

Gli italiani miserabili che sfruttano Amatrice e la nonnina di 94 anni che difende la sua casa abusiva

L’Italia peggiore: quella che permette a 120 persone di lucrare sul terremoto e quella che vuole sfrattare una vecchietta. Giuseppina contro gli sciacalletti del CAS, le due facce del terremoto

Amatrice
Amatrice

Vedi alla voce sciacalli, nuova puntata. Da due giorni siamo costretti a parlare di loro: i 120 italiani, miserabili, che hanno cambiato la loro residenza in modo fittizio per incassare i sussidi destinati ai terremotati senza casa. Da due giorni non possiamo fare a meno di parlare di lei: la signora Giuseppa Fattori, 94, anni, terremotata, costretta a lasciare la sua casa percolante.  La donna chiede i permessi per costruire nel giardino della sua proprietà danneggiata una casetta in legno (smontabile). Ha tutte le firme tranne una. La signora – data l’età decide di entrare lo stesso. Le emettono un ordine di sgombero, che dovrà essere eseguito entro sabato. Sono queste, dentro il racconto del terremoto, le due facce di questo paese: la più turpe e infame, e la più bella, per fortuna assalita da una rete di solidarietà.

Fra i 120 sciacalletti di Amatrice che avendo una seconda casa nei paesi colpiti dal sisma hanno pensato di autocertificare una residenza falsa, sperando che nel caos non se ne accorgesse nessuno (idioti) quelli che mi fanno più schifo – lo so, è irrazionale ma non ci posso fare nulla – sono coloro che in queste ore si sono rivolti imploranti ai magistrati che li avevano beccati (I pm, molto attenti, si sono messi ad indagare, perché il numero dei passaggi di residenza era statisticamente anomalo) chiedendo di essere scagionati in cambio della restituzione delle somme percepite ingiustamente. Ammettono la colpa, chiedono di farla franca. Nelle loro tasche, a seconda dello stato di famiglia, erano entrate, dalla data del sisma, delle paghette da 400 a 900 euro (la cifra massima nel caso di una famiglia con figli).

La signora Giuseppina

Era il famigerato “Cas”, il cosiddetto contributo di Autonoma Sistemazione. Colpisce, di fronte alla spudoratezza degli sciacalletti del Cas, la tenacia della signora Giuseppina: ha chiesto tutti i permessi, voleva solo poter restare vicina alla sua casa, e adesso viene trattata come uno dei tanti abusivi a cui però la demolizione viene risparmiata. Restano in piedi le villette costruite sul mare in spregio qualunque piano regolatore in Sicilia, resta in toccato il cosiddetto abusivismo di necessità, oggi protetto anche dalla politica, ma la ruspa – non si capisce il perché – viene inviata con motivazioni kafkiane per abbattere la casetta di legno con le tendine alle finestre, perché il procuratore della Repubblica di Macerata giudica quell’abuso “non sanabile” un attentato al paesaggio. Giuseppina risponde, con la sua voce tremula per l’età, ma fermissima per il piglio di risolutezza: “Io non mi muoverò, se vogliono abbattere la casa devono farlo con me dentro”. È stata confinata ai domiciliari da un’ordinanza restrittiva, può andarla a trovare solo una persona. Nemmeno il medico è stato dispensato.

È l’Italia che non vorrei vedere mai, quella che a volte diventa forte e con i più deboli. Come noto non sono un simpatizzante leghista, ma vorrei che anche altri politici, oltre a Matteo Salvini (ieri si è presentato in TV a #cartabianca con la foto di nonna Giuseppina) adottassero questa giusta causa. Una coppia di sciacalletti del CAS, residenti a Roma, ti racconto oggi Massimo Malpica sul Giornale, grazie a quel tempestivo e truffaldino un cambio di residenza, pagava le bollette scontate, e aveva ottenuto l’esenzione dell’lmu e delle bollette dalla seconda casa che facevano figurare come prima. Il sogno sarebbe – entro fine settimana – vedere pubblicato i nomi dei furbetti che hanno già riconosciuto la colpa, e nonna Giuseppina sanata e tranquilla nella sua casetta con le tendine di pizzo.

