Scienziati con l’elmetto.

Scienziati con l’elmetto. L’Iss respinge gli assalti ai suoi studi

L’Istituto superiore di sanità si difende sulla teoria – il documento con i numeri del rischio catastrofe del Covid-19 in Italia – e sull’applicazione pratica: “Oggi grazie alle restrizioni siamo con R0 sotto l’1% in tutte le Regioni”

ANSA
CORONAVIRUS: ESPERTI RIUNITI ALL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’

“Questo è un lavoro fatto da persone di scienza, che mettono al servizio del Paese conoscenze e modellistiche”. Dalla scienza “arrivano indicazioni, poi è il Paese che sceglie le misure da adottare”. Così – a quasi due mesi dall’inizio del lockdown, con alcune regioni che premono per anticipare la riapertura – gli scienziati rispondono al pressing della politica e alle critiche mosse allo studio sugli scenari di contagio fornito al Governo per la fase 2. Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, espone i risultati ottenuti grazie alle misure restrittive: “La curva continua a decrescere sia come numero di sintomatici che di casi. Il numero delle regioni dove i casi sono limitati sta aumentando progressivamente, a conferma dei risultati delle misure adottate. R0 in tutte le regioni è sotto l′1 anche considerato il range con le ipotesi più pessimistiche. Questo è un dato molto positivo ed è la conseguenza delle misure e dell’adesione dei cittadini”.

È una conferenza stampa fiume, quella che si è tenuta oggi presso l’Istituto Superiore di Sanità. Lo è perché gli autori del report che il Comitato Tecnico Scientifico ha consegnato al governo – nello scenario peggiore 151mila persone in terapia intensiva a giugno – ci tengono a non lasciare nulla di intentato. Né sul perché l’analisi suggerisce la massima prudenza sulla ripartenza, né sul modo in cui sono stati fatti i calcoli. Sono questi i due binari lungo cui corre l’argomentazione degli scienziati dell’Iss e della Fondazione Bruno Kessler, che ha collaborato con il Ministero della Salute alla realizzazione del documento.

Iniziamo dal primo livello, quello che ruota attorno all’ormai noto parametro R0 (il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione mai venuta a contatto col virus; in altre parole, l’indice di potenziale trasmissibilità della malattia). La bussola per contenere l’epidemia, come si è detto varie volta, è tenere l’R0 sotto l’1. Un risultato che oggi, grazie al lockdown e alle varie restrizioni, siamo riusciti a ottenere in tutto il Paese.

“In tutte le regioni l’indice di contagiosità del coronavirus R0 è sotto l′1”, ha detto Brusaferro, confermando che “la curva epidemiologica continua a scendere”. Di conseguenza, si è ridotto anche il numero delle zone rosse, che in tutta Italia “sono diventate 74” rispetto alle 116 di una settimana fa. “Sono dati molto positivi che dimostrano la bontà delle misure messe in atto e dell’adesione dei cittadini a tali norme”.

Ma l’avvertimento è chiaro: visto che “l’epidemia è ancora in corso”, sottovalutare il peso dei casi sommersi rischia di essere un errore letale. “Le persone asintomatiche in Italia potrebbero essere fra il 4% e il 7% della popolazione”, ha spiegato Brusaferro. Ma il 10% delle trasmissioni – ha aggiunto Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Iss – si stima “da persone che non hanno sintomi. Questo va a favore dell’uso dei test sierologici”.

 

Il numero degli infetti è molto più grande di quello che conosciamo. Per questo dalla Fondazione Bruno Kessler respingono le critiche al modello matematico da cui è uscito quel numero – 151mila terapie intensive a giugno, in caso di riapertura totale e senza accorgimenti – che ha convinto il premier Giuseppe Conte a una ripartenza prudente. “Siamo stati criticati e qualcuno ha detto che abbiamo sbagliato i conti: ma ad oggi si può essere infettato il 3-4% della popolazione, cioè 4 milioni, quindi i positivi in grado di trasmettere l’infezione devono essere moltiplicati per 10 o 20, sono numeri molto più grandi”, ha ribattuto Stefano Merler, esperto di modelli matematici della trasmissione di malattie infettive. Il ricercatore trentino non ha nascosto la frustrazione verso chi ha messo in dubbio il modello: “Facciamo scienza, non voglio più esser chiamato a spiegare come si fa una divisione…”.

La frecciata è rivolta alla holding Carisma, che per prima ha sollevato critiche e perplessità al report consegnato dal Cts al governo. A Linkiesta il presidente della holding, Giovanni Cagnoli, aveva parlato di calcoli basati su “assunzioni incompatibili”, ovvero “una contraddizione tra tassi di mancata diagnosi e i rischi di ricovero”. Da questa confusione – secondo Carisma – originerebbe un dato smisurato: quello per cui in Italia ci sarebbero 150 milioni di cittadini con età superiore ai 20 anni (oltre 100 milioni in più rispetto alla popolazione reale).

