Alitalia, facile prendersela con i lavoratori. E i disastri dei manager?

Alitalia, facile prendersela con i lavoratori. E i disastri dei manager?

Alitalia, facile prendersela con i lavoratori. E i disastri dei manager?

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Dottore di ricerca in diritto dell’economia
E’ incredibile che, in virtù di un rifiuto democratico, un gruppo di lavoratori venga additato come responsabile del fallimento di una compagnia dopo essere stato periodicamente chiamato ad accettare accordi al ribasso. E’ il caso di dipendenti Alitalia che hanno detto “no” all’accordo che prevede ulteriori tagli al personale e agli stipendi.

Figuriamoci se ci si disturba di accendere i riflettori su chi quell’impresa l’ha diretta sino ad oggi. Già, perché in Italia ogni volta che c’è da gestire politicamente una grande crisi aziendale l’obiettivo da raggiungere è quello della riduzione gli stipendi e dei diritti dei lavoratori, senza alcuna importante riflessione (cui dovrebbero seguire altrettante importanti azioni) sui problemi strutturali del nostro sistema economico e finanziario, nonché sulle responsabilità del management.

Da molti anni, ormai, non si fa altro che formulare accordi al ribasso che colpiscono il reddito da lavoro.

E’ il caso di ricordare che non sono di certo i lavoratori a dirigere una impresa, i dipendenti sono eterodiretti, quindi subiscono le scelte direttive altrui. Spetta all’imprenditore decidere come produrre profitto, e tal fine esercita il potere di direzione dell’impresa controbilanciato dall’assunzione del rischio sui risultati prodotti.

Chi ha guidato concretamente sino ad oggi la compagnia Alitalia? Cosa non ha funzionato nella gestione dell’impresa? Questo sembra non interessare al governo chiamato a gestire la crisi: la colpa è dei lavoratori che non hanno firmato l’accordo, punto. “Rammarico e sconcerto per l’esito del referendum… che mette a rischio il piano di ricapitalizzazione della compagnia”, hanno dichiarato congiuntamente il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Pare di capire che per tali ministri la colpa delle grandi crisi della compagnia che si sono succedute negli ultimi anni – e gestite con la lunga mano della politica – non sono rilevanti per comprendere le attuali difficoltà. Chi se ne frega, poi, di tutte le rinunce dei lavoratori e dei tagli al personale realizzati per gestire i disastri precedenti che non posso di certo considerarsi risolti. Questo dovrebbe destare sconcerto, non certamente le proteste dei lavoratori.

I dipendenti Alitalia, così come altri prima di loro, hanno lanciato un forte allarme contro l’idea, tutta politica, che l’Italia possa continuare a restare a galla facendo cassa con i diritti dei lavoratori.

Strutture deteriorate e pericolo di crolli: 8 viadotti a rischio sulla A24.

Strutture deteriorate e pericolo di crolli: 8 viadotti a rischio sulla A24. Via ai controlli

Sull’autostrada tra Abruzzo e Lazio saranno molti quelli da sottoporre a esame con l’ausilio di sonde ed endoscopi. Previste limitazioni al traffico. In Sardegna protestano i sindaci del Meilogu per il cavalcavia di Siligo

Viadotto Pietrasecca
di I. D.

I recenti fatti di cronaca che hanno registrato i crolli di alcuni viadotti nel nostro Paese hanno costretto ad aguzzare precauzionalmente la vista sulla situazione in cui versano molti di essi. In molti casi si tratta per altro di strutture che negli ultimi tempi hanno subito ripetutamente scosse telluriche. Sull’autostrada A24 tra l’Abruzzo e il Lazio saranno quelli costruiti tra il 1968 e il 1969 ad essere sottoposti a verifica tecnica con l’utilizzo di sonde ed endoscopi.

Sono otto in pratica i viadotti che saranno controllati:

Della Noce (27 chilometri), Cannuccette (28) e Santo Stefano (29), nei pressi di Castel Madama; Pietrasecca (60) a Carsoli; Pie’ di Pago III (70) e Fiume Salto (71), nei pressi di Torano, poco prima del bivio con la A25 per chi viene da Roma; Valle Orsara (85) e il viadotto Fornaca (92) tra i comuni di Lucoli e dell’Aquila. Ancora in corso le verifiche sull’A25 dove non sono state riscontrate anomalie.

Le limitazioni

Nel periodo in cui si procederà ai controlli verranno poste in essere delle limitazioni al traffico pesante. La concessionaria “Strada dei parchi” – si legge sul Corriere della Sera – ha già messo a conoscenza il ministero delle Infrastrutture con un’apposita nota.

In primo  luogo scatta il divieto assoluto di transito per i trasporti eccezionali. I Tir non potranno invece effettuare sorpassi o sostare nella corsia di emergenza. E’ previsto anche l’aumento della distanza di sicurezza per il transito dei mezzi pesanti.

In attesa delle ordinanze che definiranno in dettaglio tali disposizioni il direttore generale della “Strada dei parchi”, Igino Lai, ha spiegato il progetto d’intervento nella comunicazione al Mit.  “Come noto, la concessionaria ha predisposto un progetto per la messa in sicurezza di urgenza dei viadotti contro eventi sismici di un certo rilievo che possano interessare le autostrade A24 ed A25 – ha scritto Lai – Inoltre, SdP ha  presentato il progetto preliminare degli interventi di adeguamento sismico previsti dalla Legge 228/2012. SdP sta anche svolgendo studi specifici per definire con maggior dettaglio le opere da eseguire. In alcuni viadotti – specifica ancora il direttore sui media – il nuovo Piano Finanziario da noi presentato prevede la demolizione con sostituzione completa dell’impalcato”.

Viadotto Della Noce

Controlli alle travi

In primo luogo le limitazioni al traffico pesante sono necessarie per consentire i controlli alle travi dei viadotti, specie a quelle di prima generazione. Secondo quanto viene reso noto da “Strada dei parchi” e riportato da Abruzzo Web e Corriere della Sera “si tratta  di strutture precompresse, sostenute da un sistema di cavi in acciaio, che hanno la funzione di mantenere in tensione tutta la struttura. Proprio per ispezionare l’interno delle travi verranno praticati piccoli fori e introdotte sonde endoscopiche. L’analisi puntuale di tutti questi viadotti dovrà servire ai tecnici per valutare caso per caso la situazione. Guardando nel dettaglio le parti vitali dei viadotti, altrimenti invisibili dall’esterno”.