Pantani non fu ucciso, il caso è chiuso.

Pantani non fu ucciso, il caso è chiuso. Ma fu perseguitato sotto i nostri occhi

Il grande ciclista fu costretto a pagare per tutti, come accade troppe volte in certe inchieste giudiziarie, quando il nome più famoso finisce per coprire le colpe di tutti. Ecco come andò

Marco Pantani (Ansa)
Marco Pantani (Ansa)

Adesso il caso Pantani è definitivamente chiuso. Almeno per la legge. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato Antonio De Rensis che rappresentava la famiglia del Pirata. E’ l’ultima, ennesima bocciatura, dopo quella del gip Vinicio Cantarini e del procuratore capo di Rimini Paolo Giovagnoli che avevano bollato l’esposto di mamma e papà Pantani come «una mera congettura di fantasia», senza uno straccio di prova.

Nessun omicidio

Marco Pantani non è stato ucciso quella mattina del 14 febbraio 2004, giorno di San Valentino, quando fu trovato riverso per terra fra le sedie e il tavolino rovesciati nella stanza D5 del residence Le Rose di Rimini. E’ morto per una overdose di cocaina. E in fondo, lo sapevamo già, anche se le cronache dei giornali avevano lasciato la porta aperta a qualche incongruenza di troppo e a qualche dubbio. Ma il Pirata non ha cominciato a morire quel giorno. E’ morto prima, di un’agonia senza fine, un calvario senza salite da rimontare e senza sogni da rincorrere a colpi di pedale, una lenta discesa verso gli abissi, di cui siamo tutti responsabili, anche noi che ci abbiamo creduto, che ci siamo commossi e abbiamo urlato di gioia sui tornanti dell’Alpe d’Huez e di tutte quelle montagne che scalava assieme a noi e alle nostre sconfitte.

La perfetta vittima sacrificale

Marco Pantani ha cominciato a morire una mattina di pallido sole affacciata sui prati verdi di Madonna di Campiglio, il 5 maggio 1999, mentre stava stravincendo il suo secondo Giro d’Italia, vittima sacrificale di un mondo devastato dal doping, di uno sport ormai reso irreale dalle sue abitudini esagerate e deformanti. Quel giorno il pirata fu fermato dai medici, perché la sua percentuale di ematocrito nel sangue era superiore al limite consentito, 52 anziché 50. Per legge fu giusto così. Ma l’impressione – e forse anche qualcosa di più di un’impressione – è che Pantani fu costretto a pagare per tutti, come accade troppe volte in certe inchieste giudiziarie, quando il nome più famoso finisce per coprire le colpe di tutti.

Quel “male” assai diffuso dell’ematocrito alto

E’ giusto che sia così? In quegli anni, è innegabile che la pratica del doping fosse molto diffusa nel ciclismo. Non vogliamo dire che ne facevano uso tutti. Ma la maggior parte crediamo proprio di sì, come testimoniava in fondo, proprio in quel giro d’Italia, il primo corridore fermato per l’ematocrito alto, appena cominciata la corsa, uno che aveva ottenuto il miglior piazzamento della sua carriera con un modestissimo venticinquesimo posto, quasi a dimostrare che pure gli ultimi non erano esenti da certe pratiche.

Sui rulli a smaltire… chissà cosa

Noi a quel Giro c’eravamo. Ed era incomprensibile per noi guardare tutti quei ciclisti che prima e dopo ogni tappa passavano ore e ore sui rulli a smaltire chissà che cosa, un circo delirante che sopravviveva ai margini della corsa. In quel clima e in quell’epoca – ma oggi è davvero cambiato tutto? -, Pantani era semplicemente come tutti gli altri. La verità è che era giusto fermare il ciclismo. Non Pantani da solo.

I controlli sul Pirata

Invece accadde questo. Raccontano le cronache più vicine al Pirata, che quella mattina i medici si fermarono nella sua stanza impedendogli di bere due litri d’acqua come facevano tutti i corridori prima di ogni prelievo e di scaricare pedalate sui rulli. Non sappiamo se questo sia vero: ma se lo fosse, è la prova che ci fu in qualche modo una persecuzione mirata. Noi seguimmo in macchina l’auto del Pirata e del suo entourage che scappava da Madonna di Campiglio. Si fermarono a Imola. Sapemmo dopo che avevano rifatto gli esami per due volte: e che il risultato era stato in entrambi i casi inferiore al limite consentito, cioè al 48 per cento. Ovviamente quei test non avevano valore legale.

