Immigrazione, per l’Italia un semestre sul fronte. Hein: “Segnali negativi dall’Europa”

Immigrazione, per l’Italia un semestre sul fronte. Hein: “Segnali negativi dall’Europa”

di Giovanni Maria Bellu
 L’ultimo segnale è stato negativo e ha confermato che – a parte le frasi di circostanza, il cordoglio, l’impegno a evitare che le tragedie si ripetano – la strada per arrivare a una politica europea sull’immigrazione è ancora molto lunga. E che questo sarà – nel semestre europeo di Matteo Renzi – il fronte più complesso assieme a quello delle politiche economiche.
l segnale è arrivato il 27 giugno durante il vertice dei capi di Stato e di governo dei 28 Paesi dell’Unione quando la proposta del reciproco riconoscimento dell’asilo non è passata. Avrebbe consentito a quanti hanno avuto lo status di rifugiato in Italia di andare a lavorare in altri Paesi europei. Una misura volta a mitigare gli effetti del cosiddetto “regolamento di Dublino” che impone al Paese di primo ingressol’obbligo di farsi carico del richiedente asilo. E siccome il principale Paese di “primo ingresso” di quanti arrivano in Europa via mare è l’Italia, l’effetto è che i migranti che hanno i loro familiari altrove, per esempio nel Nord Europa, si trovano a essere come “imprigionati” dentro i nostri confini. Continueranno a esserlo.
A meno che non riescano a evitare di essere registrati in Italia. Siccome i meccanismi del “regolamento di Dublino” sono ormai ben noti a quanti s’imbarcano verso le nostre coste, sono stati ideati svariati accorgimenti. Vanno dal dare generalità false, tenendo gelosamente nascosto il documento vero, al garantirsi, dopo lo sbarco, un rapido trasferimento oltre i confini italiani. L’annuncio dato dalla commissaria europea agli Affari interni Cecilia Malmstroem del possibile avvio di una procedura per verificare se l’Italia fa davvero tutto ciò che occorre per identificare e registrare i rifugiati, mette fine a un patto tacito e ipocrita che ha consentito di salvaguardare la validità formale del “regolamento di Dublino” chiudendo più di un occhio sul suo frequente aggiramento.
Matteo Renzi dopo il summit – che ha definito “tosto e complicato” – ha per così dire valorizzato il bicchiere “mezzo pieno”: “L’Italia – ha detto – da oggi è meno sola nel Mediterraneo”. Nel documento finale in effetti tra le priorità dei prossimi cinque anni viene indicato l’obiettivo di una “gestione moderna e rafforzata delle frontiere dell’Unione” e si parla anche di un allargamento dell’operatività di Frontex. per fare dell’attuale sistema di vigilanza delle frontiere “uno strumento della solidarietà europea”.
L’ottimismo del premier, però, non è condiviso dalle associazioni umanitarie. Christopher Hein, direttore del Cir, il Consiglio italiano dei rifugiati, sottolinea che nel testo non viene nemmeno nominata l’operazione di salvataggio Mare Nostrum avviata dall’Italia – esclusivamente con le proprie risorse, a parte un piccolo contributo della Slovenia che ha messo a disposizione un pattugliatore– dopo la tragedia del 3 ottobre scorso a Lampedusa. In sostanza, secondo Hein, il difetto principale del documento conclusivo del summit è che si parla del futuro ma non si affrontano i nodi più urgenti del presente.
Un presente drammatico. “Durante questo fine settimana – sottolinea Hein – sono arrivate 5500 persone. Ed è appena attraccata al porto di Salerno la nave rifornitrice “Etna” con altri 1044 migranti. In questa situazione sarebbe indispensabile un sistema europeo per il diritto di asilo. Oggi, invece, abbiamo un insieme di norme ma siamo ben lontani da una politica comune”.
E ritorna il timore che l’operazione Mare Nostrum – che ha fino a ora consentito il salvataggio di 50mila persone e l’arresto di oltre 200 scafisti – possa essere nuovamente rimessa in discussione. Senza, però, che ci sia un’assunzione di responsabilità nella scelta. La preoccupazione delle organizzazioni umanitarie è che s’inneschi un meccanismo che renda in qualche misura “inevitabile” la fine dell’operazione di salvataggio. L’Italia, infatti, ha in più occasioni manifestato la volontà di andare avanti, ma ha anche sottolineato che non può farsi carico per un tempo indefinito dei suoi costi (300mila euro al giorno). Un punto sul quale gli altri Paesi della Ue continuano a fare orecchie da mercante.
Le maggiori resistenze vengono dal Nord Europa, cioè da Paesi “accoglienti” sul piano dell’asilo, ma non disposti a condividere la gestione dell’emergenza che, perciò, continua a essere a carico dei Paesi di frontiera. Ed è qua che, nell’analisi di Hein, l’Italia può trovare degli alleati che sostengano la difficile battaglia che Renzi si accinge ad avviare. “Si tratta – afferma il direttore del Cir – di rafforzare la collaborazione tra i paesi dell’area Mediterranea, che hanno interessi comuni”.
L’idea è che il motore di una politica europea dell’immigrazione deve essere alimentato dagli Stati che, comel’Italia, la Spagna e Malta, sono geograficamente e culturalmente più vicini al Nord Africa o, come la Francia, lo sono per ragioni storiche legate alla loro storia coloniale. Dal Mediterraneo può diffondersi l’idea che l’Europa di Schengen, cioè l’Europa senza frontiere interne, sarà veramente realizzata quando le politiche dell’immigrazione e dell’asilo saranno gestite a livello continentale, con una piena assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi.
03 luglio 2014
Immigrazione, per l’Italia un semestre sul fronte. Hein: “Segnali negativi dall’Europa”ultima modifica: 2014-07-24T19:29:58+02:00da ugo565
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