In certi casi gli interventi di ripristino sono già stati affidati e i lavori partiranno nelle prime settimane di maggio. “Vi sono inoltre vari casi in cui è visibile il deterioramento delle armature di precompressione ma non è possibile, con la semplice ispezione visiva, valutare in quali termini percentuali si possa considerare compromessa la capacità portante delle strutture – spiega Igino Lai sul Corriere – ”. Ma i controlli sono necessari  anche per evitare brutte sorprese. “Il progressivo deterioramento delle armature potrebbe infatti condurre ad improvvise rotture degli elementi, con conseguenti meccanismi di collasso, come quelli che si sono verificati negli ultimi mesi in Italia, su opere che apparentemente non destavano motivo di preoccupazione”.

Le indagini

Proprio a questo proposito “per fugare ogni dubbio circa lo stato di conservazione delle opere più a rischio, sempre a partire dalla prima decade del prossimo mese, procederà ad effettuare indagini endoscopiche e prove non distruttive che consentiranno di valutare l’effettiva capacità resistente di queste opere, in condizioni sia statiche che sismiche”.

Il San Giacomo

Dopo il distacco di cemento determinato dalle ultime scosse di terremoto, è stato ispezionato anche il viadotto San Giacomo, che non ha denotato problemi.

La Ciociaria

Le ispezioni partiranno anche in Ciociaria su ponti e cavalcavia della rete gestita da Astral, la cui competenza si estende in tutto il Lazio su 1.500 chilometri di strade. La società gestisce arterie di comunicazione importanti come la superstrada Sora-Frosinone, la Monti Lepini, la 115 per Fiuggi, la Casilina e la SR 82 valle del Liri e la 666 di Sora. L’esponente di FI Danilo Magliocchetti ha sollecitato le ispezioni con una lettera in cui evidenzia le scarse risorse a disposizione della provincia di Frosinone.

“L’amministrazione provinciale, causa i penalizzanti tagli ai trasferimenti da parte del governo centrale – ha fatto presente Magliocchetti – non può effettuare in modo autonomo attività di particolare manutenzione o di monitoraggio”.

Preoccupazioni anche in Sardegna

Preoccupazioni ci sono anche in Sardegna per il cavalcavia “Mesu mundu”, pericolante sulla 131 all’altezza di Siligo (Ss), a proposito del quale i sindaci del Meilogu avevano inscenato una protesta nei confronti dell’Anas. Proprio in questi giorni è arrivata la risposta della Provincia che ha preso un impegno per risolvere il problema.

Brexit al via. Per Theresa May è “il momento di restare uniti”

Brexit al via. Per Theresa May è “il momento di restare uniti”

La premier ha firmato la lettera che darà il via all’uscita dall’Ue

29/03/2017 10:33 CEST | Aggiornato 29/03/2017 17:26 CEST

“Questo è un momento storico, da cui non c’è ritorno. Il Regno Unito lascia l’Unione europea, prenderemo le nostre decisioni e scriveremo le nostre leggi, avremo il controllo delle cose che più ci importano. I giorni migliori sono davanti a noi”. Così la premier britannica, Theresa May, alla Camera dei Comuni, ha dato il via ufficiale alla Brexit. May ha sottolineato che Londra e Bruxelles dovranno “lavorare duro” per evitare un fallimento dei negoziati.

May ha spiegato che la Gran Bretagna intende “garantire al più presto possibile i diritti dei cittadini Ue”. La premier ha poi spiegato che la Gran Bretagna non farà parte del mercato unico perché si tratta di un’opzione incompatibile con la “volontà popolare” manifestata nel referendum sulla Brexit di restituire al Regno il pieno controllo dei suoi confini e della sua sua sovranità. “L’Ue ci ha detto che non possiamo scegliere” cosa tenere e cosa no, e “noi rispettiamo” questo approccio.

“Alle 13,20 oggi, l’ambasciatore Tim Barrow mi consegnerà la lettera con la notifica dell’articolo 50”, ha scritto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk su Twitter, allegando la foto della consegna in un successivo tweet.

Sono circa 200 metri quelli che dividono la sede della rappresentanza permanente della Gran Bretagna presso l’Unione europea, in avenue d’Auderghem, dal palazzo dove risiede il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Presumibilmente l’ambasciatore Barrow, arrivato da pochi mesi a Bruxelles proprio per seguire la partita della Brexit, li percorrerà a piedi. Secondo quanto si legge in una nota del Consiglio europeo non ci saranno filmati dell’evento, ma saranno rese disponibili delle foto. Dopo la consegna della lettera, il presidente Tusk rilascerà una dichiarazione per la stampa. Il presidente del Parlamento Antonio Tajani e il coordinatore della Conferenza dei presidenti per la Brexit Guy Verhofstadt terranno una conferenza stampa intorno alle 17,15, dopo l’incontro dei leader dei gruppi politici ed il presidente, per una prima valutazione delle conseguenze dell’attivazione dell’articolo 50.

Antonio Gramsci, il mondo arabo lo celebra

Antonio Gramsci, il mondo arabo lo celebra

Antonio Gramsci, il mondo arabo lo celebra

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Scrittore
“Ritornare a Gramsci?”. E’ stato questo il titolo di un seminario che si è svolto a Tunisi, nel marzo scorso, in cui numerosi ricercatori e accademici tunisini e italiani, come le professoresse Alessandra Marchi e Patrizia Manduchi, si sono dati appuntamento per discutere intorno al pensiero dell’intellettuale italiano e la sua attualità rispetto alle realtà arabe, con particolare riferimento a quella tunisina.

Se in Italia Gramsci – scomparso il 27 aprile del 1937 – pare per certi versi in declino, nella sponda sud del Mediterranneo l’interesse è, invece, crescente. Lo dimostrano le recenti pubblicazione nel mondo arabo di vari libri che ne analizzano il pensiero e la figura. Come quello di Jalila Amami, ricercatrice tunisina, “La cultura e la politica nel pensiero di Gramsci”. O il volume di Baccar Gherib, preside della Facoltà di Scienze Giuridiche e di Economia e Commercio di Jendouba, “Pensare la transizione con Gramsci” che prova a concentrarsi sulla costruzione di una transizione politica tunisina, e le difficoltà di questo processo, attraverso il pensiero dell’intellettuale italiano.