L’inizio del declino

Pantani perse il Giro e cominciò a rotolare lentamente verso i suoi abissi, prigioniero della sua fragilità e della sua sconfitta, cioè di tutte quelle cose che l’avevano fatto grande, un campione che riscattava le nostre paure, che rimontava le montagne come noi sogniamo di rimontare le nostre piccole vite, il Pirata che schiacciava i pedali come in una canzone di Vasco Rossi, perché siamo solo noi quelli che muoiono presto, quelli che però è lo stesso, siamo solo noi quelli che ormai non credono più a niente e che vi fregano sempre.

Il processo

Il resto l’ha firmato la Cassazione. Marco Pantani è rotolato disperatamente verso la sua morte, dentro quella squallida camera del residence Le Rose, in balia del suo spacciatore, nei baratri della depressione e della cocaina. Noi lo incontrammo ancora una volta, affacciato da un balcone in una clinica vicino a Padova. Eravamo andati là per intervistarlo e avevamo fatto salti mortali per scovarlo. Ma quando lo vedemmo, smarrito nel suo vuoto, che parlava con gli altri pazienti come quei clienti senza futuro seduti sui trespoli di un bar, ci fece una pena così grande che non riuscimmo a parlargli.

La sfortuna sulla sua strada

Pantani aveva nel suo destino una stella avversa. Era nato il 13 giugno del 1970. E tutte le volte che doveva vincere cadeva. Nel 1997, prima di spiccare il volo, il suo Giro d’Italia fu fermato da un gatto nero che gli attraversò la strada. Quel rovinoso capitombolo sembrava averlo condannato per sempre. «Avrei voluto essere battuto dagli avversari», disse. «Invece ancora una volta mi ha sconfitto la sfortuna». Si riprese e vinse. Poi arrivò Madonna di Campiglio. «Questa volta per me rialzarmi sarà molto difficile», confessò. E’ vero. Non si è più rialzato ed è caduto sempre più giù.

La morte del campione

Giovagnoli nel bocciare l’esposto dei genitori aveva aggiunto che gli sembrava strumentale al fine di riscrivere la storia di un grandissimo campione morto per overdose. Il fatto è che purtroppo è andata davvero così. Ma in questo abisso, nel suo precipizio, c’è anche la nostra sconfitta, perché non riusciremo più a credere di salire quelle montagne più in fretta delle nostre paure, che potremo arrivare anche prima di noi stessi. Lui non è più tornato a farcelo sognare. Siamo solo noi quelli che muoiono presto, quelli che però è lo stesso.

Quello che i nostri bambini devono sapere sui robot per imparare ad accettarli

Quello che i nostri bambini devono sapere sui robot per imparare ad accettarli

Uno dei più grandi scienziati italiani ha fatto chiarezza sugli interrogativi che i più piccoli potrebbero porsi sugli umanoidi

Quello che i nostri bambini devono sapere sui robot per imparare ad accettarli

iCub, robot italiano intelligente sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia
di Michael Pontrelli   –   Twitter: @micpontrelli

Uno scienziato esperto di robotica come spiegherebbe l’avvento degli umanoidi ad un figlio di pochi anni? Questo affascinante esperimento è stato fatto dal Corriere della Sera che si è rivolto a Giorgio Mietta, uno dei massimi esperti italiani della materia, vicedirettore dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova. Un intervento necessario per chiarire i tanti dubbi che sta ponendo la diffusione dei robot umanoidi e dell’intelligenza artificiale.

Negli ultimi anni i progressi sono stati davvero notevoli. Le macchine hanno assunto sembianze umane, possono camminare, parlare e perfino riconoscere oggetti e persone. Sono dotati di intelligenza artificiale e in tanti cominciano ad avere paura di loro. Rispondere alle domande che un bambino potrebbe porre può però aiutare a cancellare false credenze e ad avere una visione più chiara del fenomeno.