Ma in conferenza stampa Merler ha ribattuto: “Chi ha criticato ha fatto un calcolo sul rapporto terapie intensive/infezioni, ma si è dimenticato dei decessi per Covid che non sono entrati in terapia intensiva. Il conto giusto è 3-400 in terapia intensiva in quel periodo più i decessi, uguale 13mila, non 1.300, come ha calcolato chi critica lo studio. E sappiamo inoltre che i positivi reali rispetto a quelli noti sono 10-20 volte tanto”.

Al di là della diatriba, gli esperti dell’Iss e della Fondazione trentina hanno evidenziato come una riapertura immediata di scuole e ristoranti farebbe schizzare il parametro R0 sopra l’1. “Riaprire le scuole di ogni ordine e grado porterebbe subito il tasso di contagio R0 a 1,3”, ha spiegato Merler. “Una situazione assolutamente preoccupante – ha aggiunto – che porterebbe a problemi serissimi in pochissimo tempo”. Stesso discorso per la riapertura immediata della ristorazione: aprendo edilizia, manifatturiero e commercio (come già previsto dal 4 maggio) ma aggiungendo la ristorazione, l’indice di contagio R0 andrebbe sopra la soglia epidemica, ha avvertito Merler.

Brusaferro lo ha ribadito più volte: “È chiaro che l’obiettivo è riaprire il più possibile ma avendo presente che R0 deve stare sotto l’1. Una declinazione regionale la andremo a valutare perché le scelte devono tener conto della realtà”. E la realtà parla di una situazione epidemiologica “diversa nelle regioni”, come anche diverse sono “le misure di monitoraggio in fase di finalizzazione”, per cui emergerà “la necessità di avere tavoli specifici con le regioni per capire com’è la situazione”.

Di sicuro bisognerà essere pronti a lockdown mirati, nel caso di un’impennata dei contagi. “Laddove abbiamo evidenze che in un ambiente ristretto c’è un numero di casi significativo, dobbiamo intervenire; vale per le Rsa ma anche per altre aggregazioni, quindi anche per un’azienda. Un lockdown chirurgico che si è dimostrato raccomandabile ed efficace”. Mantenere R0 sotto l’1, “considerando che i casi che abbiamo ogni giorno sono solo la punta dell’iceberg”, ha scandito Brusaferro. Questa è la raccomandazione ultima della scienza, “poi è il Paese che sceglie le misure”.

I nuovi poveri

I nuovi poveri: le colf ai Parioli

L’associazione “Nonna Roma”, che distribuisce generi alimentari, racconta ad Huffpost come l’emergenza coronavirus abbia cambiato il volto di chi chiede loro aiuto. Dalla periferia al centro

ANDREA CHU VIA GETTY IMAGES

“Se non lavori non ti pagano e in un attimo ti ritrovi dal vivere in una casa ai Parioli a non avere nulla da mangiare”. Sono colf, badanti, persone da anni al servizio di famiglie agiate, che non riescono più a ospitarli per la paura del contagio. Storie quotidiane che stanno allargando geograficamente il lavoro delle associazioni di volontariato che operano nella Capitale. Tra queste “Nonna Roma”, organizzazione nata tre anni fa per fornire un supporto a chi ne ha bisogno. Il presidente Alberto Campailla spiega all’Huffpost che per trovare la povertà nella città non c’è più bisogno di andare in periferia. Ai volti di chi da sempre chiede aiuto perché non riesce a portare il cibo in tavola, se ne aggiungono ogni giorno di nuovi, insospettabili. Cambiano i quartieri della città dai quali queste richieste partono, alle volte accompagnate da un senso di vergogna, di chi in quella condizione non era abituato a trovarsi e fatica adesso a riconoscercisi.