Quaderni dal carcere e Lettera alla madre nell’edizione in lingua araba

Una figura, quella del pensatore nato a Ales, in Sardegna, presente nei discorsi degli intellettuali arabi. Tanto che Tahar Labib, sociologo tunisino, partecipando ai lavori del seminario a Tunisi, presso l’Auditorium Majestic, ha incentrato il suo intervento sulla ricorrenza della figura di Gramsci e la sua influenza nei discorsi delle classe intellettuali arabe.

Una élite culturale di cui faceva parte anche Mahdi Amel, soprannome di Hassan Hamadan, accademico e membro del partito comunista libanese, assassinato nel 1986 a Beirut, che fu uno dei più conosciuti teorici marxisti della sua generazione. Amel, in un articolo recentemente apparso sulla rivista Frontline, è stato definito il “Gramsci arabo”. Infatti incentrò i suoi studi sul colonialismo; l’arretratezza della società; la borghesia e le divisione settaria. Mentre in Siria, Khaled Khalifa, scrittore siriano, raccontò, durante una conferenza tenuta a Milano nel 2016, che Gramsci era tornato a essere letto da molti siriani alla ricerca di “comprensione del presente che vivono”.

Come ha scritto Shawki Ben Assan, corrispondente da Tunisi per il quotidiano panarabo al Araby el Jadeed:Il mondo arabo oggi vive sotto una complessa egemonia culturale: l’egemonia dello stato sulla società (descritta da Gramsci) e quella del sistema internazionale sugli Stati”. Per cambiare, i paesi arabi hanno bisogno di una forte volontà e passione. E, scrive Ben Assan, “come ha detto Gramsci, il pessimismo dell’intelligenza può essere contrastato solo dall’ottimismo della volontà”. Quella che alimenta una speranza di tanti arabi per un cambiamento che Gramsci, ottanta anni fa, pagò con la vita.

Liberta’ di stampa. RSF: mai cosi’ minacciata

Liberta’ di stampa. RSF: mai cosi’ minacciata
26 aprile 2017 13:13
  E’ una situazione “difficile” o “molto grave” per la liberta’ di stampa in 72 Paesi (su 180 recensiti) quella che descrive oggi Reporters sans frontières nel suo rapporto 2017.
“Mai la liberta’ di stampa e’ stata cosi’ minacciata”, si allarma l’organizzazione portando ad esempio la proliferazione degli attacchi antimediatici, le false informazioni, la repressione e il trionfo degli “uomini forti” come Donald Trump o Recep Tayyip Erdogan.
La stampa e’ libera solo in una cinquantina di Paesi -in America del nord, Europa, Australia e al sud dell’Africa- secondo questo rapporto. RSF e’ preoccupata per un “rischio di grande degrado” della situazione della liberta’ di stampa, “essenzialmente nei Paesi democratici importanti”.
“L’ossessione della sorveglianza e del non-rispetto del segreto delle fonti contribuisce a far scivolare verso il basso il numero di Paesi considerati ieri come virtuosi: Usa (43mo. -2 posti), Regno Unito (40mo, -2 posti), Cile (33mo, -2 posti), o Nuova Zelanda (13mo, -8 posti).
Un aggravamento della situazione per piu’ della meta’ dei Paesi
“L’arrivo al potere di Donald Trump in Usa e la campagna di Brexit in Regno Unito hanno offerto una cassa di risonanza ai “media bashing” e alle false notizie”, deplora RSF. E “dove il modello dell’uomo forte e autoritario trionfa, la liberta’ di stampa va indietro”.
Recedono anche la Polonia (54mo), che “strangola finanziariamente” la stampa indipendente di opposizione, l’Ungheria (71mo) di Viktor Orban e la Tanzania (83mo) di John Magufuli.
In Turchia (155mo, -4 posti), il presidente Recep Tayyip Erdogan ha “risolutamente preso la strada dei regimi autoritari” per diventare “la piu’ grande prigione al mondo per i professionisti dei media”. La Russia di Valmir Putin (148mo) resta anche ancorata ai posti bassi della classifica.
In Asia, le Filippine (127mo), guadagna 11 posti grazie ad un calo del numero dei giornalisti uccisi nel 2016, ma gli insulti e le minacce contro la stampa proferiti dal presidente Rodrigo Duterte lasciano presagire il peggio.
“Il declino delle democrazie da’ le vertigini”, commenta Christophe Deloire, segretario generale di RSF. Sei Paesi su dieci hanno registrato un aggravamento della loro situazione.
Come l’anno scorso, ai primi posti figurano i Paesi scandinavi (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca) e agli ultimi l’Eritrea e la Corea del Nord, dove “ascoltare una radio che ha sede all’estero puo’ portare direttamente in un campo di concentramento”.
Tra i Paesi dove la stampa e’ piu’ attaccata, figurano Egitto e Bahrein, per “la galera ai giornalisti”, il Turkmenistan (178mo), “una delle dittature piu’ chiuse al mondo” e la Siria (177mo), Paese dove muoiono piu’ giornalisti. Ci sono minacce anche in Uzbekistan, Azarbaijan, Vietnam, Laos, Cuba, Sudan e Guinea equatoriale. RSF denuncia anche il caso di diversi Paesi del Medio Oriente, come l’Iran (165mo) che imprigiona i suoi giornalisti “a decine” o li condanna alla frusta, pena praticata anche in Arabia Saudita (168mo), notoriamente contro il blogger Raif Badawi, condannato anche a dieci anni di prigione.