Possono fare male agli uomini?

Sembrerà strano ma la legge più importante della robotica è stata creata da un romanziere, il grande Isaac Asimov. E’ la prima delle tre leggi sulla robotica afferma che “un robot non può recare danno ad un essere umano“. Questo è il principio che ispira la progettazione di tutte le macchine. “Per realizzare la prima legge di Asimov – ha spiegato Mietta – il robot deve poter disporre di un cervello elettronico ovvero di un insieme di applicazioni che gli consentono di vedere, sentire, camminare, toccare”. E proprio quest’ultima funzione, il tatto è la più importante per la sicurezza degli uomini perché “dà ai robot la consapevolezza delle proprie azioni e dei propri errori”.

Possono imparare come gli uomini?

I robot possono imparare ma gli insegnanti sono sempre uomini che “devono essere pazienti con loro” ha spiegato il grande robotista italiano “perché a differenza dei bambini imparano lentamente. Anche per apprendere le cose più semplici devono vederle tantissime volte, ripetutamente per settimane”. “Per il momento – ha proseguito – ci accontentiamo di imitare alcune capacità dell’uomo. Per arrivare ai robot della fantascienza c’è ancora tanta strada da fare”.

Walk man, altro robot sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova

Hanno bisogno della stessa energia di un uomo?

“Gli esseri umani pur avendo centinaia di miliardi di neuroni nel cervello consumano poca energia. Un bambino con un pezzo di cioccolato puà andare avanti un giorno intero senza stancarsi”. “I circuiti che fanno funzionare i robot hanno invece ancora bisogno di molta energia e questo è un problema per l’ambiente” ha spiegato Mietta. Prima che possano essere simili agli uomini “passerà ancora molto tempo”.

Prenderanno il posto degli uomini?

I robot non prenderanno il nostro posto. “Potranno sostituirci nei lavori di precisione, in quelli ripetitivi e in quelli pericolosi” ma “ci sarà sempre bisogno degli uomini nelle attività che richiedono creatività, empatia, innovazione” che sono “cose uniche dell’essere umano”. Per lo scienziato italiano lo scenario più probabile è che “le macchine ci faranno lavorare meglio e noi ci sentiremo a nostro agio con loro”.

L’equitazione come terapia: quando il cavallo diventa dottore

L’equitazione come terapia: quando il cavallo diventa dottore

Il 30 settembre a San Quirico, Oristano, prende il via la prima edizione della manifestazione che vuol dimostrare quanto la passione per gli animali e l’equitazione possa migliorare la vita

L'equitazione come terapia: quando il cavallo diventa dottore
Redazione Tiscali

A San Quirico, Oristano, il 30 settembre  prende il via Quando il cavallo diventa dottore, un evento solidale, educativo e ricreativo che dimostra quanto la passione per gli animali e l’equitazione possa migliorare la vita. La manifestazione è  organizzata dal Gruppo Piccoli Cavalieri Della Sardegna in collaborazione con la ASD Giara Oristanese Promuove e accoglie una manifestazione unica nel suo genere

Un intero pomeriggio d’incontri e attività nel quale persone disabiliti di tutte le età e/o non vedenti imparano a conoscere il cavallo come amico davvero disponibile, solido aiuto per crescere insieme superando al meglio alcuni ostacoli della vita. Da sempre i due Gruppi hanno rivolto le proprie energie e risorse ai giovani e giovanissimi desiderosi di avvicinarsi all’equitazione, trasmettendo loro, non solo la passione per questo sport e lo spirito agonistico, ma anche i valori del sacrificio, della responsabilità e del senso del dovere che il caso comporta.

La brochure

Da alcuni anni, forti dell’esperienza maturata con i giovani cavalieri, ci si sta adoperando nella realizzazione di un ambizioso progetto, avvicinare all’equitazione anche soggetti diversamente abili, sia fisici che mentali e non vedenti. Da maggio 2017, Emanuele Scalas, Fondatore del Gruppo di Piccoli Cavalieri Della Sardegna con oltre 4200 iscritti, e Antonio Madeddu, Presidente della ASD Giara Oristanese nonché già promotore di diverse iniziative dedicate ai portatori di disabilità intellettiva, intendono organizzare presso le strutture del  “Giara Oristanese”  per il pomeriggio del giorno Sabato 30 Settembre dalle ore 14:30,l’iniziativa intitolata  “Quando il cavallo diventa Dottore”.

