Battiamo le mani a Kamala

 

Battiamo le mani a Kamala, ma da noi è ancora utopia

ASSOCIATED PRESS
Vice President-elect Kamala Harris speaks Saturday, Nov. 7, 2020, in Wilmington, Del. (AP Photo/Andrew Harnik)

Dopo Kamala non ci ferma più nessuno. High Five. Lo abbiamo pensato tutte, noi che bazzichiamo in politica, davanti al discorso della vittoria della prima Vice Presidente donna degli Stati Uniti. Tutte a immaginarci anche noi prima o poi con tailleurino e fiocco bianco in ricordo delle suffragette, pronte a essere le “prime” a ricoprire ruoli finalmente non di terz’ordine, le “prime” da sole sul palco e non sempre un passo indietro all’uomo che alza le braccia in segno di vittoria o un passo in avanti, ma con l’acqua e il bicchiere per lo scranno del vincitore. Lacrime di commozione e sguardi traboccanti di orgoglio femmineo alle nostre figlie, non appena Kamala Harris ci sferra il colpo finale: “Sono la prima donna vicepresidente, ma non sarò certamente l’ultima”. Standing ovation. Anche dai nostri divani.

E poi al via la spammatura selvaggia di foto e sorrisi di Kamala a chiunque e ovunque sulla faccia del globo con eccitazione alle stelle. In effetti, ogni volta l’entusiasmo per i successi delle donne fuori dal nostro paese è inarrestabile. Poi però guardiamo all’Italia e sale lo sconforto.

I progressi verso l’uguaglianza di genere sono talmente lenti da sembrare quasi impercettibili. L’indice sulla presenza delle donne nelle istituzioni politiche ci assegna un punteggio pari al 47,9%, ben sotto paesi a noi vicini come la Francia (81%), la Germania (70%) o il Regno Unito (59 %).

Abbiamo la maglia nera per la presenza di donne ai vertici di aziende quotate; 42% contro il 52% della Francia, il 49% della Svezia e il 46% della Spagna.

Abbiamo una sola donna Presidente di regione e solo il 14% dei sindaci italiani è costuito da donne. Due sole amministrano grandi città (Torino e Roma). Nelle Marche poi all’interno della giunta regionale, troviamo una unica beata tra gli uomini e siamo nel 2020. Nessuna donna a capo di ministeri che veramente contano, come quello dell’economia, e si potrebbe andare avanti ancora a lungo.

Nel centro-sinistra poi le cose non vanno davvero bene; nessuna donna è mai stata a capo di partiti politici, mentre Giorgia Meloni ora si è acchiappata anche la presidenza del partito europeo, nessuna donna a capo di governo e ci mancherebbe altro alla presidenza della Repubblica. L’uguaglianza di genere è una delle bandiere più sventolate nel mondo della sinistra, ma meno praticate.

D’altro canto, siamo il paese in cui la cura ricade per il 75% sulle spalle delle donne, in cui gli stereotipi di genere fanno ancora parte dell’armamentario culturale di moltissimi e in cui per sfondare il soffitto di cristallo devi avere probabilità pari a quelle di vincere la lotteria. Anzi, adesso la tendenza in tempi di crisi è quella del “precipizio di cristallo”, cioè laddove una istituzione o una impresa sono sull’orlo del fallimento come ultima carta da giocare spunta il nome di una donna.

Ma la colpa è anche nostra. Siamo il paese della Sindrome di Cenerentola, dove la parola “potere” viene concepita in modo negativo dalle donne, terrorizzate di fare degli errori (ma perché gli uomini non li fanno?), mentre per gli uomini è un concetto più che positivo; siamo il paese in cui essere cooptate da un uomo per fare carriera politica ci appare più rassicurante che prenderci posizioni di potere da sole.

Eppure, tutte le ricerche ci dicono in modo inequivocabile che laddove le donne sono più presenti, la spinta a introdurre politiche a favore delle famiglie, dei bambini e degli adolescenti, di un welfare moderno è molto più forte. Nella fase attuale poi, in cui dopo la pandemia, i servizi alla persona andranno smontati e rimontati abbiamo bisogno di donne al comando.

Kamala ce l’ha fatta, figlia di immigrati, prima donna afro-asioamericana ad essere eletta procuratore generale in California, poi al Senato e poi alla vicepresidenza degli Stati Uniti con la prospettiva di fare lei il Presidente al prossimo giro. Siamo strafelici, ma diamoci da fare per le Kamala di casa nostra. Non basta più consolarsi con in mano la tazza di Rosie the Riveter, l’operaia americana che mostra i muscoli dell’avambraccio e dice “we can do it”. C’è una battaglia dura da fare. Facciamola.

Battiamo le mani a Kamalaultima modifica: 2020-11-15T22:35:26+01:00da ugo565
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