Il problema della democrazia attualmente, e’ che non e’ piu’ rappresentativa

Il problema della democrazia attualmente, e’ che non e’ piu’ rappresentativa. Lawrence Lessig
24 aprile 2017 18:44
 Lawrence Lessig e’ uno dei principali pensatori di Internet. Il primo libro di questo professore di diritto ad Harvard, Code, anticipava nel 2000 le linee di tensione e le grandi evoluzioni di Internet. Ora si batte da diversi anni per rendere il sistema politico americano piu’ rappresentativo, essenzialmente diminuendo l’influenza del denaro.
Lessig ha recentemente contribuito a quello che potrebbe cambiare il mondo, un’opera dedicata al prodigio del net Aaron Swartz, comparso lo scorso 2 1 marzo in Francia grazie alle edizioni B42. Di passaggio a Parigi per la presentazione del Meeting Snowden, un documentario che lo mostra cambiare il futuro della democrazia con la deputata pirata islandese Birgitta Jonsdottir e il lanciatore di allerta Edward Snowden, Lessing ha risposto alle domande del quotidiano Le Monde.
D. Le sue idee di democrazia e quelle di Edward Snowden sembra che partano da direzioni diverse. Alla fine del meeting Snowden, lo abbiamo visto immaginare una umanita’ piu’ connessa online, mentre lei ha di recente molto denunciato i pericoli che possono fare le reti sociali, in materia di polarizzazione delle idee politiche per esempio. E’ cosi’?
R. Io non penso che ci sia una vera differenza nella constatazione che facciamo della situazione attuale, ne’ nella direzione che noi vogliamo prendere. Al contrario, li’ dove c’e’ la differenza, riguarda i soggetti sui quali lavoriamo. Birgitta (Jonsdottir) vuole regolare i problemi che preoccupano le persone se investire nel processo politico -che e’ la problematica del Partito pirata in Islanda. Io rifletto su come rendere la democrazia veramente rappresentativa. L’obiettivo di Edward Snowden e’ piu’ grande: cerca di sapere come ottenere una societa’ che va in una direzione comune. Nessuno di noi e’ in disaccordo con il progetto degli altri. Io lavoro su una parte differente dello stesso problema.
D. Come molti, lei pensa che Internet sara’ benefica per la democrazia, ma lei e’ diventato molto scettico, perche’?
R. Una delle grandi forze di Internet, e’ che permette alle persone di connettersi direttamente. Una delle grandi debolezze di Internet, e’ che permette di connettersi direttamente (ride). Con Internet, abbiamo scoperto l’incredibile potere che hanno i capo-redattori -non le censure o i filtri, ma le persone che hanno il potere di decidere che cio’ che si dice e’ vero, se e’ dimostrabile, se ci sono dei fatti dietro cio’ che si afferma. Questo permette di assicurare che una pubblicazione abbia un certo legame con la realta’, ma se si sopprimono questi capo-redattori, non c’e’ piu’ connessione coi fatti.
D. Lei fa riferimento al problema delle fake news, ma e’ importante preservare l’accesso all’informazione e alla libera espressione. Come concilia questi due aspetti?
R. Non si regolera’ questo problema spegnendo Internet o impedendo che le persone accedano all’informazione. Cio che Facebook sta sviluppando, un sistema molto sofisticato di identificare ed isolare le fake news, e’ inquietante. L’idea che una entita’ privata possa dedicarsi a questo tipo di censura e’ sempre inquietante. Io penso che si dovrebbe sviluppare una sorta di “capo-redattore portatile”. Un po’ come… se tutto cio’ che arriva sul computer passa attraverso l’antivirus, bisogna che ci sia un mezzo per vedere se questo e’ stato verificato o meno. Questo tipo di strumenti vanno sviluppati per forza, anche se sicuramente non saranno perfetti.
D. Il fatto che piattaforme come Facebook o Google ospitano dei pannelli interi del dibattito politico, fa parte del problema?
R. I conservatori non sono d’accordo, ma penso veramente che delle piattaforme come Facebook tentino di mantenere un certo livello di neutralita’. E’ possibile che su queste grandi piattaforme digitali, ci sia naturalmente uno stimolo economico a preservare una certa neutralita’ che non esiste, per esempio, nel passaggio della televisione.
D. Il problema non e’ tanto l’assenza di neutralita’ ma il fatto che queste piattaforme incitano i loro utenti a dividere, reagire, e favoriscono quindi i contenuti polemici?
R. Questo e’ certamente vero. Se si guarda la storia dei media, abbiamo appreso che la misura di audience corrompe i media la cui audience e’ misurata. Negli anni 1950 e 1980, i canali televisivi dedicavano all’informazione i tempi che loro giudicavano necessari all’informazione del pubblico. E poi e’ comparsa la classificazione di Nielsen, e i canali hanno potuto cominciare a calcolare costi e benefici dei giornali. Io non parlo unicamente del costo in senso di cio’ che bisogna spendere per fare informazione, ma anche del fatto che quando le persone fanno zapping, si perdono dei soldi. Da quando si e’ cominciata a misurare l’audience, questo ha un impatto su cio’ che si produce. L’abbiamo visto con l’aumento gigantesco dei contenuti “appesi ad un click” su Internet. Una delle conseguenze, e’ che questi contenuti sono molto determinati ideologicamente, fanno riferimento all’emozione piuttosto che alla ragione.
La mia opinione e’ che bisogna riflettere sul modo in cui si puo’ coniugare il progetto democratico con delle fonti d’informazione deboli. Per esempio, la settimana prossima, vado in Mongolia, dove una recente legge obbliga il governo a selezionare 500 persone che si sono riunite durante un week-end. A loro si presenta un problema costituzionale, gli si danno tutte le informazioni in merito, essi ne dibattono, deliberano e in seguito producono una risoluzione che e’ proposta al Parlamento. Dobbiamo utilizzare prima di tutto questo tipo di strumenti se vogliamo avere una democrazia che ci rappresenti realmente. Bisogna trovare una rappresentazione politica con cui il popolo abbia il tempo e l’opportunita’ di comprendere cio’ di cui si parla. Le persone non sono degli idioti. Idiota significa che tu non puoi comprendere.