Si tratta di una manifestazione durante la quale i due Gruppi e loro soci si dedicano ai soggetti disabili con la possibilità di trascorre un pomeriggio diverso a contatto con i cavalli e altri animali che collaborano con la Pet Terapy in un clima di integrazione, solidarietà e amicizia. Durante il pomeriggio, vi sarà la visita alle scuderie durante il quale il Responsabile David Piras illustrerà le tecniche per la pulizia e cura del cavallo mostrando i diversi tipi di alimentazione e facendo toccare con mano, per aiutare i non vedenti a riconoscerli, i diversi tipi di cereali e mangimi, mostrando anche i sistemi di pulizia dei box.

I disabili, sempre accompagnati, si avvicineranno poi alle postazioni dei maniscalchi che forgiano sul momento i ferri di cavallo per mostrare così le tecniche di mascalcia. Per chi lo desiderasse, vi sarà il così detto  “battesimo della sella”, ovvero la possibilità di montare a cavallo per la prima volta, affiancati da un istruttore qualificato. Piccoli Cavalieri Della Sardegna e ASD Giara Oristanese vi aspettano numerosi per trascorrere un bellissimo pomeriggio insieme.

Referendum Catalogna, cariche contro la folla: oltre 460 feriti.

Referendum Catalogna, cariche contro la folla: oltre 460 feriti. La polizia sequestra le urne

La Guardia Civil è penetrata nel seggio elettorale dove era previsto votasse il presidente a Girona sfondando le porte. Ferita una anziana a Barcellona

Redazione Tiscali

Il sindaco di Barcellona Ada Colau ha detto che ci sono “più di 460 feriti in Catalogna” per le cariche della polizia. Colau ha aggiunto su Twitter di “esigere la fine immediata delle cariche della polizia contro la popolazione indifesa”. La polizia spagnola ha sparato usato proiettili di gomma e caricato la folla in attesa davanti ai seggi causando, questo è il bilancio delle autorità spagnole, 38 feriti tra i votanti. Nove persone sono state ricoverate, una è stata sottoposta ad un intervento a un occhio perché colpita da un proiettile di gomma. Le autorità spagnole hanno indicato che anche 11 agenti, tra cui nove poliziotti e due membri della Guardia Civil, sono stati feriti leggermente.

Il ministero dell’interno della Spagna ha dichiarato che le forze dell’ordine hanno arrestato tre persone, fra cui un minorenne, per ‘disobbedienza’ e per aver attaccato gli agenti.

La polizia spagnola ha caricato una folla di civili usando anche i lacrimogeni in un comune vicino a Girona, Aguiviva, riferisce T3. In immagini diffuse dall’emittente la Guardia Civil in tenuta antisommossa attacca a manganellate decine di persone fra cui persone anziane pacificamente sedute per terra in difesa del seggio. Secondo un testimone, Albert Contrada, gli agenti spagnoli hanno sequestrato un’urna.

Agenti antisommossa spagnoli hanno caricato con i manganelli un gruppo di vigili del fuoco catalani, in divisa e con il casco, che stavano presidiando un seggio. E’ quello che si vede in un breve video diffuso da vari media, fra cui l’Independent, che dice che è stato girato a Barcellona. Nelle immagini si vedono gli agenti che allontanano i pompieri colpendoli con i manganelli sulle gambe e con calci.

“Dovranno passare sui nostri corpi”

“Dovranno passare sui nostri corpi per prendersi le urne con le schede”, promettono alla scuola Collaso i Gil nel quartiere del Raval di Barcellona, una delle tante dove ancora si sta in fila per votare e ci si aspetta da un momento all’altro l’intervento della Guardia Civil e della Polizia nazionale. Il ‘colegio’ è un punto di riferimento di un quartiere multietnico – tantissimi i musulmani – e con una forte componente di sinistra antagonista e indipendentista, non lontano dai luoghi dell’attentato dell’Isis sulla Rambla.

