Gioco d’azzardo, un libro denuncia: lo Stato non conosce i veri proprietari delle concessionarie

Gioco d’azzardo, un libro denuncia: lo Stato non conosce i veri proprietari delle concessionarie

di Giovanni Maria Bellu
Un Paese sempre più povero che affida il suo futuro al caso. Con danni sociali gravissimi. Nel 2013 gli italiani hanno speso tra i vari Gratta e vinci, Lotto, Superenalotto e le slot machine 84,7 miliardi di euro. Di questa gigantesca somma, 67,6 miliardi sono rientrati nelle tasche dei giocatori sotto forma di vincite, ma ciò che resta, cioè oltre 17 miliardi, sono andati perduti.
E’ una delle stime più recenti. A realizzarla è stato Matteo Iori, presidente della Onlus Centro Sociale Papa Giovanni XXIII assieme al Conagga, Coordinamento nazionale gruppo giocatori d’azzardo, attingendo i dati dal Libro blu dell’Agenzia delle entrate e dei monopoli. Nel 2012 la spesa era stata un po’ superiore, 88 miliardi, secondo quanto riportano gli autori di “Vite in gioco, oltre la slot-economia” (Città Nuova, 2014) che è stato presentato nei giorni scorsi alla Camera dei deputati.
L’Italia, secondo l’analisi di Iori, è il secondo Paese del mondo nella diffusione del gioco d’azzardo. Perché se nella classifica assoluta (basata sul totale delle somme perdute da giocatori) è il quarto (dopo Stati Uniti, Cina e Giappone), balza quasi in testa, preceduto dalla sola Australia, se si divide la somma per il numero degli abitanti. Gli italiani perdono col gioco d’azzardo 400 euro a testa ogni anno. Prima di loro, con 795 euro, ci sono solo gli australiani.
Esiste ormai un’enorme quantità di dati che provano la pericolosità del gioco d’azzardo, diventato ormai una patologia sociale. Nel marzo scorso, una ricerca effettuata dal Gruppo Abele in quindici regioni italiane ha dimostrato che un over 65enne su tre è a rischio di dipendenza. Nel 2012 una ricerca promossa da varie associazioni (tra le quali le Acli, Libera e Cgil) ha chiarito che non è vero che lo Stato ci guadagna. Perché a fronte di un incasso di 8 miliardi di euro, si ha un costo sociale e sanitario tra i 6 e i 7 miliardi, a cui va aggiunto un danno difficilmente quantificabile, ma evidente. Quello prodotto dalle infiltrazioni nel business di associazioni mafiose.
“Vite in gioco, oltre la slot-economia” – curato da Carlo Cefaloni – attraverso il contributo di sociologi, giornalisti, economisti, matematici e operatori sociali, dà un quadro completo e aggiornato del fenomeno. Andando a toccare uno degli aspetti più gravi e fino a ora meno trattati del problema: la natura delle concessionarie, la loro trasparenza, i loro legami col mondo politico ed economico.
A spartirsi il business sono tredici società che hanno avuto la concessione dallo Stato. Stiamo parlando di un business da 80 miliardi di euro. “Ma è possibile – domanda Gabriele Mandolesi, uno dei fondatori del movimento “Slot Mob”, nato per allontanare le slot-machine dai bar – che a fronte di una cifra di questo genere lo Stato non sappia nemmeno chi detiene la proprietà di queste società?”. Può apparire incredibile, ma è proprio così. Nel libro si fa l’esempio di una delle più note e importanti tra le concessionarie, la Sisal. La concessionaria del Superpenalotto, di Win for life, slot machine e scommesse sportive attraverso la Sisal Machpoint.
“Sisal Spa – si legge in “Vite in gioco” – opera in Italia attraverso 6 società, ed è controllata dalla Sisal Holding Istituto di Pagamento Spa, controllata a sua volta dalla Gaming Invest Srl, società di diritto lussemburghese i cui soci, secondo quanto riportato sul sito istituzionale, sono 3 fondi di private equity (Apax, Permira e Clessidra), una società di consulenza finanziaria (Global Leisure Partners LLP) e la famigia del socio fondatore Molo. Sapere chi sono le persone fisiche che detengono partecipazioni rilevanti indirette non ci è dato”.
Gli autori fanno notare che il presidente del gruppo Sisal è Augusto Fantozzi, ex comissario straordinario dell’Alitalia, che era ministro dell’Economia tra il 1995 e il 1997, proprio quando la Sisal ottenne la concessione dell’Enaotto che poi, nel 1997, divenne il mitico Superenalotto. “Senza mettere in dubbio la buona fede di Fantozzi e della Sisal – scrivono – sarebbe in ogni caso ragionevole, per evitare commistioni e conflitti di interesse di qualche tipo, prevedere dei meccanismi che vietino (almeno per un periodo di tempo stabilito) a chi ha svolto incarichi politici o da dirigente pubblico direttamente o indirettamente connessi al tema delle concessioni del gioco d’azzardo di lavorare per le concessionarie una volta finito il mandato (e viceversa)”.
Il problema della trasparenza nel rapporto tra Stato e concessionari si dovrebbe porre comunque. In questo caso a renderlo urgente sono anche le vicende giudiziarie. L’amministratore delegato di Sisal Emilio Petrone, per esemio, è stato indagato per corruzione nell’inchiesta sulla Banca Popolare di Milano guidata da Massimo Ponzellini. E l’ex presidente Rodolfo Molo nel 1999, assieme all’allora direttore generale Fabrizio Motterlini, è stato ugualmente indagato, in quel caso per la creazione di fondi neri attraverso sovrafatturazioni con società estere. E’ chiaro che qua non si pone il problema della fondatezza delle accuse. Potrebbero anche essere prive di qualunque fondamento, ma il solo fatto che siano state formulate dimostra l’esigenza di meccanismi trasparenti, proprio per evitare che i delicatissimi meccanismi delle relazioni finanziarie vengano contaminati dal sospetto.
L’esame dettagliato degli assetti societari (per quel che è pubblico) delle concessionarie e delle loro relazioni politiche, individua l’esistenza di legami strettissimi, a volte di dipendenza diretta. O attività di sostegno e di finanziamento. Nel novembre scorso, un servizio de le Iene ha rivelato che nel 2004 Antonio Porsia, amministratore unico e proprietario della Hbg Gaming (venti sale Biongo e migliaia di slot sparse per l’Italia) erogò alla fondazione “Vedrò”, facente capo all’ex premier Enrico Letta un finanziamento di 20mila euro e anche un altro contributo (contestato da Letta) di 15mila euro per la campagna elettorale delle elezioni europee.
Si tratta di somme relativamente piccole. Però la vicenda ha fortemente imbarazzato l’allora premier. Anche perché in quello stesso periodo uno dei temi all’ordine del giorno era il cosiddetto “maxicondono” fiscale alle concessionarie del gioco d’azzardo. Così come suscitò parecchie polemiche l’ingresso di Porsia nel business del Bingo al tempo del governo D’Alema quando tra i ministri ce n’era uno, Tiziano Treu, che in passato aveva avuto lo stesso Porsia tra i collaboratori della sua segreteria. Ma la lista degli incroci tra politica e mondo del gioco d’azzardo è ben più lunga. Idonea a gettare un’ombra su qualunque decisione venga assunta in relazione a questo business. La trasparenza è l’unica, parziale, soluzione.
24 luglio 2014
Gioco d’azzardo, un libro denuncia: lo Stato non conosce i veri proprietari delle concessionarieultima modifica: 2014-07-24T18:38:55+02:00da ugo565
Reposta per primo quest’articolo