D. In Francia ci sono delle esperienze intorno ad un sistema di voto attraverso la classificazione, dove si mettono in lista i candidati nell’ordine di preferenza. Queste esperienze, sono interessanti?
R. Bisogna moltiplicare tutte le esperienze di questo tipo, in modo che si comincino a produrre risultati rappresentativi. La’ dove metto il limite, e’ di sapere cio’ che e’ possibile costruire. Cercare di arrivare alla democrazia diretta o ad un sistema rappresentativo? Nello stesso modo in cui io sono scettico quando mi si dice che il popolo e’ idiota, io sono scettico rispetto alla democrazia diretta. Ci sono persone che credono che ci si puo’ collegare su Internet e votare per tutto, ma la verita’ e’ che la maggior parte delle persone non conoscono niente in materia. Essi potrebbero, ma essi hanno dei mestieri, dei passatempo, delle famiglie, degli amori… E’ per questo che assumiamo degli eletti: spetta a loro gestire questo.
D. La tecnologia puo’ aiutare ad arrivarci?
R. Sicuramente. C’e’ per esempio questa meravigliosa esperienza di democrazia liquida dove si puo’ dare il proprio voto a certe persone per alcune materie. Si puo’ per esempio decidere che una persona ti rappresenti per le questioni fiscali, un’altra per le questioni ambientali… Queste sono esperienze impossibili senza la tecnologia.
D. Ha paura che la gigantesca quantita’ di dati raccolti sugli elettori, che permettono di inviare dei messaggi politici ad un livello molto alto di selezione, rendano impossibile una discussione generale a livello Paese?
R. Assolutamente. Le persone che pensano che una tecnologia sia utile sono quelle che si concentrano unicamente sull’elezione, non sul modo di governare. E’ ancora una tecnica che porta ad aumentare lo scarto tra l’idea che si fa il pubblico di cio’ che un candidato puo’ fare, e cio’ che potra’ realmente fare una volta eletto.
In questo mondo di obiettivi molto mirati, la mia percezione di un candidato e’ diversa da quella che lei ha. Lo si e’ visto con Obama. Dopo la sua elezione, tutti avevano l’impressione che era “il loro ragazzo” che era stato eletto. Se lei avesse messo insieme gli americani per domandare loro cio’ che rappresentava Obama per loro, lei avrebbe ottenuto trenta risposte diverse e tutte piu’ o meno plausibili. Io penso che Obama fosse un grande riformatore, che lui avrebbe cambiato il sistema politico, lo avrebbe liberato dall’influenza corruttrice del denaro. Altri americani pensavano che ci avrebbe dato una sicurezza sociale universale. Tutto cio’ e’ stato causa di un obiettivo individualizzato, che all’epoca era lontano dall’essere preciso cosi’ come lo e’ oggi. Queste tecniche permettono di indirizzare alle persone esattamente il messaggio di cui loro hanno bisogno di ascoltare perche’ poi si dicano “e’ il mio ragazzo”. Ma una maggioranza di persone sono rimaste deluse perche’ si e’ avverato che non era cio’ che loro pensavano che fosse. Io capisco perche’ c’e’ questa volonta’ da parte dei consulenti che lavorano all’elezione dei candidati. Ma penso che dobbiamo avere una visione piu’ larga di cio’ di cui la democrazia ha bisogno, cioe’ di politici autentici che fanno cio’ che promettono. Lei non puo’ farlo se si separa in 50.000 versioni di lei stesso.
D. Cosa pensa del fatto che i discorsi anti-élite, che sono stati molto forti nell’elezione francese, siano il sintomo?
R. Nella maggior parte delle grandi democrazie, le persone pensano che ci sia una élite e il popolo, e che i governi lavorino per le élite e non per il popolo. In Usa e’ un sintomo di una democrazia non-rappresentativa. C’e’ un lavoro empirico fantastico sulle decisioni reali dei nostri governi nella storia di Martin Gilens e Benjamin Page. Essi raccontano cio’ che i governi hanno fatto dal punto di vista dell’élite economica, e dal unto di vista del cittadino X. La loro principale scoperta e’ che piu’ l’élite economica sostiene un’idea, piu’ essa ha chance di essere adottata. E’ cosi’ per i gruppi di interesse. Ma per l’elettore medio, la percentuale della popolazione che sostiene un’idea non cambia in realta’ niente alle possibilita’ che questa idea possa divenire una legge! Questo mostra il problema di governi che non soddisfano le aspirazioni del popolo. Non e’ semplicemente una percezione, i dati provano che e’ vero. E’ il principale problema della democrazia attualmente: essa non e’ rappresentativa. Fintanto che non affronteremo questo problema, fintanto che non daremo agli elettori delle ragioni per credere che la democrazia lavori per loro, essi non vorranno dedicarci del tempo.
D. L’influenza del denaro e’ il motivo per cui tutto e’ bloccato o ci sono altri fattori?
R. In Usa, il denaro contribuisce al fatto che i rappresentanti non fanno cio’ che vuole il popolo. Il gerrymandering (il fatto di tagliare le circoscrizioni elettorali in funzione delle loro caratteristiche socio-economiche ed a vantaggio di una famiglia politica -ndr) e’ un altro componente. Almeno l’80% dei distretti elettorali sono detti “sicuri”, cioe’ che il partito che non e’ al potere non puo’ vincervi. Questo significa che il gioco elettorale e’ al livello delle primarie. Coloro che possono vincere sono quelli che saranno ancora piu’ estremisti rispetto al candidato del luogo. Se sei in una circoscrizione elettorale repubblicana, la sola persona che puo’ battere il Repubblicano del luogo e’ qualcuno che e’ ancora piu’ a destra. Questa dinamica rende i candidati ancora piu’ polarizzati rispetto ai loro distretti.