Un gruppo di anziani del quartiere ha votato tra applausi, commozione e cori “El pueblo unido jamas sera’ vencido”. Un uomo ha preparato un mazzo di fiori rossi per la Guardia Civil, tra l’ironia e il gesto di pacificazione.

Urne sequestrate

La polizia spagnola in tenuta antisommossa ha sequestrato le urne dopo avere fatto irruzione nel seggio di Ramon Llul a Barcellona, dove erano già iniziate le operazioni di voto. Gli agenti spagnoli, alcuni dei quali imbracciavano fucili lancia granate, sono usciti al centro portando le urne in mezzo a una folla di elettori che gridavano “votarem!”.

L’intervento della Guardia Civil spagnola

Agenti della Guardia Civil spagnola in tenuta anti-sommossa sono intervenuti nel seggio dove era previsto votasse il presidente catalano Carles Puigdemont, a Girnoa. Gli agenti spagnoli hanno allontanato la stampa e usano la forza per spostare la folla di cittadini concentrati a protezione del seggio. Il presidente catalano però ha già votato in un altro seggio a Girona dopo che la polizia spagnola ha fatto irruzione in quello di Sant Julia de Ramis.

Ministra denuncia aggressione da polizia

Il ministro catalano dell’educazione Clara Ponsati ha denunciato di essere stata aggredita da agenti della polizia spagnola quando hanno fatto irruzione in un seggio a Barcellona. “Siamo preoccupati che possano tornare, ha detto a Tv3. “cercheremo di difendere le urne”.

“In atto repressione franchista”

Il portavoce del governo catalano Jordi Turull ha affermato che “dai tempi del franchismo” non si vedeva una repressione e una “violenza di Stato” come quella esercitata oggi dalle forze spagnole “contro la democrazia” in Catalogna.

La condanna del Barça

“Il Barcellona condanna gli eventi che hanno avuto luogo in molte parti della Catalogna oggi, allo scopo di impedire ai suoi cittadini di esercitare il loro diritto democratico”. Lo scrive in una nota il club catalano, annunciando la decisione di giocare a porte chiuse il match della 7/a giornata della Liga contro il Las Palmas

“Votarem”

Fuori dai seggi si sono formate, sin dall’alba, lunghe code di persone. Ma la polizia nazionale ha iniziato a intervenire già qualche minuto prima dell’inizio della votazione per impedirla. “Siamo stati costretti a fare quello che la polizia catalana non ha voluto fare perché ha messo innanzi ai doveri professionali quelli politici”, ha detto un portavoce del governo di Madrid ma a difesa dei seggi della Catalogna starebbero arrivando i pompieri baschi.

La lotta contro Madrid

Per considerare il voto valido basterà recarsi in qualsiasi seggio e portarsi la scheda stampata da casa e la carta d’identità. Una mossa resa nota stamane dal governo della Catalogna, per arginare l’offensiva di Madrid che ha sta cercando in tutto i modi di evitare il voto dopo la pronuncia della Corte Costituzionale spagnola che ha dichiarato illegale il referendum. Le autorità catalane hanno programmato sulla carta più di 2.300 seggi elettorali per circa 5,3 milioni di elettori chiamati fino alle 20.

I sondaggi

Secondo i sondaggi, non c’è sostegno maggioritario per l’indipendenza tra i catalani, ma la partecipazione è considerata critica: un numero elevato consentirebbe ai secessionisti di dichiarare di avere un mandato di indipendenza, mentre un numero basso potrebbe compromettere seriamente i tentativi di essere presi seriamente.

Massacro a Las Vegas: 50 morti e 100 feriti.