Prima del lockdown del 9 marzo, “Nonna Roma” lavorava principalmente nella zona est della Capitale, l’area più popolosa e povera della città. Ora con i suoi pacchi alimentari raggiunge il centro e i quartieri della Roma bene: Parioli, Prati. Per dare soccorso ai collaboratori domestici, che “non possono lavorare all’interno delle case. Non perché non ci sia bisogno, ma perché c’è una preoccupazione molto forte sui rischi del virus”, spiega Campailla. “Sono rimasti finora completamente esclusi da ogni intervento significativo del Governo: non prendono i 600 euro delle partite Iva, non possono accedere al reddito di cittadinanza. Alcune famiglie hanno dato loro le ferie, così qualcuno è tornato a vivere dai genitori, altri continuano ad abitare negli appartamenti comprati loro dai datori di lavoro. Ma dopo due mesi, siamo quasi a maggio e le ferie sono finite. Se non lavori non ti pagano. Si passa quindi dal vivere in una casa ai Parioli a non avere da mangiare”. Per loro, non c’è luce in fondo al tunnel con l’arrivo del 4 maggio, data simbolica, che tale resta: “La fase 2 non comporterà una rioccupazione di molte di queste figure. La nostra preoccupazione è che anche se l’emergenza sanitaria potrà subire un calo, non sarà lo stesso per quella sociale”.

Prima che il Governo Conte imponesse l’isolamento per contenere il contagio del Covid-19, “Nonna Roma” sosteneva 250 famiglie. Nell’ultimo mese il dato ha raggiunto le quattro cifre: oltre 2700 hanno chiesto aiuto. Un numero, ci spiega Campailla, destinato ad aumentare. Non c’è poi solo un incremento quantitativo, cambia la composizione sul piano della configurazione sociale. Le richieste sono cresciute sia da parte di stranieri che italiani, ma per i secondi la percentuale è nettamente maggiore. Di questi nuovi poveri, molti sono lavoratori in nero. Tra loro, tantissimi camerieri, dipendenti di boutique e parrucchieri. Poi ci sono i professionisti.

“Abbiamo intercettato, seppur in minore parte perché c’è un elemento di vergogna, richieste da parte di professionisti”, racconta Campailla, “Persone laureate, istruite, con competenze, che da un mese e mezzo non riescono a lavorare. Chi da tempo vive in una situazione di disoccupazione strutturale in qualche modo è consapevole di quella condizione. Chi è nuovo, ha una certa difficoltà a riconoscercisi. Siamo abituati alla consegna dei pacchi alimentari porta a porta, ma un signore ha chiesto di poterlo prendere lui stesso: teme cosa possano pensare gli altri inquilini della palazzina dove abita, e soprattutto cosa penserà la figlia. Non vuole farle capire che si trovano in queste difficoltà. Il pensiero della figlia mi ha fatto stare male, mi sembra un punto di non ritorno. Un conto è preoccuparsi dell’esterno, un altro è quando la vergogna entra in casa, nel nucleo familiare. Un altro signore mi ha chiamato piangendo, disperato. Ha due bimbi, non sa come fare. È molto pesante”.

Ogni weekend, circa 250 volontari dell’associazione caricano i pacchi alimentari dal magazzino e si parte col giro tra le case, a seconda delle richieste dei cittadini. Le difficoltà sono tante, soprattutto per quanto riguarda il tema del reperimento del cibo che assume adesso una centralità drammatica.

“La nostra preoccupazione è che questi aiuti non bastino”, prosegue Campailla, “La nostra attività è principalmente sostenuta grazie a donazioni di privati, gli aiuti pubblici soddisfano una parte molto piccola rispetto al fabbisogno reale. Penso alla questione dei Buoni Spesa nella città di Roma: ancora circa la metà dei richiedenti non lo ha ricevuto. Il Comune ha acquistato pacchi alimentari per un milione di euro: sono risibili rispetto alle richieste. Lo Stato è chiamato a interventi poderosi”.

Dal loro punto di vista, le soluzioni sono tre: “L’aiuto sui fabbisogni alimentari, quindi aumentare il meccanismo dei Buoni Spesa per farlo diventare strutturale. Il tema dell’estensione del reddito di cittadinanza. Infine un intervento importante è necessario sulla questione affitti, che rischia di strangolare le famiglie. Quando è iniziata l’emergenza abbiamo seguito il caso di una signora che rischiava di essere sfrattata. Poi fortunatamente è arrivato il blocco del Governo fino a settembre, altrimenti si sarebbe verificato un paradosso: costretti a stare in casa, senza più una casa nella quale stare. Ma è solo una questione di tempo, il tema si ripresenterà in autunno”.

Il nome “Nonna Roma” – rivisitazione del titolo del film interpretato da Anna Magnani – non è stato scelto per caso. La nonna è sempre disposta ad aggiungere un posto a tavola. L’associazione teme possa arrivare il giorno in cui a quella tavola si incominci a stare troppo stretti: “Siamo certi che l’estate continuerà così, magari con numeri leggermente più bassi se qualcuno tornerà a lavorare. A poco a poco arriveranno i Buoni Spesa del comune e un po’ di persone per il mese di maggio potrebbero in qualche modo far da soli. Ma abbiamo paura che da giugno la situazione torni a essere drammatica”.