L’ALTRA FACCIA DI MACRON

Quando Emmanuel Macron attaccava le donne di un’azienda bretone, invitava i giovani a sognare di diventare miliardari e…

… e sosteneva che “la vita di un imprenditore è più dura di quella di un lavoratore”

24/04/2017

Astro nascente della sinistra liberal alternativa ai partiti tradizionali, tirato per la giacca dalle forze europeiste e in Italia dal Partito Democratico (che già si accalora interrogandosi su chi sia il Macron italiano tra i candidati alla segreteria), il vincitore del primo turno delle presidenziali francesi ha un trascorso politico non privo di inciampi e uscite fuori luogo che poco si attagliano a un profilo “progressista”. Tralasciando il suo passato come banchiere in Rothschild, il “simpatico ma maldestro” (copyright Dominique Strauss-Kahn) Emmanuel Macron ha infatti un passato ancorato nel socialismo francese.

Da fedelissimo di Francois Hollande è diventato ministro dell’Economia nel governo Valls II. Ed è da allora ha disseminato le sue uscite pubbliche di una lunga serie di gaffe. Pochi giorni dopo la sua nomina a ministro innescò una raffica di proteste per una frase infelice: intervenendo nel settembre 2014 ad un dibattito sui mattatoi di Gad, in Bretagna, dove i lavoratori vivevano forti difficoltà e gli stabilimenti erano alle prese con una profonda crisi aziendale, Macron si lasciò sfuggire che le lavoratrici del posto “sono perlopiù ignoranti”. “In questa società – disse l’allora ministro – c’è una maggioranza di donne, per lo più ignoranti. Viene spiegato loro: ‘Qui o nei dintorni non avete futuro, andate a lavorare a 50 o 60 chilometri’. Ma loro non hanno la patente. Che facciamo? Diamo loro 1.500 euro, e aspettiamo un anno?”. La frase sulle donne “ignoranti” con difficoltà a prendere la patente suscitò non poche polemiche perché seguì di pochi giorni l’accusa al presidente Hollande di chiamare in privato “sdentati” le persone povere. Per queste parole Macron si scusò il giorno stesso in Assemblea Nazionale: “Il primo rimpianto è per le affermazioni che ho tenuto stamani se ho offeso, e perchè ho offeso alcuni operai. E’ inaccettabile. E non è quello che volevo fare”.

In questa società c’è una maggioranza di donne, per lo più ignorantiEmmanuel Macron

Non fu un bel biglietto di presentazione per il giovane e liberal ministro delle finanze francesi. Pochi mesi e Macron viene di nuovo investito dalle polemiche. In un’intervista al quotidiano Les Echos in occasione del suo viaggio a Las Vegas per il Ces affermò che “c’è bisogno di giovani francesi che abbiano voglia di diventare miliardari” perchè il Paese abbia successo nell’high tech, “un settore di superstar”. Una frase che rompeva con le posizioni tradizionali della gauche francese, da sempre critica con l’eccessiva ricchezza e la sua ostentazione. Frase che gli attirò gli strali non solo dei suoi oppositori politici ma anche del suo partito: “Macron si smaschera, l’uomo dei miliardari – commentò Gerard Filoche, una delle voci più polemiche dell’ala sinistra del partito – quando la Francia ne ha già troppi, e anche troppi poveri”.

C’è bisogno di giovani francesi che abbiano voglia di diventare miliardariEmmanuel Macron

A gennaio 2016 Macron fece irritare nuovamente la sinistra transalpina. Parlando durante un’intervista televisiva, il candidato all’Eliseo dichiarò che “la vita di un imprenditore è spesso più dura di quella di un dipendente. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Quando si assume si prendono dei rischi. Un imprenditore può perdere tutto, ha meno garanzie”. Anche stavolta, Macron fece infuriare in un colpo solo sinistra, sindacati e stampa. “Ciò che mi infastidisce – disse il segretario nazionale del Parti de gauche, Alex Corbie’re – è il ritornello che vorrebbe farci credere che le rivendicazioni dei lavoratori sono illegittime, contrariamente a quelle dei padroni”. Per Olivier Besancenot, leader di Npa, il Nouveau Parti anticapitaliste, il ministro ex colletto bianco della banca Rotchshild “sputa in faccia a 23 milioni di persone: dimostra di non conoscere ne la vita degli uni e degli altri”. Anche Liberation, quotidiano di riferimento della sinistra francese, rispose duramente all’allora titolare di Bercy: “No signor Macron, la vita degli imprenditori non e’ piu’ dura di quella dei lavoratori”.

La vita di un imprenditore è spesso più dura di quella di un dipendente. Non dobbiamo mai dimenticarloEmmanuel Macron

Dopo quasi due anni al governo con Hollande la lontananza tra le idee di Macron e quelle del Partito Socialista era già evidente. Fu allora, ad aprile dell’anno scorso, che fondò il suo movimento En Marche!. La conferma della distanza con il mondo di sinistra Macron la ebbe quando, a giugno, andò in visita a Montreuil, cittadina di Parigi con una lunga tradizione di militanza di estrema sinistra: il ministro dell’Economia venne accolto da contestazioni e lanci di uova e verdura da parte di militanti del sindacato Cgt e del partito comunista.

Sempre a giugno Macron criticò duramente il movimento giovanile che contestava la riforma del lavoro voluta dal governo Vallas. “I ragazzi delle Nuits debout? Poi vanno a dormire, non sono in piazza di pomeriggio”, dichiarò in un’intervista all’Espresso. “Sarebbe sbagliato negare che esistono tensioni forti e multiple. Contro la legge ci sono sindacati come la Cgt e Force ouvrie’re, anche movimenti estremisti che considerano il governo traditore della gauche. E infine i casseur, i quali non difendono una causa politica ma vanno in piazza solo per sfogarsi attraverso la violenza”.

Dimessosi nel frattempo da ministro delle Finanze e dedito a preparare la sua candidatura all’Eliseo, – ormai senza far più mistero di voler allontanare la sua immagine da quella del Partito socialista francese, già da tempo dato in caduta libera da tutti i sondaggisti – Macron incappa in un’altra gaffe. Questa volta in politica estera. “La colonizzazione è un crimine contro l’umanità”, disse il 16 febbraio scorso durante un’intervista alla tv privata algerina Chourouk Tv. “La colonizzazione fa parte della storia francese, è una vera barbarie e fa parte di questo passato che dobbiamo guardare in faccia presentando anche le nostre scuse alle vittime”. Un’offesa al passato della Francia, secondo molti suoi oppositori, in particolare della destra. Annusato il rischio di sembrare poco patriottico, provò a chiudere la polemica: “Pardon”, si scusò due giorni dopo, affermando di non essere affatto “pentito” per quell’uscita, anche se ora preferiva parlare di “crimini contro l’umano. Assumo pienamente quel discorso di verità, ciò che voglio è che si vada avanti”.

Cuneo fiscale, male d’Italia.