Massacro a Las Vegas: 50 morti e 100 feriti. Svelato il volto del killer

Un americano di 64 anni ha aperto il fuoco presso il Mandalay Resort e casinò della metropoli del divertimento. Si cerca la sua compagna. Spari anche in un hotel vicino

Redazione Tiscali

Notte di sangue nella capitale americana del divertimento. Un uomo ha aperto il fuoco sul pubblico che assisteva al concerto di Jason Alderan durante il Route 91 Harvest Country Music Festival vicino al Mandalay Bay Resort e casinò a Las Vegas. I musicisti, disperati e interrotti dai colpi d’arma da fuoco, urlavano “state giù” alla gente terrorizzata dall’attacco. Il conto dei morti sale a 50, 200 i feriti e il bilancio è ancora provvisorio. Migliaia le persone in fuga durante la sparatoria, che ha visto l’intervento della polizia e delle squadre speciali Swat. Fino all’uccisione del presunto attentatore. La notizia della sua neutralizzazione è arrivata poco dopo la mezzanotte, ora locale americana, e per ora le autorità restano convinte che l’autore del massacro sia solo uno. “Un lupo solitario” è stato un primo comunicato delle forze dell’ordine, che escludono la pista terroristica. Il suo nome è Stephen Paddock, di 64 anni. Era già noto alla polizia. Nella stanza d’albergo in cui alloggiava sono state trovate molte armi, ed è stata disposta la perquisizione della sua abitazione a Mesquite, a 130 chilometri dal luogo della strage.

Mary Lou Danley, compagna dell’assassino Stephen Paddock (a destra). La polizia indaga su di lei dopo l’uccisione del partner

Si cerca la compagna del killer

La polizia ha rintracciato la compagna di Paddock, autore della strage a mano armata contro la folla che assisteva al concerto. La donna si chiama Mary Lou Danley, un’ asiatica alta un metro e cinquanta. Si indaga anche su un’altra presunta sparatoria che sarebbe avvenuta al New York New York Hotel e casinò, sempre a Las Vegas. Due spettatori coinvolti nell’attacco a colpi d’arma da fuoco, Robyn e Matt Webb, hanno detto alla stampa americana di essersi trovati letteralmente circondati dai boati degli spari, e di aver visto almeno 20 persone sanguinare per strada mentre fuggivano.

Via aeroporti e fiere: i comuni dicono addio a una partecipata su tre

Via aeroporti e fiere: i comuni dicono addio a una partecipata su tre

(Marka)

(Marka)

Il Comune di Roma esce dall’aeroporto di Fiumicino, Torino lascia Caselle, Napoli vende la partecipazione in Capodichino mentre Verona liquida Areogest, la società che gestisce le quote pubbliche del Valerio Catullo, e Treviso saluta lo scalo di Venezia. Ma oltre che dagli aeroporti, i sindaci stanno decidendo di uscire da molte partecipazioni in fiere, autostrade e agenzie territoriali. In genere, però, solo quando la quota è piccola, come piccola è l’ampia maggioranza delle altre società interessate dai «piani straordinari di razionalizzazione» che tutti gli enti pubblici hanno dovuto definire entro ieri per attuare la riforma Madia. In molti, nonostante la tripla proroga che ha caratterizzato il difficile cammino delle nuove regole, sono arrivati con l’affanno, e si vedranno sospendere i diritti sociali fino a quando non approveranno il piano. Ma nella foresta sterminata delle partecipate molto si sta muovendo.

VAI AL DOSSIER

Razionalizzazione avanti al Sud
Per capire che cosa, Il Sole 24 Ore si è avventurato in un viaggio negli 86 Comuni capoluogo di Provincia nelle Regioni a Statuto ordinario, dove la riforma si applica in via diretta. I loro piani, approvati o ancora in corso di elaborazione, censiscono 1.204 partecipazioni e spiegano che 370 saranno cedute, liquidate o fuse. La «razionalizzazione» riguarderà quindi poco meno di una partecipata su tre, ma con intensità diverse da zona a zona. Le percentuali medie crescono nelle Regioni del Centro-Sud, con i capoluoghi Molise, Campania e Lazio che prevedono di tagliare più di metà delle loro partecipate mentre in Emilia-Romagna, l’area più “conservatrice”, il riordino riguarderà solo un’azienda su cinque. Anche fra le grandi città i risultati sono molto diversi fra loro: a Roma il piano prevede 18 operazioni tra cessioni e liquidazioni su 31 società, mentre a Milano tra le 15 partecipazioni dirette si prevede solo un addio, a Navigli Lombardi, e una fusione a tre.