Cuneo fiscale, male d’Italia. Dieci punti oltre la media Ue. Metà stipendio via in tasse

Allarme Corte dei Conti. E il governo corre ai ripari

di CLAUDIA MARIN

Ultimo aggiornamento: 6 aprile 2017
Grafico sul cuneo fiscale (da Qn)

Grafico sul cuneo fiscale (da Qn)

Roma, 6 aprile 2017 – LA CORTE dei Conti punta l’indice sulla voce più dolente e pesante negli stipendi dei lavoratori italiani. Senza mezzi termini, i magistrati contabili avvisano che tasse e contributi si mangiano circa la metà delle retribuzioni lorde. Tanto che il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo raggiunge il 49 per cento del reddito, livello che «eccede di ben 10 punti l’onere che si registra mediamente nel resto d’Europa». Ma è proprio attorno a questo dossier, non a caso, che sta lavorando il governo in vista del Def e, soprattutto, della manovra autunnale.

Al punto che il capo economista di Palazzo Chigi, Marco Leonardi, non solo conferma ufficialmente l’ipotesi di un nuovo sgravio triennale integrale per i neo assunti (anche se solo per gli under 35), ma stima addirittura che l’operazione – in connessione con le uscite pensionistiche legate all’Ape – potrebbe produrre 50-60mila assunzioni aggiuntive. Una previsione che, però, non trova d’accordo né i ricercatori di Adapt, il Centro studi fondato da Marco Biagi, né l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (oltre che gli ex Pd di Mdp): attenzione ai numeri che si danno – mettono in guardia –, perché a non andare bene è proprio il meccanismo degli incentivi temporanei, quando servirebbe invece un taglio strutturale del cuneo.

TORNIAMO alla nuova denuncia della Corte dei Conti. I magistrati contabili certificano che nel 2016 «la crescita ha ripreso vigore e i primi segnali dell’anno in corso sono incoraggianti». Ma uno dei principali limiti sulla via di una ripresa più robusta è rappresentato dall’eccesso di pressione fiscale e contributiva, che rimane elevatissima. E riguarda tutti. Se infatti i dipendenti si vedono arrivare in busta paga poco più della metà di quanto versa il datore di lavoro, meglio non va agli imprenditori: il total tax rate che grava su un’impresa di medie dimensioni ammonta al 64,8%; 25 punti in più «dell’omologo imprenditore dell’area Ue», con un onere di 269 ore lavorative per adempiere agli obblighi fiscali, il 55 per cento in più del suo competitor europeo.

IL GOVERNO, dunque, da questo punto di vista sembra andare nella direzione indicata dalla stessa Corte, quando mette in conto un taglio del cuneo fiscale sul lavoro dipendente. Solo che, in presenza di risorse scarse, l’intenzione è quella di concentrare lo sgravio solo sulle nuove assunzioni e solo su quelle degli under 35, con una sorta di dote «portabile» (pari a 8mila euro l’anno di contributi risparmiati) per i contratti stabili. «Così – ha spiegato Leonardi – il trentenne che ha ancora la dote contributiva da spendere sarà più appetibile per chi lo assume». Il tutto in connessione, per di più, con le uscite anticipate legate all’Ape e ai precoci, per un totale di 50-60mila assunzioni aggiuntive rispetto a quelle fisiologiche, ugualmente incentivate. «Una cifra ragionevole, fatto salvo il ciclo economico», insiste Maurizio Del Conte, numero uno dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive.

NON è d’accordo, invece, Cesare Damiano, regista del taglio del cuneo da 5-6 miliardi realizzato dal governo Prodi (ma per tutti, non solo per i neo assunti). «Penso che il Def dovrebbe offrire l’occasione per una revisione del sistema degli incentivi fin qui utilizzato e che non ha funzionato – spiega –. E, dunque, va bene sostenere le assunzioni dei giovani, ma non sotto forma di riduzioni temporanee del cuneo. Serve un taglio strutturale, magari di minore entità, ma per sempre». Sulla stessa linea Francesco Seghezzi di Adapt: «La previsione di nuovi sgravi triennali mostra che la lezione dell’ultima decontribuzione non è stata imparata. Serve un taglio strutturale. Il rischio è quello di detassare le assunzioni di giovani che sarebbero già stati assunti».

Stoccolma, attentato: camion contro folla.

Stoccolma, attentato: camion contro folla. C’è un arresto

Terrore e gente in fuga nella zona dello schianto. Quattro morti. “Un arrestato, ha confessato”. Ma la polizia: non è lui il conducente del Tir VIDEO La folle corsa del camion ripresa dalla telecamera di un negozio

Stoccolma, attentato: tir sui passanti

Stoccolma, 7 aprile 2017 – Terrore in Svezia. Nel primo pomeriggio di oggi un camion – risultato poi rubato – ha investito i passanti in una zona pedonale del centro di Stoccolma, procedendo ad altissima velocità.  L’ultimo bilancio di quello che è stato definito fin da subito un attentato è di 4 morti e 15 feriti. I numeri sono stati diffusi dal quotidiano Aftonbladet che cita la polizia svedese. Sempre Aftonbladet riporta che un sospettato è stato arrestato nella zona Nord della città. Ma secondo le forze dell’ordine non sarebbe lui il conducente del mezzo, che risulta dunque ancora ricercato. “Ora rafforziamo i controlli alle frontiere”, ha annunciato il primo ministro svedese Stefan Löfven.

Non è chiaro se immediatamente dopo la folle corsa del Tir, ci sia stata anche una sparatoria. Media locali hanno riferito di colpi d’arma da fuoco mentre una nuvola di polvere e fumo si alzava dalla zona dello schianto. Le forze speciali sono entrate in azione in brevissimo tempo e tutta l’area è stata isolata. Il primo a parlare di attentato è stato proprio il premier svedese, ma anche i servizi di sicurezza confermano. La sede del parlamento è recintata. Blindato anche il palazzo reale.

VIDEO La folle corsa del camion ripresa dalla telecamera di un negozio

GIALLO SULL’ARRESTATO- Nel pomeriggio si sono rincorsi annunci e smentite. Il premier aveva riferito subito di un arresto, ma la polizia – che ha diffuso la foto di un sospetto col cappuccio, forse il conducente del Tir, ripreso da una delle telecamere di sorveglianza (nella foto)  – ha poi smentito. Sul web però erano circolate fin dall’inizio foto e video di un fermo. Successivamente è stato comunicato che sono state fermate e interrogate due persone. Infine la notizia dell’arresto, diffusa dalla stampa locale che parla anche di una confessione. L’uomo – si scrive – ha rivendicato l’attacco (le forze dell’ordine non confermano). Non è ancora chiaro se l’arrestato sia uno dei due interrogati. Né se si tratti dell’uomo col cappuccio. La polizia sostiene però che non è il conducente: chi guidava il mezzo è ancora in fuga.

Lo schianto si è verificato intorno alle 15 ora italiana nei pressi di un grande magazzino all’incrocio con la via soltanto pedonale più frequentata di Stoccolma, la Drottninggaten (Via della Regina).

Le immagini diffuse dai media svedesi mostrano il tragitto tra Kungsgatan e Olof Palme Street coperto di vetri rotti e segni di pneumatico lasciati dal mezzo pesante. I corpi delle vittime sono stati coperti con sacchi per la spazzatura. Polizia e vigili del fuoco hanno evacuato la zona e hanno compiuto una vasta operazione di ‘bonifica’ dell’area.

POLVERE E FUMO

LA FUGA DEI PASSANTI IN STRADA

IL FURTO DEL CAMION – L’edizione online del quotidiano ‘Aftonbladet’ ricostruisce il furto del camion. Il giornale spiega che il mezzo appartiene alla ‘Spendrups’, popolare marca di birra svedese, ed è stato rubato durante il giro di consegne nei ristoranti della città. I responsabili dell’azienda hanno avuto un contatto con l’autista legittimo del mezzo. Secondo quanto riferito dal direttore della comunicazione del birrificio, Maarten Lyth, l’autista “stava scaricando della merce quando qualcuno è saltato dentro il camion ed è scappato”. Lyth, precisando di non essere in grado di dire quante persone abbiano preso possesso del camion, ha detto che l’autista “è illeso ma sotto choc, attualmente è ascoltato dalla polizia”.

IL PRECEDENTE NEL 2010 – La zona è la stessa che l’11 dicembre 2010 è stato teatro di un duplice attentato con autobomba, in quello che all’epoca era il primo attentato suicida nei paesi scandinavi. Quel giorno due veicoli esplosero, di cui il primo alle 16.48 all’incrocio tra Olof Palme Street e Drottninggatan, il secondo alle 17.00 all’incrocio tra la stessa Drottninggatan e Bryggargatan. Le auto erano state caricate con sei bombole di gas liquefatto, di cui solo una esplose provocando solo feriti ma la polizia valutò che se gli ordigni avessero funzionato pienamente l’effetto sarebbe stato simile alla strage compiuto dalla bomba posta al traguardo della maratona di Boston. Nei pressi di una delle due vetture venne trovato il corpo di un kamikaze, successivamente identificato come Taimour Abdulwahab al-Abdaly, un cittadino svedese nato in Iraq.

M5S: il tribunale di Genova dà ragione alla Cassimatis

M5S: il tribunale di Genova dà ragione alla Cassimatis

Accolto il ricorso della candidata sindaco, esclusa dalle “Comunarie” del Movimento. Il giudice: “Grillo non ha potere di veto”. ULTIM’ORA: Consip, “falsificati atti contro Tiziano Renzi”, indagato capitano Noe

Esclusa da Grillo, riammessa dal giudice. Il tribunale civile di Genova ha accolto il ricorso presentato da Marika Cassimatis, vincitrice delle “Comunarie” 5Stelle per la corsa alla poltrona di primo cittadino, che era stata “scomunicata” dal leader per “aver danneggiato l’immagine del Movimento”. Sospeso anche il “ripescaggio” della lista di Luca Pirondini. Ora la professoressa festeggia su Facebook e i pentastellati rischiano di rimanere esclusivi dalle elezioni amministrative nel capoluogo ligure.

Le reazioni della Cassimatis
“Abbiamo vinto su una questione di diritto, ora c’è grande entusiasmo. Sono il candidato sindaco”. Questa la prima reazione di Marika Cassimatis dopo la decisione del giudice Roberto Braccialini. “Il tribunale ha parlato e ha detto che il ‘fidatevi di me’ che Grillo ha usato per dire che non ero candidabile non ha valore giuridico. Chiedevamo che venisse riammessa la nostra lista e così è stato. Ora la parola passa allo staff e a Grillo. Sono loro che devono decidere cosa fare, possono anche dire ‘ci siamo sbagliati’”.
“Un candidato c’è ed è Marika Cassimatis – sostiene l’avvocato Borrè che assiste la professoressa -. Il Movimento, se non la candidasse, dovrebbe boicottare una decisione del giudice”. Formalmente la Cassimatis è in corsa per le comunali a Genova, ma Grillo potrebbe impedirle di usare il simbolo M5S, perché la titolarità è di un movimento diverso dal MoVimento che l’ha espulsa.

 

Le motivazioni del giudice
Nell’ordinanza del giudice si legge che anche se Beppe Grillo è il “capo politico” del Movimento 5 Stelle, non ha il potere di veto sulle decisioni delle assemblee telematiche. Queste decisioni, anzi, sono vincolanti per lui e per gli eletti. “Nonostante non sia particolarmente agevole ricostruire le regole organizzative del Movimento e l’istanza dirigista riconosciuta a Grillo, quest’ultimo non ha un potere di intervento nel procedimento di selezione delle candidature”, scrive il giudice. “Le assemblee telematiche producono deliberazioni vincolanti per il capo politico e per gli eletti, Grillo ha un ruolo di indirizzo e impulso particolarmente penetrante che però, in materia di candidature locali, non si identifica nel diritto di ultima parola”. Il giudice si è anche soffermato sulle seconde votazioni, quelle che hanno “incoronato” Luca Pirondini a candidato sindaco. “Alle votazioni su tematiche locali possono partecipare solo gli iscritti residenti in quell’ambito territoriale. Le votazioni nazionali possono solo confermare o meno votazioni già prese. E quelle indette il 17 marzo erano una cosa diversa da quelle annullate”, le Comunarie del 14 marzo, vinte da Cassimatis. Ora, la decisione del giudice potrebbe essere impugnata dai legali del Movimento 5 Stelle nella speranza che venga ribaltata la decisione.