LA GEOGRAFIA DEI TAGLI NEI COMUNI CAPOLUOGO DI PROVINCIA
Partecipazioni oggetto di razionalizzazione. % sul totale (Nota:) l’indagine comprende i comuni capoluogo di provincia nelle regione a statuto ordinario

Taglio alle «partecipate-polvere»
Come mai? Già questa geografia dei tagli messi in programma offre indicazioni interessanti. Per com’è costruita la riforma, la potatura promette di essere più drastica dove le articolazioni societarie di sono ramificate di più, spesso superando i confini del razionale per offrire posti aggiuntivi negli organigrammi. Le realtà locali sono multiformi e ogni generalizzazione è sbagliata, ma i numeri disegnano una tendenza. Dove sono fiorite le partecipate-polvere, spesso prive di un vero ruolo economico, sono più frequenti i tagli; dove invece le aziende “vere” sono la maggioranza le razionalizzazioni sembrano più chirurgiche. Questo lavoro di forbici si incontra anche nelle amministrazioni più grandi. La Regione Lombardia chiude Asam, che ha in pancia le quote dell’autostrada Serravalle, ma solo per controllare direttamente in via diretta l’autostrada accollandosi anche il debito della holding; il Piemonte riassume nel piano le operazioni degli ultimi anni, con l’uscita da realtà come la Sagat (aeroporto di Caselle) o le Terme di Acqui, e simili sono le iniziative delle altre Regioni.

Niente grandi operazioni
Sulla scena non si fanno invece strada grandi operazioni, come mostrano le vicende che in queste settimane vedono protagoniste la più problematica delle partecipate locali: l’Atac di Roma. Dopo l’ok del Tribunale, l’azienda ha 60 giorni di tempo per scrivere un piano di rientro per il concordato preventivo che, hanno ribadito in ogni occasione possibile sindaca e assessori, serve a mantenerla tutta pubblica e ad evitare qualsiasi esubero. E se nemmeno Atac ha un dipendente di troppo, è facile prevedere i risultati dei censimenti sul personale delle altre società pubbliche, vale a dire la seconda gamba della riforma Madia (qui il termine è slittato al 30 novembre).

Hanno meno di 10 dipendenti 1.609 società controllate dagli enti locali 
Risultati del genere, che riducono l’impatto economico ma anche le ricadute occupazionali della riforma, sono la conseguenza dei parametri fissati dal nuovo Testo unico per individuare le partecipazioni di cui le Pa devono liberarsi. I criteri impongono il taglio (con liquidazioni o fusioni) delle partecipazioni nelle aziende con meno di 500mila euro di fatturato, oppure con più amministratori che dipendenti, e in quelle che hanno chiuso in perdita quattro bilanci negli ultimi cinque, ma quest’ultimo criterio vale solo fuori dai servizi pubblici locali. Nei portafogli pubblici, poi, ci dovrebbe essere spazio solo per le aziende che lavorano per gli enti o per quelle che producono «servizi di interesse generale»: fuori gioco dovrebbero quindi finire le centinaia di attività commerciali ancora in pancia agli enti pubblici, ma sul punto come sempre la battaglia interpretativa tra proprietari e controllori si annuncia serrata. Ma anche lontano dai big c’è da tagliare parecchio, visto che secondo il Mef 1.609 società controllate dagli enti locali hanno meno di 10 dipendenti, e in tre casi su quattro hanno un valore della produzione sotto i 100mila euro all’anno.

Numeri al ribasso
L’attuazione effettiva dei piani scritti in queste settimane aiuterà insomma a sfoltire un po’ la giungla di cottarelliana memoria, e ad alleggerire il panorama dei 37mila posti (occupati da 26mila persone grazie ai doppi incarichi) negli organi di amministrazione calcolati dal rapporto Cottarelli. Sul punto, gli obiettivi iniziali erano più ambiziosi, e avrebbero imposto l’amministratore unico invece del cda con la sola eccezione delle società più grandi. Nella versione definitiva, invece, il Testo unico riporta la scelta nelle mani degli azionisti: le stime della prima ora, che parlavano di un taglio da 15mila posti, andranno quindi aggiornate al ribasso.